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Ratti di città

Ecco l'incipit del libello a cui lavoro





Ratti di città



7/9/1995 Roma



Il luogo dell’incontro è angusto. Come al solito.

Il rudere di una vecchia chiesa di campagna dal cui tetto diroccato cadono gocce d’acqua piovana, poche enormi gocce alla volta che si mischiano con il fango e le pozzanghere sul pavimento dissestato. Sembra quasi che la pioggia di ieri non sia mai finita. Come non finirà, almeno per me, la notte che l’ha preceduta.

Non devo aspettare molto. In meno di dieci minuti sono qui.

Riconosco subito “Adam” e “Noos” i miei supervisori, gli altri due sembrano piuttosto giovani, probabilmente hanno scoperto da poco la loro natura di ratti; sicuramente li hanno portati come guardaspalle nel caso volessi ribellarmi.

Sciocchi… non intendo versare altro sangue. Voglio solo farla finita con questa vita.

Adam il biondo è il primo a parlare:- Allora Jolly, non aspettavamo di risentirti così presto. In fondo-

Lo blocco prima che mi sommerga di stronzate: -Tira corto Adam, te l’aspettavi e sai esattamente perché sono qui… e per inciso i gorilla non servono-

Sorride. Forse vorrebbe farmi a fette fine come fogli di giornale ma per ora fa buon viso a cattivo gioco.

-Voglio solo ritirarmi. La vita degli ultimi non fa per me- lo guardo dritto negli occhi, voglio vedere fin quando troverà sensato tenere su quel sorriso idiota.

-Sei uno degli ultimi. Sei un ratto come noi, non puoi dimenticartene- sibila al volo facendosi più serio -e non puoi scappare ora che sai come va il mondo. Possibile che la tua coscienza non ti dica nulla a riguardo?-

Parla in fretta, forse si aspetta che lo interrompa in qualsiasi istante. O forse non si aspetta nulla da quest’incontro e vuole solo finire il prima possibile. Ad ogni modo resto in silenzio. Venendo qui ho pensato alle migliaia di cose che gli avrei urlato in faccia; adesso le parole mi ronzano in testa e non accennano neanche ad uscire.

Noos il più vecchio allora rompe il silenzio:-Jolly, ti rendi conto che hai delle responsabilità? Se non sono quelli come noi a fermare il regime, chi lo farà?- parla quasi senza guardarmi, richiuso all’interno di un largo impermeabile verde che lascia scoperta solo la testa glabra e le mani rugose -io sono nella Novissimi erunt primis da più di cinquant’anni e ti posso garantire che ormai ci temono, il peso di ogni nostra vittoria si fa sentire. Il giorno della liberazione è vicino.-

Come previsto provano a vendermi la sagra delle utopie condita di banalità.

Non me ne può fregare di meno. Ho vent’anni e non voglio ne ammazzare ne farmi ammazzare.

-Biondo, vecchio… Lo sapete che da qui non torno indietro. Quello che dovevo fare mi è parso di averlo fatto. C’è qualcun altro che abbia mai compiuto una missione come quella di ieri?-

Restano muti. Noos si stringe il polso destro con la mano sinistra; lo fa sempre quando viene colto in castagna. Adam fa come per parlare ma si blocca subito. Aspetta che sia il vecchio a dire qualcosa di più sensato.

Nel lungo silenzio resto a guardare i due. Noos sembra davvero portarsi dietro in ogni sua ruga il peso di dieci lustri da ribelle. Il suo corpo esile si intravede appena attraverso l’enorme giubbotto ma comunque riesco a percepire dei lievi tremolii che ogni tanto lo attraversano; non credo sia lo stress ne il freddo pungente della mattina… probabilmente sta davvero male.

Quanto ad Adam sa già che dovrà in un certo modo prendere il suo posto. Dimostra tra i quaranta ed i cinquanta anni e ad una simile età sono in pochi a restare operativi sul campo e quelli che lo fanno diventano dei punti di riferimento per gli altri. Adam non è pronto a diventarlo e lo sa. La sua frangia bionda copre a malapena il segno della sua imprudenza: una cicatrice che parte dalla parte sinistra della fronte, taglia il sopracciglio e si ferma poco prima dell’occhio. Se l’è fatta fare solo qualche anno fa da una coltellata e quella volta gli è andata davvero bene, avrebbe potuto essere il suo ultimo errore . Sa bene che chi non riesce a proteggere se stesso non può pretendere di guidare i compagni meno esperti.

All’improvviso il vecchio, analizzata a fondo la situazione, riprende a parlare: -Come dici tu Jolly, non abbiamo modo di farti cambiare idea. Sappi però che- lo interrompo di nuovo -So già tutto vecchio, ti ringrazio per la premura -sul serio- ma non credo che riusciranno a ritrovarmi. Ed in un certo modo sarà come continuare la lotta, non trovi? Solo lo farò in maniera non violenta.-

Decisamente Adam vorrebbe farmi a pezzetti fini come fogli di giornale, trasformarli in coriandoli e bruciarli in un termovalorizzatore. Noos invece non è del tutto convinto ma rispetta la mia posizione. E questo basta per ora.

Prima di separarci mi fanno le ultime raccomandazioni, aromatizzate al gusto di minaccia velata. Come si può non amare la loro dialettica?

Infine mi lasciano andare. Evidentemente non si fidano abbastanza da porgermi per primi la schiena, io dal canto mio non voglio far loro nulla di male. E so che neppure loro riuscirebbero mai a farmene. Almeno non prima che io li abbia massacrati uno ad uno. Quindi li supero con fare gioviale e imbocco al volo l’uscita da quella catapecchia di chiesa. Già penso a come rifarmi una vita mentre filo attraverso il bosco e lascio perdere le mie tracce.











Roma

22/3/2010

È appena iniziata un’adorabile primavera nel regime. Tutto va a gonfie vele. I reati contro le istituzioni continuano, proseguono le loro repressioni, cittadini modello ogni giorno si recano ai posti di polizia per denunciare i propri vicini come sobillatori e questo è oro per uno come me.

In una situazione simile i crimini ordinari passano in secondo piano, anche quando sono contro esponenti del Partito. Oggi ho rubato loro 2 orologi e un portafoglio. Abbastanza per arrivare a fine mese. Poi si vedrà.

Il vantaggio nell’essere un mago è indubbio se campi facendo sparire la roba.

Questa vita che porto avanti da 15 anni è un’altalena fra eccentricità e monotonia, un pendolo il cui periodo sembra essere di 6 mesi. All’inizio ho passato i primi sei a prepararmi per una normale vita da borderside: procurarmi documenti falsi e soldi, infiltrarmi negli archivi del regime per farvi comparire i dati sulla mia nuova identità e simili.

È andato tutto benissimo e dopo sei mesi non ero più Jolly il sovversivo ma ero un comune ragazzo di periferia, col nuovo nome di Giacomo Santarosa. Da lì ho passato sei mesi di noia a lavorare come garzone in una macelleria e poi, quasi esattamente allo scadere del sesto mese, ho avuto l’occasione di entrare in una compagnia teatrale. Sei mesi di avventure sul palco e nei dopospettacolo finché ci siamo sciolti. Quindi sei mesi da pianista da bar e la riscoperta dell’alcool. E così via, 15 anni, 30 oscillazioni del pendolo. Euforia, noia. Luce, buio.

Inizialmente non mi accorgevo delle oscillazioni. A poco a poco, circa dieci anni fa cominciai a notarle. Le considerai coincidenze, almeno per i primi anni ed, anche se a chiunque possa mai averlo notato direi che si tratta di caso, ormai arrivo a guardarmi intorno cercando di capire cosa cambierà, certo che qualcosa stia per accadere.

Stasera ad ogni modo non voglio pensarci, voglio solo bermi qualche litro di campari, raggiungere il letto atterrarci e fare in modo che la giornata finisca così.

In questi periodi, quando sento il cambiamento in arrivo, prevedibile come l’arresto di un giornalista che scava troppo a fondo, ho un bisogno sempre crescente di risposte e da un po’ di tempo ormai provo a cercarle svuotando bicchieri… magari si celano sul fondo di uno di essi.

E le risposte in effetti cominciano ad arrivare.

In fondo ad un bicchiere di amaro ci trovo il fatto che, in generale, gli amici ti restano vicini più a lungo se non sei un paranoico che crede che la sua vita cambi in maniera assurda ogni sei mesi, uno che quando sente il cambiamento in arrivo diventa irascibile e che, se sbronzo, tira bottiglie di vetro vuote a chi cerca di farlo ragionare.

Non male. Un vero bicchiere di amaro che tiene fede al suo nome.

Mi guardo intorno: dietro al bancone un giovanotto troppo allegro ed una ragazza troppo nervosa. Lei non sembra sopportare nulla nel locale, lui tende a sdrammatizzare. So già che prima o poi lei gli spaccherà la testa con uno spremiagrumi in metallo… spero non stasera.

Sulla porta i tipici ragazzi dentro-fuori: una piccola tribù classica di 7-8 elementi, stanno sulla porta del bar a fumare e sorseggiare drink. Tutta la sera sulla porta, progettano di andare chissà dove, si organizzano, contattano persone, scaldano le auto, fanno avanti e indietro sempre sul punto di partire… riescono a dire anche trenta-quaranta volte che stanno ordinando l’ultimo bicchiere prima di andare. E alla fine restano lì al bar. Anzi neppure al bar, restano sulla porta.

Al biliardo un tipo grosso ed uno più piccolo giocano per inerzia, parlando d’altro. Se si chiedesse loro chi sta vincendo probabilmente non saprebbero rispondere.

Qualcuno ai tavoli che parla dei massimi sistemi, di “quellatroiachenonmilascialibbero” o di “quelfijodenamigno’delmiocapo”

Detta così pare il festival della noia, forse invece loro si divertono, sono io che stando alla fine del periodo di noia vedo tutto alterato. E se è la noia ad alterami la percezione vuol dire che l’alcool ancora non ha fatto effetto.

E quindi giù ancora, con la vecchia tecnica dell’uno-due dell’America centrale: un colpo di rum ed uno di tequila alternati, dopo 10 minuti così in genere si finisce a camminare sulle mani.

Infatti in 9 minuti e 25 non riesco più a mettere a fuoco a più di trenta centimetri da me.

Pago al volo e fuggo barcollando.

Ora la parte più difficile: arrivare a casa.

Zigzago tanto da dover camminare per mezzo chilometro per riuscire ad avanzare di un centinaio di metri. L’aria fresca della notte porta con se il tipico ristagno quasi paludoso della Roma primaverile, quando l’odore vivo e forte delle piante che si risvegliano nel fango delle piogge di marzo si scontra con il velo di smog. Nelle altre città in genere c’è un certo squilibrio di forze: in alcuni posti vince sempre lo smog compatto, in altri vince una natura quasi verace. Qui non vince nessuno, c’è solo un lungo scontro di odori che si danno battaglia nell’aere, generando un odore strano che porta con se la vita e la morte.

Per fortuna fa abbastanza freddo da salvaguardare un bagliore della mia lucidità, se fosse più caldo quest’odore avrebbe accentuato il mio stato abbastanza da farmi addormentare sul colpo, magari accasciato su un albero.

Le auto saettano sulla strada quasi senza rombare, sembra che rispettino il silenzio della città che dorme.

In mezz’ora torno a casa, strano, all’andata mi era parso di impiegare cinque minuti scarsi per arrivare al bar.

Per poter entrare mi aspetta ancora una piccola lotta con le chiavi, primo round trovarle nella tasca, secondo round imboccare la toppa e poi via, due giri e sono dentro.

Accendo la luce e la lampadina emana un fioco bagliore. È almeno un mese che mi riprometto di cambiarla. Forse domani è la volta buona.

Butto un occhiata al salone e capisco al volo che mi sbaglio: neppure domani potrò cambiare la lampadina.

Seduti sulle sedie ci sono Adam e la mia ultima fidanzata. Faccio comparire un mattone e lo tiro loro per vedere se sono veri. Dopo averlo schivato il biondo mi tira dietro una bombola del gas, i riflessi provano ad assistermi ma il massimo che riesco a fare è proteggermi il petto ed il volto con le braccia. Fortunatamente Adam è incline alle esagerazioni ma non vuole uccidermi, infatti è solo una bombola d’avvertimento vuota. Benché faccia un male boia non è eccessivamente pericolosa. Ad ogni modo prendo atto che non sono allucinazioni.

Ci guardiamo un attimo poi punto l’indice contro di loro e li avverto:-Ripassate domani, lo studio è chiuso ora-

Quindi collasso sul pavimento e mi addormento. Se tutto va bene ci penseranno loro a mettermi a letto e vedrò a cosa devo il dispiacere della loro visita domani. Per ora mi lascio solo scivolare in un dolce sonno etilico.



Roma 23/3/2010

Il risveglio porta con se l’amaro sapore dei peli del tappeto del mio ingresso. I due bastardi non si sono degnati neppure di buttarmi addosso una coperta o un cuscino.

La testa mi sta esplodendo come se qualcuno stesse giocando a fare i coca-cola geyser nel mio cervello.

I due sono seduti esattamente nella stessa posizione.

Per un attimo mi chiedo se… no, il caffè e i cornetti freschi tradiscono il fatto che almeno uno dei due è appena uscito di casa.

Li guardo e confido loro il primo pensiero della giornata: - Hey! Ieri mi ero riproposto di spararmi un secchio di Campari ed invece ho bevuto tutt’altro… buffo!-

Le loro facce serie mi dimostrano che la dolcezza di quei cornetti non è riuscita a addolcire i loro modi.

Quindi riprovo a rompere il ghiaccio: -Adam, da quand’è che si risponde al mattone della verità con una bombola d’avvertimento?-

E lui col suo ghigno che mi fa sempre venire voglia di riassaltargli la bocca: -Da quando mi devo trattenere perché mi servi e non posso salutarti con il vecchio trucco dell’ascia norvegese-

-L’ascia norvegese. Che simpatico. Sai che me l’ero quasi scordata? Hai ancora il dentino avvelenato per il fatto che vi ho abbandonato?-

Mi fa un cenno scocciato e fa per iniziare un suo discorso.

Lo interrompo prima che cominci e mi rivolgo subito a lei.

-E tu Silvia? Non mi avevi lasciato proprio per lo stesso motivo?-

Lei mi guarda coi suoi splendidi occhi color ghiaccio: -Lo avrebbe fatto qualunque donna della Novissimi se avesse scoperto di stare con Jolly il fuggiasco-

-Ed io che credevo che adesso andassi in giro tronfia del fatto di essere stata 3 mesi con Jolly la leggenda ed avergli poi spezzato il cuore-

Continua a fissarmi seria. Quando fa così mi mette un po’ paura ma soprattutto mi erotizza.

-Ti avrei volentieri spezzato la spina dorsale quando ho scoperto chi eri in realtà- continua con una punta d’acido nella voce. Dio, potrei riprenderla ad amarla se si indispettisce ancora come una volta.

Taglio corto però.

Non posso e non voglio perdere altro tempo: ho una lampadina da cambiare io!

-Fuori il rospo tutti e due avanti! So bene che siete qui in veste ufficiale -se qualcosa di ufficiale esiste fra i ratti- e se siete venuti proprio voi, il mio vecchio supervisore e la mia ultima fiamma, è evidente che c’è un lavoro complesso per il quale serve uno tosto come me. Inoltre dato che siete anche le persone che mi augurano più sciagure sulla faccia della terra direi che è quel genere di lavori che prevede sofferenze ben peggiori della morte come parte del suo completamento. Ho indovinato?-

Non ridono alle mie battute, di base la cosa mi infastidirebbe ma, data la situazione, mi scopro particolarmente comprensivo.

Adam comincia: -Vedo che non hai perso la tua capacità principale.-

-La mia amabilità ed il mio carisma?-

-No- dice mettendo su la faccia da frecciatina in arrivo -La tua capacità nel rompere i coglioni.- che persona prevedibile e posticcia…

-Ad ogni modo sei sempre stato bravo. In un certo modo sei diventato leggendario. Davvero. Ed ora abbiamo bisogno di te- l’ultima frase la pronuncia al volo come se fosse una sola sillaba. Mi si stampa in faccia il più genuino dei sorrisi, baciato dal caldo sole di metà mattina.

-Non ti montare la testa. La questione è che ci servi anche perché siamo rimasti in pochi. Negli ultimi 5 anni abbiamo scoperto solo nove ratti nuovi.-

Lo guardo interrogativo: -C’è una causa per un raccolto tanto magro?-

Ovviamente non c’è, glielo si legge in faccia.

-No, ancora non abbiamo risposte precise a riguardo- Come volevasi dimostrare.

-Il lavoro comunque non è dei più semplici: si adatta perfettamente al solito cliché del “bisogna salvare l’organizzazione, salvaguardare il destino della città e forse anche la libertà di tutta l’umanità.-

Corbezzoli. Penso che il periodo di noia sia appena giunto alla fine.

-Suppongo che di spiegarmi tutto qui ed ora non se ne parla neppure. Giusto?-

Adam annuisce.

Mi alzo, accendo lo stereo e faccio partire un disco di hip hop italiana a basso budget.

Mi guardano con espressione sbigottita, si chiedono che stia combinando.

-Nulla di che… era solo per spezzare la catena di cliché cinematografici. Il vecchio supervisore, l’ubriacone, la bella ex, tutti dotati di poteri “magici”, riunione in un mattino di primavera. Jolly torna con noi! Bisogna salvare il mondo. Andiamo, chi metterebbe mai un disco simile in un momento tanto solenne!-

Le vene del collo di Adam si gonfiano ma Silvia reagisce per prima: -Razza di idiota narcisista! Ti rendi conto che se siamo venuti la situazione è seria? Sei sempre il solito deficiente! E vigliacco! Ma non ce l’hai una dignità? La città ti ha dato tanti poteri per uno scopo razza di coglione, immaturo irresponsabile…- Fortunatamente in questo aerosol di insulti i più gravi si disperdono nelle pieghe della sua voce incrinata dalla rabbia.

Ovviamente so che è importante. Queste scenette sono solo una piccola vendetta per avermi lasciato sul tappeto. Ho ancora le ossa doloranti.

-Va bene- rispondo stringendola fra le braccia per calmarla. Lancio uno sguardo a Adam per far capire anche a lui che parlo sul serio. -Va tutto bene, ho capito. Sul serio. Se la situazione è grave vi aiuterò. Credo che una visita simile fosse inevitabile ora, alla fine di 6 mesi di noia, quindi mi rimetto nelle mani del dio destino. Faccia di me ciò che vuole!-

Eh si, la faccenda delle oscillazioni mi rende fatalista a livelli, forse, poco credibili.

Infatti mi guardano perplessi. Ancora non sono sicuri di potersi fidare. Un ultimo cenno del capo, combinato con la più seria delle mie espressioni ed una loro certa disperazione bastano a convincerli che ora parlo sul serio.

E per ora non servono altre parole.

Fanno per andarsene. Adam mi dice: -Ti conviene risistemarti. Ricomincia ad allenarti, mi sembri ancora un po’ arrugginito. Passeremo noi in settimana.-

Lei non dice nulla ma sembra sollevata che la loro spedizione volga al termine.

Li accompagno alla porta e, mentre già stanno scendendo le scale, poco prima di chiudere, gli urlo:-Hey! Ti va di salire a farci una bella trombata! In memoria dei vecchi tempi!-

Silvia si volta incazzata come una iena.

La guardo dolcemente e faccio: -dicevo a te zuccherino.-

Spedisco un bacetto volante ad Adam e chiudo la porta al volo, tagliando fuori i loro improperi.

Li lascio con quest’ultima buffonata. Tanto perché capiscano che prima con me non si scherzava, ora sono io il primo a scherzare.



Da solo in casa, guardo la lampadina, ripensando a ciò che mi ha detto Adam. Avrò davvero bisogno di allenarmi? Sono stato il migliore a vent’anni ; ora che di anni ne ho trentacinque c’è davvero il rischio che mi sia arrugginito? Mi metto subito alla prova. Una volta, durante un allenamento di gioventù, mi concentrai tanto da riuscire a creare una replica perfetta della basilica di San Paolo fuori mura: era grande quanto un centrotavola eppure avevo riprodotto fedelmente ogni dettaglio, ogni statua, ogni feritoia, ogni singola tegola. Chissà dove la misi…

Lo scoppio della lampadina e la pioggia di schegge di vetro mi ricordano che ormai di anni ne sono passati troppi.

E la mia lista di cose da fare oggi si allunga:

1) Sostituire la lampadina.

2) Ripulire l’ingresso dalle schegge della lampadina.

3) Esercitarmi per evitare l’apocalisse benché ignori quale sia la causa di un rischio simile.

E prima di tutto prendermi un aspirina per evitare che mi esploda il cranio.



Adoro una cosa di Roma su tutte. La vastità: è tanto vasta ed eterogenea che nessuno la può conoscere tutta. Inoltre pochi conoscono l’interezza delle facce con cui si presenta. Infine ci sono luoghi che nessuno sembra conoscere all’interno della città. Luoghi perfetti per uno che ha bisogno di esercitarsi a giocare all’apprendista stregone come me.

In questo straccio di verde lungo le sponde dell’Aniene non viene mai nessuno, tranne qualche clochard. In effetti credo che non tutti i romani sappiano che oltre al Tevere a Roma passa anche l’Aniene.

Eppure è un posto meraviglioso. Qui la battaglia fra gli odori nell’aria la vincono senza dubbio gli odori della vita. Fortunatamente è primavera c’è l’odore di fiori a giocare con la squadra degli odori naturali, coprendo in parte l’odore acre della fanghiglia lungo la battigia.

Per restare in tema mi passo in cuffia la musica de l’Apprendista stregone da Fantasia...




Titolo: Ratti di città
Categoria: Racconti FantasyItalia
Autore: Gianluca D'Agostini
Aggiunto: April 2nd 2011
Viste: 583 Times
Voto:Excellent
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