Trilogia di Lothar Basler Figli di Tenebra - Marco Davide
Data: Mercoledì, 21 ottobre 2009 - Ore 12:00:00
Argomento: Libri, fumetti e riviste


L'ultimo avvincente capitolo della Trilogia In libreria dal 14 ottobre 2009
Figli di Tenebra è il capitolo conclusivo della Trilogia di Lothar Basler, saga fantasy iniziata nel 2007 con La Lama del Dolore e proseguita nel 2008 con Il Sangue della Terra.
Nel terzo volume l’autore stende le ultime, consistenti pennellate del complesso quadro che raffigura un mondo a più dimensioni.
La superficie è una civiltà medievale articolata in regni e principati che convivono non sempre pacificamente, affrontando epidemie e carestie, producendo e commerciando, pregando dèi diversi e risolvendo problemi simili, un mondo descritto con realismo e gusto del dettaglio, un mondo solido e credibile, popolato, oltre che dagli esseri umani, da orchi, nani, demoni e creature ibride. Un mondo spesso spietato, in cui la violenza e la prepotenza sono strumenti di vita.
Oltre la superficie ci sono le forze costitutive primigenie, il Potere e l’Entropia, che i più ignorano del tutto e solo pochi sanno maneggiare: un gruppo di iniziati che si impegnano per proteggere il mondo dalla forza disgregatrice (l’Entropia) che secoli prima l’ha quasi distrutto, e la setta guidata da Kurt Darheim, che quella forza vuole conquistarla per dare vita a un regno nuovo, di disordine e degenerazione. [...]

Di ciò che sta sotto la superficie Lothar resta all’oscuro fino alla notte in cui Darheim gli svela la sua natura di Figlio del Potere e, per generare in lui il sentimento violento che, solo, può risvegliare la sua forza, tortura e uccide Helena, sua giovanissima moglie, davanti ai suoi occhi. Quello è il punto zero, l’inizio di un cammino fatto di dolore e scoperte, sul mondo, sugli uomini, su se stesso.
Ne La Lama del Dolore Lothar recupera l’arcana spada che gli è stata donata anni prima – uno dei dodici, antichissimi manufatti dotati di un’anima di Potere, ma il solo di cui si abbia notizia – e parte per un viaggio che ha un unico obiettivo: uccidere Kurt per vendicare Helena.
Durante il cammino incontra alcuni uomini, un nano e un mezz’orchetto che si uniscono a lui, si scontra con oppositori umani e demoniaci e comincia ad avvicinarsi alla verità. Solo ne Il Sangue della Terra, però, dopo aver attraversato l’oceano ed essere entrato, con la sua compagnia, in una terra devastata dalla guerra e dalla peste, conosce Mighal e i suoi confratelli, giungendo a capire il suo ruolo e quello di Kurt nel Destino del mondo.
Con Figli di Tenebra il cerchio si chiude. La sofferenza diventa quasi insopportabile, l’esito della lotta del tutto imprevedibile e gli ostacoli tanto disumani da portare i protagonisti sull’orlo della follia. Nello stesso tempo, mesi di cammino accanto a Mutio, Rugni, Thorval e Moonz portano a galla la verità di sentimenti senza tempo: amicizia, speranza, paura, coraggio, odio, amore.
L’obiettivo di Lothar è ancora Kurt Darheim, quasi all’apice della potenza e ormai padrone dell’Entropia. Deve raggiungerlo in fretta: al Destino non si può sfuggire, è necessario assecondarlo e costruirlo.
Così, mentre nel mondo l’estate muore, Lothar e la sua compagnia penetrano terre malate, regolate da leggi insondabili e popolate dai figli di un atto di violenza sulla natura stessa: esseri né vivi né defunti in eterna putrescenza, dominati da un’intera casta di vampiri, che li corroderanno nell’anima e nel corpo.
Lì, nella Gehenna, dove la sofferenza diventa disperazione, l’odio e l’amore daranno a Lothar la forza, il Potere gli metterà in mano gli strumenti, i ricordi e le perdite saranno la ragione per lottare ancora.

CAPITOLO I

“Qui, Mutio! Qui!”
Simone udì il richiamo di Thorval, ma non vi badò. Sollevò invece lo sguardo in direzione dell’uomo con l’uniforme porpora di Caeres. Gli veniva incontro con le labbra tirate sui denti gialli, tutto inzaccherato. Mutio tese il corpo in avanti, pronto all’azione. Aspettò che il soldato gli fosse addosso, che allungasse prepotente la gamba verso le sue caviglie. Solo allora si mosse. Fintò a sinistra e scartò repentino nella direzione opposta, scostando col piede la palla foderata di cuoio prima che impattasse la suola dello stivale avversario. Il soldato abboccò, non fece in tempo a stupirsi che Mutio era già alle sue spalle a correre veloce dietro la palla.
“Qui, Mutio!” urlò di nuovo Thorval. Lui alzò gli occhi senza fermarsi. Vide il Nordico che correva a una decina di passi da lui. Un giovane dai capelli lunghi e neri gli stava addosso e lo strattonava. Thorval cercò di spingerlo via e quasi lo mandò a ruzzolare nel fango. Fissò Mutio senza smettere di correre, in attesa di ricevere la palla. Mutio escluse subito l’ipotesi. Vedeva ormai vicini i due pali conficcati per terra. Troppo vicini.
Pestò con foga sul terreno scivoloso. Percorse una manciata di metri senza che nessuno lo ostacolasse. Quando tornò a sollevare lo sguardo, la porta era lì che lo aspettava. Si inchiodò d’improvviso: fletté all’indietro la gamba sinistra e, allorché la rilasciò, il collo del suo piede colpì con forza la palla, che ancora rotolava. La vescica avvolta nel cuoio compì una traiettoria tesa nell’aria, diretta verso una delle pertiche di legno. Era ormai sul punto di oltreppassarla quando un braccio enorme si levò a colpirla. La palla sbatté all’altezza del polso.
Rimbalzò via, sul lato esterno del palo.
Mutio si piegò sullo stomaco e masticò un’imprecazione a denti stretti. Raddrizzò la schiena per scoccare un’occhiataccia al gigantesco figuro in mezzo alla porta, che aveva ancora il braccio destro teso verso il palo.
Ogre.
La creatura lo gratificò di un feroce ghigno di scherno. L’Alteano sputò a terra. Si era opposto con tutte le forze quando i soldati imperiali avevano proposto di far giocare un ogre mercenario a difesa della propria porta, nel ruolo che l’Alteano era abituato a definire di custode. Lo sguardo torvo dell’ogre in questione, condito da un paio di minacce bofonchiate dai suoi tre metri e passa d’altezza, lo avevano però zittito.
“Facciamo una pausa” propose Nevio alle sue spalle.
Nevio era il mercenario Alteano cui era venuto in mente di organizzare la partita di palla-mischia. Aveva coinvolto con entusiasmo sia Mutio che Thorval nella squadra di soldati della propria bandiera da opporre a una compagine imperiale. Il tempo di conformare le proprie regole a quelle degli avversari stranieri, e le pertiche delle porte erano state piantate. Nell’espressione afflitta di Nevio non restava traccia dell’arroganza ostentata all’inizio della gara. Ansimava con una mano sul fianco e tirava in continuazione su con il naso, da cui colava un rigagnolo di sangue.
Mutio si portò ai bordi del campo. Si asciugò la fronte sudata con l’avambraccio e ripensò stizzito all’intervento con cui l’ogre gli aveva impedito di mettere a segno il punto.
Thorval lo avvicinò detergendosi il viso con uno straccio. Guardò Simone negli occhi ma non disse niente; si limitò a superarlo per lasciarsi cadere sull’erba. Mutio scosse la testa. Thorval era un ottimo corridore, discretamente veloce e instancabile. Era anche agile e di sicuro efficace quando si trattava di contrastare fisicamente l’avversario. Ma con la palla ci sapeva fare poco.
Gli manca la pratica, pensò mentre si massaggiava il costato colpito da una gomitata.
Il Nordico afferrò la ghirba ai bordi del campo e se la portò alla bocca per bere. Ne impugnò l’estremità con la mano destra, ma dovette aiutarsi con l’altra per sollevarsela sulla testa.
Mutio vide con chiarezza la brutta cicatrice che gli deturpava il polso sinistro. Ormai da qualche settimana Thorval si era tolto le bende dalla ferita. Le dita si erano ristabilite dalla paresi dei primi giorni per giungere a flettersi pressoché del tutto. Ma i tendini recisi dalla roncola nemica non sarebbero tornati a saldarsi, per cui la mano sinistra di Thorval sarebbe sempre rimasta a mezzo servizio.
Anche Mutio si sedette a terra. Si puntellò con le braccia dietro la schiena e sollevò il viso accaldato godendosi il venticello fresco che spirava dalle pianure.





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