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 Racconti delle vecchie terre Successivo
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endafuinor
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MessaggioInviato: Sab Gen 13, 2007 9:23 am Rispondi citandoTorna in cima

23 Magiures 1013 D.A.A
Celestia, Baronato del GranDucato dei Monti Freddi
Guardia Scelta Reuck

“Da stamattina non facciamo altro che sentire smottamenti al di sotto del terreno. La calma è apparente, ma sappiamo che prima o poi ci attaccheranno.
I dispacci dal GranDucato dei Monti Freddi sono già arrivati.
Gli ordini dalla capitale sono resistere il più possibile, in attesa che un distaccamento dell’Armata di Axantis venga in nostro aiuto.
Ma come è possibile resistere?
Il morale dei nostri soldati è a terra. Non riceviamo più nessuna notizia dalle città vicine, e non sappiamo per certo contro chi andremo a combattere.
Alcuni, che hanno parenti all’Ovest, dalle parti di Axantis, parlano di una strana razza di Orchi, interamente ricoperti di aculei e spine. Combattono con tutte e quattro le loro zampe, aggrappandosi a qualunque cosa con un’agilità fuori dal comune. Dicono che ci sono anche stregoni tra di loro, che piegano la terra al loro volere. Che sia elementalismo?
Non possiamo certo resistere contro bestie del genere.
Non sappiamo cosa fare.
Eccoli. Stanno arrivando.
Ho sentito un forte boato proveniente dalla parte Sud del paese, e devo andare a vedere. Mi stanno chiamando.
Se non ritornerò, ed avrete la fortuna di leggere queste pagine, sappiate che abbiamo un disperato bisogno di aiuto.
Vi prego, fate qualcosa.”

“E’ Incredibile, sono entrati!
Le mura si sono accartocciate su se stesse, e le loro fondamenta si sono sbriciolate come se non fossero della più possente pietra.
Stanno bombardando la parte Sud della città con enormi trabucchi e catapulte, e le loro orde scavalcano e distruggono tutto ciò che incontrano. Non li fermerà niente.
Anche questa base non reggerà molto, sarà la prossima ad essere attaccata.
E moriremo tutti.
Vi prego, vi rinnovo il mio appello.
Se leggerete queste righe, cercate di fare qualcosa, e non limitatevi a semplici segnalazioni, rivolgetevi direttamente alla capitale.
Il problema è molto più grande e…mortale di quanto pensavamo.
Non dimenticateci. Moriremo per questa terra, per darvi il tempo di preparare le vostre difese. Salvatevi combattendo, salvate i vostri figli, e salvate anche i miei, che non rivedrò mai più!”

Guardia Scelta Reuck Sabinamo.
Terzo Reggimento dei porti.
Base Centrale.
Padre, e marito.

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CuoreNero
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MessaggioInviato: Mar Gen 16, 2007 3:42 pm Rispondi citandoTorna in cima

Un giorno di pioggia qualunque
La Capitale
La stanza squallida di un bordello come tanti

La pioggia continuava da non sapeva più quanti giorni. Non un temporale fragoroso e rapido nella sua violenza; avrebbe potuto ripulire le strade e l'aria, densa di miserie e di fiati di troppi uomini. Neppure quelle gocce così fini da confondersi con la bruma del mattino; auspicate dai contadini e, talvolta, invocate compensando improbabili sciamani. Piuttosto una cadenza misurata e costante. Ostile nella sua stolida regolarità; un cielo greve di grigio monocromo produceva quella pioggia senza fulmini nè tuoni con la precisa intenzione di farla durare il più a lungo possibile. Quel cielo bastardo covava l'intento di prenderli per stanchezza: non poteva esserci alcun dubbio a riguardo.
Nel piccolo e disadorno caminetto s'erano spente le ultime braci della notte; attraverso i vetri grezzi e irregolari della stanza ormai fredda, osservava il selciato del vicolo sottostante, ridotto ad un pantano insidioso di fango viscido e puzza di tomba.
Aveva incominciato ad allacciare i bottoni del falsetto partendo dall'ultimo, sotto il ventre; con i gesti meccanici indotti dalla consumata abitudine, risaliva con calma le quaranta asole prendendosi quel tempo per perdersi nei propri pensieri. Guardava dalla finestra, ma se lo si fosse potuto osservare in volto sarebbe stato evidente che non stava mettendo a fuoco.
«E' ancora presto. Perchè non torni a letto?» Disse Jezbeth stiracchiandosi ed inarcando la schiena come una gatta.
«Hai ancora qualche minuto prima che il Muto ti cacci a pedate...» Solo una gamba nuda e liscia teneva fuori dalla pesante coperta di broccato rosso ed oro. Tese le braccia mugolando un ultima volta; infine spalancò la bocca in un lungo sbadiglio che le fece lacrimare gli occhi, prima di incrociare le mani dietro la nuca nel voltarsi a guardargli la schiena.
«Non oggi; ho ragione di ritenere che sia più prudente per me andar via prima che il Muto inizi il suo giro...» Dal tono della voce, Jez poteva intuire che stava sorridendo «...inoltre ho importanti questioni da controllare; c'è chi dice che i tempi stiano cambiando, infine.»
Disse voltandosi e allacciando l'ultimo bottone, proprio sotto il collo. Mentr'egli s'avvicinava aggirando il letto fino a sedersi sul bordo, Jez potè verificare che stava effettivamente sorridendo.
«Cos'hai da ghignare?» Riuscì a chiedere la donna un istante prima ch'egli gli posasse un casto bacetto sulle labbra.
«Nulla in particolare...» Con movimenti pigri e circolari, prese a carezzarle i capelli, caldi di un fulvo saturo e lucente. «Mi chiedevo... ma quando inizierai a badare un pò a te stessa?» Fece scorrere lo sguardo sulle pareti spoglie d'intonaco sfogliato e crepato, sulla toletta di ferro arrugginito e sul pitale che giaceva poco distante. L'unico mobilio della stanza oltre il letto ed il camino.
Jez tornò a nascondere le braccia sotto la pesante coperta socchiudendo gli occhi alle carezze; assecondò l'inclinazione che l'uomo seduto sul bordo dava al materasso girandosi su un fianco. «Uhm...» La voce ancora impastata di sonno. «...non pensavo fosse necessario ricordarti che questi non sono affari tuoi.» Raccolse le gambe per rannicchiarsi ulteriormente. «Piuttosto, perchè continui a pagarmi se poi non facciamo mai niente? Non ti pare di sprecare il conio?» Chiuse gli occhi.
«Uhm...» Ancora una volta, la donna potè intuire che egli stava sorridendo dal tono della sua voce. «...mia bellissima Jezbeth, non
pensavo fosse necessario ricordarti che come spendo il mio conio non è affar tuo.» Smise di carezzarla e s'alzò, infine, dal letto; con passo malfermo si chinò a raccogliere la cappa rappezzata che giaceva sulle assi irregolari del pavimento dalla sera prima.
«Inoltre...» Drappeggiandosi l'indumento sulle spalle «...un seno caldo contro la schiena e braccia affettuose incrociate sul mio
petto non le definirei 'niente'. Stanotte, finalmente, sono riuscito a dormire almeno un pò. Peccato solo per i tuoi piedi gelati.»
Sforzandosi di farlo senza dare nell'occhio, s'avvicinò alla porta ed afferrò il chiavistello.
«Ehm, Jez... a tal proposito...»
La donna tornò a sdraiarsi supina schioccandogli un occhiata in tralice. «Si?»
«Temo che, anche stavolta, non abbia di che pagarti...» L'uomo si preparò alle conseguenze strizzando gli occhi e incassando il
collo nelle spalle.
«Tu... lurido verme strisciante, marciscente peto di goblin, ignobile ratto infetto e pestilente, è l'ultima volta che mi lascio raggirare da te...» Disse arrossendo in volto e sgranando gli occhi; infine si mise a sedere sul letto tirandosi la coperta sul seno nudo. «MUTOOOOOOOOO!!!! MUUTOOOOOOOOOOO!!!» Strillò fissando un punto imprecisato del soffitto.
«Sssshhhhh ssshhhhhhh ti prego Jez...» Egli tornò ad avvicinarsi al letto con i palmi rivolti in avanti in un gesto di resa. «Ti prego, sii comprensiva. Ti darò tutto quello ti devo, anzi, ti coprirò d'oro. Quando tornerò ti comprerò un mastro gioielliere ed un carico di pietre preziose.» Cercò il tono più conciliante di cui poteva disporre tentando, nel contempo, di carezzarla nuovamente.
Jezbeth respinse la sua mano protesa con una sonora sberla sul polso; sebbene la manovra le fece scivolare la coperta all'altezza
dei fianchi. «Quando torni... Perchè? Intendi finalmente portare il tuo orribile sedere ossuto altrove?» Disse guardandolo con occhi ridotti a due fessure e risollevando prontamente la coperta fin sotto il mento.
«Pare che alle periferie stia accadendo qualcosa, o, almeno, così dicono giù all'osteria. Strane creature, attacchi, non ho ben capito...» Si diresse nuovamente verso la porta. «...forse serviranno mercenari, forse no, ancora non potrei dire. In ogni caso, potrebbe essere una buona occasione per raggranellare un pò d'oro. Intendo partire quanto prima, qui non c'è più niente per me.»
«Ah ah ah, mercenari? Attacchi? E intendi andare a combattere? Tu?» La donna calcò l'ultima parola con un generosa manciata di sarcasmo.
Lui si strinse per un attimo nelle spalle. «E perchè no? Se rimango finirò disteso con la faccia in un lurido vicolo; accoltellato, o peggio, da uno dei miei innumerevoli creditori.» Le sorrise con sincera dolcezza. «Almeno avrò l'occasione di guardare in faccia il mio destino, piuttosto che subirlo alle spalle. Sempre che, s'intende, Giab il grassone non abbia sentito di mostri ed attacchi sul fondo di una bottiglia di grog.» Tirò il chiavistello e fece per uscire.
«Ehi...» Il tono di Jez non tradiva alcuna emozione; lui si voltò sull'uscio guardandola da sopra la spalla. «...vedi di tornare: voglio il mio oro. Se non lo farai manderò il Muto a cercarti.»
Annuì prima di richiudersi dietro la porta malmessa. «A presto...» Mormorò sommessamente in pratica a sè stesso, visto che ormai la donna non era più in grado di sentirlo. Discese le scale di legno buie ed insidiose con calma. L'androne del vecchio bordello di pietre irregolari s'apriva sul vicolo allagato ed in penombra; strinse la cappa al collo e la fissò con una spilla. Una spilla d'oro, sulla quale fini cesellature si rincorrevano a rappresentare una torre spezzata incrociata da due serpi cervoni. Strano. Strideva vistosamente su quell'abbigliamento altrimenti lacero e misero. Nel preciso istante in cui mosse il primo passo in strada avvennero due cose contemporaneamente: fu immediatamente zuppo, al punto che sentì la stoffa del farsetto appiccicarglisi fastidiosamente addosso; il suo calzare destro sprofondò nella mota del selciato fino alla caviglia.
«Fottuta pioggia...» Biascicò sollevando i lembi del colletto della cappa sulle guance.

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MessaggioInviato: Mar Gen 16, 2007 5:20 pm Rispondi citandoTorna in cima

“Sangue!” Esultò la vecchia…”..e ancora e ancora e ancora!” ridacchio gracchiando, “Caos, distruzione e morte!” continuò.

“Quando tutto sarà compiuto non ci sarà più niente qui, non ci saranno più le vostre belle torri! Nessuno vi seguirà più! I popoli vagheranno come greggi nel deserto, insanguinati dalle fruste assassine dei demoni!”. La vecchia cambiò espressione. I suoi capelli bianchi facevano da macabra cornice al suo viso isterico e scavato, ed i suoi stracci luridi e malconci riempivano ora la stanza con il loro fetore.
“Deve credermi.” Lo supplicò la vecchia, ora in preda ad una malinconia angosciante. “Sarà la fine io l’ho visto!”, e detto questo si buttò ai piedi del letto, piangendo, più di dolore che per altro.
Le sue lacrime lo commossero, ed egli fece per alzarsi. Poi, di colpo, la faccia della vecchia si tramutò in un espressione di panico puro. Le sue orbite vennero scavate dal fuoco, e dalla sua bocca uscirono due serpenti. Egli indietreggiò per la paura, andando a finire dall’altra parte del letto, sudato ed impaurito.

Si accascio al muro...

Attonito attese, e mentre la vecchia si stava sempre di più svuotando, consumata dal di dentro da un dolore indicibile, vide i due serpenti unirsi in una sinuosa danza. Lentamente essi si intrecciarono, e si librarono nell’aria fino a trovarsi proprio di fronte la sua faccia. D’un tratto l’uno mangiò l’altro, e dopo qualche secondo, la sua bocca si spalancò di nuovo, ma da essa, uscirono visioni, sibilii confusi, urla e silenzi divini.
E vide.

Vide la sua terra martoriata da bestie immani, alte a volte fino a due metri, con corazze ed armi di pura terra. Gli occhi assassini, gli artigli sporchi di sangue dei suoi soldati. Li vide arrampicarsi per le mura delle città, squartare la carne dei difensori, divenire i loro più potenti incubi. Vide i loro poteri, e le mani nere dietro il loro operato, vide le sue belle città, le sue meravigliose costruzioni, ed i loro meravigliosi abitanti ridotti in cenere. Vide Celestia la bella, vide Comantis la Verdeggiante, vide i labirinti di Dedalus B, e vide, in ogni angolo delle loro strade, le mostruose creature.

Un lampo, un rombo, un tremendo fragore, ed un gigante martello si abbattè su di loro.
Egli si dimenò, si strinse la testa tra le mani. Le sue carni ora sembravano lacerate da quel tremendo colpo, la sua testa, trapassata da mille spade infuocate. Sputò sangue e si distese a terra, ai piedi del letto, in preda al dolore.

Poi, un attimo dopo, la stanza dell’Imperatore ridivenne buia, e la pace del silenziò torno ad aleggiare sopra quei terribili segreti! I passi lontani rieccheggiarono nel corridoio...la porta aperta...
"Mio Signore...State bene?"

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vasquas
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MessaggioInviato: Mar Gen 16, 2007 6:41 pm Rispondi citandoTorna in cima

Mi state facendo venire voglia pure a me di giocare!^_^

Ciao,
Vas Quas
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Stains
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MessaggioInviato: Mar Gen 16, 2007 7:40 pm Rispondi citandoTorna in cima

E così altri prodi son venuti
per partecipare alla gran lotta
vedremo se vostri corpi ossuti
resisteranno alla grande botta.
Torneret'à vostri ceneri muti
dico citando, par che me ne fotta
or dunque andiamo a contar fuori
...Le dame, i cavalier, l'arme, gli amori!


Studio dello gnomo Jebeddo, il mago e inventore cialtrone.
Jebeddo seduto da le spalle, davanti a lui un tavolo con sopra degli alambicchi, a destra di lui un armadio vuoto con sopra un cartello, rumore di bollitore in tutta la scena, mentre accanto a Jebeddo c'è Stains, il suo folletto e famiglio.
Personaggi: Jebeddo, Stains e il messo.

Stains: "Allora la stratosferica pomata magica per la signora Bellatix è pronta? Sai che quella da quando le hai detto che si deve spalmare solo al plenilunio è diventata fissatissima con le ore!"
Jebeddo: "Eccola qua! E' pronta, forse non farà tornare la sua pelle liscia come quando aveva solo 45 anni, ma sicuramente il suo fascino elfico le sarà restituito e potrà tornare in strada... ehm al lavoro!"
Stains: "Perfetto, porgimela che la metto nell'armadio dei prodotti da consegnare.
Stains si dirige e pone una pozione sull'armadio vuoto
Stains: "E ti sei ricordato della raccolta del fiore del "Non torno più"?, era ieri e non mi sembra che ne sia rimasto molto!"
Jebeddo: "C'è giusto il necessario per andare avanti un altro mese! Grazie al tuo aiuto il mese scorso me ne son ricordato in tempo e ho fatto scorta!"
Stains: "Allora utilizzalo per concludere la pozione per il vecchio Jessie"
Jebeddo, lavorando al tavolo: "Certo certo... ecco qua, ora il vecchio Jessie potrà tornare da sua moglie arzillo come un giunco, per almeno un mesetto, massì anche due, sta volta abbondiamo nella sua pozione che il vecchio Jessie paga bene! Però ho finito la scorta di Non torno più..."
Stains: "Speriamo in bene, ma il carro del signor Krinz l'hai riparato?"
Jebeddo: "Per la barba di Milbrand il glabro! Lo sai che se mi dedico all'alchimia difficilmente mi ricordo di quelle cose grettamente materiali! Dove sta già il difetto?"
Stains: "Ha solo quattro ruote da rifare..."
Jebeddo: "...ah si! Ma lo volevo testare per il mio nuovo progetto di locomozione! Ho in mente un sistema che non avrà più bisogno di ruote, nè di rulli! Grazie ad un connubio tra tecnica e magia sono in grado di creare un dispositivo di locomozione eccezionale, non è più il carro a muoversi, nè il cavallo, nè il vento... bensì lo spazio..."
Qualcuno bussa alla porta.
Jebeddo: "Siamo chiusi!"
Messo: "Avrei un incarico urgente, posso pagare molto bene!"
Jebeddo, andando ad aprire: "Oh, benissimo, allora penso proprio che uno strappo all'orario di chiusura lo posso fare, sebbene di questi tempi son diventati molto fiscali per via della guerra o che diavolo combinano quelli là nei castelli, d'altra parte noi poveretti ci arrangiamo come possiamo... ecco qua! Salve lei chi è?"
Il Messo entra in scena
Messo: "Rappresento un nobile signore, egli conosce le vostre... doti di alchimista... ed ha bisogno di una vostra alchimia tra Polvere di fata, Respiro di dannazione e Saluto ultimo."
Jebeddo tra sè e sè: 'Dannazione c'è la nomencaltura normale, perchè questo deve utilizzare quella delle lontante regioni di Iupac? Dovrei aver scritto da qualche parte le conversioni tra l'una e l'altra... A Iupac son tutti ricchi, e se questo vien proprio da me, allora non posso deluderlo...'
Jebeddo, a voce più alta: "Certo nobile messere, quanto prodotto necessita? E quando gli serve?"
Messo: "Il più possibile, nel minor tempo possibile"
Jebeddo: "E il pagamento?"
Messo: "Il più possibile, se minore tempo impiegherete per farne."
Jebeddo: "Piacerebbe quantificare, sa com'è da queste parti con la fattura, il nuovo esattore delle tasse, la situazione che corre in sta città... è meglio aver le cose nero su bianco."
Messo: "Il mio signore non vuole nomi, non vuole che nulla rimanga registrato, ma ecco un acconto, verrà decuplicato se porterete a termine l'alchimia nel minor tempo possibile!"
Il Messo porge una grossa borsa.
Jebeddo: "Si... direi che può andar bene, allora mi raccomando, torni presto che gli farò quanto serve!"
Messo: "Tornerò domani?"
Jebeddo: "Facciamo dopodomani, ne avrò fatto di più"
Messo: "Perfetto, se però qualcosa va storto..."
Jebeddo: "Non lo dica nemmeno, siamo professionisti noi!"
Messo: "Bene, arrivederci"
Il Messo esce dalla scena
Jebeddo: "Che colpo! Presto Stains il mio libro delle conversioni in lingua Iupac!"
Stains: "Eccolo!" gli porge un libro
Jebeddo: "Vediamo Polvere di fata è la foglia del peperone blu e ho la serra piena, il Respiro di dannazione è del fumo di vulcano... ne abbiamo ancora?"
Stains: "Sì ce n'è in abbondanza"
Jebeddo: "Perfetto... tra l'altro sembra un veleno quello che dobbiamo creare..."
Stains: "Già... cosa è l'ultimo componente?"
Jebeddo: "Oh si, l'ultimo è il Saluto ultimo... saluto ultimo... oh no!"
Stains: "Che succede?"
Jebeddo: "Il Saluto ultimo... è il Non torno più!"
Stains: "Quindi abbiamo gettato una fortuna al vento per il vecchio Jessie?"
Jebeddo: "Già, però se non sbaglio il Non torno più cresce in una sola notte al mese nei mesi migliori, però non è la stessa ovunque... fammi consultare il Magnifico Altantendario Alchemico!"
Stains: "Che cosa hai in mente?"
Jebeddo: "Il Non torno più è a un giorno di cammino da qui, dobbiamo muoverci e metterci in marcia!"
Stains: "Ma la bottega? E poi non faremo in tempo, dobbiamo attraversare la Foresta!"
Jebeddo: "Sono un mago e ce la farò, peccato che non ho la mia Sensazionale Locomotrice con me, ora prendiamo ciò che ci serve e andiamo, torneremo in tempo per prepararne quanto serve per avvelenare tre persone, se gliene dessi di più, sarei un assassino."
Stains: "Ma hai visto il tempo che c'è fuori?"
Jebeddo: "Hai visto i soldi che aveva solo il valletto? Un nobile non da tutti sti soldi ad uno, altrimenti quello scappa! Muoviti aiutami!"
Stains e Jebeddo iniziano a mettere roba in uno zaino, alambicchi, libri, flaconi, poi escono di scena.

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MessaggioInviato: Mer Gen 17, 2007 4:54 pm Rispondi citandoTorna in cima

Un giorno di pioggia qualunque
La Capitale
Una taverna nei bassifondi

In un primo momento, il rumore di risucchio viscido che produceva ogni qualvolta sollevava un piede per il passo successivo gli strappò un sorriso: gli venne in mente quel suono tipico che si può produrre staccando una ciliegia dal picciolo servendosi solo della bocca. Ovviamente, ci fu giusto il tempo di un risolino prima che l’insofferenza per la sempiterna pioggia lo riportasse all’usuale malumore. Quantomeno un aspetto positivo c’era: il delta di fango in cui s’era trasformato il dedalo di stretti vicoli che costituiva la zona malfamata della Capitale, pareva tenere lontani i ratti che, in condizioni di normalità, avrebbero saettato tra le sue gambe ad ogni angolo svoltato. Sul perché si prendessero la briga si saettare aveva sempre nutrito dubbi. In fondo, quei ratti avevano proporzioni talmente inquietanti da poter abbattere, con un minimo d’impegno, un bambino oppure un uomo anziano. Sospettava che fosse un po’ per atavica abitudine, un po’ per l’usanza che andava diffondendosi nei bassifondi d’arrostirli assieme alle patate novelle. Quale che fosse la ragione, continuò a camminare cercando d’evitare che il fango strappasse i suoi calzari dai relativi piccioli fin giù, dove Via dei Tombaroli s’allarga a formare la Piazzetta dell’Agguato. Non che fosse una vera piazza; e neanche si chiamava davvero così. E’ che gli onorabili Mastri Costruttori del passato, qui avevano fatto del loro peggio. Le vecchie case di pietrone irregolari collimavano talmente male l’una di fianco all’altra che, tra decine d’angoli bui e rientranze, il vicolo effettivamente s’allargava. La varia umanità che pullulava i bassifondi aveva sfruttato questi “ripari naturali” per ogni sorta d’aggressione, borseggio, stupro, traffico clandestino. Il nome, ufficioso, era da ricondursi a quella volta in cui quel visitatore arrivato da una città vicina, avendo iniziato a perdersi nel labirinto di vicoli dietro il Tempio, c’era finito dentro inavvertitamente. Fu immediatamente aggredito e rapinato da quelli appostati dietro il primo angolo; fin qui tutto normale. Il fatto è che tutti gli altri, che sfruttavano i ripari più avanzati, erano ostinatamente decisi a non perdersi l’occasione del primo turista della loro vita. Ragionpercui il tale subì 6 agguati prima di riuscire a guadare fino al lato opposto della strada, dove la piazzetta tornava a restringersi confluendo nell’usuale Via dei Tombaroli. Si fermò davanti alla taverna “Del Drago” e s’appiattì con la schiena contro il muro opposto; al minimo riparo alla pioggia offerto dal muro bitorzoluto, indugiò un istante o due cercando di presagire cosa avrebbe detto Giab il grassone nel vederlo. Ad onor del vero alla Capitale c’erano molte taverne “Del Drago”; quello sputa fuoco, quello impennato, quello trafitto, quello accovacciato, quello dormiente e quello nervoso, e così via. Ma essendo Giab, il proprietario, del tutto analfabeta, s’era limitato a dipingere una nebulosa verdognola su una tavola che aveva poi inchiodato sulla porta senza troppi complimenti. Quando qualche ubriaco gli chiedeva cosa diavolo avesse disegnato sulla porta della taverna, Giab si limitava a dire «Il Drago…» con la sua espressione di inebetita innocenza. Quindi, la taverna di Giab era la taverna “Del Drago” e basta, senza ulteriori considerazioni. Fece mentalmente un conto approssimativo di quanto conio dovesse al taverniere; mentre le labbra mormoravano una sorta di muta litania, esaurì tutt’e dieci le dita prima di stringersi nelle spalle con aria rassegnata. Quindi si fece coraggio, afferrò il chiavistello della taverna e spalancò la porta restando sull’uscio. «Ehilà Giab! » Strillò ostentando un allegrezza del tutto fuori luogo e sfoderando il migliore dei suoi sorrisi. «Come stai, vecchio brigante obeso? »
Quando sentì la porta spalancarsi, Giab non rivelò la minima intenzione di voler interrompe le sue attività. Strofinò ancora un po’ un immondo straccio all’interno della lurida tazza, quindi chinò il testone calvo, ci sputò dentro, e riprese a strofinare ravanando l’interno con quelle ditone corte e tozze come salsicciotti. Il perché si desse tanto da fare con quelle tazze, visto il livello igienico generale dell’esercizio, era un mistero inestricabile. Fu solo nell’udire il saluto che si fermò. Guardò l’avventore sulla porta con una monolitica espressione di ghiaccio; quindi si gettò lo straccio all’indietro su una spalla e schiantò la tazza sul banco ricavato da una trave grezza sospesa tra due botti.
«Tu… » Si limitò a dire.

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MessaggioInviato: Gio Gen 18, 2007 11:19 am Rispondi citandoTorna in cima

Lentamente le due ragazze ridiscesero il sentiero: la stessa strada, gli stessi passi, che, la notte precedente, avevano percorso per dormire lontano dagli orrori della città.
L’ansia di non ritrovare i loro affetti, le loro famiglie, le accompagnava fin dai primi raggi di quel tiepido sole che ora, spento, lottava per non essere sopraffatto dai minacciosi nuvoloni neri, dai quali un'ombra grigia e triste cadeva sulla città.
Mentre avanzavano faticosamente, incalzate dalla voglia di casa e rallentate un attimo dopo dalla legittima paura di non ritrovarla, le ragazze cominciarono a rivedere il paesaggio esanime della città.
Piccole casupole con i comignoli che fumavano, erano affiancate da capanni per gli attrezzi malridotti e gli orti, grandi come francobolli, si confrontavano giorno per giorno con le erbacce ed i ruderi, per conquistarsi nuovi pezzi di terreno.
Tutto sembrava un costante e defunto ammasso di disperazione: le case, i campi, i pochi passanti, la natura circostante e gli inesistenti animali le cui carcasse giacevano ora tra recinti semidistrutti.
Procedendo, si diressero verso il sentiero che portava al centro città.
“Tu credi che saranno arrabbiati con noi?” disse Eveline, la più piccola.
“Non ne ho idea sorellina, ma dopo l’ennesimo attacco non potevamo certo restarcene chiuse in casa ad aspettare…”
Gli occhi della ragazza si tinsero di tristezza e la sua voce venne interrotta da un groppo di malinconia. Poi riprese:
“Non preoccuparti, vedrai: staranno tutti bene!”, disse alla piccola che ora, a stento, tratteneva le lacrime dai grandi occhi azzurri.
L’abbracciò forte, cercando di farle sentire tutto l’amore della famiglia, adesso che ne aveva più bisogno, adesso che solo lei e sua madre le erano rimaste.
“Sorellina ho tanta paura!”, esclamò Eveline singhiozzando.
“Lo so sorellina mia, lo so…”
Arrivarono al centro della città.
In una casa, ormai distrutta, una vecchietta sbirciava dalla finestra divelta: un'occhiata fugace e subito corse a rintanarsi nella penombra. Percorsero tutto il viale, svoltarono a destra e ancora a sinistra, per ritornare nel vicolo natio.
La porta era scardinata e segni di graffi la percorrevano. Le finestre avevano i vetri rotti e dal tetto una flebile striscia di fumo si andava a ricongiungere al grigio temporalesco del cielo.
“Mamma…” esclamò la piccola, “Mamma siamo tornate mamma…”.
Dalla porta della camera nessun rumore, se non l’angoscioso silenzio dello sconforto.
Un ghigno le colse di sorpresa.
Dal soffitto, uno di quegli orrendi mostri stava preparandosi a saltare.
Un grido di terrore scosse l’apparente calma, poi lo Screch si mosse.
Con un balzo fu subito sopra la più grande, e con un enorme zampata la fece rotolare fino all’angolo opposto della stanza. Conficcò gli artigli al suolo, ed accucciandosi, scattò.
Le zampe anteriori rimasero ferme, ma le posteriori, passarono fra le prime due, ancora arpionate al terreno, sferrarono un tremendo colpo al volto della ragazza: un vermiglio getto di sangue sgorgò ed ella si ritrovò con la testa nella parete. Soddisfatto, l’animale si girò verso la bambina, che giaceva terrorizzata in un angolo della stanza, nell’ombra.
Si alzò in piedi, a malapena, si riappese al soffitto e si preparò al lancio: una tremenda vampata lo fece ricadere.
Rotolandosi per terra rimase alcuni secondi a grugnire di dolore contorcendo le mani ormai bruciate, quindi rivolse uno sguardo furioso verso il nuovo arrivato.
Una sagoma scura si stagliava contro la debole luce mattutina, scura ed alata, con due corna possenti sul capo.
“Schiavo!”, disse con disprezzo, “Striscia nel letame dai tuoi legittimi padroni!”; e con questa frase, preso dall’ira e dall’odio, protese la mano: in un attimo, contorcendosi, lo Screch si accasciò a terra mentre la sua faccia diveniva un inno al dolore.
“Cos’è?”, disse il demone, “Non combatti più ora?”
Le parole risuonavano nella casa vuota mentre l'animale si piegava su se stesso.
“Miserabile, non sei degno di lottare per la tua libertà!”, continuò la voce, mentre la mano dell'essere, apparso come dal nulla, si richiudeva in un pugno nero.
Lo Screch, con un ruggito, si paralizzò, restando congelato ed immobile, contorto, in un’inimmaginabile espressione di puro terrore.
“Vieni umana”, disse poi il demone calmandosi.
“No, non vengo con te!” Disse la bambina piangendo, “La mia mamma dice sempre che…Sei un Diavolo, sei cattivo!” urlò.
L'essere fissò il cielo, carico di pioggia.
“E’ finito quel tempo piccola, è finito…”
Poi, si avvicinò alla bambina, la prese dolcemente in braccio, e si librò nel cielo denso di mistero.

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MessaggioInviato: Gio Gen 18, 2007 8:07 pm Rispondi citandoTorna in cima

Forse chi guida i fatti è'l fato
che sceglierà chi vincerà lo scontro
di cui a lungo qui si è rimato
infatti ecco il primo incontro
tra i prodi, cialtron e disperato
mai pensan di lottare assiem contro
gran nemico, in remoto futuro
fra molto tempo indi non me ne curo


Taverna del Drago nei bassifondi.
Personaggi: avventori, uomo glabro, oste, Jebeddo, Stains.
Tavoli grezzi sparsi per la scena con sedie attorno, il bancone è una trave appoggiata a due barili, luce fioca, rumore di parlottii e chiacchericci. L'uomo glabro è davanti all'entrata, l'oste dietro al bancone e gli avventori seduti ai tavoli

Oste all'uomo glabro: "Tu…"
Uomo glabro: "Beh... io"
Coltre di fumo, rumore di esplosione e nella scena entrano Jebeddo e Stains, nascosto nello zaino. Spingono via l'uomo glabro contro un tavolo creando frastuono.
Jebeddo: "Dannazione, Stains credo proprio che sia stata una pessima idea accettare l'incarico, chi se l'aspettava che con l'invasione e tutto il nemico era proprio qui alle porte?"
Stains uscendo svolazzando dallo zaino: "A te serve prudenza Jebeddo, l'oro non sempre è indice di bene"
Jebeddo alzandosi e togliendosi la polvere dai vestiti: "Neppure la miseria caro mio."
Oste estraendo un bastone: "E voi chi diavolo siete?"
Jebeddo indietreggiando verso un angolo: "Oh ma noi siamo... siamo... chi siamo noi? Ma come chi siamo noi? Non ci riconosci?"
Stains: "Ma guarda come hai ridotto quel pover'uomo!"
Jebeddo: "Scusaci buon uomo! T'ho rovinato tutta la giubba e la cappa!"
Avventore: "Vuoi rispondere all'oste?"
Oste: "Già!"
Jebeddo: "Ehi mi voglio solo accertare della salute del mio buon amico qui, immagino che essere amici di questo bel giovane qua sia un bel riconoscimento, non crediate?"
Stains all'uomo glabro: "Mi auguro che tu sia un pezzo grosso qui in sta taverna"
Jebeddo strizzando l'occhio all'uomo glabro: "Allora buon amico, presentaci all'oste, che sappiamo che la tua parola vale molto più della nostra qua."

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MessaggioInviato: Ven Gen 19, 2007 5:30 pm Rispondi citandoTorna in cima

Un giorno di pioggia qualunque
La Capitale
La taverna di Giab; altrimenti detta "Del Drago"

«Beh... io» Disse flebilmente. La risposta suonò fiacca alle sue stesse orecchie mentre incrociava lo sguardo con i piccoli occhietti porcini di Giab. Non andava bene; aveva sperato che l'oste potesse riservargli un accoglienza appena più tiepida. Non era minimamente intenzionato a lasciare le mura della capitale disarmato; il grassone, riteneva, era l'unico che forse avrebbe ancora trattato con lui l'acquisto di una lama, piuttosto che affondargliela nel petto fino all'elsa non appena l'avesse visto. I bassifondi hanno le loro regole; chiunque, volente o nolente, decida di stabilirvisi, dovrebbe apprenderne il gergo ed i costumi il più in fretta possibile. Nei vicoli malfamati della capitale, non si poteva cominciare un dialogo senza dileggiare la madre dell'interlocutore nel modo più articolato e pirotecnico possibile. Era semplicemente inammissibile; scotto e condanna era l'assoluta mancanza di considerazione per tutto quello che si sarebbe detto da quel momento in avanti. La regola aurea stabiliva che non si sarebbe dovuto neanche iniziare una trattativa se non si conoscessero almeno dieci sinonimi per la parola prostituta.
Stava muovendo qualche passo sulle assi irregolari del pavimento quando avvertì l'odore acre del fumo; si limitò a registrare mentalmente l'evento senza lasciare che questo lo distraesse dalla lacerante decisione se fosse più proficuo esordire con «quella baldracca sifilitica» oppure «quella pantegana sbrindellata». Fu per questo che l'esplosione lo colse del tutto impreparato, oppure perchè i suoi occhi non avevano abbandonato quelli di Giab il grassone neanche per un secondo da quando aveva aperto l'uscio della taverna. Stà di fatto che li stava ancora strizzando per il botto quando fu spintonato contro un tavolo. I molteplici strati di lerciume che si sovrapponevano sul piano di legno tarlato erano solcati, ad intervalli più o meno regolari, dalle firme illeggibili e dalle oscenità di varia natura che, nel tempo, i vari avventori avevano inciso alternandosi a quella postazione; chi sapeva scrivere aveva scritto, chi no aveva disegnato. Con le mani premute contro il bordo ed il volto a poca distanza da un'illustrazione inenarrabile, riprese lentamente consapevolezza di quanto lo circondava.
«Ma che diavolo succede?» Chiese apparentemente al tavolo prima di girarsi verso l'ingresso. Non appena inquadrò la scena, rimase con la bocca semiaperta di allibita incredulità a fissare quanto andava prendendo il posto della nube di fumo in rapida dispersione. L'ometto sarà stato alto poco più di un metro. Mai vista una cosa simile. Giuro. Neanche Caccoletta lo svelto era così basso. Lo si sarebbe tranquillamente potuto scambiare per un bambino; ad onor del vero, i folti capelli rosso scuro ed il pizzetto che saliva fino a fondersi nei baffi, rappresentavano un buon deterrente all'impulso di prenderlo in braccio per cullarlo con una nenia. Era abbigliato in maniera quantomeno bizzarra. Sotto un gilet a righe e strisce (eh si, pareva una tovaglia), indossava una camicia leggera verde. Calzoni blu con molte tasche erano stretti in vita da una cintura dalla quale si lasciavano mollemente penzolare borse di diversa fattura e colore. A tracolla portava un tascapane. Ancora incredulo, si perse per un istante nell'ozioso pronostico di quanto tempo avrebbe resistito un tipo del genere nella Piazzetta dell'Agguato. Fissandolo con un sopracciglio sollevato valutò che, se era capace di un entrata così ad effetto, non sarebbe durato poi così poco, tutto considerato. Inclinò il capo di lato per osservare lo zaino che il tappetto si portava dietro la schiena. A giudicare dalle sagome che ne tendevano la stoffa dall'interno, pareva pieno di provette, alambicchi e chissà quale altra diavoleria. Ed infatti, proprio quando pensava d'averle viste tutte per quel giorno, osservò un piccolo folletto alato librarsi in volo dallo zaino per poi mettersi a parlottare col barbuto propetario.
«Eh? No, no, niente. Non preoccupatevi» Disse al tappo ed alla sfarfallante creaturina quando questi si scusarono per averlo spinto in malomodo. Ammesso che ci fosse qualche dubbio al riguardo, quelle scuse li classificarono definitivamente come non appartenenti alla popolazione dei bassifondi.
Giab il grassone, da par suo, aveva afferrato già da un pezzo Il Riduttore. Questi altro non era che la famigerata mazza che Giab teneva dietro una delle botti che sostenevano il banco. Poco altro era grezzo, immane e pesante, bitorzoluto e incrostato di sangue, quanto Il Riduttore. Non che Giab lo chiamasse così; il nome, diffuso più che altro tra i clienti abituali della taverna, si doveva al fatto che, quando l'oste lo calava dall'alto schiantandolo sul cranio dell'ubriaco di turno, costui subiva una compressione del collo. Se sopravviveva, da quel momento in poi sarebbe stato effettivamente ridotto di statura, per quanto non di molto, per il resto dei suoi giorni.
Il tappetto barbuto pareva guardarlo con aria complice; valutò rapidamente che chi potesse spostarsi esplodendo da una parte piuttosto che da un altra sarebbe stato un validissimo alleato per la carriera d'avventuriero che aveva deciso di intraprendere. Doveva intervenire.
«Giab suvvia, lascia stare la mazza...» Adesso non poteva permettersi d'omettere l'etichetta. «...dimmi piuttosto, quella bagascia di tua madre ha ancora la forza di battere i viali per tutta la notte?»
«Umph...» Giab alternò uno sguardo truce dall'ometto a lui e da lui all'ometto; infine abbassò il Riduttore, senza lasciarlo purtuttavia. «...guarda guarda chi si rivede...» Fissò su di lui lo sguardo, infine. «...Serpospino il creditore. Era ora che tornassi, lurido figlio di tutti i soldati della guarnigione ovest.»
La diplomazia aveva fatto il suo corso; era buon segno. Serpospino valutò rapido la situazione; era necessario trarre il massimo profitto dal fortuito incontro con lo gnomo. «Giab, t'avevo avvisato di non minacciarmi» Ostentando sicurezza, s'avvicinò al banco invitando l'ometto barbuto e la creaturina a fare altrettanto. «Costui altri non è che il mio famoso zio arcimago. E' al soldo del reggiente in persona, ed ha il preciso incarico di scovare e, se il caso, licenza di ricorrere alle sue polveri alchemiche per dare alle fiamme tutte le taverne non regolarmente registrate.»
Giab era senz'altro più violento che intelligente; eppure, ad onor del vero, lo guardò come se avesse appena finito di pronunciare la più grande balla che gli fosse mai capitato d'udire. «Mi hai denunciato, infame. Che cosa vuoi adesso?» Disse alla fine. Perchè se è vero che del tutto scemo non era, è altresì notorio che moltissimo di quanto trafficato della Piazzetta dell'Agguato finiva, direttamente o indirettamente, per essere ricettato da Giab nella sua taverna. Era uno snodo cruciale nell'economia dei bassifondi.
«Bene...» Serpospino s'avvicinò al banco fino ad appoggiare i gomiti sul piano; si pentii della sua arroganza nel preciso istante in cui s'avvide che Giab teneva ancora in mano il Riduttore. «...cancellerai il mio debito. Inoltre, mi regalerai la migliore delle tue spade. Inoltre, mi racconterai nuovamente la storia degli attacchi dei mostri spinosi. Si, quella dell'altra sera. Ed io forse, e bada bene, ho detto forse, porterò mio zio fuori per fargli fare un giro nel fango dei vicoli.» Sorrise spavaldo e spinse lo gnomo in avanti verso il banco. Questi, dal canto suo, arrivava col naso discretamente più in basso del bordo; ragionpercui quello che Giab potè vedere, dal lato opposto, furono solo dei capelli rosso scuro ed una piccolissima porzione di fronte sottostante.

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MessaggioInviato: Ven Gen 19, 2007 5:42 pm Rispondi citandoTorna in cima

Nella taverna confusione e odore di polvere regnavano, mentre flebili ed effimeri gli accadimenti si rincorrevano per tutte le Terre tutte, ed anche lì, ad Axantis: la Capitale!
Giab era conosciuto nel luogo, ed era solito veder nella taverna del Drago tagliagole ed ogni sorta di brutti ceffi aggirarsi per i suoi sudici tavoli. Ora invece, con la Guerra che iniziava a mietere le sue prime vittime, era tutto più calmo, e più pericoloso. Se ogni sorta di cacciatore di gloria e brigante di cadaveri aveva infatti tentato la fortuna arruolandosi negli eserciti volontari che si venivano a formare, la poca gente rimasta nei bassifondi aveva valide ragioni per essere lì. Organizzare la malavita, o trafficare ogni sorta di oggetto, magico e non, ora che le Guardie avevano altro a cui pensare, risultava molto più facile, e le tasche piene degli avventori della Taverna erano in parte condanna ed in parte salvezza. Non vi era bisogno di rischiare la vita contro mostri spinosi, almeno finchè non sarebbero venuti anche li, fin nella Taverna del Drago…
Certo, lì la Guerra nessuno se la ricordava, ed era ancor lontana…
Solo di una città: di Celestia la bella si parlava. Distrutta e rasa al suolo in poco tempo, e da allora non si avevano più notizie delle terre circostanti. Ma a voi, stupidi bifolchi assetati di denaro e birra…a voi chi mai vi dà dato notizie? Chi oserebbe mai avventurarsi nei Vicoli degli Agguati, nella Tana del Drago…per delle Notizie?
Buffa la scena che si era creata al bancone, mentre Giab ancor si decidea a chi credere, e tre piccoli figuri, quasi usciti dai libri delle favole, eran li accanto. Povera bambina…rimpiangerà i suoi giocattoli persi!
Un rumore di sedie spostate dal soppalco, un bicchiere che cade. “Ehi voi!!!”, urla di colpo l’omone…”Poco casino lì sopra, altrimenti sarà costretto a salire!!!”. Non era bello lo spettacolo. La bocca di Jab sputava qua e la pezzetti di cibo e saliva, che finiva sopra bicchieri e stoviglie, ma sortiva il suo effetto. Di colpo infatti, nessun rumore si udiva più nella taverna.
“Be? Cosa volevate voi altri? Avanti non fatemi perdere tempo…” Disse, mentre con una mano metteva a posto il Riduttore, e con l’altra ricominciava il suo sudicio lavoro di pulizia.
E mentre le chiacchiere del locale ricominciavano, danzando attorno a rozze figure femminili ed ad improbabili avventure, i passi pesanti di un uomo venivan dalle scale, calmi e riflessivi, nei suoi speroni lucenti.
Si avvicinò al bancone. La fiumana di persone lasciò passare la gigantesca ombra nera, di cui solo mantello color della notte e stivali si potevan scorgere. Si avvicinò a Giab, buttò 2 monete di rame sul bancone, ed uscì.
Grugniti e commenti vari si palesarono nell’aria appena il losco figuro uscì, e mentre l’annaquata birra tornava a scorrer nelle gole dei banditi del Drago, tutto sembrò tornare alla normalità! Tutto tranne Giab. Vi fissava in una maniera inconcepibile, occhi negli occhi, di tutti, ed era fermo, troppo fermo. Poi, dai vostri occhi i suoi passarono a guardar il fondo della stanza, e la sua espressione si palesò come dolorosa ma impassibile.
Cadde sul bancone, rompendo i bicchieri. A peso morto, mentre una piccola macchiolina vermiglia compariva e si allargava tra il grasso e lo sporco della canottiera dell’Oste Grassone.

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MessaggioInviato: Ven Gen 19, 2007 9:29 pm Rispondi citandoTorna in cima

L'incontro infin s'è effettuato
pertanto 'l fato ha ormai deciso
più non occorre che sia pronunciato
altro verso, futuro mai mio viso
vide, se il presente è svelato
nemmeno potrò parlare conciso
poichè io sin qui i fatti conosco,
gnomo dirà il futuro a me fosco.


Morto! L'oste e quell'enorme ranello giacciono stesi su un tavolo, no su un bancone, no su una trave.
Cercavo di vedere esattamente cosa fosse successo, ma ho visto solo i bicchieri cadere per terra, dopo che l'uomo glabro mi ha tenuto il gioco.
Fortuna che ho trovato quest'uomo astuto, in genere in questo genere di bettole ci son solo tagliagole e opportunisti assassini, ad una richiesta del genere questo tipo di persone non avrebbero esitato a tagliarmi la gola e fumarsi tutte le mie polveri (cosa mai da fare!).
Invece qurst'uomo alto, vestito di malomodo (ma con una bella spilla che gli ferma la cappa!), magro e con i capelli lunghi deve essere uno che sa dire la parola giusta al momento giusto, bene sono questi tizi che fanno comodo!
'Hai visto Stains? Ha funzionato!' mormoro al mio famiglio 'E' vero Jebbo, ma adesso? Come ne esci?'
"Bene -dico agli avventori stupefatti della morte improvvisa dell'oste- penso che le oscure circostanze della morte del suddetto oste qui presente steso a terra fanno sì che io non possa applicare alcuna colpa a questa taverna, poichè il suddetto imputato non dispone di mezzi per la propria difesa! Dura lex, sed lex, sed iusta lex, aggiungerei."
'Ma cosa stai dicendo?'
'Fidati' risposi al folletto che mi guardava incredulo.
"E' un gran casinista, ma se ne usciamo vivi da sta situazione ti spieghiamo tutto" sussurra Stains a Serpospino.
"Pertanto il mio dovere mi impone, se potevo chiudere un'occhio circa la regolarità di questo luogo, chiamato Taverna del Drago, il mio uffizio mi obbliga a per lo meno tentare di investigare circa le cause del decesso del proprietario del luogo. Infatti non posso ammettere che a qualcuno di voi, che ho il dovere di proteggere, possa accadere la stessa fine."
Non ho fatto una mossa molto felice: chi non mi crede vuole la pellaccia di un bugiardo potenziale assassino dell'oste, chi mi crede quella di uno sbirro. Quindi cambio tono di voce, per sembrare più in confidenza, abbasso la voce e allungo il collo verso gli avventori.
"Ragazzi... fino a che si parla di dispensare bevande in bicchieri sporchi chissenefrega, ma qua ci son in gioco le vostre vite, forse è meglio se indago un po', ne so di queste cose, e mio nipote Serpospino conosce il luogo, mi darà un'ottima mano."
Gli avventori sembrano ringhiare meno
*Così alla grande Jebbo...* penso tra me e me mentre guardo Serpospino.
"Bene nipote prediletto, da dove consigli di iniziare a fare un sopralluogo" dico sorridendo sotto i baffi.
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MessaggioInviato: Sab Gen 20, 2007 1:48 pm Rispondi citandoTorna in cima

Un giorno di pioggia qualunque
La Capitale
La taverna di Giab; altrimenti detta "Del Drago"

La figura ammantata che aveva disceso le scale della taverna gli era sembrata decisamente fuori contesto nella bettola. Ma, impegnato com'era a evitare d'esser ridotto dalla mazza di Giab, non c'aveva badato più di tanto. Adesso stava lì imbambolato; continuava a sbattere le palpebre guardando la macchia di sangue che andava allargandosi sulle vesti dell'oste. Fu la voce del tappetto a scuoterlo dall'inceppamento mentale.
«Eh? Da dove cominciamo?» Chiuse gli occhi un ultima volta prima di piegare le labbra in un ghigno sardonico. Perfetto, un creditore in meno. Una fortuna insperata. Pensò aggirando il banco. Con gesti piuttosto rudi, prese a perquisire il cadavere dell'oste. «Giab, già adesso puzzi in maniera ignobile; tra qualche giorno farai schifo alle pantegane dei canali di scolo.» Mormorò sormmessamente all'orecchio del cadavere mentre gli rivoltava le tasche. Recuperò una manciata di monete di rame, un pugnale ed un monile raffinato. Senz'altro il pegno di uno dei prestiti a strozzo dell'oste. Ritornò di fianco allo gnomo con aria corrucciata. «Suggerirei di cominciare dalle cantine. Un ispezione in quei turpi magazzini mi sembra d'obbligo.» Con la destra si schermò la bocca prima di chinarsi su Jebeddo sussurrandogli in un orecchio. «Giù in cantina il panzone avrà un mucchio di tesori. Prendiamo il possibile ed una spada per me. Poi via di qui in fretta; la notizia della morte di Giab farà il giro dei bassifondi in un attimo. Meglio non essere qui quando arriveranno tutti per reclamare una parte della sua eredità. Ah, a proposito, mi chiamo Serpospino...»

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