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Lorenzo Ferretti
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MessaggioInviato: Gio Apr 21, 2011 12:33 pm Rispondi citandoTorna in cima

Questo sarà per il momento il topic dove cominciare a postare la storia Wink
Si aprano le danze!!! Very Happy Un ringraziamento speciale ai Mod e agli Admin Wink

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JoKa
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MessaggioInviato: Ven Apr 22, 2011 2:37 am Rispondi citandoTorna in cima

Colgo l'occasione per ringraziare anch'io i mod...
E la santa pazienza di lollo & blaze Laughing
Il premio "Ghandi" 2011 è vostro di sicuro!

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Smettetela di giocare con i giochi di Ruolo senza poi restituirglieli

I giullari malvagi non sono strettamente "cattivi"... solo un po' incompresi
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Lorenzo Ferretti
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MessaggioInviato: Gio Mag 12, 2011 5:43 pm Rispondi citandoTorna in cima

La notte era chiara e limpida a Parigi. Solamente il fumo delle barricate e il rossore delle fiamme si stagliavano nel buio. Per strada, un gruppetto di persone stava allontanandosi da un edificio in fiamme, che sembrava un’ex panetteria. Correvano nella folla di persone che si affannava tutt'intorno, mentre il caos avvolgeva ogni cosa. Era la notte del ventinove di Luglio.

La rivoluzione era scoppiata due giorni prima, e il governo stava avendo la peggio. Il ventotto, il centro di Parigi era irto di barricate e gli insorti avevano svuotato le armerie, iniziando una dura lotta contro i diecimila soldati del ministro Marmont. La notte del ventinove Luglio, gli insorti avevano eretto nuove barricate, e ci si preparava alla caduta di re Carlo X con grande entusiasmo da parte del popolo.
Ma questo fatto toccava solo in minima parte gli occupanti di una piccola panetteria nel centro di Parigi, vicino all’Hotel de Ville, che da parecchie ore ormai era presa d’assalto sia dalle truppe regolari che dagli insorti. La situazione non era per niente buona: erano circa una ventina di persone lì dentro, ed erano gli unici superstiti del famigerato corpo di indagine ed eliminazione intersetta conosciuto come Covenant of Cleaness. La maggior parte di loro era rimasta uccisa nell’esplosione di una sede dei servizi segreti francesi, e degli altri agenti non si avevano notizie. Davvero una pessima situazione. Questo era quello che pensava il giovane Shane O’Cuinn, mentre se ne stava rintanato in un cantuccio ad osservare gli altri componenti della squadra superstite.
“Come siamo arrivati a questo?” pensò, tenendosi la testa fra le mani. Dall’esterno giungeva il frastuono degli spari, delle esplosioni delle granate e le grida degli uomini. Da dove si trovava, il giovane Shane poteva solo immaginare l’inferno che stava avendo luogo là fuori.
Non aveva capito un granché di quello che era accaduto, in effetti: era arrivato dall'Irlanda all’incirca una settimana prima, e al porto di Calais due tizi l'avevano avvicinato e gli avevano chiesto di partecipare a qualcosa che in un primo momento gli era sembrato divertente. Poi, invece, si era rivelata una pessima scelta, come al solito. Ora si trovava in quella cavolo di panetteria con altri tizi che conosceva appena. Loro parlavano francese e lui a stento li capiva. Per l’ennesima volta si chiese cosa ci facesse lì. Ad un certo punto, quando la tensione si fece troppa per poter essere sostenuta dal suo cervello, si girò, in cerca di qualcosa da fare aspettando che la situazione si smuovesse. C’era un tipo, che sedeva lì da un po’ e che non aveva spiccicato parola fino a quel momento, e Shane gli rivolse la parola.
- Parli gaelico per caso?- gli chiese nella speranza che ci fosse qualcuno che lo capisse in quel dannato posto. L’uomo non gli aveva risposto, e lui ripeté la domanda.
Nessuna risposta di nuovo.
- Ma che diavolo...- cominciò a dire, ma si fermò: aveva abbassato lo sguardo e aveva notato i fori nella pancia di quello che avrebbe dovuto essere il suo interlocutore. Stava parlando con un fantasma... non che la cosa gli fosse nuova, ma un fantasma morto in battaglia era la prima volta che lo vedeva...
-Ehi, cretino, se gli hanno sparato vuol dire che ci hanno sgamati! Shane aveva guardato il folletto sulla sua spalla: aveva ragione, come al solito.
-CI HANNO SCOPERTI!!- urlò in preda al panico.
Un’esplosione, spari, urla di uomini feriti a morte...i francesi entrarono, portando la morte con loro.
“Proprio quello scemo di un irlandese ci doveva avvisare?” pensò Alexandre nel trambusto che si era creato. Avevano a malapena capito cosa avesse detto e si erano attardati. La botola che sarebbe stato il loro asso nella manica in caso di fuga era stata scoperta, ed ora dovevano fuggire sottoterra, passi e spari in lontananza. Il cuore in gola. Braccati da vicino.
Non poteva finire così...
Sandor correva in coda al gruppo. Era furioso. E preoccupato. La luna piena era paurosamente vicina e lui stava esaurendo tutte le sue forze nel tentativo di non trasformarsi in un Lupo Mannaro. Sperò di riuscire a dominarsi fintanto che non fosse stato a distanza di sicurezza dai propri compagni, o sarebbero stati guai ancora più seri di quanto già non lo fossero.

Tac, tac, tac, tac. Tac, tac. Doveva assolutamente abbandonare l'ombrellino di pizzo altrimenti l'avrebbero raggiunta. Si, forse non era stata una buona idea arrivare a Parigi con tutta quella confusione. Tac, tac, tac, tac. La stavano seguendo? Si, ma restavano nascosti. Sentiva che le erano dietro, poteva quasi sentire il tintinnio delle loro lame. Tac, tac, tac... tac. Si fermò per guardarsi intorno in tutta quella confusione. Spari e urla ogni dove, le fiamme di qualche incendio, le esplosioni delle granate.
"Che strano" pensò interdetta," il pavimento sotto di me sta vibrando.. ma che succede??"

Ma non finiva mai quel dannato tunnel? Quanto diavolo era lungo? E poi, con le guardie armate alle calcagna, l'uscita, che doveva trovarsi vicino al lungosenna, secondo quanto ricordava dalla mappa, sembrava davvero irraggiungibile. Uno scoppio, un grido...e un'altro membro della compagnia se ne andò, colpito a morte da un fucile francese.
Finalmente si cominciò ad intravedere l'uscita del tunnel, una botola in ferro arrugginito, che sembrava inutilizzata da decenni. Solamente la torcia accesa indicava che regolarmente qualcuno andava là sotto per controllare la via di fuga. Davanti a lui, un tizio si girò, e senza prendere la mira, esplose un colpo alle proprie spalle. Un grido di dolore da parte di uno degli inseguitori, fece capire a Lorenz che il bersaglio era stato raggiunto. Ah, si, ecco come si chiamava: Alexander. O Alexandre, come preferiva lui di solito. Ottimo tiratore, se non fosse stato lui a sparare si sarebbe buttato a terra senza troppi ripensamenti.
Ancora pochi passi e poi un dannato aggeggio mezzo arrugginito che chiamavano botola. Mentre correva, Alexandre si guardò indietro brevemente.
Forse erano troppi per poter scappare prima di essere raggiunti ma, ad ogni modo, il marinaio non aveva tempo per pensare ad una simile eventualità...ora serviva solo aprire la via di fuga.
Passò la pistola a Lorenz che era subito dietro di lui.
- C'è ancora un colpo in canna, premi il grilletto di sinistra!- gli disse urlando in francese.
Lorenz non stette a farsi troppe domande e, benché la sua mira non fosse nemmeno lontanamente paragonabile a quella del compare, si girò, attendendo di essere superato, e poi prese la mira: il primo soldato che svoltò l’angolo del cunicolo cadde a terra riverso, con un buco nel torace. Lorenz sorrise soddisfatto di aver colto il bersaglio da così lontano.
Alexandre tirò la maniglia della botola: stranamente si accorse che si apriva verso l’interno. Ma fu ancora più sorpreso quando vide due esili cosce cadergli incontro all’improvviso. Ora era a terra con l'inguine di qualcuno premuto sulla faccia...
Vedendo il casino che stava succedendo, Sandor si fece avanti e afferrò tutto quello che poté di quella massa di gonne fluttuanti. Era una donna, notò, ma c'era di peggio: almeno in quel preciso momento.
La buttò oltre la botola, in modo da permettere il passaggio a sé stesso e agli altri. E senza tanti riguardi, per giunta.
Vedendo la luna splendere nel buio della notte lanciò quello che ai compagni parve la via di mezzo tra una risata e un ululato.
-Accidenti a te, Shane. Se fossi stato tu in testa al gruppo nella gonnella ci sarei finito io!- Shane afferrò il folletto in malo modo e lo spostò via dalla spalla, infastidito.
-Non- è-il- momento- sibilò tra i denti l’irlandese, scandendo le parole sottovoce e si affrettò dietro agli altri. Era l'ultimo. Un colpo di fucile gli passò a poca distanza dalla spalla, infrangendosi contro il muro. I soldati avevano superato la svolta del cunicolo e si apprestavano a fare fuoco sul giovane. La paura lo paralizzò: era la prima volta nella sua vita che gli sparavano contro.
-No, no, no, no, no, no testa pelosa non fermarti adesso!- Murphy lo scosse tirandogli i capelli.
Con un enorme sforzo fisico e mentale Shane uscì nella notte parigina, chiudendosi la botola alle spalle, mentre i soldati imprecavano per aver mancato il bersaglio.

A Juno parve di attraversare di colpo tutte le fasi Dantesche e senza un motivo apparente. Si ritrovò proiettata verso il basso come se sotto quelle graziose scarpe di cuoio verniciato si fosse aperto un vortice magico, ma era tutto un inganno. Cos'era quella? Due labbra ispide accerchiate da barba tagliente? E perché quella sensazione l'aveva dove non doveva esserci?
La bella sensazione di cadere nel vuoto ed atterrare dolcemente su qualcosa venne interrotta dal pensiero successivo, cioè quello di trovarsi dove non avrebbe dovuto. Ma il destino non le diede il tempo di partorire altro, nemmeno una sillaba dalla bocca. Venne afferrata saldamente così com'era da qualcosa e sospinta in aria fino a volare nel cielo. La gonna fece da paracadute, ed atterrò come una parodia di una palla di soffione sull'acciottolato di Parigi. Rimase a terra guardando allibita lo squadrone di uomini rigettati da quella fossa poco gentile.

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Ultima modifica di Lorenzo Ferretti il Ven Mag 20, 2011 1:57 pm, modificato 2 volte in totale
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Lorenzo Ferretti
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MessaggioInviato: Mer Mag 18, 2011 11:12 pm Rispondi citandoTorna in cima

Sandor alzò gli occhi. La luna piena. Non c'era modo di evitare la trasformazione. Era lì, in mezzo a una piazzetta anonima di Parigi, in mezzo a un gruppo di uomini e - peggio ancora - di una donna e si stava per trasformare. Tutto il suo istinto gli gridava di trovare un nascondiglio. E in fretta anche. Fu così che gli venne un’idea.
- Il traditore! - disse, rivolto a tutti e a nessuno. Forse un po’ banale come diversivo per sviare l’attenzione, ma in quel frangente decisamente efficace.
Erano praticamente tutti a terra. Alexandre si stava rialzando con fatica, Shane sedeva inebetito accanto alla botola dalla quale erano usciti, e Lorenz era praticamente in piedi. Con la bolgia di persone e rumori che c’era, sarebbe stato difficile capire qualsiasi cosa stesse succedendo, sia che fosse reale, sia che non lo fosse.
- Cosa?- chiese Lorenz, imprecando in lingua madre,- che diavolo stai dicendo?- continuò poi allarmato girandosi intorno per cercare qualcuno in tutto quel trambusto. Dove diavolo erano finiti? Ah, si, la piazzetta di fronte a Temple de Billettes...cavolo, non ricordava che si sarebbe arrivati fin là seguendo il cunicolo. Il posto era vuoto, stranamente. Soltanto ogni tanto una pattuglia di soldati o di popolani passava infondo ad una delle quattro vie che da lì si dipartivano.
Sandor si afferrò la mano destra, cercando di nascondere gli artigli che stavano pericolosamente cominciando a spuntare.
- Il traditore! - ripetè - Voglio trovare quel bastardo che ci ha traditi!
Con una sorta di ruggito, e prima che qualcuno dei suoi stupefatti vicini si rendesse conto di quello che aveva intenzione di fare, Sandor si scagliò in direzione della botola. Nel farlo, scaraventò per aria Shane senza troppi riguardi, afferrò la maniglia spalancando la porticina di metallo e si gettò di nuovo nella rassicurante profondità del ventre di Parigi.
- Ma che accidenti...? - Shane si rialzò e si avviò ad ampie falcate verso la botola. D’accordo, quel tizio era più alto di lui. PARECCHIO più alto di lui. Forse addirittura più grosso. Ma questo certo non gli dava il diritto di sbatterlo per aria a quel modo. Deciso a far valere le proprie ragioni, afferrò la botola e fece per aprirla. Qualcuno dietro di lui urlò qualcosa, poi un paio di braccia lo afferrarono da dietro: provò a divincolarsi, ma senza successo, e senza che potesse reagire in alcun modo lo allontanarono dalla botola. Ma non aveva alcuna intenzione di cedere, quindi continuò a dimenarsi e infine riuscì a sfuggire alla presa. Si girò e guardò in faccia l'uomo che l'aveva trascinato via.
-Ma che vi prende a tutti stasera!?- commentò aspramente in gaelico.
-Shane- disse Alexander. Era stato lui infatti ad afferrare il giovane per evitare che si buttasse giù per la botola all’inseguimento del licantropo. -Quel pazzo è...- una serie di spari seguiti da urla disumane li interruppe. Provenivano dalla galleria sotterranea che avevano abbandonato.
-Ecco appunto, andiamocene o faremo la stessa fine, fuggiamo finché lo impallinano- concluse la frase il marinaio.
Guardandosi intorno, alla ricerca degli altri compagni, notò qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. O meglio, qualcosa che in quel frangente era normale che ci fosse, ma che sarebbe stato meglio non incontrare: una folla in avvicinamento. Dannazione, questa proprio non ci voleva. Le armi schizzarono fuori dalle loro custodie. Erano tutti timorosi di dover perdere tempo ad affrontare della gentaglia. Non che avrebbero avuto dei problemi se si fosse arrivati ad una simile eventualità, ma in fondo sembravano solo dei poveri popolani, impauriti come cacciatori di streghe improvvisati. Erano armati di forconi e mazze per la maggior parte, ma alcuni avevano anche un’ascia con sé.
D’improvviso, si levò un tremendo boato: per la precisione, vi fu il fragore di una serie di tuoni scaturiti apparentemente dal nulla, e quasi in contemporanea. Sembrava che fosse esploso un barilotto di polvere da sparo. Tanto bastò per farli fuggire, poveri, cenciosi e pieni di terrore...
Tutti si girarono verso il punto da cui era partita quella sorta di esplosione e videro Alexandre impugnare un enorme fucile con sette canne, dalle quali si levava ancora un filo di fumo.
-Nock gun, dalle santabarbare della marina di sua Maestà Britannica. Non chiedetemi da dove la tiro fuori- aggiunse poi con fare compiaciuto, ghignando soddisfatto. Nessuno però chiese nulla, anche perché stavano già cominciando ad allontanarsi.

Juno sobbalzò involontariamente quando sentì pronunciare la parola “traditore”, ma per fortuna nessuno se ne avvide. Decise quindi che era meglio allontanarsi il prima possibile da quella manica di pazzi furiosi.
- Andate, andate pure...- disse tra sé continuando a strisciare per terra con fare vermoso. - Qua bisogna cambiare aria...
Il muro era ormai vicino, poteva quasi toccare il manifesto stropicciato che vi stava affisso. Si rialzò aggiustandosi la gonna e la parrucca, quando improvvisamente avvertì gli spari. Quattro andarono a vuoto nel cielo notturno. Gli altri tre ebbero però sorti diverse: uno di essi prese in pieno un piccione, che cadde a peso morto, sulla testa della poveretta. Un altro cadde dapprima sulla canaletta di rame di un palazzo, rimbalzò sul palo di un lampione e ruppe la vetrina di un negozio, colpendo il proprietario che stava per spararle. L'ultima fu forse la più insolita: andò, così volle il destino, sulla traiettoria del lampione già ammaccato e finì con lo spezzarlo: prima si piegò leggermente, poi cadde del tutto. A quel punto scintille grandi e piccole festeggiarono sulla piazza e poco ci mancò che dessero fuoco al suo vestito. Juno, a quel punto, non poteva più scappare, vuoi per colpa del lampione che bloccava l'unica via di fuga, vuoi che aveva cacciato uno strillo
quando la bestiaccia volante le era piombata sui capelli.

Avevano appena cominciato a correre, e stavano cominciando a seguire una delle vie laterali che uscivano dalla piazzetta, ma non si erano allontanati molto dalla botola dalla quale erano appena usciti. Il frastuono per le strade era distante anche se udibile nitidamente, e le grida degli uomini si sentivano ovunque, anche se quella zona era al momento abbastanza vuota.
Fu per questo che Lorenz sentì l'urlo cacciato da qualcuno che si trovava alle sue spalle. Un grido da donna. Nello stesso istante in cui udì il grido, sentì una vocina dentro alla testa.
"Dimenticato niente?" gli disse sarcastica la voce. C’era una strana nota di interesse nel modo in cui la voce gli aveva parlato. Lorenz scacciò la scacciò scrollando leggermente la testa, imprecò a denti stretti, e si voltò. In effetti si erano scordati qualcosa: quella donna che stava sopra alla botola e che era caduta in faccia ad Alexandre. Non potevano lasciarla lì così, forse ferita, sicuramente confusa... e per di più stava prendendo fuoco!
- Fermi tutti!- gridò al gruppetto. Tornò indietro e si avvicinò alla donna che stava ancora cercando di spegnere le fiamme.
Le si avvicinò a passo svelto . Stava spegnendo a manate le fiamme che avevano attecchito sulla voluminosa gonna, imprecando sottovoce. L'uomo, non ne vedeva ancora il volto, ma appena le fu a meno di qualche metro di distanza, qualcosa gli tornò alla mente: una sorta di ricordo vago e indistinto, che aspettava solo di essere confermato. Qualcosa che per il momento rimaneva ai confini del suo cervello, ma che continuava a sfuggirgli, come se stesse cercando di afferrare la nebbia.
Poi, improvvisamente, la donna girò il viso, per vedere chi si fosse avvicinato.
Lorenz sussultò: ora ricordava! La donna con la volpe...la donna dei sette pugnali, quella che era ricercata in quasi tutta l’Inghilterra e che era stata data per dispersa...Juno.
- State bene, signorina?- domandò Lorenz con un tono strano, e uno sguardo penetrante. Ancora non sapeva bene cosa fare.
Juno finì di spegnere l'ultima fiammella con i polpastrelli della destra. Stropicciò ancora la gonna scrollandosi dei resti inceneriti e quando rialzò la testa vide l'uomo che le stava di fronte. Non si era accorta di lui, le era apparso davanti come un fantasma. Al suo seguito stavano arrivando altre persone e ormai non poteva far altro che rispondere a quella domanda che, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare. Così improvvisò uno sbrigativo "Sto bene, sto bene!" e fece cenno di non toccarla. Poi anche lei s'accorse di qualcosa che ad un primo istante le era sfuggito. Tornò a guardare gli occhi dell'uomo cercando di mantenere la calma. Drizzò la schiena, s'irrigidì come una pomposa nobildonna e guardando con aria sufficiente verso il lampione distrutto protese la mano priva di guanto.
- Madame Juno, messere- disse spiccia attendendo un baciamano.
Lorenz esitò un attimo. Nella sua testa si affollarono migliaia di pensieri contrastanti, che riuscì solo parzialmente a nascondere, aggrottando leggermente la fronte.
"Uccidila!!!"Ucciderla? No, no, lui non poteva...lei...era quel che era, ma era anche una donna, non poteva ucciderla."Uccidila, è quello che vuoi...quello che vogliamo...si, si...uccidila!!!"
Portarla con loro?"Portiamola con noi per il momento!" disse Lorenz nella sua testa.
La voce esitò un attimo. Solo uno però. E poi scomparve.
Ancora non era certo di quello che avrebbe fatto, ma di certo non avrebbe rivelato nulla di fronte agli altri, per il momento. Prese la mano che gli veniva offerta con tanta regale pomposità, e con eleganza eseguì un baciamano da manuale. Solo, ci mise con un pizzico di galanteria di troppo per essere considerato rispettoso.
- Piacere- disse freddo, assumendo un’espressione assente e fissando gli occhi sulla donna.
Shane osservò la scena. Ma che accidenti stava combinando quello? Non era il momento di perdere tempo con stupidaggini del genere. Guardò Alexandre in cerca di una spiegazione...che non arrivò.
Invece Pizzetto (il soprannome che il folletto Murphy aveva dato ad Alexandre) non sembrava stupito. Non quanto doveva sembrarlo lui almeno. Certo che la Francia era un posto strano... La parte peggiore erano sicuramente i soldati, e di quelli non ne voleva certamente incontrare altri. Non aveva voglia di farsi sparare di nuovo addosso, con il rischio di trasformarsi in un colabrodo e di andare a fare quattro chiacchiere con San Patrizio prima del dovuto.
Una cosa era sicura: dovevano andarsene. E subito, anche.
Superò di corsa i pochi metri che lo separavano da Lorenz e dalla ragazzina. Afferrò il compare per un braccio.
- Dobbiamo andarcene da qui- gli disse in francese, tirandolo insistentemente per un braccio.
Guardò Juno, senza saper bene cosa farci, poi si rivolse nuovamente a Lorenz, in attesa di una risposta.
Lorenz, si voltò di scatto verso Shane: nei suoi occhi c'era una strana espressione, che al giovane irlandese ricordava molto quella che si vedeva negli occhi dei folli. In quella frazione di secondo in cui lo guardò, sul volto di Lorenz scorse una miriade di emozioni correre senza tregua, finchè questi non rispose risoluto.
- Sta con noi- disse. La follia era sparita dai suoi occhi, come anche le rughe di preoccupazione che aveva fino a poco prima.- Per ora- proseguì poi lanciando una strana occhiata alla giovane donna.
A Juno bastò una rapida occhiata per inquadrare che genere di tipo fosse Shane. Per sua fortuna, Lorenz sembrava l'unico a conoscerla ed anche l'unico ad essere dotato di un intelletto medio-alto in quella combriccola. Così prese a parlare ed alzò la voce scandendo bene le parole come se si stesse rivolgendo a dei bifolchi ritardati
- Il vostro cane si è preso la mia giarrettiera!-, esclamò alludendo al licantropo e mimando con gesto teatrale di alzarsi la gonna e indicando la nuda coscia.
- Se non vi è di troppo disturbo vi seguirò per riaverla a meno che non abbiate i soldi per ripagarmela!- continuò poi nello stesso tono.
Senza badare troppo alla richiesta decisamente fuori luogo della ragazza, Lorenz la prese per un braccio, mostrando decisamente meno galanteria rispetto a quando le aveva fatto l'onore (dal canto suo più un onere) del baciamano, obbligandola a seguirlo.
- Andiamo, svelti- li richiamò Alexandre.
- E adesso che facciamo?- chiese Shane in un francese stentato, a nessuno in particolare.
La risposta arrivò da dietro il vicolo: passi che si avvicinavano, molti passi, troppi...gli spari avevano evidentemente attirato l'attenzione. Bisognava dileguarsi in fretta. Maledetti soldati francesi! Doveva trattarsi di una pattuglia di rastrellamento: cercavano fra le vie i popolani che si nascondevano e davano loro la caccia finche non li scovavano e li uccidevano. Per evitare scontri inutili, imbucarono un vicolo defilato, in cui in altri tempi si sarebbero visti prostitute e viveurs, ma che con il tumulto in corso era vuoto e abbandonato.
Affannati dalla corsa veloce e preoccupati da quella strana donna che Lorenz aveva voluto inspiegabilmente trascinarsi dietro, senza sapere nulla di lei, riuscirono a far perdere le tracce qualche centinaio di metri più su, in un quartiere popolare poco distante dal lungosenna.
Ripresero fiato in fretta. Dopo qualche secondo passato ad ascoltare se ci fossero dei rumori di stivali francesi nelle vicinanze, Lorenz ed Alexandre si lanciarono uno sguardo d'intesa: c'era un solo posto dove andare per uscire sicuri da una notte come quella.
Inaspettamente, come se qualcuno gli avesse imbeccato le parole, fu Shane a parlare.
-Andiamo da quel giovanotto che fa gli intrugli?- chiese guardando i compagni e riprendendo fiato.
Ci furono cenni d'assenso e un "Da questa parte demoiselle" e stavano di nuovo correndo silenziosi nella notte. Stavolta con una meta.

Mentre la maggior parte delle persone del mondo riposava tranquilla,Parigi danzava di nuovo sotto la luna, una musica che non si sentiva da quasi quarant’anni...
Si, forse con note diverse e più flebili, ma di nuovo il valzer della rivolta echeggiava di spari, fuochi, fumi, barricate e lacrime. E ricordava alla Francia che ancora c’erano uomini che si sentivano liberi.

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MessaggioInviato: Sab Mag 21, 2011 12:05 pm Rispondi citandoTorna in cima

CAPITOLO 2

C’è qualcosa di buono, nell’essere un lupo mannaro: la furtività non è un problema. Un salto nella botola, pochi secondi per la trasformazione – sempre maledettamente dolorosa, purtroppo – e Sandor divenne quello che amava essere: un predatore magnifico e spietato.
Si attardò solo un attimo per nascondere gli abiti distrutti in una fessura della parete. C’era anche un altro oggetto, che il suo istinto animale non era in grado di riconoscere: una giarrettiera femminile. La appallottolò con il resto e prese a ripercorrere la strada già fatta, sulle orme dei suoi inseguitori.
Era pronto a scommettere che i soldati, trovando la strada sbarrata, avrebbero cercato la più vicina via d’uscita; nessuno di loro avrebbe pensato che sarebbero stati assaliti alle spalle.
Seguì facilmente il loro odore, lo scalpiccio cadenzato dei loro stivali. Li seguì, si avvicinò, prese a braccarli da presso. Scavalcò i corpi crivellati dalle micidiali pistole di Alexandre, poi quellodel mago ucciso nella fuga. I soldati erano rimasti in sei: una bazzeccola per un predatore come lui. Rallentarono l’andatura. Si girarono, guardandosi intorno. Si erano persi nel labirinto delle fogne parigine.
Era il momento buono per fare quello per cui era stato creato: uccidere.

Le pareti del piccolo studio, arredato disordinatamente e senza troppe pretese, erano illuminate soltanto dalla tenue luce di un candelabro. Un uomo stava seduto alla grossa scrivania, intento ad esaminare delle carte dal linguaggio sconosciuto. Si chiamava Aneurin Radcliff, ed era un alchimista. Appoggiate alla rinfusa su un altro tavolo, spiccavano fiale e alambicchi di ogni forma e colore.
L'uomo si alzò lentamente dalla sedia, con fare concentrato. Si diresse verso i suoi intrugli: voleva tentare ancora una volta l'esperimento ... ora doveva funzionare. Mischiò varie polveri e aspettò una reazione.
La trepidante attesa di Aneurin fu però interrotta da rumori di spari e urla. Si sentì quella che parve un'esplosione e le fiale di vetro tremarono, minacciando di versare il loro contenuto... cosa che in effetti avvenne pochi secondi dopo. Il pavimento finì cosparso di strani liquidi oleosi e vetri rotti.
Aneurin si alzò di scatto, con fare irritato.
- Accidenti ! C'ero quasi ! - diede un pugno al tavolo, facendo tremare le fiale rimaste illese, e guardò verso la finestra.
- Non avete niente di meglio da fare là fuori ?! - gridò a tutti e a nessuno.

Il mannaro lanciò un gemito e due soldati fecero esattamente quello che aveva sperato: si allontanarono dal gruppo e vennero verso di lui. Fece in modo di farsi scorgere, ma da lontano, in modo indistinto; e si ritrasse. Lo inseguirono, gli idioti. Sandor sfoderò le zanne in una sorta di sorriso, guidandoli versouna svolta, dove una nicchia lo avrebbe nascosto al loro sguardo. I soldati lo seguirono , lo superarono. Il lupo mannaro li assalì alle spalle. Niente di spettacolare: si limitò ad afferrare le loro teste e a sbatterle l’una contro l’altra. Una si ruppe come una noce di cocco; ma il soldato con la testa più dura cercò di voltarsi e di sparargli addosso e Sandor dovette azzannarlo alla nuca, spezzandogli la cervicale; poi tagliò la gola all’altro soldato. C’era stato un solo sparo, isolato: uno dei soldati aveva contratto il dito sul grilletto. Sandor sentì le grida di richiamo degli altri soldati. Eccitato dall’odore del sangue, il lupo mannaro andò loro incontro, senza più preoccuparsi di proteggersi; ma, stavolta, non riuscì a prenderli di sorpresa. Li trovò pronti, in formazione compatta, i fucili carichi e puntati. Il tunnel era stretto, però, e solo i due davanti potevano sparare. Uno fallì il colpo, l’altro lo prese in pieno petto. Sandor gli strappò in un solo colpo il fucile, il braccio e la manica della giacca d’ordinanza. L’uomo lanciò un urlo agghiacciante e gli altri arretrarono sbigottiti, dando al lupo mannaro l’attimo di tempo di cui aveva bisogno. Ignorando il soldato mutilato, colpì con una zampata nel ventre il soldato con il fucile scarico. L’uomo mollò l’arma per coprirsi lo squarcio con le mani.
- Le pallottole d’argento, presto! – gridò uno dei due rimasti. Prese a frugare nella cartuccera, mentre Sandor si dirigeva a grandi passi verso l’altro soldato. Era un uomo giovane, poco più che un ragazzino, e lo osservò avvicinarsi paralizzato dal terrore, mormorando qualcosa in latino. Era una preda facile, ma il mannaro non aveva tenuto conto del soldato mutilato, che lo assalì da dietro con un pugnale: un pugnale d’argento, pericolosissimo. Perforò carne e pelliccia, prima che Sandor si voltasse, con un ululato di rabbia. Una zampata in faccia, una alla gola e l’uomo cadde schizzando sangue a fiotti. Quando si voltò, si trovò davanti un fucile spianato: l’ufficiale era riuscito a caricare la pallottola d’argento. Con l’istinto della sopravvivenza delle bestie, il mannaro afferrò il soldato che recitava preghiere addossato al muro e lo usò come scudo. La manovra riuscì solo parzialmente: la pallottola attraversò il soldato e lo colpì al ventre. Sandor ululò di nuovo, inferocito, scagliò via il malcapitato soldatino con sufficiente violenza da accopparlo e piombò sull’ufficiale disarmato. Lo afferrò per la gola e lo inchiodò contro il muro, stando bene attento a non ferirlo con gli artigli. L’uomo balbettava dal terrore.
- Il traditore! – ruggì. E siccome l’altro non capiva ripetè: - Il traditore! Chi ci ha tradito, chi? –
Una luce di comprensione comparve negli occhi dell’ufficiale.
- Tu… sei uno di loro! Uno di quelli che inseguivamo! –
Sandor gli ruggì in faccia. L’uomo non stette a discutere.
- Non so chi sia il traditore. – balbettò - E’ stato il colonnello Lafitte a trattare con lui. Gli ha dato un lasciapassare e una borsa di denaro. -
Non si può fare a patti con l’istinto animale. Se l’ufficiale sperava di avere salva la vita, rivelando quello che sapeva, si sbagliava di grosso.
Quando finì, Sandor era fradicio di sangue. Era stato ferito due volte e – peggio ancora – la sua bella pelliccia argentea era tutta un grumo. Ululò per la rabbia, per il dolore e per il gusto del sangue versato.
Poi riprese a correre attraverso i tunnel. Corse a lungo, così a lungo da perdere la cognizione del tempo; e quindi riuscì ad uscire nella notte stellata.
Si trovava ancora in quella maledetta città, in una serie di vicoli stretti. Si guardò intorno. Conosceva quel luogo. Ci abitava un alchimista, un ragazzo di nome Aneurin. Ne aveva sentito parlare quando viveva ancora sui Carpazi. O meglio, aveva sentito parlare dei suoi studi: studi sui lupi mannari. Forse quell'uomo poteva aiutarlo.
Non era un problema, per Sandor, essere un mannaro; ma era ferito e l’argento avrebbe impedito alle lesioni di rimarginarsi. E questo sì che era un problema.
Trovò la piccola una bottega senza difficoltà. La porta era chiusa. Sandor si rese conto che non era in grado di abbatterla. Si avvicinò alla porta e bussò con discrezione; poi si scostò, in modo da nascondersi nell'ombra del vicolo.

- Miseriaccia ... - esclamò l'alchimista con irritazione. Era sempre stato un tipo ordinato e tutta quella confusione lo rendeva nervoso. Si chinò a raccogliere i frammenti di vetro, stando attento a non tagliarsi.
"Dovevo scegliere un posto più tranquillo ... ma il mio lavoro serve qui." Pensò fra sé e sé. Se non fosse stato per l'ingente quantità di fondi che gli avevano offerto per i suoi servigi, non avrebbe mai accettato quella missione.
Guardò sconsolato il pavimento cosparso di un liquido verdognolo. "Ci vorrà più tempo del previsto ... "
In quel momento, suoi pensieri furono interrotti da un bussare sommesso ...
Colto alla sprovvista, Aneurin si voltò di scatto verso la porta, mentre la mano andava fulminea ad afferrare il suo fedele bastone. Si mise in una posizione difensiva, mentre sguainava la lama nascosta al suo interno.
Non era un ottimo spadaccino, ma poteva benissimo tener testa a qualche soldato ... a meno che non fosse armato. In quel caso se la sarebbe data a gambe.
Cercando di darsi un tono deciso, Aneurin rispose guardando sospettoso verso la porta:
- Chi è la ? -
- Aiutami! - le parole di Sandor erano simili al latrato di un cane, nel buio del vicolo - Aiutami! –
Aneurin abbassò la lama, sul suo viso si dipinse un'espressione confusa. Aveva già sentito una voce, un verso simile: umana e non umana allo stesso tempo. Frammenti di ricordi si affacciarono alla sua mente ...
"Che sia ... ?" Pensò sorpreso. Pochi licantropi erano in grado di mentenere la coscienza di se stessi, quando si trasformavano; gli unici in grado di farlo dovevano avere una grande forza d'animo.
Si avvicinò alla porta con circospezione, appoggiando la mano sulla maniglia con esitazione. Aprì uno spiraglio e guardò fuori.
- Chi siete ? – domandò, sistemandosi gli occhiali.
- Sono ferito... - rispose Sandor - Ho sentito di te. - aggiunse, dopo una pausa - Tu mi puoi aiutare. -
Aneurin si fece avanti sulla soglia, aprendo completamente la porta. Fece qualche passo incerto verso il suo interlocutore, i suoi occhi si adattarono al buio e cominciarono a distinguere la pelosa figura di fronte a lui.
Vide profonde ferite sanguinanti, probabilmente causate da proiettili d'argento. Gli fu subito chiaro cosa fare. Non sapeva ancora se fidarsi, ma non l'avrebbe lasciato lì fuori a morire ...
- Entra. - Disse, facendo cenno di seguirlo. - Ma non fare scherzi ... -
Sandor si fece avanti, aggrappandosi allo stipite. Da quando si era fermato davanti a quella porta non riusciva a stare più in piedi; come se le energie che l'avevano sostenuto fino ad allora si fossero esaurite tutto d'un colpo.
L'alchimista si fece da parte per farlo entrare: un bel ragazzo, esile, con gli occhiali. Ben vestito, ma ricoperto da un rozzo camice. La stanza era un laboratorio, pieno di storte e alambicchi; doveva essere successo qualcosa, però, perchè il pavimento era coperto di vetri. Il mannaro si guardò intorno, senza sapere dove andare.
Poi il ragazzo gli fece un cenno verso un lettino, in un angolo. Sandor ci si abbattè sopra, facendolo scricchiolare paurosamente.

Aneurin rinfoderò la lama d'argento nel bastone, continuando comunque a tenerselo ben stretto fra le mani; poi si diresse verso un vecchio baule impolverato, nascosto in un angolo della stanza. Ignorò gli scaffali pieni di barattoli e pozioni, tutte accuratamente etichettate, poste sopra la sua testa e inginocchiò davanti a quella specie di enorme scrigno.
Appoggiò il bastone a terra e tirò fuori dalla tasca del vestito una chiave arrugginita. Trafficò con il lucchetto solo pochi secondi; poi si mise ad esaminare con cautela delle minuscole fiale.
- Dove l'ho messo ... ? - esclamò concentrato. Pochi attimi dopo il suo sguardo si illuminò.
- Eccolo ! - si incamminò fiero verso il suo paziente, badando bene a portarsi sempre il bastone appresso, mostrando con orgoglio il piccolo contenitore di vetro.
- Sui Licantropi l'argento si comporta come un veleno ... la ragione ancora mi sfugge. - disse pensieroso, osservando l'intruglio rossastro. Quella sostanza era ciò che di più vicino a una cura era riuscito a creare. "Sono ancora lontano dalla meta ..." Altri ricordi si affacciarono alla mente dell'alchimista, ma Aneurin li cacciò con forza.
- Eliminerà gli effetti nocivi del metallo, le tue ferite guariranno senza problemi ... - esordì con un sorriso, nient'affatto turbato dal grosso lupo che aveva di fronte.
Sandor sentì confusamente qualcosa di freddo e di liquido che gli colava in bocca, interrompendo il sogno che stava facendo. Un sogno rosso e verde cupo, di foreste, di sangue e di laghi. Stava bevendo da un torrente e la sua acqua era gelida, potente e ristoratrice.
L'incoscienza aveva reso più forte la sua natura animale. Non sapeva dove si trovava, ma accettò la cura che gli veniva pietosamente somministrata.
Si leccò le labbra e il sogno riprese, vivido. Odore di acqua, di sassi, di terra smossa. La preda che fuggiva. La caccia.
E poi Sandor aprì gli occhi e seppe di essere guarito. Le ferite avevano smesso di sanguinare e si stavano rimarginando.
Si lasciò sfuggire un ululato di soddisfazione e incontrò lo sguardo dell'uomo che lo aveva curato.
Aneurin lo osservò perplesso, inarcando un sopracciglio.
- Lo prenderò come un grazie ... – disse - ora, se non vi è di troppo disturbo, potrei sapere il vostro nome ? -
Per tutta risposta Sandor si raddrizzò sul lettino e ringhiò sommessamente.
Aneurin strinse il suo fedele bastone con forza. "Ma che modi sono ?! Prima mi supplica di aiutarlo e poi mi ringhia addosso ..." Per niente attratto dall'idea di attaccar briga con il licantropo, l'alchimista rispose nella maniera più pacifica possibile.
- La mia era solo una domanda buon uomo ... - aggiunse a mo’ di scusa, con tono da vero aristocratico.
Il lupo mannaro sbuffò tra le labbra. La sua natura animale sentiva il richiamo dell'alba. Un debole chiarore cominciava a filtrare tra le imposte. Vedeva l'uomo in piedi, accanto al lettino e ne poteva fiutare la paura; ma ne sentva anche la fierezza e la dignità. Non era una preda; non ancora, almeno.
- Belluso. - brontolò con la sua voce latrante - Mi chiamo Sandor Belluso. -
Aneurin guardò il lupo con cipiglio soddisfatto. "Ora cominciamo a ragionare !"
- Il mio nome è Aneurin Radcliff. - disse, gonfiando il petto con orgoglio - E non fare quella faccia. Sono abituato ad aver a che fare con i licantropi ... - lo sguardo dell'alchimista si fece cupo. Senza degnarsi della reazione di Sandor, si affacciò alla finestra, immerso nei suoi pensieri.
La mente di Sandor andava schiarendosi. Un uomo abituato ai licantropi? Che voltava loro le spalle? Il lupo avrebbe punito subito una simile affermazione, se l'alba non fosse stata così vicina.
Chiazze di pelo andavano sparendo. Gli artigli si stavano ritirando. Le zanne si trasformavano in denti.
Il lupo stava tornando uomo.
Sandor si contrasse nel solito dolore della trasformazione. Battè più volte il pugno sul lettino per non gridare. E, alla fine, riemerse nella sua natura umana.
- Dimmi un po'... ce l'hai un vestito? - chiese.
Aneurin ebbe l'impressione che gli occhi gli uscissero fuori dalle orbite. "Che mi prenda un colpo ... !" pensò basito, mentre cercava di nascondere l'espressione traumatizzata. Si schiarì la voce un paio di volte, visibilmente imbarazzato.
- T-torno subito. - balbettò con una vocina stridula, sforzandosi di mantenere un certo contegno. Si sistemò meglio gli occhiali e si avviò a passo svelto verso un piccolo armadio a muro.
Quando tornò a portargli i vestiti, la sua espressione era tornata seria; lo osservava indifferente, con le braccia tese a porgergli le sue nuove vesti.
- Perdonate la mia reazione. Tendo a distrarmi facilmente ... - guardò verso la finestra. Non si era nemmeno accorto che stava sorgendo l'alba.
Sandor prese i vestiti e lo guardò, lo guardò davvero. Era proprio un bel ragazzo: esile, capelli lunghi, bellissimi occhi. Elegante. Il suo tipo, insomma.
- Voltati. - disse. E subito spiegò:
- Devo rivestirmi, no? -
Aneurin incrociò le braccia, tenendole strette al petto.
- Prego ... - sospirò mentre tornava alla sua amata finestra, a rimirare il sole che si alzava placido verso il cielo.
Sandor fece alla svelta. Trovò perfino un panno e dell'acqua per ripulirsi del sangue. Gli abiti gli andavano stretti, ma erano di ottima fattura. C'era perfino un panciotto azzurro che si intonava mirabilmente con i suoi occhi. Sistemò con perizia il ricciolo ribelle sulla fronte. Gli dispiaceva non avere uno specchio. Ma, prima di tutto, c'era qualcosa d'importante da fare.
Con passo felpato, si portò dietro l'alchimista e gli mise le mani sulle spalle. Pericolosamente vicine alla gola.
- Tu lo sai che non devi parlare, vero? - gli sussurrò nell'orecchio - Lo sai che cosa ti succede se lo dici a qualcuno? -
Quel tipo aveva davvero una bella faccia tosta. Certo, Aneurin non si era mai distinto per la sua forza fisica, ma questa sua pecca era compensata dalla sua rapidità e velocità di reazione. Quando Sandor gli aveva posato le mani pericolosamente vicino al collo, la lama d'argento nascosta nel suo bastone finemente intarsiato, era già pronta a scattare.
"Quante volte avranno cercato di farmi la pelle questi lupastri ... ?" pensò ironico.
- Davvero un bel modo per ringraziare chi vi ha appena salvato la vita. Ma ditemi, signore, di quale segreto state parlando ? - chiese, pronto a reagire al minimo passo falso.
Sandor lo guardò, spiazzato. Quell’uomo aveva paura, lo sentiva, ma non era una preda facile. Questo avrebbe aumentato il fascino della conquista; ma, per ora, l’istinto gli disse di cambiare tattica.
- Che cosa credete, signore - disse, passando involontariamente dal confidenziale "tu" al "voi" più formale, proprio della sua forma umana, così come aveva fatto Aneurin - che cosa mi succederebbe se si sapesse quello che mi accade nelle notti della luna piena? Non credete che devo proteggere il mio segreto come chiunque, al mio posto, lo proteggerebbe? Ma non voglio minacciarvi. – fece ricadere le mani - Voi mi avete salvato, signore. - aggiunse - E io non sono un ingrato. -
Aneurin rinfoderò la spada.
- Se è questo ciò che vi preoccupa, non avete da temere. Manterrò il segreto. - i suoi occhi si fecero due fessure, mentre pensava alla fanciulla che aveva giurato di liberare da un’oscura maledizione che la legava alla sua forma di lupo: "Proprio come con lei ... " pensò.
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Lorenzo Ferretti
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MessaggioInviato: Gio Mag 26, 2011 9:40 pm Rispondi citandoTorna in cima

Stavano correndo da una buona mezz'ora ormai, Alexandre in testa, seguito da Lorenz che teneva per il braccio la donna misteriosa, e poi Shane in coda. Intorno erano solo spari e urla confuse di uomini che uccidevano altri uomini. Le pallottole fischiavano sopra le teste dei componenti del gruppetto in fuga e le granate esplodevano a poca distanza da loro. Le vie che percorrevano si susseguivano tutte uguali, e Shane perse il conto di quanti angoli avevano ormai girato. Si trovavano in una zona poco attiva dal punto di vista bellico, pertanto erano poche le persone in giro per strada, se si escludevano alcuni popolani terrorizzati e in fuga. Fu in una via laterale che incontrarono un nuovo ostacolo: l'ennesimo in quella notte sfortunata. Una pattuglia di soldati francesi avanzava lungo il vicolo, pochi uomini, circa mezza dozzina di uomini: probabilmente si stavano dirigendo verso l'Hotel de Ville per dare manforte ai propri compagni. Rimasero di sasso almeno quanto i fuggitivi, quando li videro avanzare nella loro direzione. Ci fu un attimo di esitazione. Lungo come un battito di ciglia.
- Fuoco, soldati, sparare!!- ordinò il capopattuglia in francese.
Passò solamente un attimo fra l’ordine e la sua esecuzione: l'attimo necessario ai soldati per prendere la mira e fare fuoco. Quell'attimo fu sufficiente ai fuggitivi per trovare riparo all’interno di un ampio portico, ed evitare così la scarica mortale.
I colpi dei fucili, infatti, si infransero contro il muro.
-Ricaricate!- ordinò il capopattuglia.
Fu allora che Alexandre uscì dall’improvvisato rifugio, con due pistole. Cariche.
Aprì il fuoco, abbattendo due soldati.
Dietro al marinaio seguiva Shane con la pistola di Lorenz, troppo impegnato con la donna per poter sparare di persona.
"Non è difficile, prendi la mira e fai fuoco" gli aveva detto. Shane eseguì l'ordine alla perfezione: alzò il braccio, chiuse un occhio prendendo la mira, trasse un profondo respiro e...fuoco. Tutto perfetto, da manuale. Peccato che non avesse tenuto conto del rinculo dell'arma.
Lo avvertì come una leggera scossa lungo il braccio, fino alla spalla. Niente di eccessivamente fastidioso, se non fosse stato per il fatto che non se lo aspettava. Gli fece tremare il braccio, quel quanto che bastò a deviare la linea di fuoco. Chiuse gli occhi istintivamente. Quando li riaprì Alexandre si stava accasciando al suolo, cadendo in avanti a causa del violento colpo dovuto alla perforazione della pallottola. Shane notò la macchia rossa dietro la schiena del suo compare.
-Cretino! Hai sparato a Pizzetto!!!- strillò inorridito Murphy.
Per un attimo, il ragazzo sperò che non fosse vero...vedeva come se tutto fosse stato un sogno, al rallentatore...ma era tutto tragicamente vero... aveva sparato ad Alexandre.
La pistola gli scivolò di mano, e Shane si lasciò cadere in ginocchio, incapace di reagire.

Juno girò il viso per tre quarti, studiando la guancia di Lorenz fino a risalire ad incrociare il suo sguardo sconvolto.
- Che fai, mi lasci andare ora? - gli chiese con sufficienza. La presa si fece più lenta e l'uomo accorse verso il compagno ferito: lei si fece in avanti. Quanti uomini restavano? Li contò a mente...cinque. Stavano mirando nella sua direzione, tutti i fucili puntati e carichi.
Immediatamente, un urlo sembrò fendere l’aria del vicolo.
- Schattenschwartz! - E subito dopo Juno scaraventò in aria il pellicciotto bianco che di solito era abbarbicato attorno al suo collo.
Fu come se i soldati fossero sotto ipnosi: tutti i fucili mirarono in alto seguendo quel manto di neve che srotolava fino a mostrare la sagoma distinta di una volpe. Ma Juno si era già spostata alle loro spalle, agile come un gatto. Due coltelli si conficcarono nelle schiene dei soldati più vicini: questi, gemendo, fecero voltare gli altri. Alla donna bastò piegarsi e i due soldati che si erano voltati per primi si spararono a vicenda.
L'ultimo rimasto avrebbe avuto abbastanza tempo per spararle e ci sarebbe riuscito se Schattenswantz non gli fosse piombato addosso. Caduto a terra, l'ultima cosa che vide furono le labbra rosse di Juno che s'allargavano in un anestetizzante sorriso mentre gli faceva dono della morte. A quel punto riprese in braccio il piccolo animale e, pulite le lame sulla giubba del soldato morto, iniziò a correre lungo il vicolo. Era quasi riuscita ad allontanarsi del tutto, e sentiva già il sapore della libertà, quando il suono di un cane che veniva abbassato la fece fermare.
- Non muoverti- le intimò una voce pericolosamente vicina.
Lorenz teneva saldamente la pistola puntata su Juno. A quella distanza non l'avrebbe di certo mancata, anche con la sua mira tutt'altro che eccellente.
- Non muoverti- scandì lui in un sibilo irato.- Ora voltati lentamente, e non fare cose...stupide- continuò poi, senza distogliere lo sguardo dalla donna.
Si avvicinò lentamente, senza abbassare l'arma: quando fu a circa un metro e mezzo da lei, si fermò di nuovo. Juno restò di spalle, sospirando. Lasciò che l'uomo le si avvicinasse ancora un po’.
- Perché, ti risulta che io abbia mai fatto cose stupide prima d'ora? Guarda con che gente sei finito... Sei proprio caduto in basso, Sir... - e si arrese alla sua mano violenta quanto salda.
- Ora, non fare scherzi, o ti faccio un quarto buco...ma in mezzo agli occhi- disse poi glaciale, agguantandola per il braccio destro. Lei non oppose resistenza, e lo seguì senza far trasparire alcuna emozione dal volto, limitandosi a scrollare le spalle con indifferenza.
- Shane, razza di un irlandese idiota, renditi utile!- latrò Lorenz in direzione del ragazzo che stava ancora a terra in stato confusionale.- Fai lavorare un po' quelle spalle e caricati addosso Alexandre! Io devo trascinare questa qui- disse indicando Juno con un cenno della testa.- Sei riuscito a fare un casino, spera solo che Alexander sopravviva alla tua scarsa mira...- concluse poi, passandogli accanto e seguendo la via che avevano imboccato prima dello scontro.
-Sentito, Shane? Ehi... Shaaane!!!!!!!!!! C'è qualcuno in quella testa bacata!?
Non ottenendo risposta il piccolo folletto verde raggiunse l'orecchio del suo ospite.
-SHAAAANEE!!!!!!!!!!!!-
Il ragazzo sobbalzò all'urlo che gli veniva portato tanto gentilmente fino a dentro l'orecchio.
- Cosa...cosa è successo?- chiese domandò confuso il giovane, guardando Murphy.
-Allora, ricapitoliamo, hai sparato a Pizzetto e il Becchino è arrabbiato, vuoi fare qualcosa adesso? Per esempio, alzarti e seguire il Becchino e la sua amichetta?- disse il folletto, grondando sarcasmo.
Shane annuì. Si alzò lentamente sulle gambe tremanti e si diresse verso Alexandre. Si abbassò e sollevò il compagno ferito fino a caricarselo in spalla, rimettendosi poi in piedi.
Si incamminò dietro Lorenz e la donna, cercando di tenere il passo. Alexandre era più pesante di quello che credeva...
Camminarono per un altro tratto ancora: dopo essere passati sotto ad una serie di archi, ora si trovavano in una grande piazza, occupata sui quattro lati da tanti caseggiati tutti uguali, disposti a formare una parete continua. Da quello che Shane riusciva a vedere, al centro della piazza era presente un giardino, dominato da una statua equestre. Non aveva idea di che piazza si trattasse, e neanche gli ne importava.
Continuò a seguire Lorenz e la donna misteriosa finché, dopo essere usciti dalla piazza e svoltato lungo altre due viuzze, non scesero alcuni scalini, al termine dei quali si ritrovarono in una sorta di vicolo semi-nascosto, tutto all'ombra. Lorenz evidentemente sapeva dove andare, e si diresse senza pensarci verso una porta di legno sulla sinistra, distante dall'inizio del vicolo qualche decina di metri. Bussò con mano pesante, e il legno gemette sotto il pugno chiuso dell'uomo.

Nemmeno il tempo di scrollarsi di dosso il licantropo, e Aneurin sentì di nuovo bussare alla porta. "Ancora visite ? Spero non siano altri lupi..." pensò sconsolato. Ignorando la figura al suo fianco, puntò verso la porta col bastone stretto fra le mani. La porticina di legno consunto emise un debole cigolio quando si aprì.
Lo spettacolo che si parò di fronte all'alchimista lo fece rimanere di sasso. "Oggi tutte a me devono capitare ? Tutto ciò che volevo era una nottata tranquilla... "
- D'accordo ... - esclamò con una punta di sarcasmo - Cosa desiderano, lorsignori?
- Desidero che ci facciate entrare, vossignoria - rispose Lorenz, pronunciando sarcasticamente l'ultimo appellativo.- Il mio amico qui ha un buco grosso come una casa, gradiremmo che ce lo ricuciste per benino, magari utilizzando uno dei vostri magnifici filtri- parlava in modo brusco, e anche abbastanza scortese, ma in quel frangente aveva davvero altro a cui pensare, che a parlare con rispetto a qualcuno.
Accortosi però che l'uomo sulla soglia lo fissava in modo decisamente seccato, riformulò la richiesta.
- Vorremmo entrare per favore, il nostro amico sta male...- aveva abbassato i toni.

Sandor fece un passo indietro e si appoggiò al muro, mentre gli uomini entravano nella bottega dell’alchimista. Non si aspettava di rivedere così presto gli uomini cha aveva appena lasciato in un quartiere molto lontano. Non si sentiva tranquillo. Odiava l'idea che qualcuno potesse anche solo sospettare la sua vera natura. Lorenz, soprattutto, ma anche il marinaio dall'aria vissuta potevano subodorare qualcosa nella sua sparizione e ricomparsa in abiti diversi. Purtroppo non c'era modo di evitare l'incontro.
Infilò le mani nelle tasche.
- Che cosa è successo al marinaio? - domandò, a mo' di saluto.
Juno fece ciò che era abituata a fare: sdrammatizzare stendendo un velo pietoso sulle situazioni accidentali.
Come avrebbe detto un qualsiasi cattivo della situazione, se ne uscì con un- È inciampato – puntando gli occhi dritti su Sandor.- Voi, invece, chi siete? Se non erro vi ho già visto da qualche parte... forse proprio questa notte- aggiunse.
Sandor si appoggiò al muro con tutto il suo peso, come per cercare di sprofondarci dentro, e accennò con una mano alla branda che aveva appena lasciato.
- Mettetelo là - disse, accennando al marinaio.
Shane percorse la distanza che lo separava dalla branda, sforzandosi di ignorare il folletto che gli faceva notare con quanto piacere l'avrebbe preso a calci nel sedere se solo fosse stato più alto. Raggiunse il giaciglio e vi distese sopra il marinaio. Rimase immobile per qualche istante, dopodiché barcollò per qualche passo all'indietro e si portò le mani nei capelli. Chiuse gli occhi e prese fiato.
-Dove posso... sciacquarmi?
Pronunciò queste parole fissando un imprecisato punto del pavimento.

Aneurin vide la piccola combriccola riversarsi nella sua dimora senza alcun ritegno, ignorandolo completamente. Fu tentato più volte di rispondere a tono ad alcuni commenti, ma decise di lasciar correre: l'uomo sdraiato sul lettino non aveva una bella cera. Le domande era meglio lasciarle ad un altro momento. Lanciò una veloce occhiata verso lo strano ragazzo che lo aveva interpellato: sembrava sconvolto.
- Laggiù... - indicò in direzione di una porta mezza sgangherata. Dopodiché, rivolse le sue attenzioni al ferito. Gli si avvicinò e lo osservò attentamente. "Ferita da arma da fuoco... "
Fece un respiro profondo, sollevando un lembo di camicia dalla ferita.
- Niente pozioni magiche, bisogna estrarre il proiettile... - esclamò ironico.
Tornò verso la sua scrivania e trafficò nei cassetti. " Ma dov'è... ?" pensò irritato. Cercò con più attenzione, ma niente... dopo qualche secondo, si rivolse con fare sconfitto verso i suoi ospiti inattesi.
- Qualcuno ha un coltello o qualcos’altro di affilato?
Senza dire una parola Sandor sfilò dalla tasca di Alexandre un pugnale e glielo porse.
Lorenz, nel frattempo, aveva lasciato andare Juno, sicuro del fatto che non sarebbe andata lontano. E anche se avesse provato a fuggire, di certo non gli lo avrebbe permesso.
- Fai anche soltanto finta di scappare e ti faccio il già menzionato quarto buco- le sibilò in modo che solo lei potesse sentire. Lei non rispose, mantenendo uno sdegnoso silenzio, e andandosi a sedere su uno sgabello in un angolo.
Si mise quindi ad osservare la stanza: era arredata spartanamente, solamente lo stretto necessario per sopravvivere. Un letto, una cassapanca, un baule e tutta la strumentazione necessaria per eseguire esperimenti chimici. Passò poi ad osservare le persone che si assiepavano nel piccolo spazio: Alexander era disteso sul letto, e il giovane medico stava occupandosi di lui. Shane era andato a darsi una sciacquata, mentre Sandor era tornato ad appoggiarsi alla parete fissando assorto il ragazzo con gli occhiali. Juno invece si era messa nell’angolo e lo fissava dalla sedia sulla quale era seduta. Si dimenava come se quest’ultima fosse cosparsa di aghi, e pareva incapace di rimanere ferma. Quando Lorenz la guardò, i suoi occhi sembravano dire “quando ce ne andiamo?”.
- Fatto!!!- esultò Aneurin quando ebbe estratto il proiettile dal corpo di Alexandre. Dopo questa operazione, pulì per bene la ferita, e la bendò, non prima però di avervi spalmato sopra una specie di unguento.- Quello di cui ha bisogno ovviamente, è il riposo. Per almeno ventiquattro ore, dopodiché la guarigione dipenderà dal suo fisico.
Tutti annuirono, eccetto Juno che rimase indifferente.
In quell'attimo di silenzio in cui tutti si sentirono avvolti da una pesante coltre di stanchezza e smarrimento, Lorenz venne attratto da un leggerissimo ticchettio di lancette di sottofondo. Mosse lo sguardo in lungo e in largo per la stanza in cerca dell'orologio, ed infine lo vide. Un banalissimo orologio di legno, puntava oltre le sei. Quella dolce melodia lo incantò a tal punto da indurlo in un mondo a parte: le nebbie della mente si fecero più fitte e il pavimento della stanza cambiò aspetto. Tutta la camera tramutò di colpo e si trasformò in un sontuoso salone.



Era giorno, il sole era alto nel cielo e i suoi raggi penetravano dalle grandi vetrate che occupavano l'intera facciata ad ovest. Più avanti era appeso il dipinto di una schiera di uomini in lunga divisa nera, dalle facce truci, e armate di libri e altri strani oggetti. Qualcuno entrò dalla porta alle sue spalle e il suo cammino venne accompagnato dal rimbombo di tacchi sul marmo immacolato.
- Ah, Lorenz, eccoti finalmente - disse Augustin. Un uomo che non superava i quaranta, in sovrappeso e con un pesante accento scozzese. Gli erano rimasti pochi capelli e quelli che lottavano per restare erano stati amorevolmente spazzolati all'indietro cadendo in una leggerissima coda infiocchettata.
Augustin. Il Gran Priore della setta delle Libere Arti, un uomo potente. Era l’unico che non lo guardasse con disprezzo all’interno della congrega, e l’unico con il quale aveva stretto amicizia. Oddio, amicizia forse era troppo, ma sicuramente si rispettavano a vicenda.
- Salve, Augustin - rispose Lorenz in tono cordiale.- Vedo che te la passi abbastanza bene - continuò poi ammiccando verso la pancia un po' abbondante dell'uomo, sorridendo nel contempo.- Ma, dimmi, come mai mi trovo qui?- gli chiese poi.
Odiava i convenevoli, e di solito preferiva che gli si dicesse in anticipo lo scopo di qualsiasi cosa richiedesse la sua presenza. Per quella volta aveva fatto un'eccezione, ma solo perché si trattava del buon Augustin in persona.
L'uomo sorrise all'arguta osservazione del giovane, dandosi una pacca sul ventre e ridacchiando, ma la sua allegria durò poco: quasi immediatamente, emise un sospiro rassegnato. Prese a passeggiare mirando i quadri e i marmi della stanza.
- Caro ragazzo, i tempi stanno cambiando... Non c'è bisogno di consultare un aeromante per sapere che l'elettricità che c'è ora nell'aria non è naturale. Presto piomberemo in qualcosa di più grande di noi, e dobbiamo essere pronti a tutto se non vogliamo rischiare di finire risucchiati in questo vortice.
Si fermò lasciando il tempo a Lorenz di domandarsi di cosa stesse parlando e ponderare bene le parole successive.
- Lorenz, ti ricordi il giorno che ci siamo conosciuti? Quando ti avvicinai all'università...-continuò poi.- Eri un giovane portentoso, di talento... E' per questa ragione che ti proposi di entrare nelle Libere Arti, rammenti? Non c'è ragione di negarti che in pochi dei nostri allievi eguagliano le tue capacità- fece un'altra pausa, deglutendo come se in quel momento stesse mandando giù un rospo difficile da digerire. - E' per questa ragione che ho deciso di proporti un incarico un po' diverso dai nostri standard...
Lorenz lo guardò incuriosito. La cosa si faceva interessante.
- Ahimè, siamo in guerra. Ci sono già stati periodi bui in passato, ma credo che presto saremo costretti ad uscire allo scoperto e a scendere in battaglia contro coloro che non vedono di buon occhio i nostri studi sull'occulto. Io e gli altri del consiglio abbiamo scelto una serie di candidati per creare un’elite d'assalto, per informarci sulle tattiche che useranno i nostri nemici e quanti uomini e armi hanno a disposizione. Spie, insomma, ma non solo... Abbiamo saputo che alcuni maghi che davamo per dispersi durante i loro viaggi sono caduti in ostaggio.
- Mi fate un grande onore, Augustin - lo interruppe Lorenz, chinando leggermente il capo a mo' di ringraziamento.- Ma vorrei sapere chi sono gli altri componenti della squadra, prima di accettare. Non che non mi fidi di voi, sia chiaro, è solo che preferisco sapere con chi ho a che fare prima di una qualsiasi missione. Inoltre, vorrei sapere chi sarà a capo di questa spedizione- chiese in conclusione.
Era interessato, ma non voleva darlo a vedere. Voleva ancora lasciare sulle spine il suo interlocutore. Non immaginava che si sarebbero rivolti proprio a lui, perché sapeva di non essere tenuto in grande considerazione dagli altri Priori.
- E ci sarà anche un compenso suppongo...- chiese ancora, in tono casuale.
Augustine rimase interdetto alle richieste del ragazzo. Lasciò un sorriso a metà e poi gli rispose annuendo.
- Ma certo, ma certo... - a passo svelto andò ad aprire le porte di una camera adiacente, sulla cui soglia erano in attesa tre persone.- Ti presento Doucher, Kad Fynnigam e Madame Königin.
Per primi si fecero avanti i due uomini: uno indossava un pastrano color cenere e l'altro, chiaramente un uomo di umili origini, indossava abiti di seconda mano sui quali erano ancora visibili le sovra cuciture per rimodellare il vestito.
Ma ciò che colpì subito gli occhi di Lorenz fu la donna. Un elegante tweed rosso scarlatto seguiva sopra ad un paio di pantaloni neri a sbuffo. Ai piedi calzava degli zoccoletti dai quali sbucava il ricamo di pizzo delle calze. Il ragazzo risalì con lo sguardo, per soffermarsi sul viso, candido come la neve e mascherato dalla sottile retina del cappello piumato.
Dopo essersi tolta il bizzarro copricapo, la donna si sfilò il guanto destro di velluto, regalando al contempo un sorriso ai presenti.
- Lieta di conoscerla, Sir Lorenz - gli disse, sempre sorridendo, ed avvicinandosi affinché solo lui potesse sentirla, aggiunse con sguardo canzonatorio,- sono sicura che la ricompensa sarà di suo gradimento!
L’intento dietro a quella affermazione era sicuramente quello di farlo sentire in imbarazzo di fronte ai presenti, ma Lorenz non stette a badare al fatto che Madame Königin lo avesse sentito anche con la porta chiusa e che Augustin si fosse offeso. Le reazioni erano quasi sempre quelle quando chiedeva soldi in cambio di un lavoro. Era o non era il Lanzichenecco dopotutto? Era sempre un mercenario in fondo...l'avevano attirato nella setta con i soldi, e soldi avrebbe chiesto ad ogni “favore”. E poi, i soldi non c’entravano nulla con i sentimenti che lo legavano al Priore: si trattava di affari e basta.
Ma questo ora non era importante, si disse, e rivolse l'attenzione ai suoi nuovi compagni. Gli sembrarono dei tipi apposto, senza alcun particolare che spiccasse con evidenza. Come delle perfette spie, appunto: perlomeno per quanto riguardava i due uomini. La donna invece, Madame Königin, era decisamente appariscente: certo, per lei non avrebbe fatto alcuna differenza, visto che era vestita da nobildonna, anche se un po' eccentrica in effetti. Doveva possedere qualche arte magica decisamente fuori dal comune, per essere entrata a far parte di questo gruppo.
- Ben trovati - li salutò tutti Lorenz con un cenno della testa e tenendo le mani incrociate dietro alla schiena. Non sapeva cos’altro aggiungere al momento, perciò continuò ad osservare le tre persone che gli stavano innanzi.
Augustin decise di prendere la parola a quel punto.
- Mi chiedevi del comando, prima...- esordì.- Ebbene, loro hanno acconsentito alla mia decisione: sarai tu il capo! Non a caso Doucher parla poco l'inglese e Madame Königin è nuova del posto. Kad conosce bene le strade ma è... piuttosto timido... - disse Augustin facendo arrossire il ragazzo - Preferisco che sia tu a guidarli, mi fido di te e sopratutto non si correranno troppi rischi. - L'uomo offrì il braccio alla lady che, fatto un passetto in avanti, s'inchinò in modo signorile. - Madame Konigin sarà i vostri occhi e le vostre orecchie, Kad vi guarderà le spalle e Doucher... beh - guardò il russo dall'alto in basso, conoscendo la sua vera natura. - Con Doucher non c'è il rischio di rimanerci secchi! -
Ciò detto li portò ad un tavolo in pregiato legno d’ebano, che si trovava dall’altra parte della sala, e sul quale erano sparse diverse cartine. Alcune di queste erano ancora conservate nelle custodie. Dopo averla estratta dal fodero in pelle ne srotolò una e mise dei segnalini colorati in punti precisi della cartina.
- Qui siamo noi, mentre qui- disse indicando un punto,- secondo i nostri informatori, dovrebbe trovarsi Alfred. Non è sicuro alloggiare nelle osterie, perciò dormirete in case "sicure" - indicò i luoghi con due segnalini rossi. - Ma non temete, vi verrà dato del denaro per provvedere alle spese di base e per far fronte agli eventuali imprevisti. Domani mattina vi attenderà una carrozza e passerò a darvi le ultime direttive per il viaggio.
- E le armi? - incalzò Doucher. La sua voce era potente ed incuteva un certo timore.
- Le troverete nelle case. Viaggerete leggeri, per non dare nell'occhio-rispose Augustine.
- Sappiamo nulla sui nemici? - chiese Kad, corrugando lievemente la fronte.
L'uomo rispose immediatamente.
- Sono stati individuati tre gruppi: uno è sempre di guardia, gli altri due pattugliano la città e non è da escludere che ci siano delle sentinelle lungo il percorso.
Detto questo, le domande cessarono, e vi furono cinque secondi buoni di silenzio, prima che Madame Königin decidesse di parlare.
- Bene, direi che per il momento possiamo anche dormici sopra...- esordì in tono allegro, regalando ai presenti uno dei suoi sorrisi splendenti.- Chi vuole seguirmi per una amichevole partita di cricket? Il campo da gioco è il miglior posto dove conoscersi...- Proferì inaspettatamente la dama tirando fuori da chissà dove una mazza da cricket. Augustine rise di cuore, dando una pacca sulla spalla a Lorenz.
- Avete pienamente ragione, Madame, basta discutere: domani vi aspetta un lungo viaggio ed è meglio distendere i nervi prima di un impegno importante come il vostro. Madame, prego, fate strada.
Detto questo, tutti i presenti seguirono la nobildonna verso l’esterno, Lorenz in coda: aveva la sensazione che il prossimo lavoro sarebbe stato assai diverso del solito.

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MessaggioInviato: Lun Giu 13, 2011 10:09 pm Rispondi citandoTorna in cima

Juno stava scoppiando. Odiava tutto di quella casa, e soprattutto odiava l'idea di non potersene andare. Doveva fare qualcosa però, doveva prendersi l'attenzione dei presenti. S'alzò di punto in bianco, andando verso l'alchimista. A braccia conserte prima e con un inchino poi, si presentò.
- Deduco che voi siate il padron di casa. Ebbene, siccome rappresento me medesima e nessun altro in questo gruppo di bifolchi senza educazione, ho il dovere di presentarmi. Mi chiamo Biancaluna Resta. E questo … - aggiunse tirando fuori dalla borsa un volatile morto - … è un presente per voi. Del resto, lo sanno tutti che il pollo è salutare per i malati. -
Pose nelle mani di Aneurin il piccione fornendogli anche un coltellaccio, anche se non era ben chiaro da dove l'avesse tirato fuori. L’alchimista squadrò il pennuto con sdegno, serrando il pugno sul manico del coltello in un fugace tentativo di sfogare la sua irritazione: quegli strani tizi non si erano ancora degnati di spiegargli cosa stesse succedendo, e ora quella strana donna dalla parrucca bianca pretendeva la sua attenzione? Le rivolse un’occhiata indifferente, posando il pollo sul tavolo dove fino a poche ore prima c’erano le sue preziose ampolle, e lo decapitò con un gesto deciso, dettato più dalla frustrazione che dal desiderio di cucinarlo. La donna continuò a parlare, passeggiando nella stanza.
- Immagino che voi conosciate già la mia fama: sono un'espertissima strega caccia malocchio, caccia fantasmi. All'occorrenza, caccio anche i topi... -
Vigilò con lo sguardo il dottore mentre riempiva d'acqua un calderone e cercava di decifrare tra le etichette delle ampolle quali fossero le spezie e quali gli antidoti ai veleni. “Invece no, non la conosco …” pensò l’uomo fra sé e sé. Cucinare quel volatile sarebbe stata un’ottima distrazione alle divagazioni della bizzarra signora.
Siccome il silenzio dell'uomo cominciava ad irritarla, e nessuno pareva badare ai suoi vaneggiamenti, riprese a parlare, con una punta di sdegno.
- Sapreste indicarmi un posto dove potermi rinfrescare e rifarmi il trucco? -
Aneurin si voltò nella sua direzione, rivolgendole uno sguardo torvo.
- Di là … - disse, indicandole una scrivania fornita di specchio girevole vicino alla finestra. Juno si incamminò come se stesse intraprendendo una marcia forzata. Fece strisciare di prepotenza la sedia sul pavimento, urtando le orecchie dei presenti, e sedette, studiandosi il viso. Poi si tolse la parrucca poggiandola sul mobile e, presa una spazzola dalla borsa, iniziò a dare potenti strigliate ai suoi capelli argentei e lucenti.


Lorenz alzò gli occhi al cielo. Biancaluna Resta? Come diavolo le era venuto in mente? Non ne poteva già più di quella donna. In fondo alla sua mente, qualcosa gli diceva che aveva sbagliato, decidendo di portarla con loro invece di ucciderla. Cercando di ignorare la giovane donna che aveva intrapreso un'opera di tolettatura completa, si rivolse ad Aneurin.
- Quanto credi che ci metterà a riprendersi? - chiese, facendo un cenno in direzione di Alexandre.
L’alchimista rispose nella maniera più cortese possibile; il ragazzo che aveva di fronte gli sembrava la persona più ragionevole del gruppo, e non intendeva inimicarselo.
- Dipende dal suo fisico, principalmente. Più riposerà, meglio sarà. L’unguento eviterà che la ferita si infetti. -
Lorenz annuì, pensieroso. Sarebbero dovuti rimanere lì per un po', questo era sicuro. Dopo aver riflettuto alcuni istanti, si girò verso Shane.
- Tutto bene, ragazzo? - gli chiese preoccupato, vedendolo un po' pallido.
Shane annuì senza convinzione e senza incrociare lo sguardo del suo interlocutore. Adesso che iniziava a scemare la tensione che fino a quel momento l'aveva sostenuto, iniziava a realizzare cosa fosse successo: le idee e gli avvenimenti che fino a qual momento erano stati solo una matassa confusa andavano gradualmente sbrogliandosi. Si appoggiò ad un muro e si tirò i capelli all'indietro, esausto.
Murphy non aveva smesso per un istante di parlare, e di ricordargli quanto fosse stato idiota, e per tutto il tempo aveva continuato a ripetergli queste cose all’orecchio, esasperandolo con il suo cicaleccio.
"D’accordo, basta, ho capito ... ho capito ... vuoi stare zitto ...?” stava pensando.
- STA ZITTO, ACCIDENTI!! - non riuscì proprio a trattenersi dal gridare queste ultime parole. Il grido era rivolto, secondo quanto videro i presenti, in direzione di un punto imprecisato che si trovava alla sua destra.
Per un istante tutti gli occhi furono sull’irlandese. Shane sorrise imbarazzato.
- Credo ... credo di dover bere qualcosa. - disse, cercando di sviare l'attenzione da ciò che aveva appena fatto. “Almeno Murphy sta zitto ...” pensò.
Aneurin, senza proferir parola, andò verso un armadietto, lo aprì e prese una bottiglia di assenzio. Versò un po' del liquore in un bicchierino e lo porse a Shane, che lo afferrò e lo ingollò come se fosse stato whisky liscio. Nessuno commentò.


Sandor si era seduto per terra in un angolo e rifletteva. Davanti a lui la donna si occupava della sua bellezza, l’alchimista del ferito. Ma l’ungherese li guardava senza vederli davvero. Il frutto delle sue riflessioni venne fuori all’improvviso, quando Sandor sbottò tra i denti: - Voglio ammazzarlo, quel bastardo! -
Non ricordava affatto di aver pronunciato una frase molto simile all’inizio della serata, prima di lanciarsi di nuovo nelle fogne di Parigi, alla caccia dei soldati.
Alzò gli occhi e incontrò lo sguardo dell’uomo vestito con la palandrana scura, quello che lui aveva deciso essere il leader del gruppo.
- So chi è il traditore … e voglio trovarlo. -
- Come scusa? - chiese Lorenz sorpreso, voltandosi verso di lui. - E come faresti a saperlo, sentiamo? - continuò poi, con tono sospettoso.
Un tempo, forse, gli avrebbe creduto immediatamente, in quanto membro del gruppo. Già da tempo, però, aveva deciso di essere prudente quando gli venivano consegnate delle informazioni.
Sandor esitò, non sapendo bene cosa rispondere. Non poteva confessare quello che era successo davvero nel cunicolo sotterraneo. Rifletté a lungo, scegliendo con cura il modo per esternare le informazioni che aveva raccattato.
Poi, improvvisamente, si illuminò, tornando a guardare Lorenz.
- C'era un soldato ferito, nelle fogne. Mi ha detto che il traditore ha parlato con un certo colonnello Lafitte. -
Lorenz rifletté un istante in silenzio, soppesando con cura l’informazione.
- Se troviamo Lafitte, troviamo il traditore … - continuò Sandor. Guardò bene in faccia Lorenz e aggiunse, torvo. - … e lo ammazziamo. -
- Non ammazziamo nessuno ... almeno per il momento. - lo ammonì Lorenz.
- Però hai ragione, dobbiamo trovarlo. Pertanto dovremo cominciare le nostre indagini da Lafitte. Se riuscissimo ad avvicinarlo, scopriremmo di certo qualcosa. Però dovremo fare attenzione: il minimo errore comprometterebbe le indagini. Quindi non faremo nulla di eclatante, faremo il nostro lavoro. E per quanto riguarda il traditore, bah ... Credo che prima che tu lo ammazzi, dovremmo come minimo interrogarlo, non ti pare? Sarebbe quanto mai inappropriato se delle informazioni di una certa utilità andassero perse. - continuò, fissando in modo significativo l’ungherese.
Sandor si alzò in piedi. Gli abiti di Aneurin gli stavano stretti ed erano leggermente scomodi.
- Allora vado. - disse, dirigendosi verso la porta.
- Dove vai Sandor? - chiese Lorenz guardandolo allontanarsi. - E sopratutto, a fare cosa? -
Sandor si fermò nel bel mezzo dello slancio.
- A cercare Lafitte. - disse in tono di ovvietà. - Troverò di certo qualcuno che sa dov'è! -
- E tu credi davvero di poter uscire in strada così? Come se niente fosse? - Lorenz parlò carico di ironia.
- Nel caso tu non te ne sia accorto, siamo ricercati Sandor! E non appena metteremo il naso fuori di qui, ci trasformeranno in un colabrodo non appena ci vedranno! E poi a chi vorresti chiedere? Ai passanti? O magari ai soldati? -
Sandor lo guardò spiazzato.
- Colabrodo? - chiese. Lorenz alzò gli occhi al cielo.
- Cos'è che non capisci, Belluso? Non sai cosa sia un colabrodo, oppure ti sfugge il significato retorico della parola? - domandò sarcasticamente.
- Ci spareranno a vista … e se sarai da solo, dubito che avrai qualche chance. Certo, non so come tu abbia fatto nel cunicolo … ma anche se usassi gli stessi trucchi di qualche ora fa, non credo che ti salverebbero. -
- Ah! E' meglio che non esco? - chiese Sandor. Fece per rimettersi a sedere, poi ci ripensò.
- No che non esci, testone! O vuoi farti ammazzare? - esclamò un po' spazientito Lorenz, incrociando le braccia sul petto.
- Allora, come lo troviamo Lafitte? - chiese ancora Sandor.
- Non lo so ... l'ideale sarebbe trovare qualcuno che ci possa indirizzare a lui. Ma dubito che uno di noi possa darci questo tipo di informazioni. - concluse poi, guardando le altre persone presenti nella stanza.
Nessuno di loro sembrava in grado di migliorare la loro situazione: Alexandre era ferito, Aneurin non sembrava essere in possesso di informazioni di quel genere, Shane ispezionava con lo sguardo il suo bicchiere vuoto e Juno stava continuando con la sua personale crociata per ridiventare bella.
- Allora vado io. - disse Sandor, avviandosi con decisione verso l’uscita della stanza.
A quel punto, Lorenz scattò in direzione dell'ungherese, che stava già abbassando la maniglia della porta. Prima che Sandor potesse anche solo pensare di tirare la porta per aprirla, Lorenz lo afferrò saldamente per un spalla e lo tirò indietro.
- Sei duro d'orecchi o cosa? - gli domandò con voce glaciale. - Vuoi farci accoppare tutti? -
- Ehi! - replicò il mannaro. Ma non pareva irritato. Mise la mano su quella di Lorenz e gli diede un colpetto amichevole.
- Qui nessuno vuol litigare, bello! - disse.
- Ma come facciamo a trovare Lafitte? Lo chiediamo a un fantasma? - la sua mano si appoggiò definitivamente, calda e amichevole, su quella di Lorenz.
Con un gesto di evidente fastidio, Lorenz allontanò la mano di Sandor dalla sua, e lo fissò come fulminato da un'idea.
- Un fantasma hai detto? - chiese all'ungherese, come se non avesse potuto credere al fatto che quelle parole fossero uscite dalla bocca di Sandor. Sandor lasciò ricadere la mano con evidente dispiacere.
- Beh ... sì, ho detto un fantasma. - rispose. - Che cosa c'è di strano? - chiese poi, un po' a disagio.
- Si, un fantasma ... - rispose Lorenz, pensieroso.
L'idea stava prendendo forma.


L'uomo guardò Shane che stava ancora seduto in disparte.
- Ehi, irlandese, vieni un po' qui. - lo chiamò.
Shane trasalì nel sentirsi chiamare così all'improvviso: aveva smesso di seguire il discorso quando Murphy aveva iniziato a blaterare commenti poco carini (ma dannatamente divertenti) su quelli che erano diventati i suoi compagni d’avventura. Si guardò istintivamente intorno, alla ricerca di altri irlandesi: il Becchino non sembrava averlo particolarmente in simpatia, preferiva non doverci avere a che fare di persona.
- Oddio Shane, sei l'unico irlandese in questa stanza, certo che ce l'ha con te! - Shane si portò la mano alla spalla scacciandone il folletto, dopodiché si alzò e si avvicinò ai due che stavano parlando.
- Che c'è? - chiese nervosamente.
- Non sei tu quello in grado di parlare con i morti? - chiese Lorenz a bruciapelo.
- Oh, questa è bella, come accidenti fa a saperlo? - ridacchiò Murphy.
- Come accidenti fai a saperlo?- domandò Shane.
- Mi piace informarmi sulle persone con cui lavoro. - rispose Lorenz con un sorrisetto. - Ma non hai da temere ... la tua arte potrebbe risolvere un bel problema. - lo rassicurò.
- Ehi, non vale! Io non mi sono informato su nessu … - interruppe la frase, notando il folletto che scuoteva la testa la testa, come a dirgli che quella non era la risposta esatta.
- Volevo dire ... come può la mia capacità esserti d'aiuto? -
- Saresti in grado di contattare un fantasma per noi? - gli chiese Lorenz. - Potresti farti dire come trovare Lafitte? Non so, magari contatti dei parenti morti, la madre … chi ti pare. Voglio solo sapere se lo potresti fare. -
"Accidenti, è una buona idea, e io che mi aspettavo di dover contattare sua zia per questioni di eredità..." Shane si portò la mano alla bocca, accarezzandosi il mento come faceva quando si concentrava.
- Si, posso ... posso farlo. Ma dovrei sapere dove trovarli. - guardò il Becchino in attesa di un'altra trovata geniale.
Sandor lo guardò meravigliato. - Al cimitero … I morti si trovano al cimitero. -
- Il cimitero, è generico come luogo ... - Shane ripensò al cimitero che gestiva zio Liam: era abbastanza vasto, e una grande città come Parigi ne avrebbe certamente avuto uno immenso, forse addirittura più di uno.
- Dove sono di preciso? Avrà una cappella di famiglia, no? -
- Beh, dipende … - rispose Lorenz prontamente. - Se è abbastanza ricco potrebbe averla. Ma non conosco lo stipendio medio di un colonnello in questo paese, quindi non saprei ... temo che dovrai andare per tentativi. - continuò pensoso, incrociando le braccia sul petto. Se il ragazzo ce l'avesse fatta senza combinare pasticci, avrebbero avuto una possibilità di trovare Lafitte.
- Père Lachaise. - intervenne Sandor all'improvviso. - Dobbiamo andare al cimitero di Père Lachaise. - Aveva parlato con grande sicurezza.
- Va bene. - disse Shane. - Sai indicarmi come arrivarci? -
- Ti mostro la strada. - esclamò deciso Sandor. Shane valutò la proposta: Ricciolino gli sembrava un tipo apposto, e inoltre era riuscito a sopravvivere in quel tunnel pieno di guardie ... Forse era proprio l'uomo che faceva al caso suo. Inoltre era arrivato a casa di Stecchetto molto prima di loro, quindi doveva conoscere bene la città.
- D'accordo. Quando partiamo? - chiese prontamente.
Lorenz stava pensando. Mandare quei due da soli, sarebbe stato come mandare un bambino a scazzottarsi con un adulto. Ma mandarli insieme, forse li avrebbe aiutati a frenarsi a vicenda. Comunque, volle togliersi una curiosità.
- Perché proprio Père Lachaise? - chiese. - Perché non Montmartre, o il Bagneux, a questo punto? -
- Perché è a Père Lachaise. - dichiarò Sandor, con assoluta sicurezza.
Lorenz non era per niente soddisfatto della risposta, ma decise di fidarsi per una volta. Dopotutto, erano pur sempre suoi compagni di squadra, qualcosa gli doveva.
- Va bene allora, Belluso. - disse rivolto all'ungherese. - Andrete questa notte. Il buio vi coprirà, e darete meno nell'occhio. Soltanto, aguzzate le orecchie per sentire in tempo se si avvicinano i francesi. - decise, guardandoli entrambi con attenzione.
Shane annuì, con sicurezza. Le uscite di notte in territorio nemico non erano per lui esperienze nuove. L'aveva fatto decine di volte in Irlanda, quando Aodhàn decideva che i giovinastri del paese affianco gli avevano rotto le scatole: andavano ad acchiapparli per spiegar loro, alla vecchia maniera, chi comandava. Non erano quasi mai stati scoperti, e quando era capitato, Aodhàn era sempre riuscito a risolvere tutto. Gli sarebbe bastato comportarsi allo stesso modo perché tutto andasse bene, ne era sicuro.
- Stanotte va bene. - decise, dirigendosi con Sandor verso la porta.

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MessaggioInviato: Lun Giu 20, 2011 1:35 am Rispondi citandoTorna in cima

La notte era calata su Parigi ormai da qualche ora, ma la gente continuava a riversarsi nelle piazze e nelle vie. Gli scontri a fuoco si susseguivano in rapida sequenza.
L'unica oasi tranquilla in tutto quel caos sembrava essere il cimitero di Pére Lachaise, dove due figure si muovevano nel buio. La più alta faceva strada, muovendosi con decisione tra le lapidi, l'altra la seguiva guardandosi intorno come in cerca di qualcosa.
-Sei sicuro che sia qui? Io non vedo niente... -
Sandor annuì con sicurezza e continuò a camminare, schivando lapidi e monumenti funerari. Erano partiti un paio d'ore prima dalla casa dell'alchimista, dopo aver mangiato e riposato qualche ora. Al risveglio avevano trovato già la prima sorpresa: Lorenz e la strana donna che si tirava dietro erano spariti. Aneurin aveva detto che erano usciti di casa poco dopo l'alba, e che da allora non avevano ancora fatto ritorno. Questo aveva un po' spiazzato Shane, ma alla fine avevano deciso di uscire lo stesso. Ora, dopo aver percorso diversi vicoli decisamente meno affollati delle strade principali, erano giunti al cimitero. Avevano dovuto più volte cambiare strada per non incrociare i gendarmi francesi, o per evitarli, quando si trovavano di pattuglia sulla strada che i due avevano deciso di seguire. Ci avevano messo un po’, ma erano arrivati.
Entrare invece non era stato difficile: il guardiano doveva averli scambiati per rivoltosi ed era scappato al primo rumore che avevano fatto. Scavalcare l'alto cancello era stato altrettanto semplice. Quello che adesso sembrava complicato era trovare la cappella.
Sandor camminava tra le tombe senza nessun turbamento. Non sentiva soffi d'aria, né lo spirito della morte che aleggiava intorno a loro. La sua unica preoccupazione era quella di trovare informazioni su Lafitte.
Aveva scelto il cimitero di Pére Lachaise a casaccio, perché era l'unico che conosceva, e siccome da allora non aveva sentito parlare di altri cimiteri a Parigi, non dubitava di trovarsi nel posto giusto.
Quello che lo lasciava perplesso era la sua vastità: era stato aperto meno di venticinque anni prima e già le tombe si susseguivano a vista d'occhio.
- Dimmi un po' - disse, rivolgendosi all'irlandese che lo seguiva da presso - hai idea di dove dovremmo andare? -
- No! - rispose Shane, con una naturalezza sconcertante. I due si guardarono per qualche secondo in attesa di qualche rivelazione che risolvesse loro la situazione. Naturalmente non successe niente.
Murphy rise e gracchiò qualcosa riguardo due idioti che si perdevano in un cimitero. Shane lo cacciò con un gesto palesemente innaturale.
- D'accordo... – disse. Si guardò intorno, alla ricerca di qualcuno a cui chiedere informazioni, poi fece qualche passo verso una vecchia lapide
- Salve signore. - esordì in un pessimo francese, rivolgendosi al vecchietto che si trovava poco distante.
- MALEDETTI GIOVINASTRI! Dovete smetterla di far casino!! Qui c'è gente che vuole riposare!! – sbraitò il vecchio fantasma e gli lanciò contro un bastone. Shane schivò il colpo: non gli avrebbe fatto niente, ma era meglio non contraddire i fantasmi.
- Avete ragione. - gli rivolse un sorriso tremendamente falso - il fatto è che... – si interruppe, non sapendo come continuare la frase. Guardò verso Sandor in cerca di un suggerimento.
Sandor sentì un brivido scorrergli lungo la schiena.
- Ehi! - disse - Ma a chi stai parlando? -
"Accidenti" pensò Shane. Si girò in cerca di Murphy, che lo guardò e gli disse:
- Che vecchio antipatico! - e fece una linguaccia all'indirizzo del fantasma.
- Ehm... avete visto mia sorella? – improvvisò il giovane, realizzando, stesso mentre lo diceva, di aver scelto la scusa più sgamata. Ma ormai la frittata era fatta.
Il vecchio lo guardò infastidito e non rispose. Shane continuò a insistere
- E’... piccola... rossa di capelli… con le lentiggini... -
- Cretino, tutte le bambine sono così! -
- Zitto, Murphy, qui non siamo in Irlanda! -
- Stava andando verso la cappella di mia zia... – continuò, rivolto al fantasma - Adesso sarà sola e spaventata... -
- Sei melodrammatico, Shane! -
- Zitto! -
- Mia zia si chiama Lafitte, sapreste dirmi dove trovarla? -
Il vecchio lo guardò carico di disprezzo e di fastidio e gli indicò una viuzza con fare indifferente.
- Laggiù. E adesso andatevene. E, PER LA MISERIA, NON FATE CASINO! -
- D'accordo, grazie! -
Shane fece segno a Sandor e si avviò di corsa lungo il sentiero, mentre Murphy ancora lanciava imprecazioni all'indirizzo del "vecchio fantasma svitato”. Ne abbozzò persino una brillante imitazione, di fronte alla quale il giovane trattenne a stento una risata.
Sandor seguì Shane mentre si allontanava dalla strada principale.
Aveva capito che il ragazzo aveva chiesto informazioni a un fantasma e in un primo momento ne era rimasto impressionato, ma, subito dopo, aveva sentito una scarica di fucileria oltre il muro del cimitero, e la sua immaginazione si era spostata dai morti ai vivi.
- Ehi, non così in fretta! - disse, allungando il passo.
Quel ragazzo irlandese si muoveva tra le tombe come se non avesse mai fatto altro nella vita.
Sandor ebbe un moto incondizionato d'ammirazione nei suoi confronti.
- Niente male, ragazzo. - bofonchiò - Ci sai proprio fare. -
Ed era proprio un bel ragazzo. Proprio il suo tipo: allegro, rosso di capelli, amichevole. Guance rosse, un ragazzo in buona salute.
Allungò la falcata, lo raggiunse, gli si affiancò.
L'idea che il cimitero fosse un luogo poco adatto ad un approccio non lo sfiorò neppure.
- Ma lo sai che sei proprio un bel ragazzo? - chiese.
- Davvero? – Shane rispose con un leggero imbarazzo - ... era un po' che non sentivo queste parole... –
Circa tredici anni, per la precisione, quando i parenti di qualche defunto lo incrociavano nel cimitero di zio Liam.
- Non ci posso credere. - replicò Sandor - Un bel ragazzo come te... -
E gli circondò le spalle con un braccio amichevole.
Shane interpretò tale gesto come il fatto che Sandor avesse trovato ciò che cercavano. Si fermò di scatto e lo guardò.
- L'hai vista? -
- Vista cosa? - replicò Sandor, interdetto.
- Vista... la cappella! -
Sandor si guardò intorno meravigliato.
- Quale cappella? - chiese - Non vedo cappelle qui… Ah… - aggiunse, fissando un angolo del cimitero - Quella? -
C'era, in effetti una cappella di nuova costruzione, in fondo al vialetto: un orrore in stile tempio greco, tutta luccicante di marmi.
Shane guardò dove gli veniva indicato. Si sforzò di leggere il nome inciso nel marmo.
- Laf... Laft... -
- Quella è una “I”, Shane. La “I” di “ignorante”! La “T” è quella dopo... – suggerì Murphy.
- La...fi...tte... Lafitte! LAFITTE!- si girò esultante verso Sandor.
- L'abbiamo trovata!! Avanti, andiamo! - percorse in fretta i pochi metri che li separavano dalla meta e si fermò ad esaminare il cancello di ferro che ne sbarrava l'ingresso. Era incassato nell'arco della porta, decisamente non era possibile scavalcarlo. Era chiuso con una vecchia serratura arrugginita, che probabilmente non veniva aperta da parecchio tempo. Guardò Sandor: era parecchio più alto di lui, e indiscutibilmente in forze. Gli sorrise con l’aria innocente di un ragazzino che progetta una marachella.
- Allora, che dici? Riusciamo a forzarla?-
L’ungherese esaminò a sua volta la serratura.
- Vuoi che sfondi la porta? - chiese.
- Sfondare è una parola grossa... preferirei che fossi più delicato in una situazione del genere... - Shane lo guardò dritto negli occhi, mentre avanzava quella richiesta, poi tornò a guardare la serratura - E’ vecchia e arrugginita, è inutile sprecarci tante energie... -
- Se è di forza che hai bisogno, ragazzo, - replicò Sandor - ti sei rivolto all'uomo giusto! -
Con un calcio fece saltare la serratura. Il cancello di ferro battuto si spalancò cigolando.
Sandor mollò una pacca sul sedere di Shane.
- Vai avanti, ragazzo! Io ti seguo! - disse.
Shane sobbalzò: quella non se l'aspettava. Si portò istintivamente una mano al sedere e si voltò verso Sandor, in cerca di una spiegazione per quel gesto così inconsueto, ma vedendolo tanto tanquillo suppose che si trattasse di un'antica usanza del continente. Meglio non fare domande, o l'avrebbe offeso, pensò. Gli bastava essersi inimicato il Becchino ed aver sparato a Pizzetto, non aveva bisogno di combinare altri casini.
Accennò un sorriso insicuro, non sapendo bene come rispondere.
- Un’usanza del mio paese. - spiegò Sandor.
"Perfetto, una volta tanto ne indovino una!" pensò Shane, sollevato dalla spiegazione ricevuta.
- Ok... grazie. - sorrise soddisfatto prima di addentrarsi nella cappella.
Gli bastò una rapida occhiata per confermare quello che aveva immaginato: la cappella era abbandonata. Il pavimento era pieno di terriccio e non vi erano fiori. Tutta la cappella era sporca e non curata da anni.
Si guardò in giro alla ricerca degli abitanti.
Anche Sandor si fece avanti, cercando di adattare gli occhi all'oscurità.
Polvere, abbandono, niente lumi. Il posto non gli piaceva per niente, ma almeno lì si sentiva protetto dal richiamo della luna.
Il suo piede incontrò qualcosa che cadde con fracasso: un vaso da fiori in ceramica, vuoto da anni. Il vaso si rovesciò e andò in pezzi. Sandor imprecò in ungherese e andò a sbattere contro un catafalco.
Dall'angolo opposto si alzò improvvisamente un polverone e le tavole che coprivano le finestre rotte furono divelte.
Le piastrelle, già logorate dal tempo, saltarono per aria nell'area di circa due metri quadrati, e un'altra nube si alzò, ma non di polvere. Una figura spettrale e leggermente luminescente prese forma di fronte ai due sconcertati visitatori, tossicchiante e sputacchiante.
- Per mille tappi di spumante saltati a Capodanno, chi diavolo è?- domandò indignato il fantasma.
Le braccia magre si protesero verso il cielo, e le orbite vuote del teschio fissarono l'irlandese. Il resto del corpo era ugualmente cencioso: abiti stracciati, ossa sporgenti e brandelli di pelle secca come pergamena che pendeva. Il colore era grigio luminescente.
Shane face d'istinto qualche passo indietro. Quel... "coso" lo inquietava parecchio: i fantasmi che vedeva di solito erano messi meglio, erano più... "freschi". Per giunta questo sembrava parecchio incavolato!
Si girò verso Sandor.
- Non toccare niente, o finirà con l’arrabbiarsi... -
Tornò a guardare davanti a sé, prese fiato. Quel fantasma era brutto forte.
- Buonasera... -
Sandor indietreggiò e finì contro il catafalco che aveva colpito in precedenza. C'era qualcosa che non andava, in quella cappella polverosa: il pavimento era saltato via, e adesso Shane si metteva a parlare da solo.
- Buonasera a chi? - domandò allarmato.
- Il fantasma! - Shane parlava a bassa voce, per non essere sentito dal padrone di casa - Si trova lì dove sono saltate le piastrelle e, per mille leprecauni ubriachi, è orrendo!... - tornò a guardare il fantasma. Adesso veniva la parte difficile: farlo parlare.
- Buonasera. - ripeté, con voce più sicura.
- Buonasera un corno, dico io!! Per mille diavoli, non si può neanche dormire in pace!!!- ululò indignato il fantasma. - Chi diavolo sei, infima creatura viva decerebrata, insolente e brutta? Come osi disturbare il mio riposo? Dimmelo, o ti sgranocchierò le ossa fino alla fine dei tempi!- continuò sullo stesso tono. - E di’ al tuo amico di smetterla di fissarmi o gli mordo il naso!! -
- Ehi, aspetta... che hai detto?? -
Shane aveva capito a stento metà di quello che il fantasma aveva urlato, ma dal tono ne aveva intuito i contenuti.
- Intanto non puoi mordere il naso del mio amico, perché lui non ti vede, e poi se davvero vuoi metterti a litigare allora VIENI, e ti faccio vedere io come si risolvono le cose tra uomini! -
Si colpì il palmo della mano col pugno chiuso.
- Chi vuole mordermi il naso? - gridò Sandor, cercando di indietreggiare ulteriormente.
Non ci riuscì, ma riuscì a spostare il coperchio del sarcofago adagiato sul catafalco.
- Prova ad avvicinarti e ti faccio nero! - disse rivolto all'aria, in un punto che distava dal fantasma almeno mezzo metro.
- Senti, se ti dico che mordo quel demente del tuo amico, lo faccio. - rispose il fantasma a Shane, lanciando un'occhiataccia a Sandor. - E poi, un ceffone è un ceffone: se non ti sveglia, almeno ti rende più bello!!!- continuò poi, gracchiando. Guardò verso il sarcofago. - Ehi, quella è dello zio Jorik, se me la rovini ti ammazzo!! A proposito, sapete quante zollette di zucchero ci vogliono per arrivare fino alla luna?- sragionò poi.
- Vuoi davvero metterti nei guai... - Shane rivolse uno sguardo truce al fantasma. - Perfetto: sarai accontentato! -
Si tolse la camicia con fare stizzato, e la lanciò a Sandor.
- Tienimela, mentre insegno a questo signore le buone maniere. -
Si mise in guardia.
- Avanti, su! Risolviamo questa faccenda da uomini! -
Il fantasma se ne uscì con una risata sguaiata, battendosi la mano scheletrica su quella che, un tempo lontano, era stata la sua pancia. Poi, di colpo, si fece serissimo e scrutò Shane con le vuote orbite, sollevando al contempo l'indice ossuto.
- Non ti azzardare nemmeno- sibilò. Spalancò di colpo la mascella e urlò in direzione di Shane, facendolo schiantare contro una panca che si trovava dietro di lui.
- Potrei vaporizzarti se soltanto ne avessi voglia, omuncolo... cosa cerchi in questi sacri lidi?- gli sibilò contro, serio.
Sandor udì la risata e vide Shane cadere contro la panca. Comprese che c'era una rissa in corso, ma non sapeva come intervenire. Sapeva però che doveva proteggere Shane. Si fece avanti, afferrò l'irlandese per la collottola, come un gatto, e lo tirò su; quindi tirò un paio di pugni all'aria, in direzione del fantasma.
- Lascia stare il mio amico, lurido fantasma attaccabrighe! - ruggì.
- Tu non puoi affrontarlo! Fatti da parte! – si agitò Shane, frapponendosi tra i due.
- E tu, - aggiunse rivolto al fantasma - QUESTO lo chiami combattere da uomini?? Affrontami di persona, basta trucchetti! - il tono di voce tradiva il sangue che gli stava salendo alla testa.
Per tutta risposta, la testa di Sandor schizzò di lato, accompagnata dal rumore di un impatto sulla pelle. L’ungherese cadde a terra, stordito. Poi il fantasma si diresse verso Shane, fermandosi a circa un metro e mezzo di distanza.
- Prego, irlandese, fatti avanti. - lo esortò sarcastico. - Sono secoli che non mi diverto! - accompagnò la seconda frase con una sghignazzata perfida.
Shane annuì soddisfatto. Fissò il suo avversario, fece lentamente qualche passo in avanti fino a raggiungerlo. Si mise in guardia, prendendosi tutto il tempo necessario: colpire un fantasma non era un'impresa facile.
Quando si sentì pronto partì con un colpo semplice: un pugno rivolto al viso. Fin troppo semplice: infatti era una finta.
Il fantasma vide il pugno che partiva in direzione del suo teschio, ma questo l'aveva previsto. Dio, erano secoli che non faceva a pugni con qualcuno! Era irlandese anche lui, perciò aveva il gusto delle scazzottate. Senza indugi, si spostò sul lato esterno rispetto al braccio teso del ragazzo, e mirò un pugno ossuto verso la sua mandibola.
Shane l'aveva previsto, più o meno. Aveva previsto, cioè, una reazione, ma non da quel lato. Spostò leggermente la testa, e portò la mano sinistra dall'altro lato, nel tentativo di parare il colpo: una mossa non proprio da manuale. Riuscì a parare il pugno ma non a contenerne la forza, e si trovò la sua stessa mano a colpirgli la mandibola.
“Ok, questa è andata…” adesso doveva reagire, e in fretta: appena quello iniziò a ritirare il braccio partì col destro, ancora teso per la finta di poc'anzi, con un colpo portato verso l'esterno e mirato all'altezza del volto. Lo accompagnò ruotando il busto, per imprimerci più forza. Il fantasma era fuori guardia per il colpo che gli aveva appena sferrato, difficilmente sarebbe riuscito a schivarlo.
Il ragazzo infatti gli prese in pieno la mascella e gli fece cadere la testa, che ruzzolò per terra finendo sotto una cassapanca mezza sfasciata...
- Dannazione!!!- imprecò il vecchio. - Che palle essere un fantasma! Ehi ragazzo, mi arrendo...potresti dire al mio corpo che sono qui però? - lo scontro era finito.
Il teschio era a terra che ridacchiava, mentre il resto del corpo camminava su e giù per la cappella, incespicando nei rottami che si trovavano sulla sua strada.
- Che bello, che bello!!! Da tempo non mi divertivo così!!!- esclamò ancora il teschio. - Ehi, idiota, sono qua! Segui la mia voce, segui...oh, no...- inveì contro il suo corpo che cadeva a terra proprio mentre formulava la richiesta. Shane fece qualche passo e raccolse la testa. Le diede qualche colpetto per ripulirla dalla polvere e la porse al resto del corpo.
- Ehm... questa è... tua. -
- Grazie, ragazzo!- disse il teschio mentre il resto del corpo lo afferrava e se lo avvitava sulle spalle
- Adesso ci vorrebbe dell'ottimo whiskey irlandese, ma purtroppo questi francesi sanno fare solo vini... puah! Comunque, visto che non ci sono pub nelle vicinanze, dimmi cosa posso fare per sdebitarmi di questa bellissima scazzottata! - disse il fantasma, somministrando a Shane una pacca sulla schiena.
Shane si irrigidì: la schiena gli faceva ancora male da quando era stato scaraventato nella panca, ma fece finta di niente, per buona educazione. Si voltò un attimo alla ricerca di Sandor.
Vide che si era trascinato quasi sotto il catafalco e aveva seguito la scena con gli occhi sbarrati; o meglio, la parte della scena che aveva potuto vedere. Non sembrava essersi fatto male. Shane tirò un sospirò di sollievo. Si rivolse nuovamente al fantasma:
- Beh… in verità… io e il mio amico siamo qui da poco e… saremmo alla ricerca di un impiego. Ho sentito dire che in questo periodo servono molti soldati, e avevamo pensato di arruolarci, ma purtroppo è più complicato di quello che sembrava… Non abbiamo credenziali e se nessuno garantisce per noi sarà impossibile entrare nell'esercito... -
Lasciò cadere la frase, sperando che il vecchio la continuasse per lui.
- Ah, allora conosco qualcuno che potrebbe fare al caso vostro!!- esclamò il fantasma. - Ho svariati parenti nella milizia francese, ma il più alto in grado è il colonnello Lafitte. Di giorno lo trovate in caserma, ma abita in Rue des Petite Champs, e se volete potete fare domanda direttamente a lui. Se poi gli date questo anello di famiglia vi farà passare sicuramente! -
Shane allungò la mano e prese l'anello. Era un vecchio cimelio di famiglia. Lo guardò a lungo, mentre un pensiero si faceva strada nella sua testa: “lui si sta fidando di te, e tu cosa hai intenzione di fare al suo parente?”
Cosa doveva fare? L'anello gli serviva, serviva al gruppo. E serviva anche trovare Lafitte, se volevano andare avanti.
Di certo quel vecchio non poteva sapere l'uso che sarebbe stato fatto, né di quell' anello che ora gli stava consegnando con tanta fiducia, né delle informazioni che gli aveva appena dato.
"Basta esitazioni, sii uomo."
Strinse le dita intorno al piccolo oggetto che gli veniva porto.
- Grazie... non lo dimenticherò... - sorrise, nonostante dentro si sentisse peggio di un verme.
"Sii uomo, Shane!"
- Mi chiamo Shane, Shane O' Cuinn, di Galway. Ho fatto una stupidaggine e sono stato cacciato dal mio paese, ma conto di tornarci, un giorno. Potrebbe non sembrarlo, ma sono un uomo che paga i suoi debiti: qualora decidessi di venirli a riscuotere, metti una voce in giro, e io mi farò trovare. Parola d'uomo. -
Prese una pausa, per ritrovare fiato e coraggio.
- Credimi, mi dispiace tantissimo... -
Sorrise di nuovo, con una vena di amarezza stavolta.
- Beh… sai come trovarmi... addio.. -
Il fantasma ascoltò le parole del ragazzo, probabilmente non capì l’allusione. Accennò un saluto e tornò nel suo sepolcro.
Shane invece si diresse verso Sandor, ancora a terra in stato di semi-incoscienza.
- Ehi... mi senti? -
- Chessuccede? - farfugliò Sandor cercando di aprire gli occhi. - Dov'è il fantasma? -
- ... andato via. È tornato nella sua tomba… Tu stai bene? Ce la fai ad alzarti? -
- Sto bene. - Sandor si aggrappò al catafalco, cercando di tirarsi su.
Si puntellò con i piedi a terra e si alzò di colpo. Non fu una buona idea: colpì il catafalco con la spalla e perse l'equilibrio. Si aggrappò sull'orlo del sarcofago.
Shane allungò fulmineo il braccio, cercando di offrirgli un sostegno, ma neanche questa fu una buona idea: Sandor lo afferrò e gli fece perdere a sua volta l'equilibrio. Finirono entrambi sul sarcofago.
Il braccio del mannaro si serrò, protettivo, intorno al corpo del compagno. Il pesante coperchio, che Sandor aveva già spostato in precedenza finì fuori asse.
L'ungherese lo afferrò, per evitare di farlo cadere, e, involontariamente, gli diede la spinta finale: il coperchio precipitò per terra. Il rumore fu sufficiente a svegliare i morti di tutto il cimitero.
- Maledizione! - borbottò il mannaro, continuando a tenere stretto l'irlandese - Il coperchio è caduto! -
- Per la miseria! Abbiamo un genio tra noi! Graaaazie Ricciolino, se non ce l'avessi detto non ce ne saremmo mai accorti!- gracchiò Murphy all'indirizzo di Sandor.
Stavolta Shane non lo scacciò. Era stranamente a disagio, in quel momento. Talmente a disagio che non si accorse nemmeno di trovarsi in una posizione che non si addiceva a due uomini adulti.
Sentiva una strana sensazione, come qualcosa non fosse al suo posto in quel momento, qualcosa che lo schiacciava con la sua presenza, un peso contro lo stomaco che gli impediva di respirare.
Decisamente qualcosa non andava bene in quel momento, ma non riusciva a capire cosa.
- Ehi, Sandor... - esordì, sbagliando in un colpo solo sia l'accento che la pronuncia - mettiamo a posto questa roba e andiamocene. -
Sandor serrò la stretta e gli diede un paio di colpetti d'incoraggiamento sulla spalla.
- Bel botto, eh? - chiese.
Shane piantò le mani contro il petto del mannaro e fece per divincolarsi, riuscendo a mettere una decina di centimetri di distanza tra se e l’altro. Il turbamento non migliorava.
- Dobbiamo andarcene. – tagliò corto - ... sistemiamo quel...-
Fu solo allora che lo vide: si stava alzando minaccioso, uscendo dal posto in cui era stato accuratamente rinchiuso. Shane lo contemplò inorridito: grande e maestoso, solenne e minaccioso allo stesso tempo.
Occhi rossi, zanne sporgenti: un vampiro.
Si sollevò dal sarcofago lentamente, ignorando Shane e si avvicinò pericolosamente al collo di Sandor: il mannaro gli dava le spalle e rappresentava un bersaglio più facile.
Shane voleva avvisarlo, voleva dirgli di spostarsi, ma il suo corpo reagì più in fretta: afferrò il mannaro per i lembi della giacca e lo tirò verso di sé.
- Sì! Così mi piace! - disse Sandor abbracciandolo con ardore - Un ragazzo passionale! - gli serrò ulteriormente la presa attorno alla vita, dando il colpo di grazia al suo già precario equilibrio: ormai completamente sbilanciato, Shane cadde all'indietro finendo con la schiena per terra, trascinando con se nella caduta anche Sandor, che gli cadde steso addosso.
- Che ragazzaccio! - esclamò il mannaro, deliziato.
Il vampiro finì di levarsi e uscì dal sarcofago, avvicinandosi alle due figure stese a terra.
Shane afferrò Sandor per il colletto della camicia e cercò di spingerlo via, allentando così il nodo della cravatta di raso.
- Non puoi proprio aspettare, eh? - chiese il mannaro. - D'accordo, bello. Adesso ti accontento! -
- MALEDIZIONE, SPOSTATI!!!! - finalmente a Shane era tornata la voce.
- Uhm! Hai qualche idea? - domandò Sandor, sempre più interessato, mentre il Vampiro gli appoggiava le mani sulle spalle e preparava i canini, pronto a colpire.
Shane gli mise il braccio intorno al collo, cercando di difenderlo dal morso che stava per arrivare. L'ungherese rise.
- Hai mani dappertutto! - osservò divertito.
Lentamente, sul suo viso si dipinse un'espressione perplessa.
- Ma quante mani hai? - chiese.
- DUE! – gli urlò Shane, più d'istinto che non ragionandoci.
- Allora perché ne hai quattro? -
- PERCHÈ NON SONO MIE!-
Il cervello di Sandor si mise a lavorare febbrilmente.
Il Vampiro gli diede una mano: si inginocchiò e gli avvicinò la bocca al collo , scostando con decisione il braccio di Shane. Sandor realizzò all'improvviso che c'era qualcosa che non tornava in tutta la situazione, e per Sandor capire e agire erano due entità difficili da separare. Si scostò da Shane quel tanto che bastava per girarsi e sferrare un diretto molto deciso dietro di sè.
Colpì il Vampiro proprio in mezzo agli occhi. Poi si liberò dell'irlandese e in un attimo fu in piedi.
- Un Vampiro! - esclamò.
- Certo che è un vampiro! Ma che ti passa per la testa?? – Shane realizzò in ritardo che non era il momento adatto per fare domande. Si affiancò a Sandor e si mise in posizione di guardia, preparandosi a rispondere ad un assalto. Si aspettava un aiuto da parte dell’ungherese; invece Sandor si ritirò in un angolo, rannicchiandosi su se stesso.
Il vampiro nel frattempo si alzò nuovamente in piedi, preparandosi a sferrare un nuovo attacco. Studiò la situazione, poi all'improvviso balzò verso l'irlandese, con una velocità tale che Shane riuscì a stento a reagire: si spostò di lato e riuscì ad evitarlo per un pelo.
Quel vampiro era un avversario ben più temibile di quelli che aveva affrontato fin'ora. Non gli diede neanche il tempo di rimettersi in guardia e lo attaccò nuovamente, provando a colpirlo al volto con le lunghe unghie.
Shane parò il colpo con la mano appena un istante prima che le dita adunche del vampiro gli si conficcassero nell'occhio. Lo colpì con un calcio nell'addome, riuscendo a scrollarselo di dosso per un attimo.
"No, così non va bene.." pensò. Il vampiro conduceva lo scontro, mentre egli non era riuscito a portare avanti un singolo attacco.
Guardò l’avversario: sembrava ancora sbilanciato dal calcio ricevuto poco prima.
"Ora o mai più.." Shane partì all'attacco, provando a colpire il volto del vampiro con un pugno. Se non fosse stato tanto spaventato avrebbe evitato una mossa tanto stupida: il vampiro riuscì a ritrovare in fretta l'equilibrio e a deviare il colpo del ragazzo; inoltre ne approfittò per afferrargli la spalla e gettarlo in terra. Shane fece per alzarsi, ma il vampiro rapido lo afferrò per i polsi, immobilizzandolo e costringendolo a terra, pregustando la cena.
Come tutti i Vampiri era veloce e maledettamente forte. Quello che non si aspettava, però era un attacco alle spalle.
E soprattutto non si aspettava un attacco da parte di un lupo mannaro.
Sandor lo assalì, cercando di azzannarlo alla gola. Il Vampiro lasciò andare i polsi del ragazzo irlandese e si voltò per fronteggiare l'uomo-lupo.
Shane si tirò indietro, addossandosi al muro mentre i due esseri soprannaturali lottavano ferocemente tra loro.
- Scappa, ragazzo! - esclamò Sandor con la sua voce latrante.
Per tutta risposta Shane si portò le mani ai capelli, con la classica aria stravolta di chi si trova in mezzo a qualcosa di più grande di lui. Aveva capito di non poter intervenire, ma non sarebbe scappato.
- Ma che accidenti sta succedendo...? - disse a bassa voce a se stesso, con aria avvilita e spaventata.
Sandor si spostò in modo da mettersi tra la porta della cappella e il Vampiro.
- Scappa! - ripetè. E, siccome Shane non si muoveva, lo afferrò per un braccio e lo scaraventò in direzione della porta.
- Idiota di un irlandese, ce ne andiamo e lo chiudiamo qui dentro, capito? - gridò il mannaro.
Sandor uomo era un ragazzo alto e ben piantato; ma Sandor lupo aveva la forza degli esseri soprannaturali.
Letteralmente proiettato fuori della porta, Shane non riuscì a fare altro che ad assecondare il movimento. Rotolò fuori della cappella e il lupo lo seguì, tirandosi la porta alle spalle.
- Tienila ferma! - disse.
Shane ubbidì all'istante: Si gettò contro la porta e fece del suo meglio per tenerla chiusa. Il vampiro dall'altro lato si agitava e scalpitava provando a morderlo, ma la testa non riusciva a passare attraverso le sbarre del cancello.
Sandor afferrò una pesante lapide di marmo che adornava una tomba poco distante e la divelse con un colpo solo. Se la mise sotto il braccio come se fosse stata un bastone da passeggio e la trasportò in fretta fino alla porta della cappella.
- Spostati! - latrò, rivolto a Shane.
Shane abbandonò il cancello di scatto, appena in tempo per evitare che la grossa pietra gli schiacciasse i piedi.
La porta sobbalzò con violenza, sotto gli urti del vampiro, ma resistette.
Shane fece qualche passo all’indietro e cadde a sedere per terra. Rivolse uno sguardo stravolto alla creatura che l’aveva salvato. Ci mise un po’, ma alla fine capì che si trattava dell’ungherese. Non fece in tempo a stupirsene: Sandor fece un mezzo giro della cappella e ritornò dopo pochi secondi, di nuovo in forma umana.
E di ottimo umore.
- Magnifico, ragazzo! Proprio un buon lavoro! –
Si sfregò le mani, compiaciuto.
- Una nottata fantastica! Mi sono proprio divertito! –
Shane si alzò di scatto e fece qualche passo verso il mannaro. Non sembrava spaventato, quanto più stupito. Lo scrutò più volte da capo a piedi, con aria esterrefatta. Ne aveva già visti altri due, in Irlanda, ma questo li batteva su tutta la linea: era molto più grosso, tanto per cominciare, e poi non lo aveva aggredito, anzi, era stato stranamente gentile con lui…
- È… è… fenomenale…– esclamò con fare assente. – Fenomenale! – ripeté, stavolta guardandolo dritto negli occhi. In realtà Sandor era anche il primo licantropo che vedeva da sobrio, ma a questo non diede peso.
Sandor lo prese a braccetto e si avviò verso l’uscita del cimitero, senza preoccuparsi minimamente di essere come mamma l’aveva fatto.
- Spero proprio che tu sappia mantenere il mio piccolo segreto. – aggiunse, camminando allegramente tra le tombe – Dopotutto, sono in pochi a conoscerlo, e quei pochi sono tutti morti! -
Diede una pacca amichevole sulla spalla di Shane. Era vero: con la sola eccezione di Aneurin, Sandor aveva sempre accoppato tutti quelli che avevano scoperto il suo licantropismo. Ma l’irlandese era speciale: sarebbe stato un vero peccato ucciderlo. E poi, gli aveva appena salvato la vita: poteva contare sul suo silenzio. Respirò a pieni polmoni l’aria fredda del cimitero.
- Passiamo prima dalla camera mortuaria. – suggerì, dopo una riflessione – Vediamo se riesco a procurarmi un paio di brache. Scarpe. Un panciotto. – fece una pausa e aggiunse, giulivo – Ah, e una cravatta azzurra. No, verde. Oggi mi va di vestirmi di verde. -

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i famigli sporcano, puzzano, e mi fanno perdere punti esperienza quando decido di disfarmene.

03/11/11: il giorno in cui si scoprì che la stupidità di Shane è contagiosa asd2

"what's a hero at a play, without a fool to fight?"

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Lorenzo Ferretti
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MessaggioInviato: Mar Giu 21, 2011 11:29 am Rispondi citandoTorna in cima

Il mattino prima

Il silenzio fece ingresso nella casa lo stesso istante che Shane e Sandor si addormentarono. Dovevano essere riposati in vista della nottata che li attendeva. I gemiti di Alexandre accompagnavano il bollore dell'acqua sul fuoco e il fruscio dei capelli spazzolati come un’armoniosa sinfonia, ma fu Juno ad interromperla. Con prepotenza si diresse verso la finestra ed aprendola lasciò che l'aria fresca le sferzasse il viso; era un modo per svegliarsi, per scappare da quel sogno confusionario in cui s’era ritrovata. Ma la realtà era tutt’altra: lei non stava dormendo.
Assaporò a lungo quell’istante, prima che un Lorenz furibondo le chiudesse la finestra senza badare alle sue dita che stavano per essere accidentalmente mozzate. La sospinse in dentro fino a farla sprofondare sulla sedia dov'era seduta poco prima. La guardò con rassegnazione, chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare con lei. A quel punto, la ragazza lasciò andare il pellicciotto bianco a terra che allegramente zampettò verso il fuoco. Lei prese Lorenz per il braccio trascinandolo verso il bagno e una volta dentro richiuse la porta.
Fece un lungo sospiro e non disse una parola. Poi, d’incanto, sul suo viso prese forma un'espressione che non le apparteneva. Sembrava seria e decisamente infelice, cosa non naturale per Juno.
- Lasciami andare - Disse.
Il volto stupefatto di Lorenz si tramutò in un'espressione indecifrabile: non era sicuro di interpretare bene le emozioni di Juno. L'infelicità non era una cosa che le apparteneva. Per un attimo si chiese se stesse cercando di manipolarlo in qualche modo. Poi fissò i suoi occhi, e vi lesse forse una strana sincerità in quello che provava.
- Perché dovrei lasciarti andare? - le chiese. - Perché dovrei fidarmi di te? Alla prima occasione torneresti per tagliarmi la gola, probabilmente, e...- Non finì la frase. Improvvisamente i suoi occhi si fecero più scuri e l'espressione glaciale... l'atteggiamento meno pacato e lo sguardo iroso. Era arrivato.
- Juno - le disse, carezzandole la guancia. - Quanto tempo, vero?
La donna non gli diede modo di toccarla. S’allontanò con un gesto rigido del collo, un riflesso incondizionato che la fece arretrare. Ma per qualche strana ragione non riusciva a tornare la Juno di sempre. Forse perché non era la sola a portare una maschera in quella stanza... Conosceva Lorenz, ma non l'uomo che le aveva appena rivolto la parola. E tuttavia non le importava conoscerlo, anzi, ritenne alquanto scortese quell'intromissione: - Chi sei? - chiese minacciosa.
Lorenz sghignazzò sommessamente, ritirando la mano ed incrociando le braccia sul petto. Lo sguardo glaciale cercò gli occhi della ragazza che aveva di fronte: - Ma come? - chiese, in tono falsamente deluso.
- Così si salutano le vecchie conoscenze? Eppure dovresti ricordarmi bene, Madame Königin! Io di te non mi sono scordato nemmeno un giorno della mia vita, finora. - L'uomo le prese il mento in modo rude, girandole la testa in modo da poterla guardare: - Sorpresa? -.
Juno alzò un solo indice. Sembrava un'arma, per quanta sicurezza impiegò nel puntarlo contro l'uomo. Poi lo spostò in direzione della sua mano e la cacciò via dal mento.
- Solo i morti mi chiamano così, lo sapevi questo? Sarà meglio andare di fuori.. Non vorrei sporcare il bagno di un estraneo. - E senza aggiungere altro s’incamminò fuori dalla casa.
Senza indugio, Lorenz seguì la giovane mentre imboccava la porta d'ingresso e usciva all'aperto. Aneurin non badò loro, apparentemente.
- Le tue minacce non mi fanno effetto, Juno, dovresti saperlo. - Mormorò con agghiacciante calma - E anche se ti mettessi contro di me, non credo avresti molte speranze - Poi, cambiando completamente tono, aggiunse: - Credevo che fossi morta, in Inghilterra. E poi un giorno mi dissero che eri tornata: stavo per strappare la lingua al mio informatore, non credevo potesse essere possibile - spiegò.- Devo dire che mi hai sorpreso, ma d'altro canto anch’io credo d’esserci riuscito.. - concluse con un sorriso sarcastico stampato in volto.
Juno non aveva ancora le idee chiare sull'uomo che aveva di fronte. Gli occhi erano di Lorenz. La voce era di Lorenz. Perfino l'odore di giorni passati a correre senza potersi lavare era quello di un uomo che conosceva. Ma cos'era cambiato? Possibile che fosse la stessa persona a concepire quei pensieri? Tanto odio non poteva contenerlo una sola creatura, ma Juno sapeva di aver fatto tanto male in vita sua, meritato e non meritato. Se ne sarebbe presa le colpe? Mai.
- Te lo avevo detto che il fuoco mi faceva il solletico. Sei stato un pazzo a non credermi. - Rispose la ragazza. Ed ecco che, mentre lo portava ben lontano dall'abitazione, quel sorriso ammaliante rifiorì sulle sue labbra come una maschera scarlatta di bugie e ironia.
- Forse sono stato un pazzo a non crederti, sì. - rispose l'uomo - Ma se fossi in te non mi rallegrerei troppo dello scampato pericolo. Io ci sono ed ora ti tengo d'occhio, come anche mio fratello. Te lo volevo far sapere, prima che verrà il tuo momento - continuò calmo. - ..Allora, per cosa mi hai portato qui fuori? – Chiese un Lorenz irritato ed al tempo stesso incuriosito dal comportamento di Juno.
Lei non rispose. Continuò a trascinarlo per le viuzze come se sapesse dove andare. Quando parve aver trovato il luogo che cercava si fermò e, restando di spalle all’uomo, cominciò a spogliarsi. S'abbassò dapprima le spalline dell'abito, poi si slacciò il corpetto: bastò tirare il fiocco sulla schiena. Fu poi la volta della gonna, che scivolò a terra non appena chiuse le gambe. Un corpo bianchissimo ed esile come un giovane tronco d'albero: non c'era nulla di sensuale in quel corpo, ci sarebbe stato più erotismo ad inchiappettare una capra. Forse era per questa ragione che Juno era stata concepita ad un solo scopo.
L'involucro di pelle nera che fungeva da biancheria era un babydoll aderente che ripercorreva l'addome fino a scendere verso le gambe e dove, al posto di normali reggicalze, portava due machete.
Li estrasse, roteandoli più volte per sciogliere ambo i polsi. Accennò un vago sorriso: - Credevo volessi giocare con me! Certe cose vanno fatte bene, altrimenti si finisce per doverle rifare... -.
Superando lo sbalordimento iniziale, Lorenz scostò una falda della sua palandrana nera; al suo interno era appeso, ad un apposito cinturino, un bastone in legno scuro riccamente decorato. Compì il gesto lentamente, quasi stesse compiendo un rituale che attendeva da tempo: - Vuoi giocare, Madame? - chiese in un sussurro.
- Allora giochiamo! - Fulmineo estrasse la lunga lama celata all'interno dello stocco e si mise in posizione di guardia: le gambe erano disposte una avanti ed una leggermente più indietro, col braccio armato abbassato.
- Vediamo se sei migliorata! - la sfidò sogghignando.
Juno partì in direzione di Lorenz, al passo. Ma quella che dapprima sembrò una camminata leggera diventò mano a mano una corsa e finì in un balzo. Un balzo che Lorenz non si aspettava. Non era un salto diretto verso di lui, era troppo alto e stranamente mirava a colpire un avversario immaginario alla sua destra. Quando Lorenz realizzò cosa stava accadendo, era troppo tardi.
Juno usò le lame come artigli a cui aggrapparsi per risalire i muri del vicolo. Erano abbastanza stretti da permetterle di arrampicarsi agilmente e riuscì ad arrivare al primo piano di un'abitazione.
Saltò oltre la piccola balconata arrugginita e salutando l'uomo, rimasto nel vicolo, lo sbeffeggiò: - Prova a prendermi, Sir! - ruppe la finestra e s'intrufolò in quella casa abbandonata.
Lorenz sospirò, falsamente rassegnato, riponendo lo stocco sotto alla palandrana. Scrocchiò un attimo con le mani e balzò verso il tetto dell'abitazione diroccata. Ottima cosa, la telecinesi.
Camminò per alcuni metri, guardando fra le travi marcescenti e gli ampi squarci del tetto la situazione sotto di lui; individuò quello che voleva: un movimento rapido, elusivo. Juno si stava dirigendo verso l'altro lato della casa per saltare giù e fuggire fra i vicoli. Proprio come sospettava.
Muovendosi con sicurezza sul tetto, stavolta di corsa, arrivò dall’altra parte e guardò in basso: per fortuna a quell'ora del mattino la via era sgombra e non passava nessuno. Senza esitare si buttò giù, estraendo al contempo la sua arma ed atterrando delicatamente sul balcone sottostante proprio mentre Juno iniziava a scalarne la ringhiera per scendere in strada. Atterrò alla sua destra, restando in equilibrio sulla ringhiera.
- Forse non mi sono spiegato bene... tu resti con me! - esclamò tirando una stoccata al braccio destro di Juno.
La lama si scontrò contro il machete prontamente alzato e la donna accompagnò la sua difesa con un calcio all'addome per sbilanciare l’aggressore e farlo cadere. Invero servì solo per allontanarlo e permetterle di buttarsi di sotto. Guadagnò quei pochi secondi di vantaggio che le permisero di iniziare la sua corsa nelle strade deserte della città.
Ripresosi in fretta dal calcio, Lorenz fissò Juno correre lungo il vicolo. Stava cominciando a stufarsi di quel giochino, che all'inizio gli era sembrato divertente. Protese il braccio sinistro in direzione di una coppia di lampioni che si trovavano di fianco alla strada: all’improvviso i lampioni crollarono, proprio mentre Juno stava per superarli. Contemporaneamente, alcune cassette di legno volarono nella sua direzione colpendola alle gambe e facendola ruzzolare a terra.
Il passaggio era ora bloccato da uno dei due lampioni, che galleggiava a mezz'aria di fronte alla donna e le impediva di passare oltre. Sperando che nessuno avesse sentito il fracasso, anche Lorenz scese dalla balconata ma lentamente, per evitare di perdere la presa mentale che stava esercitando sull’oggetto. Quando fu in strada, a qualche metro da Juno, parlò di nuovo: - Che vogliamo fare, Madame?- le chiese, ammiccando verso il lampione.
"Ma che gli passa per la testa, attirerà le guardie!" pensò la donna stringendo i denti a mo' di impreco e rialzandosi. Sapeva che quel lampione doveva pesare un bel po'… Forse era il caso di divertirsi, perché lo scherzetto della caduta non le era piaciuto affatto. Raccolse da terra le casse, cominciando a lanciarle verso l'uomo una dopo l'altra.
- Allora! - strillò lei, continuando a lanciarle,- che vogliamo fare?! - ripeté ironica.
Lorenz abbandonò immediatamente la presa sul lampione, lasciandolo cadere a terra e concentrandosi sulle cassette: tanto non gli sarebbe servito ora che le era così vicino e Juno aveva una mira dannatamente buona.. Certo, il fatto che le si fosse avvicinato tanto le rendeva le cose più semplici, per quanto le cassette non rappresentassero un vero problema. Quand'ebbe deviato i proiettili, puntò la spada in direzione di Juno: - Per esempio, potremmo fare meno casino - rispose sarcastico. - E' un peccato che abbia dovuto rompere quel lampione per te, ma era necessario.. Inoltre, credo sia ora di tornare indietro. Non tarderà ad arrivare gente dopo tutto... - indicò il macello intorno a loro, -...questo. - .
Come se non fosse accaduto niente da quando erano entrati in bagno, Juno ripeté: - Lasciami andare -.
Ma forse non era del tutto convinta o non si fidava. La stretta sulle sue lame era ancora così salda..
Lorenz attese un attimo, prima di riporre la sua lama nella guaina: quella donna era un errore, era pericolosa, e non avrebbe esitato ad ucciderli tutti nel sonno se ne avesse avuto l'occasione. Eppure, c'era qualcosa che per il momento la teneva a freno e che le impediva di continuare a combattere. Ma probabilmente era solo il suo buonsenso di mettersi al riparo dalle guardie. Mise via lo stocco, riponendolo sotto alla palandrana e si avvicinò a Juno per afferrarla per un braccio e portarla a casa dell'alchimista.
Juno rimase ferma. Lasciò che l'uomo le strattonasse il braccio ma non si mosse. Fu difficile, considerando quanto magra fosse e facile da spostare.
- Io non c'entro in questa storia, se solo usassi il cervello ci saresti arrivato. Credi che, se ne avessi avuto la possibilità, non vi avrei già uccisi? Come puoi pensare che c'entri qualcosa con le guardie che v'inseguivano? -
Lorenz scosse la testa, come se fosse stato colpito da uno schiaffo. L'espressione glaciale tornò, come prima, e gli occhi si fecero di nuovo crudeli: - No, mia cara, sei tu che non usi il cervello stavolta! Se ripensassi un pochino al tuo passato, magari saresti più accorta... ma vedo che i vecchi nemici si dimenticano facilmente! - continuò enigmatico. Visto che Juno rimaneva in silenzio, riprese a parlare.
- Tu mi hai già visto altre volte, ma non mi hai mai riconosciuto. Forse perché non ricordi un piccolo episodio, che vede coinvolto mio fratello.. Rammenti cosa accadde a Villa Blake? - attese qualche secondo per dare modo a Juno di riflettere e ricordare.
Lei rispose dopo alcuni minuti: - Forse non volevo ucciderti, forse non ne ho mai avuta l'intenzione, chi lo sa… - La sua voce parve troppo calma e sensuale per essere veritiera - Ma neanche tu mi hai uccisa, dovrei credere che non ne hai avuto il fegato? - gli chiese provocatoria.
- Mi avevano assicurato che eri morta sul rogo… Comunque, non puoi ricordarti di me perché non mi hai mai visto. E mai mi vedrai, forse.. - sghignazzò in modo sgradevole. - Io ci sono sempre, sono il fratello di Lorenz, sono quello che ascolta con la mente, sono quello che uccide col pensiero... Io sono Leon - concluse in un sibilo - E ti volevo avvertire che da oggi in poi non ci sarà posto dove andrai nel quale io…! –
- Insomma, sei quello noioso! - Lo interruppe sbuffando.
- Vedo che l'ironia di un tempo non ti ha abbandonata. Ma ricordati dei nostri ragazzi...loro rideranno per ultimi! - la ammonì.
Lorenz le lasciò il braccio, inaspettatamente. Il suo volto si rilassò e l’espressione tornò quella di sempre.
- Sei libera di andartene, se vuoi. Ma sappi che se ci rincontreremo, non giocherò come oggi. A te la scelta.. - si voltò e s'incamminò da solo.
I nostri ragazzi”, pensò Juno tra sé. Ripercorse velocemente i volti delle persone conosciute in Gran Bretagna, tornò brevemente ai giorni in cui lei e Lorenz combattevano per una causa.. magari non comune ma pur sempre insieme.
- Ma certo! I nostri ragazzi… Oh, che morte triste e priva di soddisfazioni hanno trovato. Sarei dovuta essere più indulgente, almeno con il russo, del resto se ben ricordo mi aveva anche salvato la vita... Una volta. - Le parole di Juno incantarono l'uomo fino a farlo fermare.- Ma forse a te importava di più dell'altro, del piccoletto.. Massì! Come ho fatto a non pensarci! Tra di voi c'era una certa... intimità. Com'è che si chiamava? Kad, giusto? Povero, giovane Kad… Gridava: Lorenz! Lorenz! Salvami! - Ad ogni istante la voce di Juno si faceva sempre più canzonatoria e teatrale.
- Ma io e te siamo così uguali. Cosa vuoi che ce ne importi di due stupidi uomini? Siamo solo assassini, perché dovresti disprezzarmi per averli uccisi? Lo avresti fatto anche tu, al mio posto. O peggio, lo avresti fatto solo per denaro... - Concluse lei.
Lorenz si fermò del tutto, senza voltarsi. Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, ma poi rilassò le mani quasi subito. Si voltò lentamente, fissando Juno negli occhi con uno sguardo carico di quello che si poteva definire solo come profondo odio e disprezzo: - Oh, ti sbagli Juno.. Ti sbagli di grosso se pensi che io e te siamo uguali. Io non sono un assassino come te. Certo, ho ucciso parecchie persone e sempre dietro compenso, ma ho smesso con quel tipo di lavoro. A quel tempo avevo idee che oggi non ho più... Sei tu l’assassina. Uccidi per svago. Uccidi per il brivido di piacere che ti dà il provare qualcosa di nuovo, di fantasioso. Io non ammazzo i miei compagni, a differenza tua. Volevo bene a Kad e Doucher, erano come fratelli per me.. E tu li hai ammazzati come bestie da macello. Avevo promesso loro che li avrei riportati a casa senza intoppi e invece l’unico grande intoppo che c’era eri tu. Non sei una donna, non meriti nemmeno l’appellativo di “essere umano”, secondo me. Non so come tu faccia ad uccidere senza riserve, ma di sicuro non mi interessa imparare. È questo che ci rende così differenti: a te piace uccidere, io uccido solo se necessario. È una linea sottile, eppure al contempo, una barriera insormontabile: io ho dei limiti, tu invece sembri non averne. I tuoi interessi scavalcano qualsiasi legame che puoi avere con gli altri. È questo che odio di te. Non posso permettere che Kad e Doucher siano morti per causa di una bestia come te, ma non posso nemmeno ucciderti. Cadrei in contraddizione con me stesso, uccidendoti e provando piacere .
E poi - continuò,- Io almeno ho la decenza di non farmi montare dai Priori delle varie sette per infiltrarmi come fai tu. Ora dammi un buon motivo per non scannarti seduta stante e lasciare il tuo corpo smembrato in mezzo alla strada. Ho le mie regole, tuttavia potrei dimenticare le buone maniere. - Detto questo, Lorenz la fissò negli occhi. Il suo volto, una maschera impenetrabile di gelido odio.
Juno era delusa. Fortemente delusa. Se c'era una cosa che non sopportava erano gli uomini deboli che si riparavano dietro una catasta di sentimenti sperando di colpire dritto ai cuori delle persone. Ma lei, come era stata dipinta dallo stesso Lorenz, non era del tutto umana. Come poteva anche solo sperare di suscitare un qualche genere di reazione con quel mucchio di parole che davano voce al suo profondo odio covato per lungo tempo. "Tanto odio non fa bene all'anima", in questo ci credeva veramente. Doveva fare qualcosa per quell'uomo, doveva liberarlo da quell'odio. L'essere meno umana la rendeva anche più compassionevole. Per lei erano tutti animali da salvare, una grande foresta malata. Per alcuni c'era una sola cura, la morte. Ma per altri un tentativo andava fatto. E questo sarebbe stato il suo caso, quel giorno. Avrebbe liberato l'odio da Lorenz o Lorenz dall'odio... Dipendeva quanto in profondità era radicato quel tumore che gli rodeva l'anima. E Juno era una chirurga molto brava in questo: - Ho cambiato idea, Sir. Me ne andrò… Ma prima devo ammazzarti. Devo farlo per liberare il tuo spirito dal dolore. - Juno curvò la schiena e prese a correre verso Lorenz. Quando gli fu abbastanza vicino tentò un fendente alla sua spalla per tranciargli il braccio sinistro.
Lorenz non si mosse. Non fece nulla. Almeno fino all'ultimo momento, nel quale si limitò ad eseguire uno spostamento laterale di qualche centimetro appena. Quando il braccio di Juno si abbassò per sferrare un colpo che gli avrebbe mozzato il braccio sinistro le sferrò un pugno allo stomaco con la destra, abbassandosi per evitare il secondo braccio armato della donna ed estraendo fulmineo lo stocco.
- Come siamo compassionevoli, oggi! - commentò sarcastico - La mia anima non ha bisogno di essere salvata, né da te né da altri.. Forse solo Dio potrebbe aiutarmi! - Si rimise in guardia, mettendosi a distanza di qualche metro per adocchiare la mossa successiva della sua avversaria.
Juno non cercò minimamente di parare il pugno. Indurì i muscoli e si tirò indietro quanto bastava ad accompagnare il colpo. Era abbastanza magra da volare indietro aiutata dalla spinta della mano chiusa sul suo ventre. Era un gatto a nove vite che cadeva sempre in piedi. Ritornò all'attacco caricando stavolta verso le gambe, per tranciarle.
Ostinata. Cocciuta come un mulo, e dedita a delle stranissime convinzioni personali. Si era messa in testa che doveva ucciderlo e lo avrebbe fatto. In realtà ci avrebbe provato, al massimo. Non aveva nemmeno risentito del pugno. Con la rapidità di un fulmine, una seconda lama comparve nella mano di Lorenz. La donna voleva tranciargli le gambe e doveva stare attento. Non si spostò quasi per nulla, giocando invece di polso per tenere a bada Juno con i suoi machete. Solo ogni tanto doveva saltare indietro per evitare di farsi tagliare a fette una gamba da un’audace spazzata della ragazza. Decise che era il momento di attaccare: improvvisò una finta sul fianco sinistro della donna.
Lorenz si stava concentrando troppo sul pararsi le gambe, per Juno era una buona occasione per cambiare tattica e mirare in alto ma dovette allontanarsi quando vide la lama di Lorenz muoversi verso di lei arrivando da sinistra. La lotta ce l'aveva nel sangue, non lasciò la guardia scoperta dall'altro lato e mentre alzava un machete in difesa con la gamba sinistra preparò lo sgambetto.
Lorenz adorava la scherma. L’aveva scoperta da piccolo e gli era rimasta come passione per tutti gli anni successivi. Era preparato, sapeva valutare bene gli avversari e fu per questo che si aspettò il calcio da parte di Juno. Era una mossa talmente ovvia che sarebbe stato difficile cascarci: era dall’ultimo assalto che stava mirando solo alle gambe per poterlo colpire al busto, ma una finta sulla sinistra aveva fatto desistere la donna da un attacco in quel senso. L’uomo sapeva che avrebbe cercato di farlo cadere a terra, pertanto aveva deciso di giocare d’anticipo: la costrinse a tirare anticipatamente lo sgambetto facendole credere che l’avrebbe attaccata a sinistra. La stessa lama usata per fintare non toccò mai il ferro avversario, tornando in posizione di guardia mentre l’altra lama eseguiva una spazzata dal basso a sinistra verso l’alto a destra, nel tentativo di colpirla al ventre.
Juno si trovava sbilanciata su una gamba sola e si era accorta di aver commesso un errore. Stava cercando di rimediare agitando le lame in modo da distrarlo dal suo movimento, ma lui non si lasciò impressionare: continuò la sua spazzata in cerca del ginocchio della donna.
Juno parò il colpo e tornò a tempestarlo di fendenti. Mirava a farlo stancare per vedere quanto a lungo riuscisse a tenere il ritmo. Era trascorso molto tempo, per lui.. Ma non per lei. Doveva fargli capire quanto fosse inutile odiarla, perché se voleva ucciderla doveva farlo e basta e non tergiversare. Se la lasciava vivere, lei avrebbe continuato a colpirlo. In quel momento lei era molto più di Juno, era tutte le avversità nella vita di Lorenz. L'uomo doveva sopprimere i suoi problemi o accettarli. Doveva ucciderla o prenderla per quello che era. Non doveva aver paura della decisione, altrimenti sarebbe stato divorato dai suoi stessi sensi di colpa. Lorenz non se ne rese conto ma Juno lo stava portando verso il muro. I colpi di machete si facevano più pesanti senza un apparente motivo ma per la donna significava che era arrivato il momento di chiudere i conti del passato. - Avanti! Sai fare di meglio! - Gli gridò.
Stava arretrando. Sembrava incredibile, ma stava arretrando. Mentre gli arrivò l’ennesimo fendente, Lorenz comprese quello che voleva dirgli Juno: lei era quello che era, e non sarebbe cambiata. Era sempre stata così, e ciò che aveva fatto lo aveva fatto in congruenza del suo essere. Poteva risolvere la questione solo in due modi: o la uccideva e la faceva finita una volta per tutte, oppure la accettava. Pian piano, cominciò a calmarsi. I colpi si susseguivano sempre più forti... o forse era lui che stava parando male? Quando gli arrivò il grido di Juno, si riscosse. Accadde senza che ci avesse pensato. Improvvisamente smise di parare, indietreggiando fino a toccare il muro con le spalle e lasciando andare a vuoto i colpi di Juno per un istante.
Tanto gli bastò. Gli bastò fissarla e decidere che sarebbe dovuta ruzzolare per terra fino all’altra parte della via. E così fu. Tuttavia non la rincorse per finirla, non ne aveva l’intenzione.
- Perché? - chiese soltanto.
Lei lo guardò rassegnata: - Sei un rammollito. Se soltanto tu provassi compassione per quanto misera possa essere la mia vita, mi uccideresti. Perché sono solo uno strumento. Ma tu non riesci ad essere superiore, no.. Sei un ritardato che pensa solo all'odio e a disprezzare ciò che non può capire. Sei un bambino frignante, Leon. -
Non provò a rialzarsi, voleva che Lorenz restasse esattamente dov'era, sotto l'insegna di una bottega alle sue spalle. Per questo rimase a terra, continuando ad insultarlo: - Ma una parte di te non è in grado di uccidermi, vero? Hai bisogno di un motivo per farlo. Sentirti minacciato basta? No.. Ci vuole una vera ragione e te la darò. Ti ricordi? Ti ho lasciato vivere per assistere alla morte di quelli che chiami fratelli, ti ho lavato la faccia col loro sangue ancora caldo.. Io ti ho creato, Leon. Eri un semplice pensiero perverso nella mente di Lorenz e guardati ora, sei un’entità autonoma che può comandarlo. Una madre dovrebbe sentirsi orgogliosa ma sfortunatamente non ho istinto materno.. Sei solo un mucchio d’odio represso, Leon, devo disfarmi di te. E ti assicuro che lo farò.
- Hai frainteso le mie intenzioni, Juno - rispose Lorenz con calma.- Ti lascio in vita per farti continuare a soffrire della tua miseria, per permetterti di rinfacciarti ogni giorno quanto tu possa essere miserabile. Il mio odio nei tuoi confronti non si estinguerà mai, per quello che hai fatto, tuttavia ti posso capire. E credo di potermi fidare di te per i prossimi giorni. Ma c’è una cosa che non hai capito di sicuro in tutta questa faccenda: io esisto da prima che Lorenz ti incontrasse. Non mi hai creata tu. Io sono l’odio di Lorenz verso il mondo. E ora anche verso di te. Non ho più una ragione per ucciderti ora: sei quello che sei, e hai agito di conseguenza. Forse nei tuoi panni lo avrei fatto anche io in effetti. Ma ciò non cambia che ti odieremo per quello che hai fatto. - Ripose le lame apposto, e avanzò di qualche passo - Ora sta a te decidere quello che vuoi fare: cercherai di uccidermi, oppure mi capirai? - la fissò in attesa.
- Ti ucciderò, Leon - Rispose secca.- Puoi anche mentire a te stesso, puoi anche credere di essere importante per Lorenz, ma la verità è che lui non ha bisogno di te. Sei solo un peso sulla sua coscienza, peccato che fatichi ad accorgersene. Se solo si liberasse di te, potrebbe essere un uomo migliore e chissà, forse riuscirebbe anche a vendicare i suoi fratelli... Rinfacciami quello che vuoi Leon, perché quanto prima ti renderò la vita impossibile e ti farò uccidere dalla persona che ti è più vicina... - Juno si rialzò e contestualmente lanciò il machete che teneva nella destra verso Lorenz. L'uomo credette ad un disperato e patetico tentativo di ferirlo quindi, senza sforzarsi troppo, corrugò la fronte concentrandosi per deviare l'arma. A metà corsa Juno lanciò l’altro machete e credendola disarmata, Lorenz deviò l'ultima spada. Stava per sorriderle cinicamente e chiederle cosa volesse dimostrargli, ma le sue labbra si ritrassero quando Juno gli disse: - Dormi bene Leon! - dandogli una padellata in testa.

Finalmente, pensò Juno, Lorenz aveva smesso di parlare. Emise un profondo sospiro di soddisfazione, ripose le armi e prendendolo per le braccia lo trascinò verso l’ingresso sul retro della bottega. V’entrò senza tanti complimenti, scaricando l’uomo svenuto sulla prima sedia disponibile. Il suo arrivo venne annunciato dallo scampanellio di uno scacciapensieri, appeso sopra la porta, e dal buio dell’anticamera, sul lato sinistro, comparve un’anziana donna. Doveva essere in piedi già da diverso tempo, ma non si aspettava di ricevere clienti a quell’ora del mattino: - Cosa posso fare per voi, signorina? – Chiese.
Juno le rivolse uno sguardo sbrigativo, poi accortasi d’un particolare tornò con gli occhi su di lei. La vecchia era cieca, eppure sapeva che nel suo locale era entrata una donna. Si disse che erano stati i tacchi a tradirla, e facendo spallucce concordò nell’ammettere a se stessa che almeno non avrebbe chiamato le guardie.
- Salve, madame. Io e mio marito eravamo in viaggio di nozze quando dei ladruncoli hanno rubato i nostri bagagli. Speravo di trovare qualche abito nel suo negozio e delle scorte di cibo, se possibile.
La donna sembrò soppesare la verità di quanto ascoltato, prima di annuire: - Ma certo, cara, seguitemi! Qua dietro ho dei bellissimi abiti italiani! - Le indicò col bastone una serie di vestiti vecchi e impolverati che sembravano più cimeli di famiglia che roba d’alta moda. Tossendo e starnutendo, Juno riuscì a trovare qualcosa che le stesse addosso senza cadere: un tempo sarebbe stato un favoloso abito da tè rosa shocking, ma ora era semiarancio e opaco. In quella caterva di cianfrusaglie non proprio nuove trovò anche un cappello da uomo con tanto di pennacchio, un ventaglio di piume rosse, una camicia gialla, delle corde per saltare, uno shamisen e la forma rotonda di un formaggio puzzolente che fece incartare più volte prima di riporlo in un baule. Con nonchalance la ragazza prese il portafoglio dalla tasca di Lorenz e pagò il tutto lasciando anche un extra. Stava contemplando la sua figura allo specchio quando sentì il rumore di zoccoli in corsa sull’acciottolato della strada. Le bestie si fermarono proprio davanti la vetrina del negozio e Juno, togliendo qualche strato di polvere dal vetro, assottigliò gli occhi osservando cosa stesse accadendo. Era una carrozza delle guardie, con tanto di sbarre sulle ante al posto delle finestre. Erano scesi due uomini e stavano trafficando con dei fogli di carta infastidendo un assonnato barbone; gli chiesero se avesse visto qualcuno nei paraggi di sospetto, ma da quella bocca dal profumo di vomito e vino uscirono solo insensatezze e imprecazioni, così lasciarono perdere il vecchio e si concentrarono sui muri iniziando ad appendere dei manifesti. Era un’occasione d’oro, ma bisognava agire in fretta. Aprì la porta sul retro trascinando quel peso morto di Lorenz e sgattaiolò verso la carrozza. Gettò l’uomo assieme ai suoi acquisti dentro la gabbietta e poi corse verso la postazione di guida. Allo schioccare della frusta, per incitare i cavalli, era già troppo tardi: Juno rubò il mezzo fuggendo dalla legge.

Un sobbalzo più forte degli altri fece risvegliare Lorenz. Aveva un gran mal di testa e così decise di rimanere nella posizione in cui si trovava: sdraiato. Dove diavolo era finito? Si guardò un attimo intorno: sembrava un carro. Si era decisamente un carro e delle forze dell’ordine, per giunta... lo vedeva dalle sbarre. Dovevano trovarsi su di un terreno accidentato, perché il carro sobbalzava continuamente. Guardò fuori dal finestrino: vide degli alberi. Sicuramente la campagna parigina. Pian piano cominciò a ricordare gli ultimi accadimenti e si ricordò dolorosamente della padellata in testa. Una fitta lo costrinse a chiudere per un attimo gli occhi. Dopo aver atteso qualche secondo, decise di mettersi a sedere. Scoprì che non era un problema. Di sicuro, se si trovava su quel carro, Juno l’aveva abbandonato alle guardie. Così decise di vedere quante ce ne fossero, per provare a scappare: - Guardie! - chiamò.
Era da diverso tempo che Juno stava viaggiando, s'era quasi dimenticata del suo passeggero.
- Taci, prigioniero! – Gli intimò ingrossando la voce per imitare quella di un uomo.
Gli fu comandato di fare silenzio, però la voce era innaturalmente acuta anche per essere quella di un giovane. Sospirò, rialzandosi e roteando gli occhi al cielo: - Juno, piantala per piacere, tanto non la sai imitare la voce di un uomo! Ci potevano cascare solo le guardie della banca di Londra! - Disse rivolto alla donna che sedeva a cassetta, anche se non riusciva a vederla.
Lei andò volontariamente sulla traiettoria di un sasso da far andare sotto le ruote, per far sobbalzare la carrozza, e facendo così sbattere la testa a Lorenz; poi, pian piano, rallentò la corsa e si fermò. Scese giù e sedette ai piedi dell'anta, con lo shamisen in mano ed iniziando ad accordarlo.
Imprecando per il sobbalzo, l’uomo attese che la carrozza si fosse fermata prima di parlare nuovamente.
- Mi fai uscire tu, o devo far saltare la porta? - le chiese spazientito. Visto che la donna non rispondeva, decise per la seconda opzione; corrugando un poco la fronte, fece saltare via l’anta della carrozza, che cadde fragorosamente a terra. Quando scese, un po’ barcollante, dal mezzo di trasporto, vide Juno che accordava uno strano strumento a tre corde.
- Che diavolo stai facendo?! - le chiese - E perché ci troviamo nella foresta? Ma soprattutto, c’era proprio bisogno di dare una padellata in testa a me e Leon? Non ti avrebbe fatto nulla se non su mio ordine! - continuò spazientito.
Lei alzò gli occhi, guardandolo incredula. Poi prese qualcosa da dentro il suo corsetto e gettò a terra una bambola di pezza bruciacchiata. Tornò a pizzicare le corde dicendo: - Tuo fratello non mi è simpatico.. Davvero pensi che fossi preoccupata di quello che poteva farmi? Mi stavo annoiando.. E sai che quando mi annoio può accadere di tutto. - L'ultima frase parve più una minaccia che una scusa, ma cambiò subito discorso: - Devo darmi da fare per renderti figlio unico, mio caro Lorenz. Ma prima, dobbiamo mettere un po' in sesto il gruppo.
S'alzò da terra rovistando nella carrozza e prese la camicia gialla: - Da queste parti dovrebbe vivere una piccola comunità di troll silvani. Non che siano amichevoli come i puffi, ma ci serve il loro sangue. - E prima che Lorenz iniziasse a pensare a qualche diabolica trovata, Juno aggiunse: - E' per il mozzo, sai, quella brutta ferita.. Potrebbe guarire più in fretta usando un medicamento a base di sangue di troll!
Lorenz raccolse da terra la bambola, perso nei pensieri. A stento udì quello che Juno gli disse per ultimo, tirando fuori al contempo un’orrenda camicia gialla. Si riprese in fretta, mentre un lampo gli attraversava gli occhi castani.
- E immagino che per attirarne uno io debba infilarmi questo obbrobrio, vero? - chiese alla donna. Allo sguardo più che significativo di Juno, Lorenz sospirò rassegnato. “Quel marinaio me ne dovrà uno...” pensò.
- Che coppia saremmo se non fossimo strambi tutti e due? - disse ironicamente, ad alta voce, cominciando a togliersi la palandrana e la camicia. Ruotò un paio di volte le spalle ampie e sciolse i muscoli delle braccia e delle gambe intirizziti per il viaggio assaporando su tutta la pelle la brezza mattutina del bosco e scrollandosi di dosso l’immobilità cui era stato soggetto fino a quel momento. Infilatosi il capo d’abbigliamento, si guardò: se lo avesse visto qualcuno oltre a Juno, lo avrebbero preso per il deretano fino alla fine dei tempi. - Va bene - ringhiò per nulla convinto, - E ora che si fa?
La ragazza non era del tutto contenta di dover svelare il resto del piano, ma non c'erano molte alternative. Prese anche il ventaglio di piume rosse ed il cappello: - Indossa questo e... - Lo accompagnò verso il centro dello spiazzo dove si erano fermati - Prendi questo ventaglio.
Juno sedette su un sasso schiarendosi la voce: - Ora canterò una canzone per attirare i troll. Tu dovrai accompagnarmi danzando ed agitando il ventaglio. Se farai bene la danza, non dovremo aspettare molto prima che arrivi qualche troll. E se tutto andrà bene dovremo esser veloci a tagliargli la testa.
- Mi stai prendendo per il deretano.. - Non era una domanda, ma una constatazione. - La camicia gialla va bene, ma i saltelli col ventaglio rosso no... falli tu, visto che sei tanto brava! E poi, se qui ci sono dei troll, non credi che quel formaggio puzzolente basta e avanza ad attirare la loro attenzione? Conoscendoli, ci stanno già tenendo d’occhio da un buon quarto d’ora… E se questo è il loro territorio basta aspettare.
Juno scosse il capo puntando gli occhi al cielo: - Credi davvero che non lo farei se non fosse strettamente necessario? Oh santo cielo! - Guardò a terra iniziando a passeggiare con le braccia incrociate dietro la schiena. Preso del tempo, guardandolo con occhi sognanti come se dovesse spiegargli una grande verità, disse: - E' la stagione di accoppiamento dei troll, loro non escono dalla tana se non vengono attratti dal suono di uno shamisen e dalla voce di una suadente troll femmina in calore. A nostro vantaggio, i troll sono daltonici. Se ti vedono con questo travestimento verranno in massa.
Ormai non v’erano dubbi: lo voleva ridicolizzare. Lorenz incrociò le braccia sul petto e la fissò, come per cercare di valutarne la pazzia.
- Juno...- iniziò, - Il periodo di accoppiamento dei troll è praticamente concluso. E se tu pensi ch’io mi metterò a fare i versi di un troll femmina in calore, sei più pazza di quello che credevo. Ho un’idea migliore.. - detto questo, sfilò la camicia gialla buttandola per terra e rindossò i vestiti di sempre. Buttò anche il ventaglio ed il cappello.
Fissando gli stravaganti capi di abbigliamento si concentrò un attimo e la camicia cominciò ad ondeggiare per aria, sovrastata dal cappello ed accompagnata dal ventaglio rosso. Aveva praticamente creato un manichino.
- Per quanto riguarda il verso di un troll femmina in calore, non ho idea di come suoni - disse a Juno, e giratosi, si arrampicò su un albero. Non fu molto veloce, la testa gli girava ancora un po’.
Juno fece spallucce e preso il suo strumento schiarì di nuovo la voce iniziando a cantare. Però, quello a cui Lorenz non era preparato, era il fatto che Juno fosse stonata come una campana. I suoi strilli erano così acuti e fastidiosi che, fatto noto, dopo una lunga esposizione alle sue liriche le orecchie del pubblico sanguinavano e i timpani andavano fuori uso.
Lorenz scivolò quasi giù dal ramo sul quale si era appollaiato. Per Dio, che strilli disumani! Per evitare che gli strilli lo disturbassero, facendogli perdere il controllo sul manichino, prese delle foglie e accartocciandole se le ficcò a forza nelle orecchie. Non che ora fosse completamente sordo, ma se non altro gli strilli erano attenuati. Dopo essersi ripreso, in parte, e dopo che la testa ebbe finito di protestare, poté continuare a concentrarsi sul manichino: era sceso un po’ verso terra, ma non era caduto. Lorenz cominciò a farlo agitare scompostamente per aria, in attesa.

Il bestione avanzò lentamente fuori dalla sua grotta. Forse gli - come li chiamano quelli in cielo che comandano? Dii? Sì, pare di sì.. - gli Dii oggi si ricordavano di lui. Dato che un accoppiamento fra troll in genere prevede per lo più forza fisica, Trusk non si preoccupò troppo del suo aspetto, ma comunque sbavò su una mano e la passò fra i radissimi capelli grigio verde che si ritrovava sul capoccione: anche un troll ha aspirazioni nell'apparire. I suoi occhiacci vedevano pochissimo alla luce del mattino, doveva essere davvero una pazza arrapata per venire a fare la danza proprio a quell'ora. Meglio. Sicuro ci sarebbero scappate botte e sesso migliori. Iniziò a correre alla rinfusa guidato dalla scia - o puzza di formaggio, se vogliamo - di profumo di trollessa e la sua soave voce che l’incitava a raggiungerla. Appena la vide, danzante in mezzo a quello spiazzo erboso, senza aspettare oltre caricò urlando: - Urrrkaaah! – Ma la tipa non si fermava, continuò a danzare. Meglio, l'avrebbe acchiappata prima. Il suo disappunto, quando si spappolò sotto la sua sensuale presa, fu grande solo quanto quello di accorgersi che a fianco c'era un'altra figura femminile, se possibile anche più brutta.
Juno era pronta ad una reazione del genere. Posò a terra lo shamisen e raccolse un’accetta andandogli incontro per decapitarlo.
Lorenz aveva seguito la corsa d’avvicinamento del bestione: era proprio grosso! E decisamente brutto... Così, appena quello aveva tentato di afferrare la camicia, aveva interrotto il contatto telepatico lasciando il troll perplesso con nulla più che un capo di vestiario in mano. L’idea era che Juno lo avrebbe decapitato, ma qualcosa andò storto. Il troll si allontanò giusto in tempo per evitare l’accettata della donna, tramortendola poi con una sorta di manrovescio mirato al volto. Dopodiché si girò verso l’albero dove si trovava lui. L’aveva fiutato. Con un ruggito pieno d’ira, la bestia si lanciò a tutta birra contro l’albero, dandogli una fragorosa testata che lo fece ondeggiare paurosamente, a dispetto della larghezza del tronco.
Lorenz cercò di reggersi al ramo, ma per quanto tentasse di aggrapparsi, non ce l’avrebbe fatta a rimanere su: aveva già perso la presa. La sua caduta avvenne con un coreografico volo all’indietro, che lo fece atterrare di schiena a pelle di leone.
- Scheissegottsverdammt!!! - Riuscì a dire mentre cadeva, prima di schiantarsi al suolo senza fiato nei polmoni. Cercò di rialzarsi, pensando che il troll probabilmente gli sarebbe stato addosso entro brevissimo ma svenne poco dopo.
Trusk li per li rimase interdetto. Acchiappò i due reietti che volevano fregarlo e se li portò nella grotta insieme alla caciotta lasciata incustodita. Finito che ebbe di divorarla, apostrofò i due tizi. Parlava con uno strano accento, sforzandosi di imitare il francese che aveva sentito ai villici che terrorizzava: - Aloshra, mozier, como she voi volevate fregare Trusk? Vi manta peesanni? Trusk no magna peesanni, i jakki no buonisshimi, preferisso capa! – I due avevano un gran mal di testa e difficilmente capivano cosa stesse farfugliando la creatura. Si sforzarono ma continuavano a non capire facendo irritare Trusk: -Aloooora? voi no rishponde? Pare chiaro che mo è meglio se magna quella bruta co' tanni capelli e poi karaocca quella meno bruta co' barba! - Lorenz non sapeva bene cosa volesse dire "karokkare” per un troll, però c'era poco da chiedere ed il "meno brutta" faceva pensare al peggio.
Juno s'alzò in piedi iniziando a gesticolare come se parlasse ad un cavernicolo: - Meee Junooo. Meee Noo buonaaa. Tuu volere snuuz snuuz con mioo schiavoo? - E indicò Lorenz - Luii avere bel knuuuz! - E mosse le braccia su e giù mimando un deretano.
- Ma sei pazza!? - gracchiò Lorenz sconcertato. Poi rivolto al troll aggiunse: - Lei, ottima carne! Poca ma buona.. Saporita! -
- Tu shitta, schavola di tipa brutta! - Biascicò la bestia.
- Se lei comanda, tu shitta no? Tu! Cappelona! Davero bona da magnare?! ..Certo che però voi parla strano strano, jakki parla più beli che voi, quando supplica me non magnare! -.
Juno voleva dimostrare a tutti i costi la sua innocenza nell'affermare che non fosse ottima da digerire. Il fatto che si curasse per l'incolumità del troll, forse giustificava il suo attaccamento alla vita. Almeno finché aveva una certa missione da compiere: - Troll di poca fede, guarda! - Esternò graffiandosi il polso a tal punto da sanguinare. Lasciò cadere qualche goccia su un'erbaccia dentro la caverna e questa, poco dopo, appassì fino a sciogliersi del tutto.
- Shreeecha! - Urlò l’orco.
- Meee no buona! Tu liberare nooii in cambio di knuuz knuuz con schiavo? -
L’orco si grattò la testa sconcertato. Non capiva nulla di quello che la brutta strega stesse dicendo, stava solo pensando al fatto che avrebbe dovuto ucciderla al più presto.
Juno pose il pollice e l'indice a mo’ di tondino e ci fece passare più volte l'indice della sinistra: - Tu knuuz knuuz con schiavo?! - Chiese ancora Juno, in un ultimo tentativo di mercanteggiare la loro salvezza in cambio di una cavalcata con Lorenz.
- Ah, urrrkaaaah! Tu shtreca che capisce, quasi bono mostro ora! Ma se Trusk no squarta, tu massacra jakki e poi loro no ha più bone cape pe' Trusk! Como è che mostri tutti passa in mio boshetto... tanto, tranquillo, boshetto... - Trusk era seriamente perplesso. Avrebbe dovuto massacrare quell'orrore e prendersi la bella. Bella.. Non sapeva di che razza fosse, sembrava una di quei jacques che gironzolavano per il suo terreno ma era troppo raffinata, ben vestita e pulita per essere un contadino. Anzi, era pure più bella delle femmine di contadino nonostante avesse la barba. Però, squartare Juno mentre proponeva un affare, era un po' andare contro quello che sentiva dire da sua madre quando, ancora cucciolo, terrorizzava i villaggi intorno con lei: “Te pensha zempre Trusk, che troll no ha che una sola unicha parola. Se te fa accordo co' jakki poi mantiene: noi no è mica orci caciaroni, troll è persona seria, che se dice poi fa!” Ma se non accettava il patto avrebbe potuto ucciderla senza violare la sua parola... o no? Senza dubbio gli serviva una donna, in genere le femmine di troll avevano migliori capacità speculative: difatti sua madre e le sue sorelle erano molto più sveglie di lui e dei suoi fratelli…
Nel mentre il troll rifletteva e pareva essersi dimenticato di loro, Juno diede un'occhiata allusiva a lorenz: - Inventati qualcosa! - gli sussurrò a denti stretti. Sapeva che la stava odiando profondamente e forse era per questo che non interveniva.
Alla fine, parve che il troll avesse preso una decisione. Urlando “Kamadò!”, una specie di imprecazione troll che mischiava il 30% delle blasfemie conosciute, alcuni insulti e, stranamente, il nome che i troll davano alla senna, annunciò: - Tu mostro, tu more. Io poi piglia shavola e fa knuts knuts come dice voi tipi shtrani! - E si gettò prontamente su juno per tentare di spaccarle la testa con i suoi pugni enormi.
- Fermati! - gridò Lorenz. In quei minuti durante i quali Juno e il troll stavano mercanteggiando il suo deretano, aveva avuto tutto il tempo per calmarsi e ragionare: - Di solito si fa prima knuuz knuuz e poi si uccidono i mostri, non lo sapevi? - Dicendo questo si alzò, e lentamente cominciò a togliersi la palandrana e la camicia rimanendo a torso nudo. Lo spettacolino sembrò funzionare, il troll perse interesse per la strega e si concentrò sulla bella e conturbante schiava.
- Aaahw... tu no ha sacche davanti, petto piatto e pelosho come femina troll... - Apprezzò Trusk.
Il cervello del Troll smise di gestire le sue azioni: anche i troll soffrono di tempeste ormonali. Quindi, si rivolse del tutto verso Lorenz e gli pose una mano sulla spalla a mo’ di carezza. Lorenz rimase stupito da un simile approccio. Juno, invece, dalla sua posizione poteva vedere chiaramente le gambe del Troll flettersi pronte per balzare addosso all’uomo.
Era uno di quegli attimi che cambiano decisamente la storia.
Lorenz non stette ad aspettare troppo. Anche perché, se l’avesse fatto, non avrebbe avuto scampo da quello che sarebbe successo di lì a poco. Improvvisamente due pistole gli balzarono in mano e si buttò a terrà in avanti. Girandosi contestualmente sulla schiena, sparò due colpi che centrarono in pieno i genitali del troll: - Vai Juno, ora!! - urlò Lorenz in direzione della donna.

Alle parole di Trusk Juno cadde in trance. Mostro.. Quante volte era stata definita così e quante altre ancora l'avrebbero chiamata a quel modo. Ma avevano ragione, tutti avevano ragione: lei era soltanto un mostro e i mostri devono morire. A suo tempo avrebbe abbracciato la morte come il destino di ogni suo simile, ma non ora. Era stata generata per porre fine ad una stupida vendetta, lei altro non era che lo strumento, la lama brandita da una mano assassina. Questo bastava a giustificare gli altri dal chiamarla mostro? Lei non aveva anima... Che colpa ne hanno i mostri quando vengono creati e abbandonati al mondo, sono orfani di una madre che non si cura delle mosche che voleranno sui loro corpi marcescenti, quando verranno uccisi dal bene. Perché di certo nessun mostro sta dalla parte del bene. Provò compassione per Trusk, perché nella sua primitiva mente aveva scoperto quello che lei stessa aveva dimenticato da tempo. Era un mostro, e i mostri non rispondono delle loro azioni fino alla morte perché non hanno rimorsi. Juno fece scivolare la mano tra le sue gambe, ripercorrendo la coscia fino a slacciare un machete dal reggicalze. Tornò dritta roteando la lama nella mancina. Trusk e lei erano abbastanza vicini da guardarsi negli occhi. C'era una grande differenza tra loro due: il primo provava dolore e la seconda si nutriva di esso.
- I mostri non esistono. - Disse ironicamente prima di decapitarlo.
La testa di Trusk si contorse in un fremito di dolore e orrore. Non avrebbe mai pensato di morire così, avrebbe fatto meglio a dilaniare Juno quando ne aveva l'occasione. Ormai, però, era tardi per pensarci. Non gli aveva fracassato il cranio, quindi sapeva che staccandogli la testa non sarebbe morto: la strega voleva catturarlo.
-Tu mostro che vole? - Piagnucolò Trusk - Pecché cattura mme? Io che fato? Magna qualche capa di jakki ma niente più, io mazato pochi pochi jakki pe' esse troll! Lascia via o mmaza me, no? che vole tu da Trusk? - Tremava come un bambino (o senza dubbio lo avrebbe fatto, se avesse ancora avuto un corpo), era ormai chiaro che il suo destino sarebbe potuto essere peggio della morte.
Juno raccolse tra le mani la capoccia del troll, affinché lo guardasse bene in volto: - Tu ora mi appartieni, troll. Il tuo sangue guarisce le ferite, era la sola ragione per la quale avevamo bisogno di te... Ma ora, ora siamo amici tu ed io. Sarai la bambola che non ho mai avuto. Sarai la mia sorella preferita. Sarai tutto quello che non posso sperare di avere e vedrai, andremo davvero d'accordo e diventeremo ottimi amici - Gli sorrise.
- Moooostro! Io no viene co te mostro! - Disse il troll singhiozzando.
Ma senza badare oltre ai vaneggiamenti di Trusk, che tentava di morderla, Juno si voltò verso Lorenz: - Prendi un contenitore e raccogli quanto più sangue puoi dal suo corpo.. Potremo preparare delle ottime conserve da portare con noi. -.
L’uomo prese una fiaschetta dalla tasca della palandrana e cominciò a raccogliere il sangue che fuoriusciva dal corpo del troll. Quand'ebbe finito la ripose.
- Carino il trucco del sangue acido. - commentò poi in direzione di Juno, - Solo che gradirei tu me ne parlassi prima, quando provi a vendere il mio deretano per salvare il tuo… Magari posso essere di maggiore aiuto! - continuò con una punta d’acido. Detto questo, si rivestì con calma, riponendo con cura tutte le sue armi e le sue cose e sistemandosi i bottoni della camicia, ormai sudicia, e seguendo Juno che usciva dalla grotta. Non era d'accordo con quello che la donna aveva intenzione di fare: certo, in linea di principio, non provava compassione per il troll che lo aveva quasi violentato, ma d'altro canto non meritava di essere portato in giro come un cagnolino: - Meglio ucciderlo dopo - Disse a Juno.

Juno non rispose a Lorenz. A dire il vero non avrebbe più detto altro fino a casa. Le parole di Trusk l'avevano toccata nel profondo e voleva restare nella sua camera di pensieri. Con passo flemmatico s'incamminò per tornare dove avevano lasciato la carrozza. I solchi profondi dei loro corpi trascinati mostravano il percorso da seguire e non passò molto prima che ritrovassero il carro. A giudicare dal sole a picco sulle loro teste, erano nel bel mezzo della giornata. Posò la testa di Trusk all'interno della carrozza e recuperata l'anta rotta la rimise alla meno peggio sui cardini e si richiuse dentro. Aveva bisogno di stare al buio, tutta quella luce l'avrebbe fatta sciogliere. Trusk parve azzittirsi per un po'. In effetti, per tutto il viaggio si lagnò meno del previsto anche se, dalla sacca, ogni tanto provenivano versi che sembravano singhiozzi.

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MessaggioInviato: Ven Giu 24, 2011 12:46 am Rispondi citandoTorna in cima

La strada era accidentata e il carro sobbalzava parecchio lungo il percorso. Dopo un po’ il tragitto si fece più regolare e gli scossoni cessarono quasi del tutto: difatto il viaggio migliorò. Decisa quale doveva essere approssimativamente la direzione da prendere, Lorenz lasciò quasi liberi i cavalli, facendoli andare al trotto lungo la strada. In una mano le briglie, nell’altra una bambola di pezza bruciacchiata. Il rumore degli zoccoli sul selciato si fece sempre più lieve, i colori della campagna sempre più sfocati, e i pensieri vagarono a ritroso nel tempo, a qualche anno prima.

Una mano fredda gli sfiorò il braccio e di soprassalto si voltò a sinistra in cerca del viso del suo interlocutore. Era Juno, anche se difficilmente l'aveva riconosciuta sotto quel camuffamento. Aveva una parrucca bionda e riccioluta e indossava un vestito celeste adatto più ad una bambina che ad una signora. Sedette accanto a lui con strana calma e serenità, senza mai smettere di tenergli la mano. Lorenz guardò in avanti, ma non c'era più traccia dei cavalli. Davanti a lui si stagliavano file di sedie e poltrone di velluto rosso, tendaggi alti e logge con intarsi d'oro. Era in un teatro, stranamente vuoto, e lui era seduto sui bordi del palco. Dietro di lui, gli alberi della campagna erano diventati sagome di legno dipinte per la sceneggiatura e le vallate parigine sfondi verdi di cartapesta.
Il salone davanti a lui era vuoto e vagamente ricordava il perché.
- Tutto bene? - Gli chiese Juno.- Era una cosa che andava fatta, non devi incolpare te stesso.
Lorenz sentì qualcosa tra le dita, ed abbassò lo sguardo. Fra le mani reggeva una bambola di pezza bianca. Le cuciture erano nere, e al posto degli occhi aveva due bottoni rossi. Lorenz l’avrebbe potuta descrivere in un solo modo: inquietante. Non per l’aspetto, che in fondo era quello di una normale bambola di pezza per bambini. Non sapeva perché, ma qualcosa di quella bambola lo faceva sentire a disagio.
- Non lo so - rispose cupo l’uomo.- Non sento nulla. Né rimorso, né dolore, né dispiacere per quello che ho fatto. Ma è proprio questo che mi turba- volse lo sguardo su Juno.
- Cos’è? - chiese ammiccando in direzione della bambola che teneva in mano.
- È un totem - spiegò la donna, in una sola parola. - I totem possono avere diversi poteri in base all'utilizzo che se ne fa.. questo assorbe le pene - Juno prese uno spillino dai capelli, infilzando la testolina bianca della bambola. Non ci fu nessun particolare effetto e Lorenz pensò che la donna lo stesse di nuovo prendendo in giro. - Funziona, credimi - ripeté per convincerlo, - ma devi essere tu a provarci... - concluse.
Lorenz guardò il totem.
- E come dovrebbe aiutarmi questo? - chiese, fra lo scettico e il divertito.
- Perché, credi di aver bisogno d'aiuto? - disse lei, puntando sull'orgoglio dell'uomo.- Stai solo morendo dalla voglia di provare cosa succede, e se non dovesse accadere niente avrai ottenuto la tua scusa giornaliera per darmi della pazza.
Lorenz rise di gusto.
- L’ho capito che vuoi stuzzicare il mio ego - le disse.- Sei una maestra in questo. E sia! Vediamo che succede!
Non poteva succedere niente di male, si disse. Alla peggio, avrebbe rovinato la bambola. Ma con Juno bisognava starci attenti, poteva benissimo avergli detto la verità. Ma in cosa lo avrebbe potuto aiutare? Ammesso che lo avrebbe aiutato in qualche maniera. E se poi si fosse trattato solo dell’ennesima presa in giro?
Decise di mettere da parte i dubbi, e fidarsi della ragazza. Prese lo spillo conficcato al momento nella testa della bambola, e poi la conficcò nella gamba di stoffa. In un attimo a Lorenz sembrò di essere piombato in un incubo: tutto il teatro aveva assunto un colore rosso cupo, e sembrava che un pittore pazzo avesse deciso di prendere della vernice e spargerla a chiazze sulle pareti, sulle sedie, sul palcoscenico…su tutto. La vernice sembrava fresca. Ma l’odore che emanava, dolciastro e leggermente ferroso, non lasciava adito a dubbi di cosa si trattasse in realtà: il teatro era inondato di sangue!
- Cosa hai fatto Juno? Cos’è questo, uno dei tuoi trucchi? - domandò allarmato l’uomo guardando la ragazza con la parrucca, che in mezzo a tutto quell’orrore aveva assunto un aspetto irreale, incorporeo, ma allo stesso tempo presente in una maniera innegabile.
Qualcosa era cambiato però. Non era più umana, aveva un corpo abnorme ricoperto da pelo biancastro e arti affilati. Non aveva neanche più un viso: era diventato un insieme di tentacoli e occhi perlacei e, lungi dal mostrare la barriera di denti acuminati dietro quella cascata di protuberanze ad anelli, lasciò che l'uomo si rialzasse impugnando un'arma.
- Nessun trucco, Sir. Questo è il dolore che viene a galla. Per ognuno, ciò che mostra il totem è diverso. Non posso sapere cosa riesci a vedere in questo momento, sei circondato dall'odio e dal male che c'è dentro di te - la voce di Juno era la stessa, era l'unico contatto che gli restava con il mondo reale.
Lorenz si calmò un poco. Aveva percepito la presa sulla sua mente, esercitata da qualcosa di arcano, misterioso. Ciononostante, la visione intorno a lui era terrificante, nell’insieme. L’odio e il male... Lorenz sbatté gli occhi, confuso. Davvero in lui c’era quello che vedeva davanti a se? Questo era dunque tutto l’odio e il male che aspettavano solo di venire fuori?
Lorenz fece forza su se stesso. Con uno sforzo immenso si costrinse a riporre l’arma, e a sedersi di nuovo accanto a quella cosa che avrebbe dovuto essere Juno. Guardò nuovamente la bambola: anche lei era coperta di sangue, e sembrava che gli sorridesse. Ma era un sorriso crudele e agghiacciante, un sorriso di trionfo. Trionfo di chi sa di aver vinto:- Questo mai!!! - urlò Lorenz a nessuno in particolare. Ma forse stava urlando solo a se stesso, oppure non stava urlando affatto.- Non diventerò mai questo, mi hai capito? MAI!!! Lo giuro su Dio!!!- detto questo si prese la testa fra le mani. Sentiva che sarebbe scoppiato. Poi, come era iniziato, l’incubo cessò. Era di nuovo nel teatro vuoto, seduto accanto a Juno. Si guardò intorno spaesato.
- Ciò non accadrà, se non vuoi - lo rassicurò lei.- Il totem può accumulare tutto questo e liberarti dal suo peso. Ogni volta che ne avrai bisogno, non devi far altro che punzecchiarla - Juno estrasse lo spillo dal corpicino di pezza che prese a sanguinare.
- Sai, non ho mai saputo se i totem fossero creature vive.. Probabilmente lo sono e hanno dei sentimenti. Perciò faresti meglio a prendertene cura...non sia mai che un giorno possa rivoltartisi contro...- continuò enigmaticamente la ragazza.

Poi le porte del teatro si spalancarono, entrò un vento caldo e potente che avvolse Lorenz fino a risucchiarlo e costringendolo a chiudere gli occhi. Quando li riaprì era di nuovo tutto cambiato. Dappertutto c'era odore di carne bruciata e scarti di pesce. Aveva in mano una torcia e davanti a sé c'era una pira alla quale era legata Juno.
Lorenz osservò per un attimo la donna che stava per morire bruciata. Poi, lentamente, trasse qualcosa dalla tasca, e lo gettò sulla pira, ai piedi di Juno. Una bambola di pezza, ricoperta di aghi sulla schiena.
- Lorenz.. - lo chiamò Juno, - Lorenz che stai facendo.. - la voce era così flebile, probabilmente era allo stremo delle forze.
L’uomo in nero alzò lo sguardo dal totem sulla pira che cominciava ad essere aggredito dalle prime fiamme. Aveva gli occhi cerchiati, di chi non dorme da giorni, e lo sguardo vuoto.
- Quello che avrei dovuto fare tempo fa - disse secco.- Non mi servono i tuoi gingilli, strega - detto questo si voltò, allontanandosi. Le fiamme cominciarono a divampare con maggior furia, e l’odore di carne bruciata si intensificò di qualche grado.

Il nitrito dei cavalli lo riportò alla realtà. Il vento estivo gli sferzava il viso, mentre il cielo si era riempito di nuvole. Stranamente, a Lorenz parve di aver acquistato velocità: ma non aveva dato nessun colpo di briglia ai cavalli, non li aveva incitati! Si sentiva ancora con la mente intorpidita, come dopo un lungo sonno non ristoratore, e fu per questo forse che non lo vide. Improvvisamente si rese conto che la strada era finita e che stava per cadere in un precipizio.
- Oh sant...! - un'imprecazione interrotta fu l'ultima che si sentì nella foresta.

Quale che fosse l'ora del ritorno, la luna era sorta da un pezzo. Il carro, o quello che ne restava, si era parcheggiato davanti all'abitazione di Aneurin l'alchimista, e lì aveva deciso di smettere di vivere. I cavalli avevano abbandonato il veicolo già da un pezzo. Era stato Lorenz con la telecinesi a muovere le sue ruote. Buona parte del di dietro della carrozza era trivellato da colpi di pallottole, frecce, c'era anche il buco di una cannonata. Le ruote anteriori erano fradice e maleodoranti, avendo pestato e macinato alghe di palude fino a cambiare colore. Le bruciature sul tetto non raccontavano di certo di una bella scampagnata e l'accetta conficcata sulla porta non era il ricordo di una fresca amicizia.
Juno fu la prima a scendere dall'abitacolo di quel relitto ambulante. Stivaletti rosso fiamma scesero uno alla volta dall'interno della carrozza accompagnando, per colore, il vestito a pera che indossava. Una gonna alta ed esageratamente gonfia che finiva fasciata sul petto, dove a sorreggerla ci pensavano ampie bretelle. Il tutto su una ridicola camicia bianca a pois. Dove avesse trovato il tempo di farsi quella treccia elaborata, era una cosa che nessuno avrebbe mai saputo probabilmente. Fatto sta che portava con fierezza, come un casco, la testa di Trusk sotto al braccio.
Sempre con fierezza si fece avanti e non appena anche Lorenz fu sceso dal mezzo, la carrozza cadde a pezzi. La piccola volpe che per tutto il giorno era andata chissà dove, corse verso la padroncina esprimendo un certo interesse per il nuovo giocattolo verde oliva della donna. Zampettando per rubarle le dovute attenzioni, la seguì mentre si avvicinava verso la porta d'ingresso.
Lorenz, a differenza di Juno, era sporco di fango dalla testa ai piedi e aveva un’aria un po’ frastornata. Teneva lo sguardo fisso in avanti, mentre si trascinava dentro l’abitazione, che ormai era diventata di tutti tranne che del povero Aneurin. Togliendosi un’alga dalla spalla, e passando accanto agli altri che li fissavano come se fossero appena usciti dalla mente di un ubriaco, si girò verso di loro.
- Non mi chiedete niente - li ammonì, prima di sparire nel retro, per darsi una sciacquata almeno alla faccia.

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MessaggioInviato: Lun Lug 04, 2011 12:22 pm Rispondi citandoTorna in cima

I morti lo mettevano a suo agio: appena entrato nella camera mortuaria Shane si era calmato, come se gli avvenimenti di quei giorni fossero stati solo un brutto sogno. Si appoggiò contro un muro e si lascio scivolare fino a sedersi. Si rilassò e riprese fiato.
Sandor invece era già all'opera: si aggirava per la camera cercando qualcosa da mettere addosso. Shane si guardò intorno, alla ricerca dei proprietari dei corpi che giacevano sui tavoli. Li trovò in poco tempo.
- Ehi... ti dispiace se prendiamo in prestito un po' di roba...? – chiese.
Il fantasma lo guardò e fece cenno che potevano. Shane lo ringraziò.
- Di nuovo a parlare con quei cosi? - domandò Sandor, avviandosi tra le file di tavoli.
- Non chiamarli cosi! A te non piacerebbe essere chiamato “coso”. -
- Su, non te la prendere! - replicò Sandor, distratto.
I cadaveri non mancavano: a Parigi si era sparato e si sparava dappertutto; ma non era certo questo che lo turbava. Il guaio era che le pallottole non si limitano ad ammazzare le persone: danneggiano irrimediabilmente anche i vestiti, e questo a Sandor non piaceva. Cultore della moda e del bon ton, egli non era incline a sottovalutare una sessione in sartoria; neanche se la sartoria era in una camera mortuaria.
- Ehi! - esclamò, accelerando il passo, guarda che magnifica camicia azzurra! -
- Accidenti... mettiti qualcosa addosso e andiamocene! – Rispose Shane, che invece, di moda e di bon ton, non ne capiva nulla.
Il fatto che Sandor fosse completamente nudo di fronte ai suoi occhi non lo metteva minimamente a disagio, ma era preoccupato che arrivasse qualcuno.
Si girò verso il vecchio proprietario della camicia.
- Possiamo prenderla? - il fantasma annuì.
- Grazie mille...! - gli sorrise, poi si rivolse nuovamente a Sandor.
- Ok, puoi prenderla... -
Sandor non aveva aspettato il permesso, e maneggiava il cadavere con disinvoltura.
- E se ti dicono di no? - chiese con un sorrisetto fatuo.
Shane lo guardò stupito.
- Se dicono di no...? Se dicono di no non la prendiamo…! - rispose con tono di ovvietà. - Sarebbe come rubare! - aggiunse, stringendosi nelle spalle.
- Bah! Contento tu! – replicò Sandor.
Infilò la camicia. Aveva occhio: gli stava a pennello. Conosceva una sartina che avrebbe saputo far sparire il piccolo foro all’altezza del cuore, e anche le macchie di sangue.
- Questa è perfetta per te, amico! - aggiunse, spogliando con disinvoltura un altro cadavere.
Questa volta l'operazione si rivelò più difficile: l'uomo era morto da parecchie ore ed era già diventato rigido.
Si avvicinò a Shane con la camicia in mano.
- Ti aiuto a metterla, amico. - disse.
Shane rivolse lo sguardo verso un punto imprecisato alle spalle di Sandor in attesa del permesso da parte del vecchio proprietario dell'indumento; solo dopo averlo ricevuto annuì. Si alzò e raggiunse l’ungherese. Normalmente si sarebbe vestito da solo, ma era provato dagli eventi di quella sera e non aveva l'energia per opporre resistenza. Chiuse gli occhi, si passò una mano nei capelli e tirò un profondo sospiro, poi guardò Sandor dritto negli occhi e gli sorrise imbarazzato.
- Ehi... non ti ho ancora ringraziato... -
- Ringraziato? - E di che cosa? -
- Beh... - arrossì - ... per prima, nella cripta. Se non fosse stato per te probabilmente non sarei qui adesso... grazie… -
Sandor gli diede un colpetto sulla spalla.
- Bah! L'avrei fatto per chiunque! - minimizzò - E adesso sarà meglio che ti volti, amico. – disse – E dammi una mano: è un po’ rigida. Devono aver usato un bel po’ di amido, quando l’hanno stirata! -
Shane sorrise e annuì, poi si voltò, offrendo le spalle al mannaro.
Sandor adesso ne era certo: il ragazzo era proprio cotto di lui. E come poteva essere altrimenti?
Il posto, però, era pessimo: tutti quei cadaveri, e neanche un posticino libero per mettersi comodi.
E non era neanche tranquillo: scalpiccio di passi, rumore di fucili che venivano armati. Sandor si accigliò: sotto sotto, in un angolo remoto della sua mente, c'era il sospetto che qualcosa non andasse per il verso giusto.
Anche Shane realizzò che c’era qualcosa che non andava. Sbiancò appena riconobbe il rumore dei fucili: dopo quello che era successo nei giorni scorsi le armi da fuoco lo terrorizzavano. Dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per evitare che le gambe gli cedessero. Aveva capito quello che stava per succedere, ma non riusciva a reagire.
- Stanno... stanno arrivando...? - chiese con un sussurro, guardando Sandor dietro di se con la coda dell'occhio.
- Qualcosa sta succedendo, ma che cosa? - domandò Sandor, perplesso.
Distratto dal suo obiettivo, si guardò intorno alla ricerca di un indizio. E come gli accadeva a volte nei momenti di tensione, trovò un altro particolare che attrasse la sua attenzione: un magnifico paio di stivali ai piedi di un altro cadavere.
- Belli, quelli! - esclamò.
I passi si facevano sempre più vicini, presto sarebbero arrivati alla porta. Shane sperò stupidamente di averla chiusa, quasi come se potesse rappresentare un ostacolo insormontabile per i gendarmi che si stavano avvicinando. Gli tremavano le mani, e le ginocchia non avrebbero retto ancora a lungo. Le parole gli uscivano talmente flebili che a stento poteva sentirsi parlare.
Sarebbero morti, lo sapeva.
- SHAAAAANE!!!! Maledetto idiota mi sentiii??? -
Murphy batté con violenza il palmo della mano contro la guancia del ragazzo, senza riuscire a provocargli alcuna reazione.
- Aaaaaa! Accidenti a te, perché devi essere così stupido?? - Serviva qualcosa di più incisivo: Murphy si allungò e morse con decisione la narice del suo ospite.
- Agh! - Shane si staccò il folletto dal naso con un gesto rapido. Murphy lo guardò con aria di sufficienza e fece spallucce. - Occhio che arrivano, Shane... -
Il ragazzo si girò di scatto verso la porta, senza mollare il folletto. I gendarmi erano vicinissimi.
Scattò rapido verso Sandor, anzi, contro Sandor. Non era certo una cima, ma sapeva che non avrebbe mai potuto smuovere un uomo tanto grosso se non sfruttando tutto il suo peso. Lo colpì con una spallata e riuscì a sbilanciarlo quanto bastava per afferrargli il braccio e tirarselo dietro un tavolaccio. Lo gettò a terra: Sandor atterrò di schiena, mentre il giovane irlandese gli piombò addosso a cavalcioni: con una mano continuava a tenerne stretto il braccio, mentre con l’altra si affrettò a coprirgli la bocca (Murphy nel frattempo gli si era aggrappato alla cintura). Lo guardò dritto negli occhi, facendogli segno con lo sguardo di restare in silenzio.
Sandor apprezzò il gesto di Shane. Era giunto alla conclusione che il ragazzo era scatenato, e aveva deciso di assecondarne tutti i capricci. Annuì con la testa e Shane gli tolse lentamente la mano dalla bocca. Per Sandor fu un segnale di via libera. Fece forza con la mano libera, e lo disarcionò, facendolo finire sotto al tavolo, mentre i soldati facevano capolino nella camera ardente. Le posizioni si invertirono: Sandor si trovò a cavalcioni di Shane e cominciò ad abbracciarlo con foga.
"Accidenti..." pensò Shane: quell'uomo grande e grosso sembrava terrorizzato come un bambino troppo cresciuto. Lo abbracciò a sua volta, cercando di tranquillizzarlo.
- Shhhh..... andrà tutto bene... - gli sussurrò sottovoce.
"Andrà tutto bene... " ripeté e se stesso. Ma in realtà non ci credeva più di tanto. Girò la testa sul lato e osservò i gendarmi entrare nella camera: poteva vedere tre paia di piedi, e almeno altri due soldati erano all'esterno della camera, a giudicare dalle voci.
"Come hanno fatto a trovarci?... " Si chiese, e si ricordò del guardiano che avevano messo in fuga all'arrivo nel cimitero. Tanto per iniziare. Poi avevano fatto una casino bestiale nella cripta. A pensarci bene era strano che non fossero arrivati addirittura prima…
La parte peggiore in tutto questo è che lui era spaventato almeno quanto Sandor, anche se non dava a vederlo.
- Shhhhh... calmati... penserò a qualcosa... – Si sentiva addosso la responsabilità dell’intera situazione: era LUI che doveva parlare col morto, e l’ungherese si trovava lì solo perché LUI non sapeva arrivare da solo al cimitero. Adesso il minimo che poteva fare era tirarlo fuori da quella situazione. Non doveva perdere la calma, doveva ragionare e pensare ad una soluzione…
Non fu semplice, data la tensione del momento, ma lentamente elaborò una strategia. Sembrava convincente, anzi, brillante: un piano infallibile.
- Penserò a qualcosa... –
- Pensare a qualcosa? - ripeté Sandor, sempre più infatuato - Sei un vulcano d'idee, stasera, bello mio! -
Poi si accorse degli stivali dei soldati e aggrottò la fronte: che diavolo ci facevano degli stivali in una camera ardente?
La cosa richiedeva una riflessione approfondita. Si chinò su Shane fin quasi a soffocarlo.
- Ehi! - gli sussurrò all'orecchio - Che cosa sono quelli? -
- Shhhhhh.... - gli intimò Shane, dopodiché, con uno sforzo non indifferente, riuscì a invertire nuovamente le posizioni. Erano di nuovo fuori dal tavolaccio, e lui era di nuovo sopra. Si chinò addosso all’ungherese.
- Non ti preoccupare... penso a tutto io... tu non muovere un dito. - Gli disse all'orecchio, a voce bassissima.
Lentamente, lasciò la presa e si alzò, fin dove poteva senza perdere la copertura. La stanza era scarsamente illuminata, quasi buia. Perfetto: se non faceva rumore non l’avrebbero notato.
Si allontanò furtivamente, sempre restando coperto ora da un tavolo, ora da uno scaffale. Il suo bersaglio erano i tre soldati entrati nella camera.
Raggiunse un tavolo e ci posò sopra Murphy, che per evitare di restare schiacciato poco prima gli si era arrampicato fin su nei capelli. Afferrò un oggetto che non riconobbe (probabilmente un paio di pinze chirurgiche) e, facendo attenzione a non essere visto, lo lanciò contro un mobile. Colpì delle fiaschette di vetro, che si ruppero. I soldati si voltarono e aprirono il fuoco nella direzione da cui proveniva il rumore. "Stupidi" pensò Shane, “ci sono cascati.”
- Ricarica! – Disse qualcuno, e i tre si affaccendarono per ricaricare. Perfetto: era il momento buono per agire: Shane infatti aveva notato che i fucili hanno bisogno di tempo per essere ricaricati tra uno sparo e l'altro, e non ne avrebbe concesso loro abbastanza per portare a termine l’operazione.
Uscì di corsa dal suo nascondiglio e si avventò sul primo soldato, colpendolo alla mandibola: il colpo andò a segno alla perfezione, probabilmente gliela aveva disarticolata. L’uomo crollò, battendo la testa contro un tavolo. Fuori uno.
Gli altri due soldati si girarono di scatto, o almeno ci provarono: Shane colpì quello più vicino (che gli dava il fianco) dietro la nuca, mandandolo a terra. Il terzo fece in tempo a girarsi e fece per puntargli il fucile (ormai scarico) contro, ma il ragazzo gli colpì le mani con un calcio, facendoglielo cadere. Poi gli assestò un diretto sul naso.
Il soldato cadde all'indietro. Fuori due e fuori tre.
"Perfetto" Pensò Shane e sorrise soddisfatto. Si massaggiò inorgoglito il pugno chiuso. "Tutto secondo i piani!"
Poi sentì il rumore di un fucile che veniva armato alle sue spalle e in un attimo si ricordò del conto dei soldati che aveva fatto sotto al tavolo: "tre paia di piedi, e almeno altri due soldati erano all'esterno della camera, a giudicare dalle voci ". Il suo conto si era dimostrato giusto. Ma cosa prevedevano i piani adesso? Fece mente locale: adesso doveva…
Un gendarme aprì il fuoco. Lo mancò di proposito: era solo un colpo d’avvertimento.
In quel momento preciso Shane realizzò che i suoi brillanti piani non avevano tenuto conto dei soldati fuori la porta.
- Complimenti, davvero niente male! - rise quello che sembrava il comandante - Ma adesso i giochi sono finiti, ragazzo. Alza le mani sulla testa o ti mando a concimare i ceci. -
Shane capì di non avere scelta. Obbedì, senza discutere.
Il soldato che gli aveva sparato addosso poco prima iniziò a ricaricare il fucile.
- Perfetto, forse non sei stupido come sembri. Adesso verresti fin qui? - Non era una richiesta: era un ordine.
Shane non si mosse, almeno finché non sentì il rumore di un fucile che veniva armato.
- Va bene, va bene! - Si affrettò a rispondere, si girò e lentamente raggiunse i tre soldati fuori la camera. Uno di questi gli afferrò rapidamente il braccio e glielo torse dietro la schiena. Shane si girò per assecondare il movimento e si trovò sbattuto contro il muro.
- Allora, vedo che hai già stretto amicizia con Charles, e ne sono felice, ma che ne dici di presentarti anche a noi? - gli fece ironico il comandante.
Murphy saltò giù dal tavolo e si avvicinò al ragazzo, ma un lieve cenno di quest’ultimo lo fece fermare a circa un metro di distanza, fuori dalla portata degli stivali dei gendarmi.
- Mi chiamo Padraig - mentì Shane - Padraig O'Sullivan. -
- Mmmmhh... e vieni da...? Aspetta, non me lo dire! Fammi indovinare... sei scozzese? -
- Si. - mentì nuovamente il ragazzo.
- Mmmmhh... O'Sullivan, scozzese, hai detto... e allora dimmi, che ci fai in un cimitero francese in piena notte? -
Shane temporeggiò. Non aveva idea di cosa rispondere a quella domanda. Di certo non poteva dirgli il vero motivo di quella gita notturna.
- Stai rubando! - gli suggerì Murphy.
Sandor, intanto, era scivolato alle spalle dei soldati, diretto verso i fucili caduti a terra. I soldati li stavano ricaricando quando Shane li aveva abbattuti, e le pallottole si erano sparse sul pavimento. Trasformarsi di nuovo in mannaro era fuori questione: l’aveva già fatto una volta, quella notte, e non poteva farlo una seconda. Raccolse l'arma più vicina e la caricò silenziosamente mentre i soldati si impadronivano del ragazzo irlandese. L'operazione fu veloce: Sandor aveva dimestichezza con le armi da fuoco. Al momento di sparare, però, fu colto da un pensiero molesto: non poteva combattere in camicia. Era contro la decenza.
Abbassò il fucile e rivolse la sua attenzione al tavolo più vicino. Uno dei cadaveri aveva un paio di brache accettabili. Non certo all'ultima moda, ma accettabili. Appoggiò il fucile per terra e si diede da fare per impadronirsene.
Shane intanto continuava a non rispondere: non gli sembrava una buona idea darsi del ladro da solo.
- Che ci fai in un cimitero francese? - ripeté il gendarme, e di nuovo Shane mantenne il silenzio.
- Uuuff… - Ad un segno del comandante il soldato di nome Charles riprese a torcere il braccio del ragazzo, mentre l'altro armava il fucile.
- D'accordo, d'accordo! - Si affrettò a rispondere Shane, più per la paura dell'arma che non per il dolore.
- Sono qui per rubare. Sono un ladro. Va bene? -
Il comandante lo squadrò: Padraig O’Sullivan aveva decisamente l’aspetto del ladruncolo, la sua storia era credibile. Un ladruncolo scozzese in un paese estraneo, pensò divertito il comandante, molto giovane e molto spaventato: un ladruncolo alle prime armi. Uno di quelli che possono sparire senza che nessuno se ne accorga.
Guardò i tre soldati a terra, storditi ma vivi. Non dovevano aver capito un granché di quanto era capitato, ma era meglio così. Li avrebbe uccisi e avrebbe dichiarato che erano morti in uno scontro con dei ribelli, risparmiandosi la figuraccia per non averli saputi guidare contro un ladruncolo disarmato. Un buon piano, ma prima doveva accertarsi che non ci fossero testimoni.
- No, non va bene. – rispose - Rubare non va mai bene. Non so in Scozia, ma lo sai cosa facciamo qui a quelli che rubano nei cimiteri? –
Qualunque cosa facessero non sembrava buona, pensò Shane.
- No... non ne ho idea.... -
- Non ti preoccupare, lo scoprirai presto... – Ridacchiò il gendarme. Shane invece era sempre più spaventato.
- Cosa succede a chi ruba ai morti? -
- Non avere fretta, presto lo scoprirai! Ma ora viene la domanda importante... - il comandante si prese una pausa, per accertarsi di avere l'attenzione del prigioniero – Rifletti bene e sii sincero con me, o non ne avrai niente di buono… - prese un’altra pausa e guardò il ragazzo: era terrorizzato, c’erano buone possibilità che rispondesse sinceramente. Gli scostò i capelli dalla faccia per guardarlo bene negli occhi e finalmente fece la domanda:
- Dimmi, giovanotto, hai dei complici? -
Shane si sforzò di restare concentrato: non poteva tradire l’amico.
- No, sono da solo. - mentì di nuovo. – Non ho complici, nessuno. - ripeté
- Maledizione! – borbottava intanto Sandor: non riusciva a spogliare il morto, così si dedicò alle brache del vicino, di qualità molto peggiore e di un colore impossibile.
- Da solo, hai detto... - il comandante diede uno sguardo veloce alla camera mortuaria: era buio pesto, lì dentro, e non si vedeva niente. Si concentrò, cercando il minimo rumore. Niente.
- Eh, si. Sembra proprio che tu sia qui da solo... -
Non prometteva nulla di buono, pensò Shane, ma almeno gli aveva creduto.
- ... E si da il caso che tu abbia steso tre dei miei uomini... Uff... Cosa devo fare con te? -
Uno dei soldati rise. Decisamente non prometteva niente di buono.
- Potrei spararti seduta stante, tanto per dirne una… che te ne pare? - armò il fucile, e glielo puntò alla schiena. Shane provò a divincolarsi, ma Charles lo teneva ben stretto, e presto il dolore al braccio lo immobilizzò del tutto.
Sandor si lasciò sfuggire un gemito di disperazione: le brache di cui si era impadronito erano veramente deplorevoli. Oltretutto, non si abbinavano per niente agli splendidi stivali che aveva adocchiato poco prima. Valutò per un attimo il da farsi.
Non c’era molta scelta: cambiarsi le brache; cercare un altro paio di stivali; oppure optare per un’altra soluzione: per esempio, cercare qualche accessorio che armonizzasse il tutto. Sì, questa era decisamente la soluzione migliore. Fece scorrere lo sguardo sulla lunga fila di tavoli della camera ardente.
Shane, intanto, sentiva le gambe venirgli meno. Oramai era completamente in preda al panico, e le uniche due cose che gli impedivano di cadere erano il braccio torto dietro la schiena e il muro contro cui Charles lo stava spingendo. Il fucile gli premeva freddo sul dorso.
- BANG! - Urlò il comandante, e Shane sussultò terrorizzato.
- AHAHAHAH ci hai creduto davvero! – Gli diede una vigorosa pacca sulla spalla dolorante e rise, subito imitato dagli altri due. La parte migliore era che nessuno si era fatto vedere, il ladro era davvero da solo.
- Non ti preoccupare, non ti sparo... - Gli si avvicinò: adesso tra loro vi erano solo poche decine di centimetri.
- Non avresti dovuto fare il violento con i miei uomini: adesso per colpa tua si dirà in giro che sono un incapace. Quanto posso essere arrabbiato secondo te? -
Shane non rispose. Pensava che quel tizio non sembrava affatto arrabbiato. Sembrava un sadico bastardo e basta, ma di certo non poteva dirglielo.
Nel frattempo, Sandor aveva trovato quello che cercava. Una cravatta verdolina: non era certo quella che aveva in mente, ma doveva accontentarsi. Una cintura niente male: le cose cominciavano ad andare meglio. Ah, ecco quello che ci voleva! Una magnifica bandoliera. E Una borsa per il tabacco, in tessuto damascato. Sandor non fumava e non sniffava tabacco; ma la cosa gli sembrava irrilevante. Finì di vestirsi con un sospiro di soddisfazione.
- Allora? Quanto posso essere arrabbiato? – Il comandante ripeté la frase, quasi urlando. Shane evitò di rispondere un'altra volta: aveva intuito che qualunque cosa avesse detto avrebbe solo peggiorato la situazione.
Il comandante lo guardò seccato e fece un cenno. Charles riprese a torcergli il braccio, e stavolta il ragazzo non riuscì a trattenere un urlo, per quanto soffocato.
Sandor sentì l'urlo e si ricordò di Shane. Forse era il caso di intervenire, pensò, e mentre lo pensava, impugnò il fucile carico, prese la mira e sparò. Un colpo formidabile: l'ufficiale non ebbe il tempo di rendersi conto di quanto succedeva. Cadde a terra morto e un attimo dopo il soldato che era più vicino alla porta della camera ardente lo seguì: Sandor l'aveva colpito alla testa con il calcio del fucile.
Charles lasciò il braccio di Shane e riuscì ad imbracciare il fucile, prima che Sandor gli piombasse addosso. Un colpo partì e si perse tra i cipressi del cimitero. Il mannaro afferrò il soldato alla gola, maledicendosi per aver dimenticato di prendere una spada o almeno un pugnale. Lo strangolò brutalmente, premendogli il collo con le dita: un'operazione che sarebbe stata semplice da mannaro, ma che fu piuttosto faticosa da uomo.
Poi si voltò verso Shane che lo guardava traumatizzato.
- Come va? - chiese.
- Come va? Mi hai chiesto come va? - Shane lo guardò incredulo. Era ancora terrorizzato.
- Mi hanno sparato addosso, mi hanno minacciato, mi hanno quasi rotto un braccio, come deve andare? VA BENISSIMO, non vedi? Che domande sono queste? - gli rispose, ormai sull'orlo di un pianto di nervi.
Sandor gli batté sulla spalla con fare paterno. Il ragazzo era crollato, non c'era da stupirsi. Non era un mannaro: solo un mannaro poteva essere un ficaccio come lui. Ma gli piaceva lo stesso.
Peccato dover abbandonare i progetti per la nottata; ma con tutti gli spari che c'erano stati era probabile che presto sarebbero arrivati altri soldati; e stavolta non se la sarebbero cavata a buon mercato.
- Vieni, ragazzo. - disse, prendendolo di nuovo a braccetto.
Era una buona idea, perché Shane era appena in grado di reggersi in piedi.
- Torniamocene dall'alchimista. – gli disse.
Shane annuì e si aggrappò, quasi a peso morto, al braccio che Sandor gli aveva offerto.
Murphy li raggiunse di corsa, si arrampicò velocemente lungo gli abiti del ragazzo e riprese la sua postazione.

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i famigli sporcano, puzzano, e mi fanno perdere punti esperienza quando decido di disfarmene.

03/11/11: il giorno in cui si scoprì che la stupidità di Shane è contagiosa asd2

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Lorenzo Ferretti
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MessaggioInviato: Ven Lug 22, 2011 12:34 am Rispondi citandoTorna in cima

Eugène Simon Le Bonbon camminava per le vie di Parigi facendo roteare il suo bastone da passeggio. I posti di blocco, le barricate, gli sporadici colpi di fucile non lo preoccupavano affatto. Aveva deciso che quella era la giornata buona per far visita al giovane alchimista che rispondeva al nome di Aneurin Radcliff, e niente e nessuno lo avrebbe distolto dal suo intento.
Era stato fino a quel momento alla gendarmeria, dove veniva chiamato di tanto in tanto come consulente. In passato, aveva contribuito all'arresto di numerosi delinquenti e di moltissimi maghi.
Poiché detestava in blocco tutti gli esseri sovrannaturali, Le Bonbon si era sempre adoperato con solerzia ed entusiasmo al suo compito.
Due cittadini austro-ungarici, un irlandese e un francese della Provenza. Quattro delinquenti che andavano assicurati al più presto alla giustizia. Le Bonbon ne aveva letto le descrizioni dettagliate. Quattro tipacci: li avrebbe riconosciuti a colpo d’occhio.
Ma adesso, aveva ben altro per la testa. Il giovane alchimista aveva fatto degli ottimi studi sui mannari e Le Bonbon voleva verificare con lui alcune sue teorie. Pregustava da tempo quest'incontro e aveva preparato un blocco di appunti sugli argomenti da trattare.
Alzò lo sguardo per verificare il nome della via. Era vicino.
Scostò con il bastone un paio di bambini che giocavano sulla stradina, guardò i numeri delle case e individuò la porta.
Accelerò il passo, impaziente, e bussò con vigore.

Nello stesso istante, Aneurin aveva iniziato a lavorare sul sangue di troll per preparare l’impiastro che avrebbe permesso di sistemare la ferita sulla schiena di Alexandre.
Ormai il paziente era fuori pericolo: non aveva più la febbre, ma rimaneva incosciente.
La pallottola, davvero vicina alla colonna spinale e ai polmoni, rischiava di lasciarlo paralizzato a vita senza delle cure che aggirassero le leggi della natura. Cure che andavano comunque apportate prima che il corpo si assestasse in una cattiva
condizione, definendola come nuovo standard. Per ora il marinaio giacente sul letto si limitava ad emettere qualche lamento e grugnito, senza però effettivamente svegliarsi.
Prigioniero nel suo corpo si chiedeva come avesse potuto farsi colpire... non doveva essere impossibile colpirlo frontalmente?
Chi era stato?
Cosa aveva sbagliato?
Quando Lorenz e Juno gli avevano mostrato la boccetta contenente il sangue di Troll, Aneurin era rimasto esterrefatto. Davvero impressionante! Avevano rischiato la pelle pur di salvare un loro compagno."Ammirevole" pensò fra sé e sé l’alchimista. Con la fiaschetta salda fra le mani, andò verso la vecchia scrivania e aprì un grosso libro consunto: un volume che doveva essere stato letto centinaia di volte.
- Vediamo ... - sussurrò mentre sfogliava distrattamente le pagine. Pochi attimi dopo, il suo volto esibì un'espressione trionfante.- Eccola qua ! - esclamò. Il suo lavoro era quasi finito, avrebbe rimesso in sesto il suo paziente e quei tipi finalmente avrebbero risposto alle sue domande. Ma il suo entusiasmo durò poco, perché in quel medesimo istante sentì bussare alla porta.
"Di nuovo!" pensò, spazientito, ruotando gli occhi al cielo.
Per tutta risposta, chiunque fosse,bussò di nuovo, con rinnovato vigore.
- Monsieur Radcliff! – disse una voce d’uomo, ad alta voce - Sono il professor Le Bonbon!
Al solo sentire quel nome, l'alchimista si sentì mancare la terra sotto i piedi. Non poteva essere lui... Non adesso ..."Oggi non è giornata" pensò sconsolato mentre abbandonava la boccetta sul tavolo e si dirigeva verso la porta.
- È un dottore, famosissimo... Vorrà entrare a prendere del the!- disse Juno sottovoce, una volta udito il nome dell'uomo davanti la porta.
Il giovane alchimista aprì la porta, cercando di assumere un atteggiamento calmo e rilassato.
- I miei ossequi - esclamò in tono gelido, mentre incrociava lo sguardo dell'uomo.
Intanto, nell’altra stanza, Lorenz estrasse una pistola dalla manica. Una persona che si presenta con il proprio nome non significa necessariamente qualcosa di buono...anche se è un dottore.
- E deve passare proprio adesso questo dottore?- chiese sussurrando pure lui, a nessuno in particolare, più per frustrazione che per avere una risposta. Rimase fermo dov'era, pronto ad intervenire se necessario.
Shane sussultò terrorizzato appena Lorenz estrasse l'arma.
- Togli quella cosa! - disse, a voce abbastanza bassa da non essere udito al di fuori della stanza, ma anche abbastanza alta da far temere il peggio ai presenti.
- Tranquillo, O'Cuinn- disse Lorenz roteando gli occhi, spazientito per il fatto che l'irlandese si spaventasse sempre ad ogni minimo segno di ostilità, anche non diretto a lui.-Non la userò mica su di te!
- Toglila e basta, d'accordo? Toglila e basta!- girò la testa, distogliendo lo sguardo dall'arma."Basta pistole, basta" ne aveva già avuto abbastanza in quei giorni. Di sicuro non capiva che avere un'arma in quel momento era un vantaggio che avrebbe potuto salvare le vite dei presenti. Fece un paio di passi, nervosamente. Lentamente, realizzò che nella camera c'era qualcosa di nuovo: qualcosa di verde e approssimativamente rotondo. Fece qualche altro passo e raggiunse l'oggetto sconosciuto.
- Ma che... ? - e allungò la mano.
Trusk aveva ricevuto anche troppe attenzioni per quel giorno. E quelle dell'irlandese erano davvero, ma davvero di troppo.
Con voce rotta si lamentò.
-Voi basta che gioca co' Trusk, che ve ha fatto? Voi ha rotto scattole pure troppo no? Mo tu fa bravo e o spacca capa a me o lascia andare!
Shane rimase interdetto per un istante: quella cosa aveva parlato. La guardò meglio e la riconobbe per quel che era: una testa. Una testa parlante, per l'esattezza. Una testa parlante non sarebbe stata strana, se avesse avuto un corpo al di sotto, ma questa non ne aveva. E sembrava pure parecchio triste... gli aveva chiesto di essere uccisa...?
- Ma... - Shane barcollò qualche passo all'indietro, inciampò in qualcosa e cadde.
Una testa parlante senza corpo che gli chiedeva di ucciderlo. Questo era troppo. Più di quello che poteva sopportare, soprattutto in quei giorni.
- Ma cosa... cosa avete fatto...? - si girò verso Lorenz e Juno, in cerca di una spiegazione. Senza neanche accorgersene, la sua voce era diventata stranamente rotta e due lacrime cominciavano a scendergli dagli occhi.
- Potresti chiederlo a lei, ma dubito che ti risponderà- rispose Lorenz indicando Juno che era intenta a fissare il nulla davanti a se.- Non mi interessano le sue stregonerie, ma ha detto che può continuare a rifornirci di sangue di troll...è ottimo per guarire le ferite. Personalmente ci avrei dato un taglio già da un pezzo- il riferimento al suo desiderio di distruggere quella testa era esplicito. Si mosse senza far rumore in direzione di quell’affare piagnucolante, e preso un panno ve lo buttò sopra.
- Così non mi tocca continuare a fissarlo- si giustificò subito in un sussurro, rivolto agli altri. Si sedette infine sulla sponda del letto dove giaceva Alexandre, posandogli una mano sulla fronte.- Arriva la cura vecchio mio, resisti un altro po'.
Un pensiero improvviso irruppe nella mente di Lorenz: chi avrebbe preparato la cura? Aneurin era di là, a parlare con chissà chi, e nessuno di loro sapeva creare filtri...
- Scusate- disse,- ma chi di voi sa preparare il filtro?
Non era una domanda oziosa: bisognava fare qualcosa al più presto, era evidente. Il sangue di Troll, che Juno aveva raccolto in una fiala, stava lentamente cambiando aspetto.
Mentre quando era stato raccolto era di un verde brillante, al momento aveva virato lentamente verso un colore più scuro, simile alle foglie cadute, e adesso stava di nuovo cambiando colore. Lorenz non capiva perché, adesso, la fiala fosse blu cobalto: ma non era sicuramente di buon auspicio.
Sandor sollevò la fiala contro la finestra e la esaminò alla luce del mattino.
- Perché non guardiamo sul libro di... insomma, sul libro dell'alchimista? - chiese. Si guardò intorno: la sua proposta pareva caduta nell'indifferenza generale. Sandor si avvicinò al libro e cominciò a sfogliarlo. Anche se aveva divorato di gusto diversi precettori, non era mai stato un grande studioso, ma aveva frequentato regolarmente le lezioni di medicina, alla Sorbona.
Il libro di Aneurin non era troppo diverso da quelli che aveva acquistato per l'università. Era solo più vecchio e più usato. Girò le pagine, dapprima con reverenza, poi con sempre maggiore disinvoltura. Eccolo qua. Il capitolo sul sangue di Troll.
Lesse e alzò la testa per guardare Lorenz.
- Quando diventa blu va usato al più presto- disse.- O non potrà più essere utilizzato.
Lorenz guardò Sandor di rimando.
- Sai, chissà perché, ma lo sospettavo! Tanto per cambiare ci tocca fare le cose di fretta- disse con tono rassegnato, ma sempre a bassa voce per non farsi sentire, riponendo l'arma che aveva in mano.- Che dice, avanti...
Sandor seguì la riga con il dito.
- Dice di cominciare scuotendo vigorosamente la fiala- disse.- Finché non si sprigiona un fumo malefico. E, mentre ancora parlava, eseguì la manovra.- Uhm... forse l'ho scossa troppo forte- aggiunse. Il tappo della provetta si stava sollevando minacciosamente.
- Forse è meglio aprire- disse.
Un'enorme nuvola di fumo bluastro, sproporzionato per dimensioni rispetto al piccolo contenitore, si sprigionò dalla provetta. In pochi secondi invase tutta la stanza. Una nuvola di fumo puzzolente, simile a nebbia. Sandor schioccò la lingua, compiaciuto.
- Il fumo malefico! Magnifico!- esclamò trionfante.- Proprio come diceva il libro!
- Hai ragione- disse Lorenz cercando di non tossire.- Hai proprio ragione, complimenti. Davvero malefico! Che puzza stupenda ci hai fatto scoprire, grazie! Shane fa qualcosa, apri le finestre!!
Shane per tutto il tempo era rimasto in stato catatonico. Aveva continuato a tenersi la testa tra le mani, senza reagire a quello che gli succedeva attorno. Murphy l'aveva osservato, e aveva deciso di lasciarlo fare: gli avvenimenti di quei giorni lo avevano provato, e spronarlo oltre non sarebbe servito. Adesso però aveva ragione il Becchino: quel fumo era disgustoso, bisognava aprire la finestra.
- Ehi, Shane... non senti questo schifo? Andiamo ad aprire la finestra.
Shane restò a fissare il vuoto per un istante che sembrò interminabile poi, senza proferire una parola, si alzò e raggiunta la finestra, la spalancò. Dopodiché appoggiò i gomiti sul davanzale e si affacciò come un perfetto idiota.
A Lorenz prese quasi un colpo. Quel demente si stava davvero affacciando alla finestra? - E fermati, pazzo decerebrato! Le regole valgono per tutti: hai deciso di farci fuori per caso?- la frecciata era esplicita, ma dubitava che l'irlandese l'avrebbe colta. Tanto per cambiare.
Invece Shane la colse.
"Ma che accidenti sto facendo!?" Il gesto gli era venuto spontaneo, non aveva minimamente considerato il fatto che erano tutti ricercati. Si scostò dalla finestra.
- Accidenti Be... ehm... Von Rengeborg, hai ragione, ho fatto una stupidaggine. Scusate. Si sforzò di accompagnare il tutto con un sorriso, che riuscì stranamente innaturale. Non si accorse nemmeno di aver pronunciato un cognome che non era quello di Lorenz.
- Si dice Riegersburg, non Rengeborg! E che cavolo, siamo pur sempre dello stesso ceppo linguistico, sforzati un po'! Non è difficile- sibilò Lorenz sottovoce. Si accorse però che il ragazzo probabilmente non lo aveva seguito nel suo breve ragionamento, quindi decise di lasciar perdere.- Continuiamo, dai...che dice il libro Sandor?- chiese quindi all'ungherese.
Sandor era già all'opera, cercando di diradare, agitando la mano, il fumo che si parava tra lui e le pagine.
- Travasare in una storta...sì... aggiungere sette gocce di zolfo e un grano di pirite... Eseguì il travaso con destrezza. Non aveva mai fatto niente del genere, all'università, ma compensava la mancanza di pratica con un'assoluta sicurezza di sé.
C'era tutto scritto sul libro, no? E allora, come si poteva sbagliare? Annusò una serie di ingredienti, già pronti nelle provette.
- Questo sembra zolfo- disse.
- Ehm, Sandor, scusa se ti interrompo, ma avrei qualche dubbio... sei sicuro che debba esserci questo fumo arancione giallastro?- chiese Lorenz, osservando preoccupato la storta.
- Forse lo scrivono dopo- rispose Sandor, concentrato sull'operazione. E aggiunse sette gocce... beh, più o meno sette gocce di quello che pareva zolfo nella storta con il sangue di Troll.
- Secondo voi dove la tiene la pirite quel…ehm, l'alchimista?- chiese, guardandosi intorno.
Shane si strinse nelle spalle.
- In cucina, probabilmente... Assieme alle altre... cose!
Fece rapidamente qualche passo e, prima ancora che gli altri potessero anche solo intuire quello che stava per fare, raggiunse la porta.
- Vado a controllare... - afferrò la maniglia e fece per girarla.
Si stava raggiungendo l'apice della pazzia lì dentro. Quei fumi strani dovevano aver peggiorato la situazione dentro alla testa del giovanotto. Senza pensare che nell'altra stanza potevano essere sentiti, si lanciò con la grazia di un rinoceronte zoppo andando a bloccare le gambe di Shane, e facendolo finire faccia a terra. Cioè, sarebbe andata così se Shane non avesse interposto le braccia alla caduta. Così il rumore fu attutito in qualche modo, producendo comunque un gran fracasso. Tutti si zittirono di colpo, immobili. Attesero qualche secondo, ma dall'altra stanza proveniva solo un chiacchiericcio sommesso. Solo a quel punto si rilassarono, alzandosi dal pavimento.
Shane si girò, trovandosi faccia a faccia con un furioso Lorenz. Juno mormorò qualcosa di incomprensibile fra sé e sé, ma nessuno le diede peso.
- Non farlo mai più- sibilò Lorenz.- Mi hai capito bene, irlandese rimbecillito? O ti devo scandire le parole lettera per lettera?- continuò poi, fissandolo glaciale.
- Lascialo fare. Qui è l'unico che sa dov'è la pirite- si interpose Sandor.
- Chi, LUI??- chiese Lorenz sottovoce, esterrefatto.- Questo qui non saprebbe trovarsi le mutande addosso, come cavolo fa secondo te a sapere dove sta la pirite in casa di un estraneo, me lo spieghi?- chiese poi sarcastico, prendendo Shane per un braccio per evitare che facesse idiozie e guardando Sandor negli occhi.
- Ehi, scusa tanto! - disse Shane gelido, tirandosi il braccio con fare scontroso.- Volevo solo rendermi utile! Non c'è bisogno di essere così acidi!- si passò nervosamente una mano fra i capelli.-Vuoi attaccare lite?- chiese poi, con fare altrettanto glaciale.
- Magari più tardi, quando saremo fuori dai casini. E comunque, lasciatelo dire, non faresti una bella figura se ti battessi con me- non aveva saputo resistere alla frecciatina.
- Questo è tutto da vedere, Von Rengeborg.
- C'è poco da vedere, O'Cuinn - rispose Lorenz.- Non ti piacerebbe batterti con me, te lo posso assicurare- continuò poi sottovoce, con sguardo vagamente divertito.
- Hai ragione: non ci sarebbe alcun gusto- ribatté il ragazzo, anche lui divertito.- Avrei più difficoltà a picchiare un ubriaco il giorno di San Patrizio- rise sommessamente.- Ah, per non dire che se lo verrebbero a sapere a Galway ci farei una maledetta figuraccia... sporcarmi le mani con un incapace come te...!
- Avanti, Shane!! Fagli vedere chi è la signorina frignona qui in mezzo!!!!- lo esortò Murphy.
- Ti sporcheresti le mani per il semplice fatto che colpiresti gli escrementi per terra, per quanto sei basso- ridacchiò a sua volta Lorenz.- La figuraccia ce la farei io temo, visto che colpire i deboli non è un sano principio morale.
- Bei giovani- intervenne Sandor, mettendo paternamente la mano sulle spalle dei due contendenti.- Non vorrei interrompervi, sarebbe un piacere vedervi all’opera. Ma qui abbiamo cose importanti da fare. Guardate là.
Il sangue di Troll aveva cambiato di nuovo colore. Adesso era di una minacciosa sfumatura rosso cupo.
I due ignorarono completamente l’ungherese. Erano troppo occupati a tenersi d’occhio l’un l’altro, e Shane si stava scaldando: era una risposta bastarda quella di Lorenz, di quelle che fanno prudere le mani. E Shane, naturalmente, non sapeva trattenersi. Partì immediatamente con un gancio al volto, senza neanche preoccuparsi di levarsi la camicia, come prevedevano le regole.
Lorenz non dovette nemmeno spostarsi. Corrugò un istante la fronte, e il colpo si fermò a un palmo dal suo volto, senza alcuna speranza di arrivare. Con un cenno della mano destra, Shane cadde lentamente all'indietro, impossibilitato a reagire. Le sue membra erano come di pietra.
- Lasciami dire che ti avevo avvertito: questo non è il momento, né il luogo adatto per queste cose- disse calmo Lorenz.
Shane lo guardò furioso.
- Non è leale!- il sangue gli stava salendo alla testa, e presto si sarebbe dimenticato che non doveva alzare la voce. Provò a liberarsi dalla presa, senza riuscirci.
Rapidamente, Murphy abbandonò la sua postazione e si arrampicò su di Lorenz. Si rese visibile solo a quest'ultimo, e giusto per il momento necessario a mordergli il retro del ginocchio, con tutta la cattiveria di cui era capace.

Sandor li guardò con costernata condiscendenza. Quei due erano proprio dei ragazzini. Scosse la testa.
- Bah!- bofonchiò.- Sarà meglio trovarsela da solo, la pirite. Voltò loro le spalle e andò ad aprire un grande armadio a muro.
- Pirite, pirite, pirite…sì, eccola qui! Bravo alchimista, che mette le etichette! Quanto diceva il libro? Tre granelli? Si, tre granelli. Eccoli. Quattro. Bah! Andrà bene lo stesso! Aggiunse i granelli al composto. Il sangue di Troll prese a gonfiarsi in modo preoccupante.

Improvvisamente Lorenz sentì qualcosa sulla gamba: qualcosa di piccolo. Peccato che qualsiasi cosa fosse, ebbe la sfacciataggine di morderlo con violenza sul tendine della gamba, proprio dietro al ginocchio.
- Ma porco...!!- imprecò trattenendo la voce per evitare che il chiasso arrivasse all'altra stanza. Istintivamente piegò il ginocchio, cadendo all'indietro, e mollando contemporaneamente Shane, che atterrò sul pavimento con un tonfo sordo.
"Ma che diavolo è stato?" pensò Lorenz guardandosi intorno. Poi tornò a guardare Shane, che stava rialzandosi.
- Non possiamo scazzottarci qui, Shane!- sibilò Lorenz sottovoce.- Lo facciamo quando avremo un po’ di tempo, te lo prometto. Hai la mia parola- disse, tendendogli la mano, e cercando di ignorare il dolore al ginocchio.
Shane la scostò, colpendola col dorso della propria.
- Hai barato- protestò, guardandolo furente. Finì di alzarsi mentre Murphy tornava vittorioso al suo posto, sulla sua spalla. Il ragazzo si voltò e raggiunse il muro dietro di se, appoggiandovisi con la schiena ed incrociando le braccia.- Questa me la segno, Von Rengeborg- aggiunse con freddezza.
- Barare fa parte della vita, te ne accorgerai un giorno- disse Lorenz con un mezzo sorriso sulle labbra.- E stai tranquillo, non sei mai stato in pericolo di vita. Comunque, hai un ottimo gancio- concluse con una strizzatina d'occhio.
Shane girò la testa sul lato.- Barare è da perdenti- farfugliò.
Lorenz non rispose. Sapeva che parlava solo per sfogarsi, e che gli serviva per allentare un po' la tensione. Senza contare che era inacidito per aver perso il piccolo scontro. Ridacchiò fra sé e sé scuotendo la testa, e voltandosi verso Sandor. O meglio, verso il punto in cui avrebbe dovuto trovarsi Sandor. Ora si vedeva solo una densa nube di fumo puzzolente, dal colore violaceo e arancio, all'interno della quale l'ungherese assomigliava ad un pazzo gesticolante, mentre scuoteva boccette, girava il mestolo del pentolino, oppure sfogliava il libro.
- Andiamo a vedere che fa quel pericolo ambulante, piuttosto- suggerì Lorenz a Shane, facendogli cenno di muoversi nella direzione del loro compagno.

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MessaggioInviato: Lun Ago 08, 2011 12:16 pm Rispondi citandoTorna in cima

Aneurin osservò attentamente l'uomo che aveva di fronte: basso, capelli bianchi e occhiali. Sembrava lo stereotipo del professore universitario. Se non fosse stato per la sua consolidata fama, non l'avrebbe nemmeno riconosciuto. Si chiuse la porta alle spalle, con fare imbarazzato: con tutto quello che aveva passato si era scordato della visita ... e del pacchetto di lettere che gli aveva spedito varie settimane prima.
- Mi perdoni ... la mia umile dimora non è in condizioni presentabili- tentò di giustificarsi.
- E' un vero piacere conoscerla, Monsieur Ratcliff- disse Le Bonbon, stringendogli la mano vigorosamente. Aveva del tutto ignorato la scusa del giovane.- Ho letto i suoi lavori... interessantissimi, davvero interessanti.
Trasse di tasca un voluminoso taccuino e cominciò a sfogliarlo.
- I Mannari sono un argomento troppo poco studiato dagli alchimisti di questo secolo, concordo con lei, Monsieur...E il suo lavoro è estremamente originale. Che ne dice, Monsieur, se entrassimo in casa per parlarne con comodo?
L'alchimista, per un attimo si sentì mancare... non poteva farlo entrare in casa, dalla quale, fra l'altro, provenivano strani rumori."Cosa stanno combinando?" pensò irritato.
Doveva inventarsi qualcosa...
- Che ne dice, invece, di una bella passeggiata ristoratrice?- disse educatamente, esibendo un sorriso forzato.
L'alchimista, per un attimo si sentì mancare ... non poteva farlo entrare in casa: da cui, fra l'altro, provenivano strani rumori."Cosa stanno combinando?" pensò irritato. Doveva inventarsi qualcosa ...
- Risponderò a ogni sua domanda, non si preoccupi... - esclamò orgoglioso, sistemandosi gli occhiali.
Le Bonbon sfoderò un sorriso divertito.
- Lei vuol scherzare, mon cher ami!- disse.- Una passeggiata ristoratrice mentre si spara nelle strade...! Rischiamo di trovarci nello stomaco quello che non abbiamo ingerito!- commentò.- E poi - aggiunse, sventolando il suo blocco di appunti. - Un tavolo per consultare i nostri appunti non guasterebbe certo!
Aneurin serrò i pugni sul suo fidato bastone: se avesse avuto più tempo si sarebbe inventato una scusa migliore."E ora che faccio?" non era certo la balia di quei tizi, ma non ci teneva affatto a finire nei guai insieme a loro. Tentò di aggiustare il tiro, rimediando alla magra figura che aveva fatto.- Suvvia...si tratta di guardie ben addestrate. Non sparerebbero mai a dei civili senza ragione- le sue mani ormai sudavano freddo. Altri rumori sospetti. Aneurin cominciava ad agitarsi.
- Le assicuro che non è necessario entrare... non posso nemmeno offrirle un the. Cominciava a sentirsi patetico, non si era mai esposto così tanto per degli sconosciuti.
Le Bonbon oscillò, al limite della perplessità, ma si riprese quasi subito: non per niente era francese.
- Monsieur Ratcliff, sono uomo di mondo! - disse, ammiccando maliziosamente al giovane uomo davanti a lui. - Capisco perfettamente il suo problema! Può dire alla signora in questione che può contare sulla mia discrezione di uomo d'onore! - aggiunse, in modo cospiratorio.
A quel commento, la lingua tagliente del giovane alchimista fu tentata di rispondergli a tono. Tuttavia, fu la frase successiva a spiazzarlo... sbarrò gli occhi in un gesto involontario."Cosa aveva capito!? Non gli sembrava di essere stato così ambiguo”. Ora come se la cavava? Tossì un paio di volte, cercando di nascondere l'imbarazzo.
- S-signore, credo mi abbia frainteso... - tossì ancora una volta.- Vede, nella mia vecchia casa domina il disordine più assoluto... sarebbe sconveniente da parte mia invitarla ad assistere a tale spettacolo. Un rivolo di sudore gli colò sulla fronte... forse se l'era cavata.
Se la sarebbe cavata, in effetti, se una densa nuvola di fumo non si fosse fatta strada, in quel momento, dal di sotto della fessura della porta. Le Bonbon la notò, annusandola incuriosito.
Tutta la sua esperienza gli venne in aiuto: Troll! O meglio: sangue di Troll! I suoi dubbi - se dubbi ancora aveva - furono dissipati da una seconda nuvola più aspra, che fuoriuscì da una finestra aperta. Le Bonbon fissò lo sguardo perplesso sull'alchimista. Poi un lento sorriso gli illuminò il volto.
- Monsieur Ratcliff, lei è un birbantello!!!- disse, agitandogli l’indice giocoso sotto al naso.
- Ogni alchimista ha i suoi segretucci - proseguì divertito. - Non sarò certo io a romperle le uova nel paniere! Ma lei sta facendo esperimenti segreti, caro giovanotto, l’ho capito benissimo, esperimenti con sangue di Troll. Non può ingannare il mio olfatto, sono il massimo esperto in materia: lo dichiaro, come vede, senza falsa modestia!- si appoggiò allo stipite, deciso a continuare ad ogni costo la conversazione.- E, mi dica, a che cosa è interessato? Al suo meraviglioso effetto schiarente sulla pelle delle donne? Alla sua capacità di rigenerazione dei tessuti lesi? Oppure- aggiunse con una smorfia divertita,- ai suoi meravigliosi effetti afrodisiaci?
Il volto di Aneurin si impietrì."Cosa faceva il sangue di troll?!" Era sicuro di non aver mai letto alcunché in merito sui suoi libri. Più che sicuro! Almeno credeva...
Cercò di riprendere la sua solita espressione composta, ma fallì miseramente...non poteva continuare così.
- E sia...ma ribadisco, lei mi ha frainteso- rispose con voce strozzata, mentre apriva la porta e invitava il professore ad entrare.
- Mio caro ragazzo, lei non ha letto con attenzione i miei lavori!- disse Le Bonbon, scivolando tra la porta e Aneurin, che la ostruiva in parte, ancora riluttante a lasciargli totalmente via libera nel suo laboratorio.
- Le proprietà del sangue di Troll sono molteplici. Le dirò, caro collega, che sono convinto che i miei studi, per quanto approfonditi, non siano che l'inizio di una conoscenza superiore...
Il professore andò nell’altra stanza, dalla quale proveniva il fumo, ed entrò, spalancando la porta e osservando l’ambiente. L’occhio gli cadde sopra un oggetto in particolare.
- Che vedo!- si interruppe all'improvviso. - Una testa di Troll! Ah, caro ragazzo, ma lei è un ricercatore straordinario!
La testa era coperta con un panno; ma il professore non si era lasciato sfuggire i capelli della bestia che non erano coperti e giacevano disordinatamente sul tavolo dell'alchimista. Il professore si precipitò sull'oggetto della sua cupidigia e tolse il panno che lo scopriva.
- Basta, voi rotto co’ sempre prende teschta di povero Trusk!! Io voi no fatto niente io!!
- Eccezionale, eccezionale! Un maschio adulto di circa duecento anni! Una rarità, una chicca! Caro ragazzo, ma come hai fatto a procurarti una simile...- alzò gli occhi,- una simile...- ripeté.
Le parole gli morirono in bocca. Perché aveva visto, proprio davanti a sé, l'uomo in palandrana nera, accanto a un ragazzo irlandese rosso di capelli. Un'occhiata in fondo alla sala gli diede la conferma che i suoi timori erano fondati.
Su un lettino giaceva un uomo sui quarant'anni, in giacca blu da marinaio. Le Bonbon lanciò una fuggevole occhiata all'ultimo personaggio. Proprio quello che temeva: uno spilungone di straniero dai capelli neri. Le Bonbon aveva una mente brillante: in meno di un attimo aveva capito di trovarsi nella stessa stanza con il tipo di persone ricercate dai servizi segreti francesi.
- Oh, mon Dieu!- esclamò.- Ma voi...ma voi...- Le Bonbon non aveva quasi più fiato per parlare.
- Signore- esordì Lorenz, con il tono di qualcuno che stesse aspettando un amico da molto tempo.- Lei casca proprio a fagiolo!- esclamò poi. Il professore lo guardò perplesso al massimo grado.- Ci serviva giusto qualcuno della vostra levatura per poter concludere codesto esperimento- continuò afferrando senza tanti complimenti Le Bonbon per un braccio e trascinandolo verso il tavolo dove stavano lavorando con il sangue di Troll.- Annusi, annusi, egregio, dottore, osservi la colorazione del sangue di...ehm..del sangue! Non è stupefacente?- mentre parlava faceva dei cenni a Shane.- Vorremmo una sua opinione su codesto intruglio, signor...- attese la risposta.
Le Bonbon cercò di liberarsi dalla stretta di Lorenz. La sua mente, intanto, lavorava febbrilmente.
- Interessante- disse.- Molto interessante...mi lasci un po' di spazio, Monsieur...già... sangue di Troll...coagula facilmente...forse nell'armadio delle scorte...- e fece per avvicinarsi all'armadio, che si trovava accanto alla porta d'ingresso.
Lorenz sapeva che se quell'uomo era intelligente solo la metà di quello che pensava, non sarebbe stato così stupido da dare a vedere di essere allarmato. E ora si stava avvicinando pericolosamente alla porta. Se fosse uscito, sarebbe andato dritto alla polizia francese, e sarebbero stati braccati nuovamente.
- Buttiamo giù la maschera allora, Monsieur- disse. Con un gesto appena accennato della mano, fece in modo che la porta si chiudesse.- Le dispiace se insisto per avere la sua compagnia? Avrei un paio di cose da chiederle in effetti.
Le Bonbon capì che il suo misero tentativo di fuga era stato scoperto. Inutile fingere di non aver capito. Si erse in tutta la sua altezza e guardò Lorenz dal basso del suo metro e sessantacinque scarso, impugnando saldamente il suo bastone da passeggio.
- Lei è un delinquente, signore!- esclamò altezzosamente.- La farò arrestare!
Shane aveva seguito la scena in disparte, o almeno ci aveva provato: non aveva la minima idea di chi fosse quello strano omino che era entrato in camera, né del perché il Becchino lo trattasse con tanta familiarità. Poi non aveva capito i segni che gli erano stati fatti, e non era neanche sicuro che fossero effettivamente rivolti a lui. Decisamente si era perso qualcosa. Più volte era stato sul punto di intervenire per chiedere spiegazioni, ma aveva capito che la conversazione non era alla sua portata e allora aveva preferito tacere e risparmiarsi figuracce inutili.
Murphy invece aveva capito tutto, e già quando Lorenz aveva iniziato a fare segno si era messo sull'attenti.
- Shane, quello non è dei nostri...- ma Shane ancora continuava a non capire, almeno finché non sentì le parole magiche: "la farò arrestare". A quel punto gli erano tornati in mente episodi confusi: spari in un tunnel, spari in un vicolo, le guardie nella camera mortuaria. In breve, aveva iniziato ad andare nel panico.
Iniziò a muovere qualche passo incerto verso lo strano omino. Passi che andavano diventando sempre più decisi a mano a mano che si avvicinava. Quando lo raggiunse il suo incedere era sicuro e pesante.
Lo sconosciuto gli dava la schiena. Shane lo afferrò per la spalla sinistra e lo costrinse a girarsi. L'omino lo guardò stupito, almeno per quel breve istante che si interpose tra il momento in cui il ragazzo lo costrinse a voltarsi, e quello in cui lo colpì alla faccia con un destro nel quale scaricò tutto il suo peso. Le Bonbon sbarrò gli occhi, e cadde al suolo senza neanche avere il tempo di reagire.
Shane osservò la scena per un breve istante, poi alzò la testa e guardò spaventato Lorenz.
- Accidenti... e adesso cosa facciamo?




Juno doveva trovare il momento buono per allontanarsi e ficcanasare sul conto dell’uomo con cui parlava l'alchimista. Le Bonbon, quel nome era sulla bocca di molti…dottori.
Lei che di aggiusta ossa non sapeva niente, usava ciò che la lunatica madre natura le aveva affidato con molta magrezza d'animo: la velocità di mano e di lingua.
E le sapeva usare bene all'occorrenza, infatti se non fosse stato per tutte quelle volte che era riuscita ad imbucarsi ai ricevimenti per i ricchi buffet, non avrebbe mai saputo del lungo tappeto di fama che precedeva i passi di Le Bonbon.
Lorenz era patetico, continuava a latrare con quel disgraziato di un irlandese!
Magari se avesse provato ad accendere la miccia di una discussione più accanita avrebbe avuto il tempo per dileguarsi...No, non fu necessario. L'altro tizio stava creando un diversivo perfetto, con tutto quel mescolare liquidi alla rinfusa. Piano piano lei arretrò. Guardava, sorrideva, arretrava. Ad un passo dalla maniglia del bagno si mosse rapidamente e si chiuse dentro, annunciando sottovoce e a denti stretti - Devo fare pipì!- Poi si voltò verso la finestrucola in alto a sinistra, trovando che già un altro prima di lei stava tentando la fuga.
- Schattenswartz, mio amato compagno profusore di tenerezza, cosa cerchi di fare?- Chiese alla volpe. L'animaletto era concentrato sulla finestra, graffiando il vetro con forza nella speranza che unghiata dopo unghiata avrebbe ceduto.
Juno cercò di allontanarlo ma l’animaletto, mordendola, si divincolò dalla presa, tornando alla sua prova di resistenza.
- Cos'è che ti turba tanto, pellicciotto ingrato che non sei altro?
Quando si stancò, Schattenswartz le volse gli occhi lucidi e stranamente gialli. Erano quelli di un felino e vaghe chiazze nere stavano facendo capolino sul suo manto bianco. Le ringhiò inferocito, mostrando i dentini aguzzi ora grandi come zanne.
Era un messaggio che Juno attendeva da tempo.
- Ho capito - gli disse, avvicinandosi al fermo della finestra e tirandolo su. Aprì la finestrella e lasciò che l'animale guizzasse via all'inseguimento di una preda, o di un cacciatore, che aspettavano di ritrovare.
Juno chiuse gli occhi, trovando in pochi secondi la forza di riempire il petto d'aria e lanciare un sospiro che avrebbe fatto disperdere gli ultimi anni della sua vita in un soffio e ritrovare la sua vera natura, lasciata assopita per quell'occasione...
Fuggì anche lei dalla finestra e senza più voltarsi indietro lasciò il gruppo alle loro eroiche imprese. Il destino le aveva affidato un cammino diverso. Ancora una volta...

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MessaggioInviato: Lun Ago 08, 2011 12:19 pm Rispondi citandoTorna in cima

- E adesso comincio a preoccuparmi- disse pensieroso Lorenz.- Ci hanno trovati, e questo significa che qui non siamo più al sicuro. Dobbiamo andarcene- guardò Sandor, che intanto era di nuovo immerso nelle mefistofeliche esalazioni del suo intruglio.- Sandor, a che punto sei?- chiese preoccupato.
- Ottimo!- la voce di Sandor suonò squillante di ottimismo tra i fumi sprigionati dall'intruglio.- Qui sul libro dice che dovrebbe...- una cascata di bolle rosa acceso precipitò dalla storta e si allargò sul pavimento e sul tavolo da alchimista.
Sandor guardò le bolle con contrariata meraviglia.
- Il libro non dice niente delle bolle rosa- osservò.- Che ne dite, è sbagliato?
Quando Aneurin entrò nella stanza, quello che vide lo sconvolse.
Si mise le mani nei capelli, il viso contorto in una smorfia di disperazione. Ricordava che quando ancora si trovava all’esterno, gli strani fumi fuoriusciti dalla finestra lo avevano preoccupato, ma l’alchimista si era fatto un’esperienza riguardo agli esperimenti falliti, e sapeva come affrontarli. Tuttavia, quello che aveva di fronte superava ogni limite. Mai aveva visto un simile caos: il contenuto delle sue preziose fiale era riverso sul tavolo e la sua attrezzatura era sparsa sul pavimento, nemmeno fossero stati dei giocattoli. Per non parlare delle bolle … e del fumo. “Questo è davvero troppo … !” Tutto ciò che riuscì a pronunciare, però, fu un semplice: - Che diavolo avete combinato! -
Poi, senza dire un’altra parola, corse deciso all’interno della nuvola di gas dagli strani colori, scomparendo alla vista.
Ben presto si rese conto di non essere solo e il responsabile di tutta quella baraonda si fece chiaro ai suoi occhi: Sandor. Lo spinse malamente da un lato, mettendosi a trafficare con polveri e ampolle nella vaga speranza di riportare un po’ d’ordine in quella che ora non sembrava neanche più la sua casa.
Shane evitò uno schizzo appena in tempo, spostandosi rapidamente sul lato. Si guardò intorno, poi fissò nuovamente l'uomo steso a terra, e poi nuovamente i compagni.
- L'ho dovuto fare!... - si giustificò.- Ci avrebbe denunciati!
- Hai fatto bene Shane, tranquillo- disse Lorenz.- Quanto a te, Sandor...direi che è meglio se la smetti...non mi sembri molto esperto...- continuò titubante, osservando le bolle rosa.
- Avanti, ragazzi, abbiamo un lavoro da fare: leghiamo il nonno e poi decidiamo cosa fare.
Sandor posò la fiala sul tavolo. Per un attimo Lorenz si chiese se fosse una cosa saggia, lasciarla lì così, ma decise di lasciar perdere: tanto, con tutti problemi che sarebbero sopraggiunti di lì a poco, un’esplosione era veramente l'ultima cosa a cui pensare. Si girò, per cercare un corda in quel tugurio.
- Sandor, non è che avresti una corda per caso?
- Corda? Vuoi strozzarlo con una corda? - ribatté Sandor, interdetto.
- Si, lo voglio strozzare, ma non prima di averlo preso a calci sulle gengive e nello stomaco!- rispose sarcastico Lorenz.- Lo voglio legare, Sandor! Ucciderlo sarebbe una pessima idea, visto che evidentemente ci stanno alle calcagna: i cadaveri sono difficili da nascondere, e lo potremmo lasciare libero, una volta che ce ne andremo di qui. E adesso aiutami a sollevargli le gambe, che lo devo legare per bene.
- Come vuoi tu. Però ricordati che solo i morti non parlano- replicò Sandor lapidario, sfilandosi la fusciacca che aveva preso a un morto. Con il buio che c'era ne aveva scelta una di un colore impossibile.- Va bene questa?- chiese.
- Mi sa che ci dovremo accontentare- rispose Lorenz, valutando la fusciacca. Cominciò a passarla intorno alle caviglie del vecchio: piegandogli le gambe all’insù e tirandogli le braccia dietro la schiena, legò i quattro arti insieme in modo che anche muovendosi, non avrebbe potuto liberarsi in alcun modo da solo. Infine, squadrò il risultato finale.
- Manca ancora qualcosa...- disse rivolto a se stesso.- Giusto!- dopo aver infilato nella bocca di Le Bonbon una fialetta trovata lì, trasse un fazzoletto di tasca, e imbavagliò l’uomo.
- Adesso è perfetto!!
- Io dico che sarebbe meglio tagliargli la gola. - insistette Sandor. La sua linea politica riguardo ai prigionieri era evidente.
- Si, e magari gridare ai quattro venti che siamo qui, con un mezzo morto a carico, sbandati e senza aiuti di sorta: sai poi che missione in incognito che facciamo? Missione sotto copertura per capire come sono fatte le prigioni cittadine- rispose Lorenz esasperato dalla cocciutaggine dell'ungherese e alzando gli occhi al cielo.- Ucciderlo darebbe via ad una caccia ancora più accanita di come già non sia...quindi evitiamo di complicare le cose!- concluse poi.- Comunque lo sistemiamo dentro all'armadio, così non lo vedono.
Sandor alzò le spalle, sconfitto. Quel Lorenz era bravo a parlare, ma non aveva lo stomaco per fare quello che andava fatto. Si poteva sempre sperare che il vecchietto morisse soffocato nell'armadio dell'alchimista. Si caricò l'uomo legato in spalla e lo chiuse nell'armadio senza troppi riguardi. Poi si voltò verso gli altri.
- E adesso- chiese,- che si fa?
- Adesso dobbiamo occuparci di Alexandre- rispose Lorenz.- Non abbiamo più tempo per aspettare che guarisca qui, dobbiamo portarlo da qualche altra parte, dove potrà guarire in tutta calma... Dobbiamo lasciare immediatamente il rifugio dell'alchimista, se teniamo alla pelle. Dunque, dove potremmo portarlo?- chiese a nessuno in particolare.
Shane si strinse nelle spalle, come per dire "non chiederlo a me", poi si appoggiò con le spalle al muro, incrociò le braccia e girò la testa sul lato, evitando accuratamente lo sguardo di Lorenz.
Aneurin emise un sospiro di sollievo. Finalmente era tornato tutto normale: il fumo si stava diradando e le bolle rosa erano scomparse. Certo, la stanza era ancora invasa dal disordine, ma almeno quelle esalazioni pestilenziali erano sparite. Prestò orecchio a ciò che aveva detto Lorenz e comprese che aveva ragione, dovevano andarsene da lì … lui compreso. Dopotutto, aveva dato asilo a dei ribelli. Scosse la testa, affranto. “In che razza di guai ti sei cacciato, Aneurin?” Si voltò versò Lorenz e scosse la testa, non poteva aiutare: era arrivato da poco a Parigi, e comunque era stato impegnato su cose ben diverse dalla ricerca di nascondigli e covi segreti.
- La fai facile- osservò Sandor.- E dove lo portiamo? A Parigi tutti sparano- aggiunse con tono di ovvietà.- Una passeggiatina in campagna è quello che ci vorrebbe!
- E conosci qualcuno in campagna?- chiese Lorenz a braccia incrociate sul petto, evitando accuratamente di commentare quella che sembrava una frase ironica.
Sandor rifletté seriamente prima di rispondere. Era andato diverse volte in una piccola locanda nella campagna intorno a Parigi. L'ultima volta, però era rimasto a dormire e, durante la notte, aveva fatto visita a un'anziana coppia che viveva da sola in una casa colonica.
- Conosco una locanda- disse.- Credo che ci sia una casa vuota, nelle vicinanze.
- Allora andiamo!- disse risoluto Lorenz.- Shane, trova un sacco dove mettere Alex, così lo trasportiamo meglio, e senza dare troppo nell'occhio.
Shane per tutta risposta rimase con la testa girata da un lato, continuando a ignorare Lorenz.
- Shane, mi hai sentito?- il ragazzo lo ignorò nuovamente.- O'Cuinn!!- lo chiamò spazientito.
- Sai, Von Rengeborg, credo di essermi perso qualcosa...Quando, esattamente, avremmo deciso che tu sei il capo?- il ragazzo accompagnò questa frecciatina con un'occhiata gelida, dopodiché tornò a fissare il muro.- Non darmi ordini: uno come te non merita il mio rispetto.
Sandor incrociò le braccia e si appoggiò al muro, pronto a godersi lo spettacolo.
Quell'irlandese era piccoletto, ma risentito. Un tipo che sapeva farsi rispettare. E anche un bel ragazzo.
Aneurin si mise a posto gli occhiali con fare interdetto, sbattendo più volte le palpebre.
- Signori, non è questo il luogo ne il momento adatto per litigare … - disse in tono pacato, ma senza nascondere una certa irritazione.
Ma i suoi interlocutori non parvero ascoltarlo.
- Ascoltami bene, O'Cuinn, io ora sono il capo, perché se lo fossi tu non arriveremmo nemmeno all'uscio della porta senza essere come minimo presi, scuoiati vivi, e ridotti al silenzio sempiterno! Sono il capo per tenere in vita te! Ti è chiara la situazione ora? Ma vedo che sei un testa calda, e prima mi hai sfidato: ebbene ti darò soddisfazione. Combattiamo!!
- Ma mi hai preso per scemo o cosa?? - Shane scattò all'improvviso.- D’accordo, non sarò bravo a sparare, non sarò il più intelligente qui in mezzo, ma mi sto impegnando in questa cosa, qualunque essa sia! Tu invece che hai fatto fino ad adesso? Ti sei solo dato arie da gran capo, ma non hai concluso niente! Non sei stato neanche in grado di affrontarmi da uomo, hai dovuto usare i tuoi trucchetti da quattro soldi! Uno come te non vale un accidente, Von Rengeborg!
Non ne poteva più. Era stanco di sentire le lagne di quell'irlandese combina guai, e quei giorni lo avevano provato come tutti gli altri. Era stanco del fatto che si criticasse ogni sua scelta a causa dell’ottusità di certa gente. Era stanco di tutto. E la calma che di solito lo caratterizzava, parve scomparire d'un botto, lasciando le porte aperte a qualcos’altro, nel suo animo.
Il pugno partì inaspettato, e velocemente, scagliandosi contro la mascella di Shane.
La testa del giovane scattò dal lato opposto, e il ragazzo lo guardò attonito.
- Questi erano i preliminari- disse Lorenz.- Ora passiamo alle cose serie!- continuò togliendosi la giacca e la camicia.
Era Lorenz, eppure non lo era. Qualcosa era cambiato in lui. Gli occhi sembravano più scuri, e la bocca aveva assunto un sorriso bieco. Si mise in posizione di combattimento, attendendo che Shane si riprendesse e facesse altrettanto.
Il ragazzo si portò la mano al mento: sanguinava. Non era grave: il pugno con cui Ahodàn gli aveva spaccato il mento in Irlanda era decisamente più forte. E se lo era pure meritato. Adesso invece la storia era diversa. Shane era decisamente fuori di testa.
- Becchino maledetto...oh, ma stavolta altro che ginocchio... mi assicurerò che non possa avere discendenti...- grugnì Murphy.
Shane lo ignorò.
- Continui a barare, Von Rengeborg! - ringhiò, mentre si sfilava la camicia con stizza. Un colpo tirato senza una dichiarazione...senza neanche spogliarsi, solo tra nemici si faceva così. L'unica cosa che gli aveva impedito di rispondere all'istante era stata l'educazione alla lealtà che Ahodàn gli aveva inculcato a suon di bottigliate sul cranio. Gettò la camicia a terra, dando a stento il tempo al piccolo folletto di trovare un nuovo posto su di un tavolino.
Adesso era pronto.
Non si mise nemmeno in guardia, era troppo incavolato: avvicinò solo la mancina alla mandibola, per difesa. Allungò invece la destra, e afferrò il braccio di Lorenz. Lo tirò verso di se, sbilanciandolo in avanti, e contemporaneamente gli tirò una violenta ginocchiata all'addome.
Sandor rise brevemente, mimando il colpo appena sferrato da Shane.
- Bel colpo, O'Coso!- commentò a mezza voce.- Spaccagli la testa al cuore tenero!
Aneurin si sfilò gli occhiali con un gesto nervoso, brontolando qualcosa di incomprensibile.
La ginocchiata arrivò violenta, e gli spezzò il fiato per un secondo. Shane lo teneva per il braccio e non mollava la presa. Ma l'irlandese non era l'unico ad essere completamente fuori di sé. In una frazione di secondo, Lorenz si avvitò su se stesso avvicinandosi al corpo di Shane: grazie alla rotazione, poté imprimere più forza nella gomitata che diede allo sterno dell'avversario. Si trovava però con l'altro braccio ancora imprigionato, pertanto fece leva sulla propria spalla, scaraventando Shane davanti a sé, in modo da farlo atterrare di schiena per terra e fargli così mollare la presa.
- MUOVITI SHANE! SPOSTATI!- urlò Murphy.
Shane rotolò su di un fianco e in meno di un attimo fu di nuovo in piedi. Era un po' disorientato, ma sempre meglio che offrire un colpo tanto facile a quel maledetto Von Rengesgor o come diavolo si chiamava. Il colpo allo sterno però lo aveva aiutato a calmarsi, più o meno. Non poteva attaccare subito dopo essersi rialzato di scatto, o il suo colpo sarebbe stato neutralizzato con facilità. Si mise in guardia e decise di concedere il colpo successivo all'avversario, puntando su un contrattacco.
“L’irlandese temporeggia” pensò Lorenz. Ovviamente, non avrebbe rischiato di cadere di nuovo a terra. Doveva attaccare lui. In teoria almeno: decise di non muoversi, in attesa che al ragazzo montasse il sangue alla testa per l'attesa.
Non aveva tenuto conto però del fatto che Shane stesse tornando in se. Era bastato quell'attimo in cui Lorenz l'aveva colpito per fargli riprendere lucidità. Adesso, a mente sgombra, sapeva di dover attaccare, e presto anche, se non voleva che anche l'avversario tornasse in se. Com'è che si diceva? Battere il ferro finché è caldo? Beh, in ogni caso era proprio quello che aveva intenzione di fare.
Partì subito, così che Von Cacchiorg non capisse di trovarsi di fronte ad un avversario lucido. Il pugno del ragazzo partì, diretto al volto di Lorenz, ma leggermente spostato verso l'esterno.
Lorenz si abbassò, compiendo una sorta di caduta all'indietro, che però bloccò con la mano sinistra. Si trovò così girato su di un lato, e con la gamba sinistra raccolta in modo da potersi tenere in equilibrio. Senza esitare, sollevò la gamba destra verso lo stomaco di Shane, e sferrò un possente calcio, sfruttando anche lo slancio dell'irlandese nel venire avanti.
Il calcio andò a vuoto: il colpo di Shane era una finta, e il ragazzo si era preparato a contrattaccare. Si spostò leggermente sul lato sinistro rispetto a Lorenz e ruotò il busto, quel tanto che bastava per evitare il colpo. Quel Von Rengingorg era talmente stupido da buttarsi a terra e da offrirgli lo stomaco! Shane non ci poteva credere!
- Che diavolo combini, Von Rengeborg?- Shane fece due passi indietro. Era un peccato sprecare un'occasione simile, ma colpire un uomo indifeso non era una strategia leale. Si sentì profondamente idiota a sprecare un'opportunità simile.
- Avanti, alzati.
Ma Lorenz non ascoltava. Le parole di Shane gli scivolavano addosso come acqua, e la stanza sembrò perdere le sue forme.

Si trovava in un deserto. Un deserto di colore grigio, e sassoso che si perdeva all’orizzonte in ogni direzione. Il cielo era plumbeo, e carico di grossi nuvoloni che sembravano promettere pioggia. Ma nulla si muoveva: ogni cosa era assolutamente immobile. Nemmeno una brezza spirava. Persino le nubi, che si estendevano per ogni dove nel cielo, erano ferme.
Lorenz si girò su se stesso, cercando qualcosa o qualcuno che gli potesse spiegare dove fosse. Ma in fondo, non gli importava. Avrebbe semplicemente potuto rimanere lì per sempre, e al diavolo tutto il resto! C’era pace lì, nulla lo disturbava. Silenzio, solo il silenzio.
“No!” esclamò.“Vattene subito!” disse stringendosi la testa fra le mani, e cadendo in ginocchio.
Un uomo. C’era un uomo che gli dava le spalle, e sembrava guardare l’infinita distesa di fronte a sé. Emanava un’aura maligna, che Lorenz riusciva a percepire anche a tre metri di distanza.
“Leon! Leon, fermati, è un ordine!” la sua voce rimbombò, stranamente, come se si trovasse in una stanza.

Nel laboratorio di Aneurin, Lorenz si era rialzato. Fissò l'avversario senza dire una parola. Non si mosse, ma qualcosa nel suo sguardo fece gelare il sangue nelle vene dei presenti. Scosse la testa come se fosse disturbato da un moscerino fastidioso.

“Fermarmi?”chiese Leon.“E perché mai dovrei? Non vedi come sto bene? Non vedi che mi sento libero? Non voglio fermarmi: quell’idiota ha pensato di poter competere con me! Con NOI! Lo schiacceremo in un istante, basta che lo comandi”
“Non lo sfiorerai nemmeno, Leon!”ringhiò Lorenz, gettandosi in avanti, addosso all’uomo che nel frattempo si era girato verso di lui. Ruzzolarono entrambi giù da una duna sassosa. La caduta terminò bruscamente, con i due contendenti che si picchiavano.
“Non puoi mandarmi via, Lorenz! Tu hai bisogno di me!” sibilò Leon. Lorenz gli strinse il collo con tutta la forza che aveva nelle mani. L’avversario si dibatté per un po’, ma non riusciva a contrastarlo efficacemente. I suoi movimenti divennero sempre meno violenti e rapidi.
“Non ho bisogno di te per certe cose” replicò gelido Lorenz mollando poi un pugno alla mascella dell’avversario, che crollò definitivamente senza un lamento.

Lorenz urlò. Forse davvero, forse solo nella sua immaginazione. Poco importava. Ora era di nuovo nella stanza, con Shane che lo fronteggiava. L'uomo scosse la testa. Era di nuovo sé stesso.
Osservò Shane: era passato un secondo, forse due da quando si era alzato, ma per fortuna l'irlandese non si era mosso, o lo avrebbe potuto stendere con incredibile facilità.
Attese la mossa successiva.
Shane lo squadrò: sembrava cambiato qualcosa in quel Von Rengescacchio.
“Forse si è calmato” pensò.“Perfetto...ho perso ben DUE vantaggi che avevo. Complimenti, Shane”
In ogni caso quello scontro andava terminato al più presto.
“Se il tuo combattimento dura più di qualche colpo, stai sbagliando qualcosa” gli aveva insegnato Ahodàn, e seguendo questo principio si era sempre trovato bene. Ma ora la cosa tirava troppo per le lunghe, e Shane non sapeva cosa sarebbe potuto succedere. In ogni caso, doveva evitare azioni avventate, o avrebbe perso. La stessa finta di prima non avrebbe avuto lo stesso effetto, e non era abbastanza vicino per tentare un colpo serio.
D’altro canto, aspettare avrebbe solo peggiorato la situazione. Doveva agire, magari poteva provare a tirare un gancio, senza scoprirsi troppo. Coprì in pochi istanti la distanza che li separava, e sferrò il colpo.
Lorenz non reagì. Non fece in tempo, mentre Leon ancora regrediva nei recessi della sua mente. Subì il colpo, accompagnandolo con una rotazione della testa per compensare minimamente la violenza del gancio. Si girò su se stesso, ma invece di rialzarsi
completamente, in modo da esporre di nuovo la faccia, tirò un colpo al mento del ragazzo, sperando di stordirlo perlomeno.
Si complimentò con se stesso per aver deciso di proteggere la faccia con la telecinesi, altrimenti a quest'ora sarebbe stato probabilmente a fare due chiacchiere con San Pietro.
Arretrò di qualche passo, e osservò la reazione di Shane, mentre cercava di riprendersi da quella batosta, che ancora gli rintronava nel cervello.
Non ne ebbe il tempo: il giovane irlandese aveva ricevuto colpi ben peggiori. Shane rimase frastornato per qualche frazione di secondo, ma non di più.
Avanzò con decisione e, una volta raggiunto Lorenz, allungo la mancina e gli afferrò il braccio. Glielo spostò, quasi con delicatezza, e poi colpì con violenza il volto del suo avversario.
“È una situazione ridicola” pensò Lorenz: loro due dovevano stare in squadra assieme, invece si picchiavano per delle idiozie. Provò a difendersi, non avrebbe mai ceduto senza combattere, o almeno, senza provarci. Quando Shane gli afferrò il braccio, cercò di resistere, ma non poté evitare di ricevere lo stesso un colpo dritto in faccia.
Fortuna che riusciva a tenere su la telecinesi. Fortuna che era di costituzione resistente. Il colpo arrivò dritto, sicuro. L’ultima cosa che i presenti videro, fu il suo sguardo rassegnato all’inevitabile. Poi il buio.
Tanto, l'aveva sempre detto che la boxe non era lo sport per lui.

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MessaggioInviato: Lun Ago 08, 2011 1:12 pm Rispondi citandoTorna in cima

Aneurin cominciava ad averne abbastanza: la pozione di Troll era ormai perduta, per non parlare di quei due...non avevano di meglio da fare che scazzottarsi? Per di più, stavano sfasciando quel poco che rimaneva del suo arredamento e della sua attrezzatura...la sua pazienza era agli sgoccioli. Tentò più volte di parlare, ma non gli davano ascolto. “Questa è la mia casa!” Si passò nervosamente le mani fra i capelli, e tutta la sua rabbia si riversò in un unica frase.
- ORA BASTA!
Shane si fermò all'istante, pur non capendo perché avessero urlato, né chi lo avesse fatto. Si guardò intorno e finalmente trovò la fonte del disturbo: Stecchetto.
- Ehi, guarda che sono cose serie queste...- replicò.- Non sono mica risse tra ubriachi! -
Lo squadrò meglio: esile, gracilino e con gli occhiali. Un topo da bibbioteca o come accidenti si chiamava il posto con i libri. Di certo non aveva mai fatto a pugni, e di certo non capiva perché loro lo stessero facendo. Di certo, era uno abituato a risolvere le cose con una tazza di the.
Lo osservò meglio: gli inglesi bevevano il the.
- Ehi, dimmi... sei inglese per caso? - domandò con fare aggressivo.
Aneurin guardò il ragazzo con sufficienza.
- Se volete continuare, vi consiglio di andare fuori...- disse con finta calma, scandendo bene l'ultima parola.- E... sì, sono inglese. - aggiunse, con una punta d'orgoglio.
- Inglese, eh? - commentò Shane, alquanto divertito. Finalmente ne vedeva uno! Magro, quattrocchi e senza fegato: esattamente come se li era immaginati dai racconti sentiti da piccolo. - Beh, questo spiega tante cose! - lo osservò, poi riprese. - Non ti preoccupare, la finiamo qui... - fece un paio di passi verso il solito muro. - Non mi aspetto che un inglese capisca... - aggiunse, soffocando una risata.
Sandor si fece avanti. Aveva apprezzato la scazzottata, così come apprezzava qualsiasi forma di competizione virile tra due adulti. Ma adesso c’erano solo chiacchiere di comari.
- Ci sono cose più importanti da fare - dichiarò. - Quell'uomo... - accennò all'armadio nel quale era stato chiuso Le Bonbon, - ha detto che siamo ricercati. Facciamo bere al marinaio la pozione e andiamocene da qui.
Lorenz intanto si stava rialzando. Il pugno in pieno volto non gli aveva certo fatto bene, ma almeno aveva le ossa facciali ancora tutte intere. Niente da dire, quell’irlandese ci sapeva fare con i cazzotti. Aveva seguito da terra lo scambio di battute fra Shane, Aneurin e Sandor. Si alzò in piedi ancora dolorante.
- Sandor ha ragione, dobbiamo guarire Alexander. Solo che lo dobbiamo portare in un altro posto, prima di continuare le nostre indagini. Non possiamo portarcelo appresso, ci intralcerebbe, e alla fine ci prenderebbero tutti quanti. - guardò gli astanti, le gambe ancora leggermente barcollanti a causa dello scontro. - Sandor ha detto che lo possiamo portare in una casa abbandonata in campagna: mi sembra un ottimo posto. Posso avvertire un mio contatto, e dirgli di prendersi cura di lui finché non si rimetterà. Che ne pensate? -
- Ehi, ma prima deve bere la mia pozione! - esclamò Sandor.
Sentitosi chiamato in causa, Aneurin spostò il suo sguardo confuso su Sandor. Lo squadrò da capo a piedi, non affatto sicuro di aver sentito bene... Voleva far bere al poveretto QUELLA pozione?!
- Non vorrei fare il guastafeste - disse, - ma ritengo che bere quell'intruglio potrebbe peggiorare le sue condizioni - aggiunse, cercando di trovare le parole giuste.
- Peggiorare? - Sandor quasi soffocò per l'indignazione. - È perfetto! Ho messo tutto quello che diceva il libro… e anche un po' di più! - soffocò nella gola una sorta di ruggito.
- E' proprio questo il punto...NON dovevi aggiungere niente - rispose Aneurin, tradendo un certo sarcasmo.
- Scusatemi, signori, ma ci sarebbe un impegno di una certa urgenza, vi spiacerebbe darvi una mossa? - ringhiò Lorenz in direzione dei due. Che rottura, ogni tre per quattro si mettevano a litigare per ogni singola idiozia! Come diavolo avevano fatto a sopravvivere tutti così a lungo? - Sentite - proseguì, - non è per fare un torto a te Sandor, ma per questa volta direi di farla preparare ad Aneurin la pozione… ma questo per sicurezza. Poi dobbiamo filare con la massima velocità, se non ci vogliamo trasformare in colabrodo ambulanti, che ne dite?
- La mia pozione va benissimo! - si ostinò Sandor, scuro in volto. Guardò le facce di Aneurin e di Lorenz e decise di non ostinarsi troppo. Quei due erano capaci di discutere delle ore, e lui odiava le discussioni. - Bah! - aggiunse, stringendosi nelle spalle. - Fate come volete! -
L'alchimista posò lo sguardo su ciò che rimaneva della sua attrezzatura: era ridotta davvero male, ma per fortuna l'antico libro di alchimia si era salvato.
- Vediamo cosa posso fare... - disse, cercando di mettere ordine in tutto quel caos “Dov'è la testa del Troll...? Ah Eccola!” pensò, dirigendosi contemporaneamente verso l’oggetto della sua breve ricerca.
Quando sollevò il sacco, scoprendo la testa del troll, Shane girò velocemente la testa dall’altro lato, per evitare ogni tipo di contatto visivo con quell’affare.
A quel punto, Aneurin estrasse qualche goccia di sangue, che fece colare con attenzione in una fialetta: una delle poche ancora intatte.
Ritrovò la formula sull’antico libro e cominciò a preparare la pozione. Sandor e i suoi strani esperimenti avevano quasi esaurito le sue scorte, ma ciò che rimaneva gli poteva bastare. La pozione fu pronta in poco più di mezz’ora, e Aneurin non mancò di somministrarla immediatamente al ferito.
- Ora dobbiamo solo aspettare... - disse, in tono professionale.
- Si, ma magari in un altro posto... qui non è più sicuro. - sentenziò Lorenz, guardando negli occhi i presenti.

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i famigli sporcano, puzzano, e mi fanno perdere punti esperienza quando decido di disfarmene.

03/11/11: il giorno in cui si scoprì che la stupidità di Shane è contagiosa asd2

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