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Una cronaca da Iskrell

CRONACA DA ISKRELL



I

ANTELITTERAM.



Anno 1140 D. V.

degli annali di Taleth.

Anno III P. F.

delle cronache di Iskrell.



Il mare di Pan mandava riflessi d’acciaio quella mattina, notò Ilkram guardando dalla finestra accarezzandosi i lunghi i baffi col tipico cipiglio di suo padre, re di quelle terre.

Ed infatti stava pensando proprio a lui ed alla storia che gli era stata raccontata fino alla nausea del suo viaggio per le infinite lande marine, viaggio che lo portò a toccare terra proprio li, sul tratto di costa pietrosa che si stendeva ai piedi del palazzo.

Il vecchio Ingmar era l’ultimo di otto figli e non avrebbe certo ereditato molto delle pur grandi proprietà di suo padre Nemweeg, re in Tyrnind; la tradizione e la legge lo costrinsero a costruirsi un Drakkar e partire con i suoi compagni, amici e servi in cerca di nuova terra da conquistare e governare per il re di Tyrnind; una terra ove lui sarebbe potuto essere re, con solo qualche flebile legame di vassallaggio dovuto al fratello maggiore che sarebbe succeduto al padre.

Ilkram si sedette sull’alto letto a fissare pensoso la vecchia pelle di lupo posata sulla sedia di fronte a lui: sarebbe stata una delle poche cose che avrebbe ereditato dal più grande e potente signore delle nuove terre dell’Ovest. Sentì l’aria gelida di quel primo mattino di una primavera ancora troppo giovane. Anche lui sarebbe dovuto partire con due navi in cerca di nuova terra da colonizzare; ma a sedici anni non si sentiva pronto, ma la salute del signore del Pannvar suo padre non gli concedeva altro tempo. Aveva anche iniziato ad amare quelle alte scogliere dall’entroterra boscoso con i suoi abitanti misteriosi, i pan, umanoidi mezze-capre: brutti quanto la morte, che, si diceva, capaci di parlare con i morti e di evocare sul loro volto barbuto l’apparenza letale della Prima Mietitrice, erano dotati di genitali sproporzionati ed andavano a sedurre, o a provare di sedurre, ogni essere di aspetto femminile che incontravano , ovviamente i risultati ottenuti erano scarsi, soprattutto con le alte figlie dei nuovi padroni. Si stava facendo tardi.

Alzatosi lentamente si avvicinò al cimelio del padre, lo prese, ne baciò il cappuccio( la testa di lupo) e lo indossò. Doveva proprio assomigliare ad uno dei grandi Ullfhang della guardia reale di Tyrnind, pensò.

Eppure gli risuonavano in mente i motti, le canzonature dei sei fratelli più anziani: - Ti perderai, piccolo Ilk ? - era una delle domande che si sentiva fare più spesso, come anche: - Chissà che grandi regni erigerà il nostro fratellino, non è vero Gar ? - diceva ridacchiando uno. - No Nem, non farà proprio un accidenti se continuerà a pisciarsi addosso davanti la sua ombra ! - e giù risate.

Tutto questo per la sua amicizia con Meggar il giovane scaldo, il quale gli aveva parlato di alcuni dei misteri oscuri di Taleth dei quali il suo vecchio maestro, Unnda il venerabile, gli aveva insegnato. Da quel tempo il più giovane dei figli di Ingmar aveva nutrito un serio terrore per il buio e le ombre in generale; ma sapeva anche che quella paura era naturale e che i suoi fratelloni avrebbero riempito le loro belle armature di tutta la strizza che avevano in corpo, se solo avessero intravisto le creature mortali di cui Meggar gli aveva raccontato, anzi, cantato, poiché il suo amico, come tutti gli scaldi era anche un magnifico cantastorie, con il potere in più di mostrare ciò che cantava: gli bastava suonare col suo kantele tempestato di sacre rune per compiere il prodigio. Ma ciò avveniva assai di rado, nonché di nascosto, giacché il suo maestro considerava quel potere troppo pericoloso.

- E’ tempo di far visita al mio amico sacerdote - disse fra se e se Ilkmar. - L’ora della partenza è vicina. -

Dalla finestra i mille frammenti di luce che venivano dal mare occhieggiavano al giovane principe.



II

AMICI



- Uhmm. Vediamo un po’. - Fece, chino sul suo esperimento l’apprendista. - Come fa quella formula di comando? -

- Pensaci bene ragazzo - la voce aspra del precettore lo raggiunse - non vorrai mica lasciare il nostro amico bersek libero di fare colazione con le nostre ossa, vero? -

Il lampo del ricordo illuminò la giovane mente, tracciò con febbrile eccitazione le ultime rune sul ramoscello di betulla che costituiva la chiave per riuscire nella “ Prova dell’Illuminazione” che lo avrebbe consacrato a vita come scaldo. Il vecchio si alzò dalla roccia muschiata ove era seduto e si avvicinò, claudicante, all’allievo.

- Bene, molto bene piccolo apprendista. Ora va tra le braccia della Madre e cerca nostro fratello Bersek, conducilo, docile, a me e sarai fatto sacerdote ed ermeta, ma attento: ogni controllo della volontà, anche animale, richiede concentrazione, non ti distrarre mai o non ti rivedrò più piccolo mio! -

- Vado subito Venerabile. - E corse verso la foresta con le vesti grigie da apprendista che gli svolazzavano intorno.



Gunthar, l’anziano traghettatore affidatogli sembrava più lento del solito quel giorno. - Forza ! -

Lo spronava Ilkmar - Non devo perdere la proclamazione di Meggar a scaldo, vecchio pelandrone !-

- Con tutto rispetto, vostra giovane grazia - gli rispose quello - Se quel vostro amico lo fanno scaldo io mi posso proclamare re di Tyrnind ! -

- Ti farò re delle segrete di mio padre se arriverò tardi ! - E sembrava proprio serio, tanto che il traghettatore smise di sghignazzare e procedette con maggior lena. I primi scogli dell’isoletta dei sacerdoti cominciava a stagliarsi all’orizzonte terso.



Gli alberi erano particolarmente silenziosi, o così parve a Meggar. - Che la Madre sappia della sua prova ? - Non ci voleva pensare, sarebbe stato inutile e lo avrebbe riempito maggiormente di paure, cosa di cui non aveva affatto bisogno -

Imbracciò il suo strumento, il meraviglioso kantele in corno d’alce ed attaccò a suonare un motivo lento e quasi impercettibile e più andava avanti con l’esecuzione, più le note si confondevano con il brusio smorzato della foresta. La base dell’incantesimo era pronta, il resto era facile, l’aveva fatto centinaia di volte. Cominciò a cantare sottovoce una cantilena monotona in una lingua più antica del suo popolo che, tradotta rozzamente nel gergo comune sarebbe stata:



- Zolla di terra,

radice e bacca,

la vista all’occhio manca.



Tronco d’albero,

ramo e foglia,

Il vento ogn’odor tolga.



Acqua di fonte,

ruscello e roggia,

evoco la vostra magia.



Che naso acuto,

cuore vivo,

zanne voraci,



primo figlio della Madre,

signore della battaglia,

non veda la maglia,



ignori il corpo,

risparmi la vita,

acciò evoco la magia. -



Finita la cantilena il suo corpo iniziò a svanire con vestiti strumento e tutto. Meggar non poteva rendersi conto se il sortilegio era riuscito, non poteva staccare le mani dal kantele che doveva continuare ad emanare i suoni che lo avrebbero confuso con gli elementi del bosco.



Con un rumore sordo la prua della barca toccò la riva pietrosa dell’isola. Il suo giovane occupante saltò a terra e corse a rotta di collo verso il profilo di alberi che vedeva sbucare da un avvallamento alla sua sinistra.

Trovò il vecchio sacerdote avvolto nel mantello color terra che ne distingueva il rango seduto a gambe incrociate sul manto erboso della radura delle iniziazioni. Aveva il capo volto in alto e gli occhi persi nel vuoto; il suo amico non si vedeva, evidentemente era già partito per la sua missione, che lui ignorava, ed era assolutamente inutile chiedere all’anziano precettore informazioni perso com’era nella sua vista trascendente per seguire le azioni dell’allievo.

- Forse dovrei davvero far fustigare il vecchio Gunthar - si disse mordendosi il labbro inferiore per la rabbia, ma decise che sarebbe stato meglio aspettare l’esito della prova per punire chicchessia.



Sterpi spezzati, fruscio fra i rovi, grugniti: il grande Bersek si stava facendo avanti, Meggar, così intrinsecamente celato nel ventre della madre lo poteva sentire chiaramente.

Cambiò la direzione della sua marcia seguendo i rumori ed eccolo li: grande come il portale del tempio di Shaal a Tyrnind , il manto nero come le vesti della notte l’orso del nord, il Bersek, incarnazione di ogni virtù guerriera stava frugando sotto un grosso masso ( più o meno grosso come lo stesso apprendista ) in cerca di cibo.

- Come si sarà accorto Unnda che le rune erano quelle e giuste e che le ho incise nel modo corretto con un solo sguardo dei suoi occhi anziani ? - Quel dubbio per poco non gli fece perdere la concentrazione necessaria per continuare a suonare il suo magico strumento, fortunatamente il suo addestramento gli evitò la catastrofe e riprese a ragionare su come posizionarsi al momento di dover usare la bacchetta da lui costruita, cosa che lo avrebbe reso visibile a tutti gli acuti sensi dell’orso. Si guardò intorno e stimò l’alto di un ramo come il posto più sicuro per lanciare la magia.

Eseguì una semplice levitazione e si posizionò tra le fronde di un grande acero, pronto ad eseguire il sortilegio più potente della sua vita.

Impercettibile il capo dell’ermeta si alzò ancora, tendendo i propri lineamenti. Ilkmar balzò in piedi, sicuro che qualcosa stava per accadere ed in cuor suo desiderò possedere la vista speciale del sacerdote per vedere cosa l’amico stava facendo.



Le corde smisero di vibrare e la figura dell’apprendista ricomparve appollaiata sopra il ramo prescelto. Con calma egli prese la bacchetta, la fissò per un attimo e poi, puntandola contro l’orso pronunziò queste parole:



- naso acuto,

cuore vivo,

zanne voraci,



primo figlio della Madre,

signore della battaglia,

svuota la mente.



Ascolta silente

queste parole.



Brezza marina,

cristallino potere,

apri la mente,



dorme il cucciolo,

S’assopisce l’adulto,



entra l’incantesimo,

signore ed amico,

guida Bersek



la sua vista,

il suo udito,

il suo tatto,



il suo appetito,

l’olfatto

nonché la mente.



Affinché io possa parlare,

suggerire,

comandare,



al signore dei boschi

il mio volere

imporre. -



Subito Meggar sentì un flusso d’energia, un fluire di coscienza scorrere dalla sua mente verso quella dell’orso. Era una sensazione spiacevole, come di perdita di sangue, ma non c’era tempo per i dubbi.

Poi il contatto, quasi una collisione, un impatto; sentì qualcosa cedere sotto la pressione di quella parte del suo io cosciente che gli era fluita via, attraverso il legno intagliato, ora caldo.

Incominciò a sentire le correnti olfattive nelle quali l’animale viveva immerso; poteva vedere il mondo come lo vedeva lui, era una sensazione potente eccitante.

Ma quando stava per perdere il controllo di se stesso la parte di coscienza rimastagli gli impose di riprendersi con un puro moto d’orrore: se avesse continuato ad indugiare troppo fra le sensazioni sensoriali del bersek avrebbe potuto perdere la coscienza di sé diventando egli stesso una estensione del volere ursino.

Si riconcentrò e schermò la propria mente contro gli impulsi istintivi che non poteva controllare che lo avrebbero portato alla morte, parziale o totale, della sua mente; scese dal ramo ( non senza difficoltà ) e si pose davanti all’animale che lo guardò senza accennare alcuna reazione.

- Vieni con me amico mio. - Senti la propria voce due volte e quasi impazzì, ma tenne duro.

- Seguimi. - Dovette soffocare brutalmente un fiotto di paura, seguita da uno di rabbia ma mantenne saldo il controllo sull’altra mente. Voltatosi verso casa vi si diresse facendosi precedere dall’orso, come Unnda gli aveva insegnato. Senza scomporsi troppo si concesse un lieve sorriso, ce l’aveva fatta !



Lo stesso sorriso saettò veloce nel volto del Venerabile ed il figlio più giovane di Ingmar si sentì quasi esplodere nella pelle per l’impazienza; d’altronde egli non conosceva che tipo di legame legava i due e, per quello che ne sapeva lui, Meggar poteva benissimo trovarsi agonizzante nel cuore della foresta con un centinaio di Troll che discutevano su come cucinarlo meglio.

Sapeva anche che finché il suo amico non si fosse presentato con il suo solito sorriso canzonatorio o finché Unnda non fosse uscito dallo stato di trans egli non poteva rompere il rituale silenzio della sacra radura.

Si sedette con un profondo respiro e si mise ad interpretare le forme delle nuvole che gli correvano sopra la testa.

- Non ti preoccupare, giovane principe, il tuo amico è vivo.- Ora il vecchio lo stava fissando del tutto sveglio e con uno sguardo penetrante negli occhi. Ilkmar balzò in piedi - Allora ha superato la prova ! E’ un mago finalmente. -

- Non ancora futuro signore dell’Ovest - Gli rispose quello - non ancora, ma il peggio è passato. -

Il ragazzo si risiedette con aria afflitta, odiava aspettare ed il titolo con il quale il maestro scaldo lo aveva apostrofato gli suonava estraneo quanto irridente: quello era il titolo che usualmente si usava dare a suo fratello maggiore Adaan, primo in linea di successione al trono del Pannvar.



III

EPILOGHETTO



Quella sera alla fortezza di re Ingmar si tenne un gran festino per il completamento delle due navi e per l’avvenuta investitura di Meggar.

Birra e vino scorsero a fiumi ed i servitori ebbero un bel daffare a trasportare tutti i quarti di bue arrosto, i cinghialetti e le altre portate per gli astanti. Era presente l’intera famiglia reggente con parenti ed amici.

Tra pacche sulla schiena e rutti fragorosi Ilkmar sopportò una volta ancora gli scherni dei fratelli completamente ubriachi.

- Questa è l’ultima volta amico mio che mi prenderanno per i fondelli - disse ringhiando il giovane guerriero all’amico il cui volto era l’immagine stessa della sornioneria. - Domani si parte, alla conquista del mondo fratello mio ! -

Il nuovo scaldo alzò il boccale e con voce impastata ma sicura intonò un: - Alla conquista del mondo ! - alla quale risposero tutti i presenti far le risate generali.

L’ occhio azzurro di Harda sembrava sorvegliare, tra le pareti rocciose del castello, i festeggiamenti ed i promettenti brindisi che si stavano tenendo nel cortile principale, nonché l’indispettito Ilkmar che, alzatosi in piedi ( barcollante ), si portò davanti al fuoco centrale pronunziando il seguente giuramento:



- Mai avrò dubbi,

mai mi volgerò indietro,

nemmeno alla fine del mondo,

nemmeno in mezzo al fuoco di mille draghi.



Navigherò verso Ovest,

conquisterò terre,

donne e ricchezze.

Il mio regno sarà lontano



e non dovrò rendere conto a nessuno,

sarà grande e potente,

temuto da prepotenti ed ignavi,

amato dai giusti ed i valorosi.



Verrà il giorno di Ilkmar,

re del più potente regno dell’Ovest.

Verrà il giorno in cui i fratelli mi cercheranno,

in cerca d’aiuto.



Verranno in cerca del piccolo e debole

tra i figli di loro padre,

ma troveranno alte guglie d’oro

ed eserciti infiniti ad accogliere



i loro piagnistei,

s’inginocchieranno al mio cospetto

ed io verrò in loro aiuto,

sterminerò i loro nemici.



Ma a quel punto io,

Ilkmar figlio di Ingmar

sarò riconosciuto come loro unico,

ed indiscusso signore.







Lo giuro,

sotto l’occhio del Dio Drago,

per la salvezza del mio sangue

e l’onore del mio nome. -



Finito il proclama un’esplosione di urla di gioia, invettive e bestemmie( giacché non a tutte le orecchie era andata a genio la parte “ di diventare re e signore “ anche sui suoi fratelli), lo circondarono come un subitaneo fuoco alimentato da un vento furioso.

Ed in mezzo alla bolgia, sotto l’azzurro occhio del Drago Siderale il canuto Unnda lo avvicinò non visto, tranne che dal suo allievo ed amico del principe il nuovo scaldo Meggar il verde, e così lo apostrofò:

- Fai grandi promesse giovane signore, ed io vedo che c’è più tenacia, convinzione e rabbia che fumo di vino e birra. Perciò ti rivelerò questo, che non è poi molto, tutto quel che hai promesso lo puoi ottenere, ma più la meta è alta tanto più difficile sarà il raggiungerla. -

Sotto i denti del lupo gli occhi del ragazzo guerriero fissavano il sacerdote-ermeta ardenti, il mondo attorno a lui perse d’un colpo colore, consistenza ed importanza. Il vecchio continuò

- Con i denti del lupo Ulfh tu combatterai, con la forza di Bersek ti misurerai... - Ilkmar s’irrigidì: quello era un rito magico. Cosa significava ?

- ... Mantieni gli anelli delle tue catene e bagna i tuoi deboli occhi alla fonte ombrosa. Ogni successo lo pagherai, ogni vittoria sanguinerai, ma se tu vuoi il fato sarà con te.

Che tutto ciò possa marchiarsi a fuoco nella tua mente, che tu possa ricordare sempre queste parole. Io, Unnda Malkeismyr, detto Il Venerabile ti assicuro questo, per La Madre ed Il Consorte, davanti al fuoco sacro del tuo sangue e di noi tutti. Kahbrezz !! -



Dopo di ciò egli svenne e non ricordò mai quel che accadde fino al mattino successivo; ma Meggar, più avanti negli anni, in altro luogo, in altro tempo, gli raccontò che egli cadde e che il suo corpo pallido venne solcato da una grande ombra alata, ombra della quale nessuno aveva visto il corpo, ma che aveva infallibilmente due grandi ali, come di pipistrello, ma artigliate, ed un corpo massiccio e dotato di una lunga coda.

Il ché, col senno di poi, avrebbe spiegato molte cose.








Titolo: Una cronaca da Iskrell
Categoria: Racconti FantasyItalia
Autore: Muspeling
Aggiunto: April 21st 2007
Viste: 746 Times
Voto:Top of All
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