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Il Ghaor - Capitolo VII



SOLITUDINE



Dall’esterno cominciavano a provenire i brontolii dei tuoni. La notte era calata sul mondo, nel vero senso della parola. Sembrava che la terra vibrasse ogni volta che il cielo faceva sentire la propria voce.

Rohym non aveva alcuna intenzione di dormire. L’avrebbe fatto volentieri: era stanco, spossato, ferito e forse febbricitante. Ma non gli saltava nemmeno in mente di chiudere gli occhi. Li teneva spalancati nella penombra spezzata solo dal fuocherello morente, che alimentava distrattamente con dei ceppi che aveva trovato lì vicino. Il suo sguardo si era perso nel guizzare delle fiamme che parevano volerlo ipnotizzare, con invidiabile successo.

Nel giaciglio improvvisato, il Ghaor dormiva, e il suo respiro pesante era l’unica cosa che spezzava il silenzio oltre al crepitare della legna. Rohym gli aveva dato le spalle. Per un paio d’ore non aveva nemmeno voluto posarci sopra lo sguardo. Fissare quella creatura continuava a far emergere i ricordi della notte trascorsa, e non voleva rivivere quei momenti. Avrebbe dato il proprio sangue per dimenticare le urla che lo assordavano, le ferite che si aprivano sui corpi della sua gente. Avrebbe voluto che la memoria cancellasse di botto l’espressione terrorizzata di Artysh mentre una di quelle bestie lo ghermiva e lo trascinava nel cielo. Quel turbinio di pensieri mal si sposava con lo stato d’animo che lo attanagliava. Si sentiva strano, come se avesse cominciato a vivere un’esistenza artificiale, o peggio, come se avesse preso le sembianze di un’altra persona, completamente estranea, e la stesse interpretando, ma era una parte che non gli calzava. L’intera situazione gli pareva aliena, innaturale, non più assurda e caotica di un sogno.

Abbandonò la fronte sulle ginocchia. Non riusciva nemmeno a far brillare la più piccola scintilla di volontà. Si sentiva svuotato, perso, come se gli fosse stato strappato via qualcosa dall’interno, qualcosa a cui prima non dava granché conto, ma di cui ora sentiva il peso della mancanza. La sua vita era trascorsa con lo stesso ritmo, costellato di piccole occasioni che evitavano la monotonia: i cavalli, le mansioni in dimora, le chiacchierate con amici e vicini. Non era altro. Ed ora nulla era rimasto di tutto questo, nemmeno le ceneri su cui ricostruire qualcosa. Non avrebbe nemmeno mai potuto dare un altro sguardo ai resti del Damshar senza che qualcosa gli si rompesse dentro, spezzando a metà un cuore che già faticava a battere, come oppresso dallo stesso respiro.

Che doveva fare?

Era questo l’interrogativo che risuonava nella sua testa, alla fine di tutto. La cosa peggiore era che non sapeva rispondere. Ogni volta che cercava di incentrare la poca lucidità che gli rimaneva su quella domanda scopriva che ogni ragionamento si bloccava all’improvviso lasciandolo sul buio più completo. Doveva ricominciare tutto da capo. Non aveva nulla, in termini di cose e di persone. Non aveva un soldo in tasca. Possedeva solo il machete, per gli Dèi, il fido machete da cui non aveva mai voluto separarsi, spinto da una sorta di presentimento che con tutta probabilità gli aveva salvato la vita.

E tutto per colpa di...

Si voltò di scatto nella direzione della creatura. Il Ghaor teneva ancora gli occhi chiusi, assopito, con la potente muscolatura che pareva non volersi rilassare nemmeno nel sonno. Eppure in quel momento era così vulnerabile, così diverso dal resto dei suoi parirazza, da quelle creature piombate come saette dal cielo distruggendo tutto e tutti. Rohym scosse infine la testa per liberarsi di qualsiasi allusione che potesse fargli accostare quella creatura ad un essere umano, e si riconcentrò sul fuoco, anche se per pochi minuti. Di nuovo il suo sguardo si posò su di essa, scrutandola attentamente. Eccola là, la sua bestia custode. Come l’aveva chiamato Tirka? Il suo... protetto? Perché in quella maniera? Se davvero i Ghaor conducevano la propria esistenza come tutti gli altri esseri viventi al mondo, perché lui era stato l’unico a cercare di salvarlo in tutti i modi? E perché tutti gli altri avevano agito in quella maniera, come uno stormo latore di morte?

Che si possano comandare?

L’idea balenò nella sua mente così repentina che quasi gli scappò da ridere. Eppure non ebbe quasi cuore di scartarla a priori. In effetti, non era una cosa così strana: venivano addestrati cani, cavalli, persino mucche... perché dovrebbe essere stato così diverso per loro?

Addestrati ad attaccare? E nel suo caso... a fare cosa? A proteggermi? E da cosa? E chi ha messo in moto tutto questo? Chi è responsabile di ciò? Chi tira tutte le fila?

Era stanco che alla fine di ogni suo pensiero ci fosse sempre un punto interrogativo. Era stanco di rimanere senza risposta. Era stanco anche di pensarci...

Si serrò convulsamente la testa fra le mani.

Oh, Dèi, fate sentire la vostra voce, supplicò nella propria mente. Cosa posso fare? Come posso ricominciare, come se non fosse accaduto nulla? Come posso considerare un futuro quando tutto ciò che rappresentava il mio mondo è stato cancellato dalla faccia della terra?

Una parte di sé si rimproverava di essere caduto nell’autocommiserazione. Ma non poteva farci niente. Ogni volta che cercava un brandello di ragione, di lucidità, i ricordi lo facevano sprofondare nuovamente nello sconforto. La ferita era troppo fresca, e lui era troppo stanco, al punto da non riuscire nemmeno a piangere.

Crac...

Uno scricchiolio sordo lo fece sussultare. Si voltò con la mano sull’impugnatura del machete e si accorse che il Ghaor era sveglio. Aveva aperto gli occhi, senza tuttavia muoversi minimamente dal suo giaciglio. Lo sguardo era meno stanco e sofferente dall’ultima volta che l’aveva visto, ma la cosa fastidiosa era che lo puntava su di lui.

-Che diavolo hai da guardare?- sbottò con astio il ragazzo voltandosi verso il fuoco. Lo voleva ignorare, volutamente. Sebbene sapesse che da quella creatura non doveva aspettarsi alcun pericolo, non riusciva a non provare un odio intrinseco per quelli della sua razza.

Ci fu silenzio per qualche secondo. Poi si susseguirono altri scricchiolii che annunciarono movimento, e dopo qualche istante ancora la creatura si sollevò sulle quattro zampe. Rohym si ostinava a non rivolgergli lo sguardo, sebbene riuscisse a capire le sue mosse dai rumori percepiti: il crepitare della paglia del giaciglio, il lievissimo sfregamento degli speroni in cima alle ali sul soffitto, troppo basso per la sua mole, il vago raspare del terreno quando i suoi artigli vi affondavano mentre si muoveva. Fu accanto a lui come un alito di vento, ma continuò deliberatamente ad ignorarlo. Sapeva che se soltanto gli avrebbe gettato uno sguardo, probabilmente si sarebbe ancora accanito contro di lui, vittima dei ricordi e del dolore legato ad essi.

Avvertì un rumore, una rapida serie di annusate, e solo allora cercò di voltarsi quanto bastava per riuscire almeno a controllare la situazione. Non appena sbirciò con la coda dell’occhio, si trovò praticamente faccia a faccia con la creatura. L’impatto di quella vista fu tale da farlo scattare di lato, mentre la bestia si ostinava a fiutare l’aria come se volesse imparare a memoria il suo odore.

-Che accidenti fai?- esclamò, più con sorpresa che con spavento.

Il Ghaor non si lasciò scoraggiare. Si avvicinò a lui, muovendosi sulle quattro zampe, anche se cercava di non sforzare quella ferita. Si protese sempre annusando, portandosi praticamente a una spanna dal petto di Rohym, laddove spiccavano le cicatrici dovute all’artigliata del suo simile. Rohym non si mosse di un millimetro, paralizzato dal bizzarro comportamento della creatura. Era come se lo stesse studiando. Avrebbe voluto allontanarsi ulteriormente, ma scoprì che non riusciva assolutamente a muoversi, forse perché a dire il vero non sapeva come avrebbe reagito la bestia dinnanzi al suo atteggiamento di rifiuto.

Tuttavia il Ghaor non fece altro che fiutare la ferita del giovane, accostandosi fin quasi a toccare la pelle col naso. Dopodichè si ritrasse, di botto. Il cuore di Rohym fece uno scatto spropositato quando vide una luce diversa, quasi rabbiosa, negli occhi ambrati della creatura, tuttavia il volto del Ghaor si rilassò quasi subito, come se avesse semplicemente avvertito qualcosa che per un attimo gli aveva dato fastidio all’olfatto. Sotto gli occhi del ragazzo sempre più esterrefatto, voltò il capo in varie direzioni scrutando ogni minimo particolare del locale in cui si trovava, evidentemente spaesato. Era impressionante il riflesso che mandavano le sue iridi, simile a quelle dei gatti in una notte di luna.

Rohym rimase ad osservare ogni suo gesto, sempre impietrito, chiedendosi quale sarebbe stata la prossima mossa. Era comunque palese che il Ghaor non riuscisse a capire dove diavolo si trovasse, almeno a giudicare dalle occhiate che faceva guizzare qui e là, cercando un qualsiasi indizio che gli rendesse familiare il posto. Incredibilmente, gli sorse alle labbra una frase che pareva più una rassicurazione: -Niente paura, siamo al sicuro qui...-

Nell’istante successivo si diede del perfetto imbecille. Paura? Era lui a modulare persino il respiro per evitare di scatenare qualche reazione incontrollata... e poi, che cosa diavolo stava facendo? Gli parlava come se potesse davvero capirlo, cosa ancora più assurda. Eppure i suoi ragionamenti oscillavano da un opposto all’altro, e se da una parte si riteneva ridicolo a rivolgere la parola a qualcosa che reputava poco più intelligente delle bestie, dall’altro quasi sperava che riuscisse ad intenderlo. Anche perché una creatura ottusa era l’ultima cosa di cui aveva bisogno, in quel momento.

Il Ghaor smise di studiare la stanza e lo fissò. Fu uno sguardo penetrante, che non lasciava trasparire alcun pensiero o emozione, sempre se ne avesse avuta qualcuna. Il giovane si sentì trafitto da due picche di fuoco, come se quegli occhi potessero incenerirlo ad un minimo sussulto. Tuttavia la bestia non fece nulla: solo il suo respiro, lento e pesante, spezzava il silenzio che era caduto fra loro. Infine distolse lo sguardo e si voltò gattonando verso il fuoco, fino ad accovacciarvisi di fronte, ventre a terra e mento poggiato sulle mani raccolte di fronte a sé. Le ali si ripiegarono come una coperta sul suo corpo, mentre la coda si attorcigliò in una spirale posata al suolo. Rimase immobile, gli occhi fissi sulle fiamme, guizzando impercettibilmente mentre ne seguiva le sfumature e le forme.

Passarono alcuni minuti prima che il cuore di Rohym riuscisse a regolarizzare i battiti. Eccolo là, insieme ad una creatura sconosciuta ai più, che si godeva tranquillamente il calore del focolare come se fossero due vecchi compagni di viaggio. La situazione gli pareva così assurda che gli stava persino scappando una risata.

Eppure... sebbene la vista della creatura lo facesse sobbalzare, specie ad ogni sua mossa, non ne aveva paura. Non dopo quanto aveva visto, non dopo quanto era successo. No, non fiducia... ma quantomeno aveva accettato la sua presenza. Almeno era sicuro che, per il momento, non aveva alcuna intenzione di fargli del male.

Perché lui è diverso dagli altri? Perché non mi ha ucciso? Perché invece gli altri Ghaor si sono accaniti su di noi, distruggendo ogni cosa?

“Chiediglielo.”


Era stata Tirka a proporgli quella soluzione, ma lui la considerava inattuabile. Era già un miracolo poter considerare quella creatura senziente al suo pari, figuriamoci aspettarsi che potesse conversare con lui come una persona qualunque! Eppure un piccolo angolo di sé non rifiutava quell’idea. Forse l’aver visto Tirka conoscere così tante cose su quei Ghaor lo rendeva meno titubante, tuttavia cominciava anche a chiedersi se dovesse davvero prendere per oro colato tutte le nozioni che aveva snocciolato durante la loro chiacchierata.

Ma quale sarebbe stata la condizione più svantaggiosa? Ignorare, far finta di niente, rifiutare di credere... o dare almeno ascolto, quel poco che bastava, per non essere completamente spaesato nella situazione in cui si trovava?

E’ come scegliere di morire sott’acqua o nel fuoco...

Sospirò, e bastò quel gesto per attirare l’attenzione del Ghaor. Rohym trasalì quando vide ancora quegli occhi gialli puntarlo in maniera inquietante. Si sentiva costantemente sotto esame, non appena li incrociava, eppure non riusciva a sua volta a distogliere lo sguardo. Se lo sentiva intrappolato come in una tagliola per orsi.

Dopo attimi che parvero interminabili, finalmente il Ghaor si voltò nuovamente verso il fuoco, rilassando le membra. Sembrava totalmente indifferente alla presenza del ragazzo, godendosi placidamente il calore delle fiamme. Dal canto suo, Rohym non condivideva quella noncuranza, dato che avere al fianco una creatura simile era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato nella vita.

“Bel protetto che ti è capitato...”

Si liberò con forza dall’eco di quell’esclamazione. Perché doveva accettare quell’idea? Non si considerava decisamente il protetto di nessuno, tantomeno una proprietà. E se proprio avesse dovuto ricominciare tutto quanto da zero, di sicuro non sarebbe andato a complicarsi le cose assumendo quella bizzarra creatura come compagno. Represse un sorriso sarcastico nell’immaginarsi mentre camminava tranquillamente nella piazza di una città con quell’essere al fianco. Oh, certo, sarebbe stato uno spasso.

Città? Quale città? Non so nemmeno che cosa c’è fuori dal Gharra. Sempre che esista ancora qualcosa... Damshar non ha subito, in fondo, una sorte diversa da quella di Morphis... ci scommetto l’anima che le due cose sono collegate...

Tornò con la mente al giorno in cui lui e la sua gente scorsero il bagliore rosso in cima al Picco Oblungo, il giorno in cui il primo suono acuto e penetrante aveva invaso la valle, come la campana ambasciatrice di un supplizio. Allora non ci avevano fatto caso. Allora lo avevano reputato un fenomeno insignificante che poteva essere dimenticato. Oh, Dèi, se solo avessero avuto più paura, quel giorno... forse ora sarebbero tutti salvi.

Il sospiro che emise il Ghaor fece tremolare persino le fiamme di fronte a sé, minacciando quasi di smorzarle definitivamente. Rohym trasalì dandosi immediatamente dell’idiota per agitarsi ad ogni minima azione della creatura. Se non aveva nulla da temere, perché continuava a rimanere teso come se si aspettasse da un momento all’altro che gli si rivoltasse contro?

Con una certa titubanza, si avvicinò al caminetto in cerca di calore. Il Ghaor ignorò la sua presenza, rimanendo a fissare le fiamme. C’era qualcosa nella sua espressione che lo faceva apparire assorto, turbato. Il giovane storse il naso. Poteva davvero definirlo così? C’erano pensieri simili ai suoi a turbinare nella mente della creatura? L’idea che pensasse come un essere umano, sebbene un po’ regredito, era davvero così remota?

“Chiediglielo.”

Finalmente riuscì a mischiare coraggio e follia (almeno per lui) in maniera sufficiente per riuscire a rivolgergli la parola. -Perché mi hai protetto?-

La bestia sembrò intendere ciò che aveva detto, a giudicare dalla sua reazione. Si voltò lentamente dalla sua parte, portandosi di nuovo occhi negli occhi. Rohym rimase in attesa, aspettandosi di vedere quella bocca muoversi per articolare una risposta, ma rimase deluso quando in effetti il Ghaor rimase soltanto a fissarlo. Sciocco, mormorò fra sé e sé. Magari riesce a comprenderti, ma forse non sa parlare. D’altronde sarebbe anche ovvio, no? Da quando una bestia riesce ad esprimersi nel linguaggio degli umani?

Quello sguardo durò a lungo, senza che nessuno dei due riuscisse a spezzare quell’immobilità, fino a che il Ghaor non voltò nuovamente il muso poggiandolo sul dorso delle zampe. Il sospiro che liberò poco dopo fece ondeggiare maggiormente le fiamme del focolare. La creatura le fissò incuriosito, finché all’improvviso, con movimenti calcolati, alzò una zampa per cercare di toccarle.

-Fermo!- scattò Rohym quasi di riflesso, e gliel’afferrò allontanandogliela dal fuoco. -Vuoi bruciarti? Il fuoco non si può toccare!-

Nell’attimo dopo gli scappò quasi da ridere. Quel rimprovero era molto simile a quello che gli aveva fatto suo padre le prime volte che si avvicinava al focolare. D’altronde, si stava forse comportando diversamente? Quando poi il Ghaor lo fissò negli occhi con uno sguardo interrogativo, quell’impressione si fece più netta. Eccolo lì, ad insegnare ad un bestione cosa bisognava fare e cosa invece non si doveva, proprio come ad un bambino.

Sotto la mano, avvertì la pelle della creatura, liscia e dura come un sasso levigato dalla corrente di un fiume. Riusciva a sentire il tendersi dei muscoli, l’incredibile forza che celava. Probabilmente avrebbe potuto spezzare il collo ad un orso con una semplice torsione del braccio. Invece era là docile come un gattino, insieme a lui.

Passò lo sguardo sulle ali. La membrana era spessa, simile a velluto, e gli speroni che ne decoravano le sommità brillavano alla luce del fuoco. Non riusciva a capire come riuscissero a mantenere in volo una creatura che pesava di sicuro almeno dieci volte lui. Lo sguardo cadde poi sulla coda affusolata che teneva schiacciata contro il corpo. Era lunga abbastanza perché potesse cingersi quasi due volte il torace. Osservò anche gli artigli delle zampe, la potente muscolatura del torso, gli speroni ossei che partivano dalle ginocchia e dai gomiti. In definitiva, una macchina da combattimento. Non c’era da stupirsi se uno stormo di creature simili avessero raso al suolo un villaggio in un battito di ciglia...

Basta! urlò la sua mente. Guai a te se osi pensarci!

Distolse lo sguardo dal Ghaor cercando di fissarsi sul fuoco. La creatura, per tutta risposta, lo fissò assottigliando gli occhi, come se avesse avvertito il turbamento del ragazzo. Per Rohym fu l’ultima goccia. Quello sguardo incuriosito, dall’esemplare di una razza che aveva imparato ad odiare, gli era insopportabile.

“Lasciami in pace!” gridò senza più controllo. Strisciò sul pavimento, all’indietro, fino a rannicchiarsi in un angolo poco distante. Il Ghaor seguì i suoi movimenti repentini, agitando la coda. Eppure il suo sguardo non mutava.

Rohym si ghermì la testa fra le mani cercando di ragionare lucidamente. Se devo ricominciare, non posso certo farlo con lui. Eppure, allo stesso tempo, la sua forza può farmi comodo... Oh Dèi, ma che sto dicendo? Non posso portarmelo dietro! Come reagirebbe la gente se mi trovasse insieme ad un bestione del genere? Come minimo mi ucciderebbe, insieme a lui. Senza pensarci due volte.

Alzò appena il capo e notò che l’animale lo stava ancora guardando. Ormai fuori di sé dalla rabbia, afferrò la prima cosa che si trovò a portata di mano – una ciotola di metallo abbandonata a terra – e gliela scagliò contro con tutta la forza del braccio.

-SMETTILA!- urlò ad accompagnare il suo gesto.

Senza volerlo, il recipiente andò a colpire la zampa ferita del Ghaor, che soffocò un mugolio di dolore tra le zanne. Si voltò d’improvviso con un rapido movimento delle ali che parvero spiegarsi per un breve istante prima di chiudersi di nuovo. Bastò quello scatto a far annodare la gola a Rohym, che si rese immediatamente conto del gesto che aveva appena compiuto. Non era molto conveniente far saltare i nervi ad una creatura che poteva staccargli la testa in un solo colpo. Temette che da lì a poco la bestia gli si sarebbe avventata contro, ma contrariamente alle sue previsioni quella non fece altro che rannicchiarsi maggiormente, con un sordo mugolio. La zampa sana era corsa immediatamente a cingere il braccio ferito, con lievi movimenti molto simili ad un massaggio.

Quella semplice mossa bloccò Rohym spazzando via ogni sua bellicosità. Cadde nuovamente un silenzio innaturale, col ragazzo immobile, in ombra, e la bestia accucciata di fronte al fuoco scoppiettante.

Quel gesto... era stato fin troppo umano. Anche l’espressione sul muso – sul volto – del Ghaor era strano. Non poteva imputarlo ad una bestia. Era come il viso di un uomo scolpito nella grezza roccia. Con le sue espressioni, rese grezze magari dalla presenza delle corna e delle zanne... ma pur sempre un viso.

Sofferente.

Forse non ho il diritto di fare così... non è stato lui a distruggere Damshar. Lui non c’entra. Eppure, lo sto trattando come se avesse sgozzato mio padre ed Artysh con le sue stesse mani...

Quel freddo pensiero gli attraversò la coscienza come un lampo. Arrancò carponi sul sudicio pavimento colmo di muffa fino a portarsi al suo fianco. Il Ghaor non si mosse: sempre con gli occhi chiusi, sempre col naso corrugato e la bocca stretta a contenere un forte dolore.

-Scusa.-

Quasi non si accorse di parlare. Quasi non fece caso al gesto che stava compiendo: la sua mano che lentamente si posava sull’enorme zampa, grande due volte il suo palmo, del Ghaor. Sotto le ampie dita, poteva ancora vedere brillare sangue fresco. Quella vista gli pizzicò la coscienza più di quanto avrebbe potuto fare uno scorpione.

Con quel tocco, il Ghaor si voltò. Quegli occhi penetranti si fissarono sul ragazzo, che stavolta resse il suo sguardo senza provare timore. Riuscì anche a notare i dettagli delle iridi: aveva degli spicchi più chiari e altri più scuri, che ne sfaccettavano il colore. Erano occhi intelligenti, non ottusi come quelli di un animale qualsiasi. Dietro quegli occhi potevano celarsi pensieri. Forse. Non poteva saperlo, non poteva essere certo né dell’una né dell’altra ipotesi.

“Chiediglielo.”

-Perché il tuo branco ci ha attaccato?- Di nuovo una domanda sorta dal nulla, accompagnata da uno strascico di incredulità che si sarebbe forse trasformata in sgomento se avesse udito una risposta provenire dalle labbra del Ghaor. E la parola che aveva usato... Branco. Gli dava l’idea del pericoloso, inconsciamente.

Ma stavolta, anziché il silenzio, dalla gola del Ghaor provenne un sordo ringhio.

Per i nervi già tesi di Rohym fu come una frustata alla schiena. S’allontanò precipitosamente rintanandosi nello stesso angolo di prima, senza perdere di vista il volto della creatura, che si era contratto in un’espressione agghiacciante. Fissava il fuoco con le zanne sfoderate, i muscoli contratti, gli occhi accesi di una scintilla che non poteva in alcun modo essere attribuita al riflesso delle fiamme del focolare.

Ben presto, il respiro del ragazzo si fece pesante man mano che la paura iniziava a prendere il sopravvento. La mano era corsa al machete, sapendo tuttavia che si trattava di ben misera cosa contro un essere così imponente. Credeva davvero che la bestia gli sarebbe saltata addosso da un momento all’altro.

Ma ciò non accadde. Dopo qualche secondo il ringhio che spezzava il silenzio cessò di vibrare, e il volto del Ghaor si rilassò tornando come prima. Anche se gli occhi, che non cessavano di fissare il fuoco, rimasero brillanti, con uno sguardo che avrebbe messo terrore persino ad un orso.

Rohym cercò in tutti i modi di riprendere il controllo di sé. Aveva sguainato il machete senza accorgersene, ma la creatura parve non essersene nemmeno accorta, ed anzi, ignorasse qualsiasi mossa del giovane. Ansimava col fiato strozzato, tentando di dominarsi. Di tutte le reazioni possibili, quella era l’ultima che si aspettava. Lasciò infine cadere l’arma al suolo, con un tintinnio ovattato. La morsa di sconforto che lo assalì in un colpo solo gli gelò le membra facendogliele contrarre involontariamente.

Eccolo lì, insieme ad una bestia che poteva difenderlo quanto ucciderlo in un solo colpo. Eccolo lì, senza una casa, con solo un coltellaccio a difesa.

Era solo.

Fu troppo. Rohym si rannicchiò con le ginocchia strette fra le braccia e diede sfogo a ciò che gli stava divorando l’animo. Pianse; finalmente, sotto un certo aspetto. Pianse per se stesso; pianse per suo padre, per il fatto che non aveva nemmeno fatto in tempo a proteggerlo. Pianse per Artysh, il caro Artysh, col suo animo allegro e il suo incrollabile senso dell’umorismo. Pianse per un villaggio sterminato senza una ragione, pianse per una notte segnata da un massacro a cui aveva assistito coi propri occhi. E mentre piangeva, il Ghaor rimaneva immobile, lo sguardo sul fuoco e il respiro pesante che si alternava ai singhiozzi soffocati del ragazzo.




Titolo: Il Ghaor - Capitolo VII
Categoria: Racconti FantasyItalia
Autore: Akhayla
Aggiunto: September 4th 2008
Viste: 589 Times
Voto:Top of All
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