Category: Racconti FantasyItalia
Review Title: Iveonte - 3



3-LO STATO MAGGIORE DELLE DIVINITÀ BENEFICHE

Al tempo della Teomachia, lo Stato Maggiore delle divinità positive o benefiche si presentava costituito in primo luogo dalle due eccelse divinità, il dio Kron e il dio Locus, entrambi forniti d’iperpoteri primari. Essi ne rappresentavano i capi supremi, per cui nessun dio e nessuna dea poteva competere con l'uno o con l'altro. I loro poteri straordinari erano tali da riuscire ad abbracciare l'intero Kosmos, potendo entrambi intervenire attivamente in ogni sua parte senza muoversi da Luxan. Anche se Splendor aveva assegnato al dio Kron il dominio del tempo e al dio Locus quello dello spazio, il loro intervento in Kosmos in nessun caso avveniva disgiuntamente. Difatti, quando essi v'intervenivano, fra le loro entità avveniva una sorta di simbiosi, detta “immedesimazione transluxaniana”, la quale poteva attivarsi solamente al di là di Luxan. In quella circostanza, le due divinità gemelle vedevano con gli stessi occhi, pensavano con la stessa mente ed operavano con il medesimo intento. Inoltre, la loro essenza bivalente veniva a disporre di una potenza energetica imparagonabile.

Faceva parte dello stesso Stato Maggiore pure Lux, la dea della luce. Ella era l'unica divinità benefica a possedere gli iperpoteri secondari che le consentivano d'influire su un'intera galassia, gestendola con i suoi poteri molto rilevanti. Infine il divino corpo, a cui ci stiamo riferendo, annoverava ancora quattro divinità maggiori che erano le seguenti: Neop, il dio dell'ingegno; Kavor, il dio dell'astuzia; Ponkar, il dio della tenacia; Vaulk, il dio del coraggio. In verità, solo questi quattro dèi dello Stato Maggiore si sarebbero trasferiti in Kosmos per dare il loro appoggio a tutte le altre divinità benefiche, sia maggiori che minori. Essi, che sono stati elencati in ordine di nascita, costituivano l'intera prole della dea Lux, nata dal suo primo matrimonio con Aptus, dio della musica. Secondo me, è doveroso apprendere qualcosa di più su tali dèi, oltre alla loro paternità e alla loro maternità. Perciò è opportuno provvedere subito.

Neop era un dio intelligente, profondo, spigliato, avveduto. Per questo non si riusciva mai a coglierlo in fallo. Inoltre, si presentava brillante nella conversazione e stupiva tutti per le sue trovate molto ingegnose. Né gli mancavano l'acume e la perspicacia che si mostravano le sue doti migliori. Egli riusciva a trovare la soluzione a tutto e sembrava che per lui non esistessero argomenti dalle problematiche irrisolvibili. La qual cosa aveva incuriosito a tal punto il dio Kron, da spingerlo un giorno ad invitarlo nella propria dimora per verificarlo. Non appena il figlio della dea Lux era stato al suo cospetto, l’eccelso dio gli aveva posto il seguente quesito:

- Mi dici, Neop, che cosa dovrei fare, se mio fratello Locus, ad un certo momento della sua eternità, decidesse di escludermi da Kosmos per diventarne l'unico dominatore assoluto?

- Nient'altro che assecondarlo! – era stata la pacata risposta del primogenito dell'amica Lux.

- E perché mai dovrei lasciarlo fare, Neop? – gli aveva domandato l'illustre dio del tempo.

- Perché i matti vanno sempre assecondati in tutto, eminente dominatore dell’essenza temporale. Non è giusto contraddirli, senza che dal loro operato ci provenga un effettivo danno!

- Osi dare irrispettosamente del matto a mio fratello Locus che è una divinità eccelsa, figlio della mia amica Lux? Da te non me lo sarei aspettato, se lo vuoi sapere! Mi hai deluso!

- Io non oserei mai, eccelso Kron, offendere il tuo eccelso gemello! Sei stato tu, anche se solo per ipotesi, a presentarmelo come tale. Secondo te, potrebbe egli essere considerato normale, se si rivolgesse a te con una tale pretesa? Certo che no! Perciò la mia risposta è conseguita dalla tua supposizione che in effetti presenterebbe l'eccelso Locus come un autentico matto. Inoltre, anche se è vero che non gli hai affibbiato un tale epiteto, a tuo avviso, se egli decidesse di farti un simile torto, pur sapendo che non gli è possibile, non sarebbe forse un mentecatto?

- Sì, è vero, hai ragione tu, Neop! Tu non hai affatto mancato di rispetto a mio fratello. Sono stato io a mostrarmi irriguardoso nei suoi confronti, quando ti ho formulato la mia insensata ipotesi che faceva apparire mio fratello come un tipo non del tutto normale e bislacco.

- Però, eccelso Kron, ora che ci penso… – aveva continuato a dire poi il dio dell'ingegno.

- Però… cosa, sagace Neop? Dimmi tutto! – lo aveva esortato a parlare il dio del tempo.

- Supponiamo che ciò un giorno dovesse accadere, esimio Kron, e che tu venissi a chiedermi un consiglio al riguardo. In quel caso, io dovrei darti il mio parere sulla faccenda: vero?

- Sì sì, è quanto prima volevo sapere da te, Neop, senza ricevere da te alcuna risposta! Allora dimmi che cosa mi consiglieresti di fare perché sono ansioso di conoscere la tua risposta!

- Tra tutte le divinità, non sei tu il solo dominatore del tempo, magnificentissimo Kron?

- Certo che lo sono, Neop! Nessun altro potrebbe esserlo, fatta eccezione del nostro onnipotente Splendor! Ma ciò che cosa c'entra e dove vorresti arrivare con una domanda simile?

- Mi spiego subito, sublime Kron. Fino a quando l'illustre Locus non si rendesse conto del proprio errore e non se ne ravvedesse, tu dovresti fingere di assecondare la sua pretesa, senza farlo accorgere di niente. Nello stesso tempo, creeresti solo per lui una copia temporale dell'Empireo, proiettata nel futuro ed avulsa dalla realtà presente. Così, stando in esso, egli continuerebbe ad avere l'illusione di essere l'unico dominatore di Kosmos, senza esserlo per davvero.

- Niente male la tua soluzione, Neop! C'è solo da chiedersi se riuscirebbe il mio espediente nei confronti di una divinità eccelsa, qual è mio fratello Locus! Devo ammettere che la fama del tuo ingegno è ben meritata. Per cui, da questo momento, ti nomino dio dell'ingegno e nessuno mai potrà vantarsi di essere più intelligente di te, con le debite eccezioni!

Kavor non era dammeno di suo fratello maggiore, poiché, se non era alla sua altezza nell'ingegno, di sicuro era da ritenersi un vero portento in scaltrezza. Né si poteva dire di lui che fosse un cinico e uno spregiudicato, in quanto il suo comportamento si dimostrava schietto e leale con tutte le altre divinità dell'Empireo. Per questo erano in molti a volergli un gran bene. Quei pochi, che non gliene volevano, erano spinti dall'invidia ad assumere un tale atteggiamento nei suoi riguardi. Tra le divinità, che gli si erano sempre mostrate ostili senza un motivo apparentemente plausibile, c'erano stati Elmit, il dio del silenzio, e Vend, il dio del sospetto. Entrambi, al tempo della loro presenza in Luxan, erano stati ritenuti da tutte le divinità come le peggiori malelingue dell'Empireo. Ebbene, ogni giorno, essi non avevano fatto altro che sparlare di lui in continuazione, palesando un chiaro rancore nei suoi confronti. Alla fine, non potendone più, il dio Kavor aveva deciso di sbarazzarsi di loro, ponendo così termine alle loro insinuazioni e calunnie. Perciò si era adoperato per farli sparire per sempre dall'Empireo.

Cominciamo col dire che il dio Vend, a quel tempo, aveva una sorella che era Drise, la dea della felicità. Su di lei egli nutriva un sacco di sospetti e, anche se non aveva mai avuto prova alcuna al riguardo, veniva tormentato di continuo dal solito assillo. Era convinto che ella aveva avuto almeno un rapporto intimo con ciascun dio dell'Empireo, fatta eccezione dell'amico Elmit. Secondo lui, lo confermava il fatto che la sorella era sempre gaia e spensierata. Il quale stato d'animo le poteva derivare soltanto dall'assaporare quotidianamente i piaceri del sesso. Perciò egli avrebbe donato chissà che cosa a chi gli avesse fatto sorprendere la frivola congiunta in uno dei suoi abboccamenti amorosi con qualche dio! Neppure l'inseparabile amico Elmit non era mai riuscito a fornirgli quel genere di aiuto. Sì, neppure lui gli aveva dato la soddisfazione di provare quanto sospettava da una vita! Per chi non lo sapesse, in cima alla sua lista degli amanti sospetti della sorella, c'era il dio Kavor. Il motivo è presto detto. In sua presenza, un giorno la dea Drise, riferendosi al dio dell'astuzia, si era espressa così: "Che dio affascinante, quel Kavor! Ne sono attratto così tanto che per lui sarei disposta a fare follie!"

Consapevole di quel grave sospetto del dio Vend sulla sorella, il dio Kavor aveva voluto fare di esso la sua arma per far cadere i suoi due sparlatori in una sua trappola mortale. Perché la sua insidia funzionasse a puntino, il secondogenito della dea Lux aveva dovuto richiedere anche la collaborazione di Gros, il dio dell'onore, e di Orep, il dio della poesia. Però egli non aveva voluto palesare a nessuno dei due quanto aveva in animo di attuare contro i suoi denigratori. Il dio dell'astuzia si era solo limitato a dire ad entrambi che si trattava di uno scherzo. Così, quando era giunto il giorno della resa dei conti per le due divinità sue avversarie, il dio Kavor aveva affidato al dio Orep l'incarico d'invitare la dea Drise ad una passeggiata galante nell'Intersereno. In pari tempo, aveva mandato il dio Gros dal dio Elmit per fargli la confidenza che egli gli aveva suggerito. Al dio del silenzio Gros aveva confidato che tra Kavor e Drise c'era una tresca. In più, gli aveva rivelato che in quel giorno, dopo mezzodì, il dio dell'astuzia doveva abboccarsi con lei in un posto che solo loro due conoscevano. La dea vi si sarebbe avviata per prima per non dare nell'occhio. Invece il dio, siccome fino a mezzogiorno aveva degli impegni, l'avrebbe raggiunta soltanto nel pomeriggio. Com'era ovvio, appena avute quelle informazioni preziose, il dio Elmit era volato dall'amico, riportandogli fedelmente tutto quanto aveva appreso dal dio dell'onore. Il dio del sospetto, da parte sua, aveva appreso con grande sollievo quelle insperate notizie dall'amico. Egli aveva provato una gioia così immensa da esclamargli:

- Finalmente, Elmit, oggi i miei sospetti cesseranno di esserci nei riguardi di mia sorella! E la cosa più bella per me sarà quella di sorprenderla in un tête-à-tête con l'essere che mi risulta il più antipatico nell’Empireo! Non sei contento per me, amico mio? Ma sì che lo sei!

- È proprio necessario, Vend, – aveva provato a farlo ragionare Elmit – che tu li sorprenda insieme? Al posto tuo, mi accontenterei solo della soddisfazione di aver scoperto che per anni i miei sospetti non sono stati infondati! Le affermazioni del dio dell'onore dovrebbero risultarti più che bastevoli per rassicurarti che non ti sbagliavi sul conto di Drise. Invece a me, diversamente da te, esse hanno arrecato soltanto male perché in qualche modo amavo tua sorella nel mio intimo. Ma perché tu, anziché mostrarti amareggiato nell'apprendere quanto ti ho riferito, preferisci mostrarti soddisfatto di esserti convinto che i tuoi sospetti erano fondati?

- Se sono fatto così, Elmit, non ci posso fare niente. Tu non immagini nemmeno quanto adesso sto aspettando il momento di cogliere insieme mia sorella e Kavor in uno dei loro amplessi focosi! Vedrai come riuscirò a spegnere in loro due ogni bramosia ed ogni passione con il mio intervento, inducendoli a sentirsi due esseri meschini! Ecco ciò che conta di più per me!

- Se non riesci a pensarla come me, Vend, non so che dirti. Fai pure come vuoi! Ma, da amico quale ti sono sempre stato, fai pure affidamento su di me, in questa tua storia privata!

Dopo quel loro colloquio, le due divinità amiche avevano stabilito di tenere sotto controllo Drise per poi pedinarla fino al luogo dove avrebbe incontrato il dio Kavor. Ma, non avendola trovata in nessun posto, avevano pensato di spiare il solo dio dell'astuzia per tallonarlo fino al luogo del convegno amoroso senza farsene accorgere. Naturalmente, il dio Kavor si era fatto trovare senza difficoltà dai due amici, siccome li stava aspettando fuori della propria abitazione, fingendo di non avvedersi di loro. Egli aveva seguitato a mostrare tale atteggiamento, pure quando si era allontanato da casa sua e si era dato ad una corsa precipitosa. Però il secondogenito di Lux aveva vigilato perché la sua velocità non gli facesse disperdere i suoi inseguitori. I quali continuavano a restare completamente all'oscuro che egli li stava usando, al fine di vederli sparire per l’eternità. Il dio dell'astuzia, quindi, tenendosi sempre alle calcagna le due sprovvedute divinità, volava dritto verso l'Abisso dell'Oblio. Ma, ad un certo punto, egli era ricorso ad una specie di artificio, tramite il quale si era ritrovato alle spalle delle due divinità inseguitrici. Né esse se n'erano accorte, poiché avevano seguitato a vedere davanti a loro l'astuto dio, senza sospettare che si trattava solo del suo riflesso. Ma, oltre ad ingannare i due divini amici con l'espediente del riflesso, Kavor si era adoperato per confondere la loro mente. In questo modo, essi vivevano una realtà distorta delle loro azioni ed operavano in uno spazio travisato. Quest’ultimo, in effetti, era irreale, ossia non era quello che i suoi divini inseguitori credevano che fosse. Quando poi il dio dell'astuzia era stato certo che entrambi erano in sua balia e che vedevano unicamente quello che egli voleva che vedessero, aveva spinto il suo riflesso ad imboccare l'Abisso dell'Oblio. Nello stesso tempo, lo aveva fatto apparire a Vend e ad Elmit come una comune voragine, per cui essi non avevano esitato ad introdursi in essa, anche se il loro comportamento era apparso un fatto strano. Proprio quando il dio del sospetto avrebbe dovuto sospettare, al contrario, egli aveva evitato di farlo! In realtà, era avvenuto quanto si riporta qui appresso. Mentre il riflesso del dio Kavor era scomparso un attimo prima d'introdursi nella voragine che conduceva ad Inesist, le due divinità giocate vi si erano lanciate senza alcuna esitazione, rimanendone intrappolate per l'eternità. In questo modo, grazie al suo ingegnoso espediente, il dio dell'astuzia era riuscito nel suo intento.

Nei giorni successivi, la dea Drise invano aveva cercato dappertutto suo fratello Vend e l'amico Elmit, poiché non era riuscita a trovarli in nessun posto. Anche le altre divinità dell'Empireo si erano stupite della loro improvvisa scomparsa, sebbene per molti essa non costituisse una gran perdita. Alla fine la dea della felicità aveva voluto rivolgersi all'eccelso Kron, visto che egli era il solo che avrebbe potuto rintracciarli. Il dio del tempo allora aveva voluto accontentarla ed aveva iniziato la loro ricerca. Così era venuto a conoscenza del tranello che il dio Kavor aveva teso loro. A suo avviso, il dio dell'astuzia era stato obbligato a tenderglielo a buon diritto, per cui non aveva esitato a giustificarlo. Però il dio Kron aveva solo riferito alla dea che il fratello e il suo amico avevano voluto gettarsi volontariamente nell'Abisso dell'Oblio, senza spiegarle l’intera vicenda. Soprattutto le aveva tenuto nascosto il marchingegno che il secondogenito della dea Lux aveva operato a loro danno, condannandoli all’inesistenza.

Quanto a Ponkar, il dio della tenacia, per certi versi, anch’egli era da considerarsi una divinità interessante. Intanto cominciamo con l’affermare che egli aveva un carattere adamantino e tenace, una personalità forte, un portamento fiero e serioso, una condotta rigorosa. Inoltre, era schivo di onori e rifuggiva lo spirito di protagonismo, anche se emulava volentieri quelli che si mostravano più in gamba di lui. Insomma, era il tipo che non accettava compromessi e neppure era incline a desistere di fronte alle difficoltà, portando sempre a termine ogni impresa intrapresa. Naturalmente, molte di tali sue doti, per la loro manifesta intransigenza, stavano sul gozzo ad alcune divinità. Le quali, perciò, finivano per nutrire una profonda antipatia verso il terzogenito della dea Lux. Tra le divinità che non lo vedevano con particolare simpatia, il più morboso di tutti si mostrava Erud, il dio della semplicità. Egli gli rimproverava appunto quella sua serietà ad oltranza che non dava nemmeno il più piccolo spazio a qualche tipo di facezia o frizzo, al fine di rendere la sua conversazione con gli altri più lepida e briosa. Invece, sempre e in ogni luogo, lo si scorgeva far mostra del suo atteggiamento castigato e sussiegoso; mentre era molto difficile vederlo disponibile al lazzo e allo scherzo giocoso. Tutte le altre divinità, compreso Erud, gli riconoscevano la ferma determinazione e la grande perseveranza nel perseguire i suoi obiettivi. Inoltre, ne ammiravano la capacità di far valere le sue idee e di portare avanti i propri propositi. Come era noto a tutti, fin da quando era ancora un divetto, non erano mancati al dio Ponkar il contegno e il sussiego. Anche se egli li aveva voluti assumere come abito esteriore, più di ogni altra cosa, la costanza si era rivelata la sua dote caratteristica. A tale riguardo, si raccontava di lui un episodio abbastanza divertente che ora apprenderemo volentieri pure noi, certi che non ci dispiacerà affatto ascoltarlo.

Un giorno Ponkar era tutto preso a litigare con il fratello maggiore Kavor e in nessun modo voleva cedergli la ragione. L’argomento di discordia stava riguardando il rispetto verso i fratelli più grandi. Il dio dell'astuzia asseriva che i fratelli minori erano tenuti, sempre e in ogni caso, a rispettare i fratelli maggiori. Invece egli era di tutt’altro avviso perché riteneva che il rispetto stava dalla parte solo del giusto e non anche dell’anziano. Per cui, se un fratello maggiore accampava delle pretese assurdamente ingiuste, il fratello minore poteva benissimo non sottostare alle sue assurdità; doveva rifiutarsi, senza pensarci due volte. Nel loro caso specifico, l’elemento di contrasto era la pretesa del dio Kavor di poter disporre dei fratellini, ogniqualvolta lo decidesse; mentre essi non potevano sottrarsi a tale obbligo. Ponkar, da parte sua, sosteneva la tesi che per lui non era un dovere ubbidire a tutto ciò che il fratello maggiore gli comandava. Semmai quel suo prestarsi alla volontà del fratello, quando egli era in vena di accontentarlo, andava considerato una mera forma di cortesia. Siccome durava da moltissimo tempo quella vivace e dibattuta discussione che vedeva un agguerrito Ponkar contrapporsi tenacemente al fratello Kavor, era intervenuta la madre Lux a farlo smettere. Ella, vedendo che il divetto non era disposto a cedere neppure di un millimetro nella difesa della sua tesi contro il fratello maggiore, aveva cercato di farlo ragionare con il suo autorevole intervento.

- Ora basta, Ponkar! Non ne posso più di questa tua testardaggine! Lo sai che è opinione comune che i fratelli minori debbano rispettare quelli di maggiore età. E anche tu dovrai adeguarti ad essa, pur essendo di parere contrario! Mi sono spiegata una buona volta per sempre?

- No, madre, – l’aveva contraddetta il figlio ripreso – io non sono d’accordo con questa opinione e non mi adeguerò mai ad essa! Nessuno può imporre ad un altro ciò che non ritiene giusto. Se un mio fratello, sia egli più grande o più piccolo, vuole dei favori da me, egli se li deve prima meritare perché non sono disposto a concederglieli come atto dovuto!

- Non m’interessa ciò che pensi tu, Ponkar. – aveva teso a zittirlo la madre – Adesso l’ordine ti proviene da me e perciò sei tenuto ad ubbidire ad esso senza protestare! Mi hai intesa?

- No, madre mia! Neanche a te sono disposto a cedere, se ritengo ingiusti i tuoi comandi. E siccome sono convinto che la mia idea è quella giusta, io mi batterò per essa a oltranza!

- Ma, con i miei iperpoteri secondari, potrei costringerti a fare tutto ciò che voglio io, Ponkar! Oppure potrei bloccarti l’esistenza per un tempo molto lungo, cioè fino al tuo ravvedimento. In questo modo, vorrei sapere da te come faresti a continuare a difendere la tua idea!

- Madre, è vero che potresti provocare guai del genere alla mia esistenza; ma lo stesso tu non mi piegheresti alla tua volontà. Io non voglio sentirmi un'entità esistente ed attiva, se poi devo risultare perdente e senza poter decidere liberamente. Preferisco allora vedermi come un’entità impossibilitata ad esistere e ad agire, ma vincente e non sottomessa alla volontà altrui!

Alla fine la dea Lux si era convinta che, con quel figlio, non c’era niente da fare perché era fatto a modo suo e bisognava lasciarlo stare. Ma dopo, riflettendoci meglio, aveva concluso che egli non aveva tutti i torti a comportarsi in quel modo. E poi era giusto ritenere il suo terzogenito dalla parte del torto, solo perché era disposto a difendere a spada tratta le proprie convinzioni? Da quel giorno, ella aveva cominciato a considerarlo il dio della tenacia.

Passando al quartogenito della dea Lux, egli si distingueva per il suo coraggio. Il dio Vaulk eccelleva allo stesso tempo anche in temerarietà. Per questo motivo, dava filo da torcere a tutti i suoi avversari. Ma, oltre ad essere coraggioso e temerario, egli si dimostrava un combattente intrepido e un avventuriero audace. Erano tantissimi gli episodi, nei quali Vaulk aveva dato prova di un coraggio straordinario. Tutti, però, preferivano ricordare quello che ora ci affrettiamo ad apprendere pure noi.

Quando era ancora un giovane dio, Vaulk aveva la sua numerosa cerchia di amici, con i quali spesso s’intratteneva a conversare o a discutere su vari argomenti. Un giorno, però, la discussione aveva finito per vertere sul coraggio. Così ogni divo aveva voluto dire la sua su tale ammirevole dote e lo stesso aveva fatto l’ultimogenito della dea Lux. Ma egli, a differenza degli altri divi, forse per distinguersi da loro, aveva voluto esagerare, dandosi ad esaltarlo fino all’apoteosi. La qual cosa aveva spinto l’amico Rout a domandargli:

- Per te, impavido Vaulk, esiste qualche prova che ti farebbe venir meno l’ardimento e perciò rinunceresti ad affrontarla? Io penso che qualcuna ce ne sarà senz’altro anche per te!

- Ti assicuro, amico mio Rout, che una prova di questo tipo deve essere ancora inventata!

- Allora vuol dire che pregherò mio padre Lurk, che è il dio dell’invenzione, d’inventarla per te, Vaulk! Così dopo non potrai più vantarti spudoratamente, come stai facendo adesso!

Subito dopo era intervenuto nella conversazione anche Selt, il figlio di Penz, che era il dio della verità. Egli, con una certa malizia e provocatoriamente, si era rivolto a tutti, dicendo:

- Voi gli credete? Io dico che già c’è una prova del genere che lui non affronterebbe mai!

- È così che la pensi, Selt? – lo aveva ripreso Vaulk – Allora dimmi qual è questa prova ed io ti dimostrerò che l’affronterò senza esitazione alcuna! Dovesse anche costarmi l’esistenza!

Incuriositi dalle parole del loro compagno, gli altri divi gli si erano rivolti gridando:

- Su, dicci immediatamente qual è questa prova, Selt! Siamo ansiosi di conoscerla pure noi!

- Sono convinto – aveva affermato il figlio del dio Penz – che il nostro amico Vaulk non avrebbe mai il coraggio di buttarsi nell’Abisso dell’Oblio! Perciò esiste la prova che egli non avrebbe il coraggio di affrontare! Credevate che scherzassi, amici? Invece non era affatto così!

A quella affermazione, tutti erano ammutoliti all'istante e si erano sentiti raggelare nell’intimo. Dei presenti, però, solo Rout si era sentito offeso, dal momento che quella prova era da ritenersi del tutto assurda e degna di nessuna considerazione. Chi l’aveva proposta, tra l’altro, celava in sé molta cattiveria per il semplice fatto che egli appositamente invitava un amico a suicidarsi. Ma poi egli aveva temuto che l’asserzione di Selt potesse facilmente far leva sull’orgoglio e sulla fierezza del compagno d’infanzia, spingendolo magari a commettere l’insano gesto. Perciò si era precipitato a reagire allo scellerato che gli aveva suggerito una prova così bestiale e completamente da incosciente. Quindi, temendo seriamente che la sua natura orgogliosa potesse spingere l’amico a non ragionare con discernimento, Rout aveva voluto evitare che essa venisse presa sul serio da lui. Per questo si era rivolto al proponente, dicendogli:

- Selt, avrai di sicuro perso i lumi della ragione, se hai voluto tirare fuori questa tua folle trovata! Come gli altri nostri amici possono rendersi conto, tu stai proponendo al mio amico una prova di dissennatezza e non di coraggio! Oppure Vaulk ti sta sullo stomaco e saresti quindi particolarmente felice, se egli ponesse fine alla propria esistenza luxaniana? Su, dillo!

Ma, prima che il figlio del dio Penz potesse contrattaccare il divo Rout e giustificarsi per la propria prova proposta, il divo Vaulk , all’improvviso, si era messo a gridare a tutti gli altri:

- Neppure Inesist può incutermi timore! Ora, io ve lo dimostrerò senza ombra di dubbio!

Esprimendosi così, il quartogenito della dea Lux si era messo a volare in direzione dell’Abisso dell’Oblio, con gli amici che gli andavano dietro. Ma non si sapeva con quali intenzioni, ossia se per sconsigliarlo o per verificare, visto che era il solo divo Rout ad urlargli alle spalle:

- Non farlo, Vaulk, amico mio! La tua non è altro che una pura pazzia! Nessuno mai potrà dirti che non hai fegato, solamente perché hai rinunciato a gettarti nell’Abisso dell’Oblio! Per rinfacciartelo, egli dovrebbe prima dimostrarti che lui ha avuto il coraggio di farlo! Il che gli sarebbe impossibile perché, se lo avesse fatto, non potrebbe più trovarsi in Luxan ad accusarti!

Dunque, le cose si mettevano male per l’ultimogenito della dea Lux, quando il dio Kron si era accorto in parte di ciò che stava avvenendo tra quei divi scalmanati. Avendo poi voluto saperne di più, egli aveva rincorso a ritroso lo svolgimento dei fatti. Così era venuto a conoscenza del folle gesto che stava per compiere lo sconsiderato figlio dell’amica Lux. Allora non aveva esitato a salvarlo, riuscendo a fermarlo per un pelo, mentre egli era in dirittura di arrivo. Ad un tratto, Vaulk prima si era sentito arrestare di colpo da una forza imponente e poi si era visto scaraventare dalla medesima in un posto distante dalla voragine di Inesist. Lo strattone era stato tale che lo aveva perfino stordito in parte. Infine tutti avevano scorto l’eccelso Kron, mentre rimbrottava con voce grave l’incauto figlio dell’amica con le seguenti parole:

- Che cosa credevi di dimostrare, Vaulk, con il tuo biasimevole gesto? Sappi che si suicidano solamente le divinità deboli e codarde, ma mai quelle forti e coraggiose! Perciò il tuo proposito non era una prova di coraggio, bensì una dimostrazione di viltà e di stolidezza. Buttandoti nell’Abisso dell’Oblio, tu non avresti compiuto alcuna azione ardita. Al contrario, avresti solo arrecato dolore e sconforto ai tuoi familiari e ai tuoi veri amici, come Rout. Unicamente ai falsi amici, come Selt, avresti invece apportato un grandissimo piacere! Ma come puoi tacciare di codardia tutti coloro che non si gettano nell’Abisso dell’Oblio? Per te, anch’io allora sarei un imbelle, solo perché non oso fare il perverso salto nell’oblio di me stesso? Non sono mica un disperato che cerca di disfarsi della propria disperazione, ricorrendo ad Inesist! Perciò devi rendertene conto, Vaulk, che essere coraggioso non significa buttar via la propria esistenza senza alcun motivo valido; ma solo per dimostrare agli altri di non aver paura di niente!

Le parole del dio Kron avevano avuto il loro effetto benefico sul divo, il quale si era così capacitato del grave errore che stava per commettere. Egli aveva compreso che il suo gesto era da considerarsi solo scapato perché non aveva nulla di coraggioso e di temerario. Per questo si era ripromesso che in seguito non sarebbe mai più caduto in un errore così grossolano che di certo non faceva onore ad un dio del suo calibro. Inoltre, sarebbe stato attento a non accettare più sfide da parte di chi l’odiava a tal punto da non volerlo esistente nella realtà di Luxan.

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