Category: Racconti FantasyItalia
Review Title: La fortezza di ferro - I


Salve. Di sicuro molti di voi non sanno nemmeno chi sono, e forse è meglio così visto che quando leggerete queste righe io potrei già essere morto di vecchiaia... se sono fortunato…. Il mio nome è Nether, e non voglio tediarvi con la storia delle mie origini. Vi basti sapere che sono… ero un avventuriero e ho viaggiato per tutto il mondo insieme ad alcuni miei amici che vi presenterò in seguito. Ho affrontato mostri di tutti i tipi, dai miseri goblin ai draghi, e sono sopravvissuto a tutto questo fino ad oggi. Ci sono molte storie che vorrei raccontarvi, ma non ho molto tempo e in tutti i casi la maggior parte di esse sono irrilevanti rispetto all’ultima avventura che ho vissuto… Aprii gli occhi. La piccola stanza era buia anche se alcuni raggi solari penetravano dalla finestra. Mi alzai dal letto di paglia; ho affrontato di tutto nel corso della mia vita, ma riuscire ad alzarmi dal letto dopo una lunga dormita è sempre state una delle più ardue sfide che io abbia mai affrontato. Mi stiracchiai e le ossa scricchiolarono in una maniera sinistra e ben poco rassicurane. “ Uno di questi giorni cado a pezzi.” Pensai. Mi avviai verso la finestra e spalancai le imposte. La luce solare mi abbagliò gli occhi per qualche secondo e alle mie orecchie giunsero il rumore dei carri e della gente che passava per le strade. In quella mattina di primavera la piccola cittadina di Hommlet era più bella che mai. Dopo che il nostro gruppo aveva partecipato alla battaglia che si era svolta cinque anni prima nei pressi del Tempio Del Male Elementale, ci eravamo separati e da allora ricevevo solo qualche lettera sporadica. Io avevo deciso di restare nel piccolo paese di Hommlet che si era ritrovato nell’occhio del ciclone per la terza volta a causa dei poteri legati a quel luogo malvagio. Mi arruolai nella milizia cittadina e trovai un alloggio permanente nella locanda La Serva Accogliente di proprietà dell’ormai defunto Ostler Gundigoot, insieme alla figlia Venta e alla sua cara moglie. Indossai la mia armatura a piastre e i lunghi stivali neri, legai il fodero con dentro il mio spadone alla vita ed uscii. Armi ed armatura erano rilucenti allora come adesso, anche grazie agli incantesimi con cui erano stati forgiati ed ai riti di benedizione che eseguivo io stesso. L’armatura l’avevo comprata da un fabbro molti anni prima, non riesco a ricordare dove, mentre la spada l’avevo ereditata da un cultista con la brutta abitudine di evocare demoni. Inutile che io vi dica cosa gli è successo… Uscii dalla mia stanza, scesi al piano inferiore e salutai Venta che stava sistemando il locale per una nuova giornata di lavoro. – E’ già sveglio? - Le chiesi a bassa voce. - No, non l’ho visto uscire.- Rispose lei con un atteggiamento furtivo quasi comico. Aprii la porta…con un secondo di ritardo. - Nether! Aspetta!- Un giovane umano con i capelli biondi tagliati corti, gli occhi castani scese rapidamente dalle scale. Redithidoor Halfmoon era un bardo che Venta ospitava alla locanda a patto che intrattenesse gli ospiti, anche se il ragazzo aspirava all’avventura. Sfortunatamente per lui non era portato per nessuna delle due e a detta di molti Venta lo ospitava solo per pietà. Inoltre, da quando mi ero stabilito in paese non aveva fatto altro che chiedermi, con un insistenza quasi ossessiva, di raccontargli delle mie avventure; all’inizio lo accontentai sperando che mi lasciasse in pace, ma le mie speranze erano, come scoprii, piuttosto vane. - Mi dispiace, ma sono in ritardo per il mio turno di ronda! Non posso restare! – Dissi correndo fuori dalla porta il più velocemente possibile. Non giudicatemi crudele per questo; In genere sono una persona paziente, ma quel tipo avrebbe fatto perdere le staffe anche al più grande dei santi! In realtà il mio turno cominciava circa quattro ore dopo. Non che poi fosse molto eccitante; al massimo c’era qualche rissa durante la sera alla taverna Da Terrigian e casi più unici che rari avevamo avuto degli scontri con piccole bande di Hobgoblin. Mi diressi così al tempio di Pelor. In realtà io sono un servitore di Sealtiel, quello che alcuni chiamano Difensore di Sealtiel, ma per me andava bene lo stesso. La luce è luce indipendentemente da dove la si osservi. Mi recavo ogni giorno all’interno del tempio e ci passavo una mezzora a pregare il mio dio affinché ci proteggesse. Quel luogo era una dei miei preferiti: il marmo bianco sembrava risplendere di luce propria grazie ai raggi solari che penetravano dalle grandi finestre, infondendo un aura di forza e santità. - Fa sempre un certo effetto vero? – Chiese una voce familiare dietro di me. - Buongiorno Yether- Dissi voltandomi. Yether era il chierico che si occupava di mantenere il tempio; era un uomo sui sessantacinque anni con un viso colorito, la corta barba grigio-bianco e i folti capelli dello stesso colore. E’ uno degli uomini più saggi che io abbia mai conosciuto dotato di una vitalità che avrebbe fatto invidia a chiunque. - E’ la luce della fede padre. – - Certo. – Sorrise, ma nel suo sorriso non c’era allegria. – Spero sia davvero così. Comunque volevo dirti che stamattina è passata Ailean a cercarti. Ha detto che ha una lettera per te.- - Grazie padre. Andrò da lei dopo aver concluso le mie preghiere. – - Vacci subito. Le preghiere possono aspettare no ? – Disse sorridendo furbescamente e facendomi l’occhiolino. Quando si fu allontanato sorrisi a mia volta. “Il vecchietto è furbo oltre che saggio”. Mi diressi al tempio della dea dei boschi Elhonna per cercare Ailean. L’interno del tempio non era molto diverso fatta eccezione per la luce soffusa e per il grande albero che cresceva al centro di questo. Se il tempio di Pelor trasmetteva una grande energia, quello di Elhonna trasmetteva un profondo senso di pace e tranquillità. Rimasi per un po’ a fissare il grande albero che emanava un alone di luce verde smeraldo. Il cuore iniziò a battermi all’impazzata sotto l’armatura di cuoio e metallo. E sapevo perché - - Ciao Ailean – Dissi senza voltarmi. - Come facevi a sapere che ero io ? – Mi chiese con la sua voce allegra e gentile. - Segreto professionale.- Dissi ricambiando il suo sorriso. Ailean era una mezzelfa con i lunghi capelli castano chiaro e gli occhi marroni; quel giorno indossava una lunga veste di seta bianca che ai miei occhi la faceva apparire come un angelo. Mi sono innamorato di lei dal primo giorno in cui l’ho vista. - Yether mi ha detto che hai una lettera per me.- Dissi cercando di nascondere il mio imbarazzo. E’ una cosa che non sono mai riuscito a capire: ho scannato mostri da qui all’altro capo del mondo, ma non riuscivo a dirle che l’amavo. Che stupido. Estrasse un piccolo foglio di carta da una borsa di cuoio che portava a tracolla e me la diede.- E’ una cosa strana. Si è materializzata sull’altare stamattina.- - Materializzata?- - Non ti preoccupare, non percepisco energie malvagie intorno ad esso e in tutti i casi ho fatto alcuni controincantesimi per prudenza.- La afferrai maneggiandola con una certa attenzione; anche se Ailean aveva utilizzato i suoi poteri preferivo essere prudente. Come immaginavo su di essa non c’era scritto niente che potesse suggerirne la provenienza, ma solo il mio nome scritto in oro. - Pensi di aprirla o vuoi restare lì impalato a rimirarla per il resto della tua vita? – Mi chiese incrociando le braccia. C’era un barlume di curiosità nei suoi occhi. - La aprirò stasera quando sarò tornato alla locanda. Ci sono alcune compere che vorrei fare prima di iniziare la ronda.- Dissi infilando il sottile pezzo di carta in una scarsella che portavo legata alla cintura. Ci salutammo ed io mi avviai lungo la strada. Per tutto il giorno il cuore batté come un tamburo dentro la mia armatura. Scese la sera. Rientrai alla locanda più stanco del solito e non mi fermai nemmeno a mangiare, anche se devo ammettere che il profumo dell’arrosto mi tenne in bilico sulle scale, indeciso com’ero se restare o salire nei miei alloggi. Mi svestii quasi completamente e mi distesi sul letto convinto che mi sarei addormentato subito, ma poi mi tornò in mente la lettera. Aprii la scarsella e la tirai fuori. Rimasi per un po’ a rigirarmela tra le mani, ma alla fine la curiosità ebbe il sopravvento sulla prudenza. Aprii la busta ed estrassi un piccolo foglio di carta bianchissima…che prese fuoco. Balzai all’indietro imprecando contro di me e la mia stupidità, lasciando cadere a terra il foglio. Stavo per prendere la brocca d’acqua che avevo sul soprammobile vicino al mio letto quando mi accorsi che le fiamme non si stavano propagando sul pavimento di legno ma si limitavano ad ardere sul foglio. Così improvvisamente come erano arrivate, le fiamme svanirono. Raccolsi la lettera con una certa attenzione e notai che non c’erano bruciature. “Era un illusione” pensai cercando si soffocare la mia rabbia. Iniziai a leggere la lettera scritta con una calligrafia elegante e precisa che conoscevo bene. “Ciao Nether! Piaciuto lo scherzo? Immagino di no, neanche a me piacerebbe. Comunque volevo farti una proposta: che ne dici di partire per un’avventura come ai vecchi tempi? Ti garantisco che ci sarà da divertirsi! Non sei obbligato a venire, ma se vuoi rifiutare la mia offerta vorrei che mi inviassi un messaggio il prima possibile al mio collegio di magia. Se invece vuoi partecipare alza il culo dal letto e vieni al suddetto collegio. All’interno della busta troverai anche un medaglione che ti permetterà di avere libero accesso all’accademia. Ci vediamo! Faust.” Rimasi seduto per qualche minuto valutando la risposta che dovevo dargli. Sorrisi pensando che la risposta era una sola. - Mi dispiace ma non posso proprio tenere la stanza per te in attesa del tuo ritorno. Ora ci sono molti mercanti e viaggiatori che passano di qua e io devo cercare di far andare avanti questo posto come posso.- - Va bene Venta, non c’è problema.- Le dissi sorridendole. “ A pensarci bene non è detto che io riesca a tornare qui vivo”. Indossavo la mia armatura e portavo la spada nel fodero legato in vita. Sulle spalle indossavo un mantello rosso con un cappuccio e sopra di esso portavo uno zaino di pelle in cui avevo messo le provviste necessarie per il viaggio, una corda e qualche utensile che poteva rivelarsi utile. - Prima di partire ti conviene passare da Elmo per avvertirlo della tua partenza. In fondo sei un soldato di questa città e la tua partenza potrebbe provocare alcuni cambiamenti nei suoi programmi.- - E così hai deciso di partire.- Elmo era un uomo che si avvicinava ai qarant’anni ed era a capo della milizia cittadina. Aveva i capelli neri e lisci con gli occhi marroni ed un volto sereno ma deciso che faceva intuire la sua attitudine ai ruoli di comando. Aveva avuto a che fare con la faccenda del Tempio del Male Elementale prima dell’ultimo scontro che si svolse cinque anni prima. Lui, Ailean e suo fratello Bors avevano evitato un possibile disastro uccidendo i servitori del dio oscuro Tharizdun che avevano occupato il vicino maniero, ormai in rovina, ed uccidendo il chierico corrotto Larisel il Bello; durante questo scontro però, suo fratello rimase ucciso e questo fece diventare il ragazzo serio e taciturno, anche se con il tempo riuscì a riprendersi almeno in parte. La stanza dove mi trovavo faceva parte di una casa di legno che veniva usata come campo base dalla milizia. Alle pareti erano appese alcune mappe mentre vicino all’unica finestra della stanza era posizionata la scrivania sulla quale Elmo stava compilando alcune “scartoffie inutili”, come direbbe lui. Mentre parlava continuava a tenere la testa bassa sui fogli scrivendo velocemente con la penna d’oca. - Esatto. Se ho fatto bene i conti arriverò ad Andhoral tra due settimane o poco più.- Finalmente Elmo alzò lo sguardo sorridendo malignamente. - Solo per sapere, devo dire “arrivederci” o è più appropriato “addio” ? – Per un attimo rimasi spiazzato dalla domanda. – Preferisco “arrivederci”. Se tornerò intero dal mio viaggio ho comunque intenzione di tornare qui. – Il suo sorriso si allargò ed ebbi l’impressione che sapesse qualche dettaglio che ignoravo, poi il sospirò. – Allora non sai se tornerai? – - No. Potrebbe essere una cosa da niente o la fine del mondo da quello che so. – Il volto di Elmo assunse un’espressione perplessa. – Sarà…Comunque se ti può interessare c’è un mercante che parte oggi stesso per Andhoral. Potresti offrirgli i tuoi servigi come mercenario in cambio di un passaggio. La strada verso quella città è tutt’altro che sicura. Secondo me lo troverai alla locanda o nella zona del mercato. – - Grazie.- allungai la mano verso di lui – Arrivederci allora. – Dissi sorridendo. – Arrivederci, e vedi di tornare intero. – Arrivai sulla soglia della pota quando Elmo mi chiamò – Non c’è qualcun altro che dovresti salutare? – disse con lo stesso sorriso astuto di prima. - Allora è vero. – Disse Ailean. Mi trovavo all’interno del tempio di Elhonna sotto l’albero; la luce era più tenue del solito. - La lettera riguardava proprio questo. Un mio vecchi amico mi ha chiesto di unirmi a lui per un viaggio e non posso dirgli di No. – Il cuore mi batteva fortissimo nel petto e faticavo non poco tentando di mantenere il respiro regolare per evitare di sembrare agitato. - Tornerai ? – - Non lo so. Se devo essere sincero c’è il rischio che io muoia in questo viaggio. – Mi diedi dello stupido per averglielo detto. Sobbalzò quasi impercettibilmente. – Aspettami qui. – Mentre la aspettavo mi sedetti sulla panchina di pietra che si trovava sotto il salice: non riuscivo più a tenermi in piedi e intimamente sapevo perché. Quella poteva essere l’ultima volta che la vedevo. Ed era anche la mia ultima possibilità. Ailean entrò in quel momento e si sedette vicino a me, prese la mia mano destra ed infilò nell’indice un anello di legno con un piccolo unicorno rampante in avorio in cima. - Questo anello possiede alcune qualità magiche che proteggono chi lo porta. Io lo indossavo quando viaggiavo insieme ad Elmo e suo fratello, ma penso che a te servirà di più. – - Ti amo - Mi ci volle un po’ per capire che ero stato io a parlare. Stavo per smentire tutto, che mi ero sbagliato, che avrebbe dovuto dimenticare le mie parole, ma prima che potessi farlo lei mi baciò. Non mi vergogno a dire che faticai non poco nel tentativo di non piangere per la gioia che provavo.
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