
Paese di origine: Stati Uniti (2025)
Genere: Fantastico
Regia: Isaiah Saxon
Attori: Durata: 96 minuti
Il tema degli animali e del rapporto sociale ritorna in un contesto fantasy
The Legend of Ochi è un film che si muove tra fiaba e avventura, portando sullo schermo una storia di crescita, empatia e confronto con l’altro, ambientata in un suggestivo paesaggio montano che ricorda i Carpazi. Il film, diretto da Isaiah Saxon, mescola elementi di fantasy, family movie e attivismo animalista, raccontando l’avventura di Yuri, un’adolescente ribelle e introversa, che decide di ribellarsi al padre cacciatore per salvare un cucciolo di Ochi, una creatura mitologica simile a un primate bluastro, accusata ingiustamente di essere feroce e selvaggia.
L’aspetto più originale e affascinante della pellicola è l’uso dell’animatronica e delle tecniche artigianali di effetti speciali, che ricordano i grandi film fantasy degli anni ’80 come Labyrinth o Gremlins. In un’epoca dominata dalla CGI e dall’intelligenza artificiale, The Legend of Ochi sceglie una strada vintage, che restituisce una magia tangibile e concreta alle creature del bosco. Questo ritorno a una tecnologia più “manuale” e artigianale aggiunge un fascino particolare al racconto, creando un mondo visivo ricco di dettagli e atmosfere atemporali.
La trama segue un classico schema di formazione: Yuri, interpretata dalla giovane Helena Zengel, già nota per la sua intensità emotiva in System Crasher, si trova a dover scegliere tra le rigide regole imposte dal padre Maxim, un Willem Dafoe che qui assume i panni di un villain atipico, sospeso tra la minaccia e la comicità, e il desiderio di libertà e comprensione verso le creature che la famiglia ha sempre cacciato. Il personaggio di Maxim, armato di un’armatura medievale e di un forte senso di protezione verso i figli, è una metafora della paura del diverso e della xenofobia che ancora oggi permea molte società. La sua figura incarna il conflitto generazionale e il rifiuto di accettare l’altro come qualcosa di valido e degno di tutela.
La vera forza del film sta nel rapporto che si instaura tra Yuri e il cucciolo di Ochi, che diventa il fulcro emotivo della narrazione. Questo legame, fatto di silenzi, gesti e una comunicazione quasi preverbale, porta la protagonista a una presa di coscienza profonda, fatta non solo di empatia verso una creatura diversa, ma anche di riflessione sul proprio mondo e sulle proprie convinzioni. In questo senso, The Legend of Ochi si inserisce con coerenza e originalità nel filone dei coming of age, raccontando la crescita non solo come percorso individuale, ma anche come atto di ribellione e di scelta etica.
Dal punto di vista narrativo, tuttavia, il film soffre di qualche limite. La storia, pur carica di buone intenzioni, segue spesso sentieri già battuti e non riesce a evitare alcuni stereotipi di genere e situazioni narrative prevedibili. Il villain interpretato da Dafoe, per quanto ben caratterizzato, risulta a tratti ridicolo e poco credibile, togliendo forza alla tensione drammatica del racconto. Inoltre, il tentativo di originalità attraverso stacchi di montaggio improvvisi e personaggi eccentrici si traduce in un effetto postmoderno che sembra quasi voler compiacere uno spettatore smaliziato, senza però aggiungere profondità al racconto.
Dal punto di vista tecnico, oltre all’animatronica, il film si distingue per la colonna sonora, che mescola sonorità metal, classiche e ambientali, e per una regia che riesce a creare atmosfere sospese, talvolta oniriche, grazie a una palette di colori pastello dominata da blu e gialli. Questa scelta cromatica rafforza il senso di mistero e meraviglia che permea il racconto, pur risultando talvolta eccessiva nella sua intensità.




Il cast è di buon livello, con Helena Zengel che conferma il suo talento nel portare sullo schermo un personaggio complesso e sfaccettato. Willem Dafoe è il consueto interprete istrionico e intenso, capace di dare spessore anche a un personaggio scritto in modo non sempre efficace. Emily Watson offre una performance misurata nel ruolo della madre assente e problematica, mentre Finn Wolfhard, pur essendo un volto noto e un richiamo per un pubblico giovane, risulta poco sfruttato in un ruolo marginale che avrebbe potuto essere affidato a un attore meno conosciuto.
Nel complesso, The Legend of Ochi è un’opera che si apprezza soprattutto per il suo aspetto artigianale e per il messaggio di apertura e tolleranza che propone, ma che fatica a trovare un equilibrio tra la fiaba per bambini e il racconto adulto. Il film si rivolge principalmente a un pubblico familiare, con l’obiettivo di intrattenere e al contempo stimolare una riflessione sul valore dell’empatia e sul confronto con il diverso, in un momento storico in cui queste tematiche risultano particolarmente rilevanti.
Se siete amanti del cinema fantasy “di una volta”, quello fatto di pupazzi, animatronics e atmosfere sospese, e cercate una storia dolce ma non banale, The Legend of Ochi può essere una piacevole scoperta, capace di farvi riscoprire la magia di una narrazione semplice ma sincera, che parla ai cuori delle nuove generazioni.
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