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Furianera
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MessaggioInviato: Ven Mag 15, 2015 1:58 pm Rispondi citandoTorna in cima

Lo scheletro di quello che era stato un pipistrello si staccò dal soffitto della grotta e volò dritto fino alla mano tesa di Astrea, spegnendo il globo di luce che la ladra aveva evocato e facendo sprofondare la grotta nel buio.
Astrea sobbalzò e d’istinto scagliò il pipistrello che aveva sulla mano contro la parete rocciosa della grotta. Sentì a stento il tonfo provocato dal colpo, sovrastato dal rumore di artigli clicchettanti sul pavimento roccioso della grotta. Trasalì. Fece qualche passo indietro nell’oscurità assoluta addentrandosi così nella grotta. Cercò di creare un altro globo di luce ma le tremavano le mani, riuscì a plasmare una fioca luce, ma nuovamente un pipistrello calò dal soffitto della caverna per spegnerla.

“Maledetta” imprecò la ladra. Stavolta chiuse le dita intorno alla creatura e la bruciò. Sollevò lo sguardo in alto quel tanto che il bagliore della fiamma appena estinta le consentì e restò a bocca aperta.
Era circondata da centinaia di quegli esseri non morti, li vide appena staccarsi tutti insieme dal soffitto. Presero a vorticarle intorno con uno strepitio così assordante che fu costretta a coprirsi le orecchie con le mani, ma solo alcuni le si attaccarono alle braccia cominciando a graffiare e mordere la carne, erano solo tagli superficiali ma particolarmente dolorosi soprattutto sulla pelle ustionata.
Andò in panico e cominciò a correre toccando la parete rocciosa laterale per evitare di schiantarcisi contro nel buio. Raggiunta una certa distanza si voltò e bruciò le creature che la stavano inseguendo e quelle che aveva ancora avvinghiate alla schiena le schiaccio con forza spingendo il dorso contro la parete.
Si guardò attorno nervosamente ma era sola, nessun altro di quegli esseri l’aveva seguita, a parte quelli che aveva già eliminato. Era piena di graffi ma tutta intera. Non osando accendere un altro globo di luce, tese l’orecchio per cercare eventuali segni di un inseguimento, ma l’unico rumore che riusciva a sentire era quello del proprio respiro affannoso, che si quietò pian piano col passare dei minuti. Nella sua fuga precipitosa doveva essersi allontanata di molto da Lao, come indubbiamente la vampira aveva voluto.
La ladra si costrinse a riflettere... Era evidente che Carnival voleva separarli, lasciarli isolati in quel labirinto di caverne buie, e se anche avesse accettato alla fine di parlarle, lo avrebbe fatto alle sue condizioni. Il che poteva voler dire tutto, o anche nulla.
Ad un tratto, una voce risuonò all’orecchio della ladra, poco più di un sussurro.

“Noi ti vediamo.”

Le si raggelò il sangue nelle vene. Un brivido gelido le scosse la schiena. Trattenne il fiato. Chiuse gli occhi. Era stato un sogno, solo un sogno oppure no? Non ci aveva nemmeno pensato più a lungo dopo tutto quello che era successo nelle ultime settimane eppure adesso era sveglia e non stava sognando.

“Cosa ci fai qui, ragazzina?”
“Ti avevamo avvertita, avvertita di stare attenta”
“Ma ora è troppo tardi e devi fare una scelta”
“Fare una scelta, ancora una volta”
“Cosa farai, cosa farai?”


Astrea lasciò scivolare la schiena contro la fredda e ruvida pietra fino a rannicchiarsi con le gambe al petto.
“La stessa scelta che feci un anno e mezzo fa.” Rispose con un bisbiglio. “Nulla è cambiato.”

“Noi ti vediamo”
“Nulla è cambiato, dici”
“Ma in un anno e mezzo succedono tante cose”
“Hai ancora fiducia in lei, faresti ancora quella scelta?”
“Davvero non pensi che sia stato un errore?”
“I tuoi amici non fanno che ripeterlo”
“Errore, errore, costretta, costretta, paura, paura”
“Lei ascolta, sente anche quando gli altri pensano che non senta”
“Per tanto tempo queste parole hanno roso la sua coscienza”
“E ora tu hai fatto un errore, ragazzina dagli occhi verdi”
“Davvero non vuoi ascoltarci?”
“Siamo solo Ombre, Fantasmi”
“Soltanto in luoghi come questo possiamo parlarti”
“In luoghi come questo o nei tuoi sogni più bui”
“E ora vuoi disperdere le nostre parole come vento.”


Si strinse ancora di più le braccia attorno alle gambe, si accorse che stava tremando. “Cosa devo fare?”

“Lei verrà da te, fra poco”
“Allora dovrai scegliere cosa fare”
“Se davvero la vuoi aiutare, se davvero ha importanza per te”
“Se questo è quello che vuoi”
“Non devi avere paura di noi, delle nostre parole, siamo solo Ombre, Fantasmi”
“Possiamo solo parlarti, e solo perché in te c’è il suo veleno”
“Parliamo anche a lei, ma non sempre lei ci ascolta”
“E osserviamo, osserviamo”
“Non possiamo fare altro”
“Come te vorremmo essere liberi”
“Ma possiamo solo servire”
“In nome dell’Antico Patto, in nome del Libro”


Quell’atmosfera era inquietante, l’angoscia che provava le serrò il petto come una morsa. Rabbrividì al solo pensiero di aver rischiato di essere una di esse, imprigionate per l’eternità. Si ritrovò a provare compassione per esse e ciò attenuò quella sensazione che le opprimeva il torace.
“Perché è scappata? Come posso fare ad aiutarla?”

“Non lascerà mai questo mondo, nemmeno ora. Lei vuole esistere e non essere sola”
“Il suo cuore è pieno di dubbi, esattamente come il tuo”
“Ma le domande che fa a sè stessa sono diverse da quelle che tu fai a te stessa”
“Lei stà per arrivare, cosa farai, cosa farai?”


“Le parlerò.” Rispose semplicemente. “Sono venuta apposta fin qui per confrontarmi con Carnival.”

Silenzio, eccetto il lento sgocciolare dell’acqua, nel buio. Difficile dire quanto tempo passò prima che una fioca luce azzurrognola, spettrale, venisse ad illuminare l’angolo di grotta dove Astrea stava rannicchiata. La luce era una sorta di fuoco fatuo, accesosi lentamente nelle mani della vampira che la ragazza conosceva così bene. Carnival guardò Astrea con aria rattristata.
“Piccola sorella” disse piano “sei davvero testarda come un mulo”.
“Non siamo tanto diverse dopo tutto” La ladra riuscì con qualche difficoltà a mettersi in piedi a causa delle gambe indolenzite del freddo e dell’umidità della grotta e per aver mantenuto la stessa posizione così a lungo. “Perché sei scappata?” In solitudine aveva pensato a lungo a cosa dirle appena l’avrebbe rivista ma il tono della sua voce così infelice la spiazzò.
La vampira fece un gesto vago “Hanno tutti paura per te” disse con tono astioso “Hanno tutti paura che tu sia obbligata. E anche tu hai paura. Lo so, si lo so, lo sento. Perché avete tanta paura? Io non ti farei mai del male. Voglio solo che tu resti con me”.
“Nessuno mi ha obbligata, Carnival.” Scosse la testa. “Ho scelto io di restare con te e non mi sono mai pentita di quella scelta, se qualcun’altro afferma il contrario non capisce il nostro legame.” Fece un passo avanti. “Io ricordo com’eri quando ti ho conosciuta, io so cosa provavi. Non c’era spazio se non per l’odio nel tuo cuore e ho scelto di aiutarti, di starti vicina, sono stata il primo legame che tu abbia avuto dopo molto tempo e non volevo che lo perdessi.” Fece una pausa cercando le parole giuste. “Guardati adesso invece. Provi affetto, delusione, tristezza. Non sei la stessa di prima, sei cambiata in così poco tempo e mi sono sempre presa cura di te.”
“Carnival, il fatto è che…” Distolse lo sguardo esitando. “Il fatto è che ho paura è vero, non posso nascondertelo.” Tornò a guardala nuovamente negli occhi e continuò un tono più deciso. “Non posso starti accanto per sempre e tu lo sai. Ho cercato di darti tutto quello che potevo, anche i tuoi ricordi più preziosi, ma non posso fare altro.” Un altro passo in avanti. “Per me vivere un altro giorno, un mese, cinquant’anni non cambia in fin dei conti, so cosa mi aspetta alla fine della mia esistenza, per te no. Sai, mi chiedo chi delle due abbia più paura che io muoia, se io o tu.” Le sfuggì un sorriso ma era teso.

La vampira allungò una mano ad accarezzare i capelli della ladra “E’ vero, hai fatto tanto per me. Ma non è come se dovessi morire per forza” disse facendo una smorfia sofferente “Io ho fatto una promessa, io mi prenderò cura di te. Anche tu sei cambiata, sei cambiata da quando ti ho morso. Il tuo sangue scorre nelle mie vene, il mio veleno nelle tue. Il Libro me lo ha mostrato, fai un patto con me, diventa la mia Guardiana, resta con me, vivi per sempre.”
Astrea aggrottò la fronte. “Non capisco, di cosa stai parlando?” Ebbe una brutta sensazione, quelle parole non le piacquero.
“Non capisci? Tu sei cambiata, il tuo sangue è cambiato. Quando l’Ibrido ti ha morsa, avresti dovuto trasformarti, diventare uno Sgorbio come gli altri, ma tu hai resistito, si, hai resistito. Come credi che sia stato possibile? Qui dentro, io ti sento” si picchiettò la fronte con un dito, in maniera frenetica “So che anche tu mi senti. Quelli come me, hanno bisogno di un protettore, di un guardiano, durante il giorno, il Libro me l’ha detto, il Libro non mente. Ti prego piccola sorella, ti prego, fai un patto con me, hai promesso di non lasciarmi sola, si, hai promesso.”

“Non era quello che intendevo.” Astrea fece un passo indietro. “Ti ho detto che ti sarei stata vicino per aiutarti e l’ho fatto, ma non così, non ti ho mai promesso qualcosa del genere.” Quella brutta sensazione aumentò già quanto lei nominò il libro.
La vampira lasciò ricadere le braccia “Perchè no?Tu non diverrai una vampira come me, tu sarai viva
Scosse la testa. “No” Rispose con fermezza. “Non desidero né l’immortalità né voglio avere a che fare con il libro, Carnival. Non stringerò alcun patto e non cambierò idea.” Si rese conto di essere stata piuttosto brusca e cercò di addolcire il tono della voce. “Non mi conosci? Non sai che cosa vorrei io? Che cosa desidero?”
La vampira fissò Astrea senza parlare per qualche istante, poi nei suoi occhi balenarono dapprima comprensione e poi rabbia. Con un gesto improvviso Carnival scagliò il globo azzurrastro che teneva in mano contro una parete della grotta dove si spense dopo aver emesso una violenta fiammata azzurra.
“Tutto quello che hai fatto, tutto quello che hai fatto per me, lo hai fatto perché vuoi che alla fine io ti lasci andare” disse nel buio repentino “Perché vuoi che io ti lasci andare? E’ così terribile avermi accanto? Io non voglio stare sola di nuovo. Io non voglio!”
Astrea fece un balzo indietro sorpresa e spaventata allo stesso tempo. “Mi dispiace Carnival” La sua voce era appena udibile, creò una nuova sfera di luce bianca che tenne vicino al petto. “Ibrido avrebbe potuto uccidermi e tu hai assistito inerme. Potrebbe succedere di nuovo oppure ci penseranno gli anni a fare il loro corso. Non potrai starmi accanto per sempre, che tu lo voglia o no.”

“SOLO PERCHE’ TU NON VUOI!” gridò la vampira con una nota isterica nella voce, poi sembrò rendersi conto dell’effetto che stava facendo sulla ragazza e fece uno sforzo visibile per calmarsi
“Io...io so quello che vuoi. Tu vuoi vivere, si, non un esilio, come quello della vecchia capanna. Per me era un bel posto, ma per te era un esilio, sola con una vampira e un vecchio sciocco. Tu vuoi vivere, tu vuoi essere felice. Questo lo posso capire, si. Tu vuoi, tu vuoi…” Carnival si passò le le dita sulle labbra, un gesto quasi incoscio “Io l’ho sentito. L’ho sentito, si. Vuoi essere felice. Io non voglio impedirlo, no, no, non voglio. Io voglio che tu sia felice. Perché non vuoi che io sia parte di questo? Non puoi chiedermi di fare finta di niente, non puoi chiedermi di vivere come Logan. Vagare da un paese all’altro sempre sperando di essere accettato dai viventi e sempre deluso…” Carnival fece un gesto rabbioso, convulso “Se non ci è riuscito lui, con le sue pozioni, come posso farlo io? Io non voglio andare in mezzo a quelli. Io voglio stare con te. Io voglio che tu sia la mia piccola sorella. Ti prego. Ti prego!”
“Io non ti lascerò, non devi preoccuparti di questo.” La ragazza riusciva a capire adesso. “E quando sarai pronta, sarai tu a cercare di avere un futuro senza di me perché ti sarai abituata all’idea che non potremo stare insieme per sempre.” La guardò dritta negli occhi. “Io penso a te, l’ho sempre fatto.”

“Davvero? Davvero?” Carnival parve rasserenarsi un po’ sentendo quelle parole, dette in tono calmo e sicuro da un’Astrea sorprendentemente matura e sicura di sé
“C’è una cosa, una cosa che devo sapere” disse piano mentre si avvicinava nuovamente alla ragazza “Loro lo hanno detto tante volte, si, tante volte. Che tu , quel giorno, non ti saresti lasciata mordere da me se non ci fosse stata la tua vita in gioco” Carnival abbassò la testa con aria colpevole “Forse c’è qualcosa di vero in questo, forse non ti ho lasciato scelta quel giorno, forse tu hai fatto solo quello che andava fatto, fidando che io mantenessi la mia parola. Io l’ho fatto, si ma tu non potevi saperlo. Avrei potuto mentire. Non potevi saperlo. Hai fatto una scelta e hai sperato.”
Carnival rialzò gli occhi a guardare la ragazza fissandola intensamente, nel profondo “Ora è passato un anno e più, si. Tu mi conosci, ora. Ti fideresti ancora di me, adesso, dopo tutto quello che è successo? O sei pentita di averlo fatto? Tu hai fatto tanto per me ma io ho preso il tuo sangue e ti ho dato in cambio soltanto il mio veleno. Non ho potuto darti niente altro.”
“No, non mi sono pentita.” Ricambiò il suo sguardo. “Non sapevo come sarebbe andata a finire, certo, ma conoscendoti adesso lo rifarei. Sei più tranquilla adesso?” Chiese con un tono leggermente apprensivo.
Carnival non disse nulla, si protese in avanti, esitò, si ritrasse come in preda al dubbio e poi si protese nuovamente, afferrando la ragazza e stringendola in un abbraccio tanto stretto da levare il fiato alla ladra.
“Immagino che questo voglia dire ‘si’” mormorò la ragazza con un sorriso dopo aver ripreso il fiato.

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MessaggioInviato: Gio Mag 21, 2015 3:54 pm Rispondi citandoTorna in cima

Intanto ad Athkatla…

La città era ancora buia nelle ore prima dell’alba, ma per i gatti non era mai troppo presto, era nel silenzio che i sussurri diventavano udibili e le posizioni migliori potevano essere prese. Mikan attraversò a passi veloci le stradine che ormai conosceva a menadito e si diresse in direzione della caserma delle guardie cittadine. Di prima mattina arrivavano i dispacci della notte e se qualcuno di essi fosse venuto da sfere ben più alte, beh, Mikan se ne sarebbe accorto. A dirla tutta, cercava di ricordare il contenuto di ogni dispaccio su cui riusciva a mettere orecchio perché gli inquisitori, agivano in maniera sottile e anche l’ordine più semplice avrebbe potuto nascondere un fine spaventoso.
Nel passare di fronte al fornaio che stava ultimando il lavoro di una notte, agguantò senza farsi vedere una pagnotta ancora calda, e si maledisse ben presto per la sua golosità quando si scottò le dita e la lingua. Ebbe il tempo di mettere da parte la refurtiva-colazione che vide due guardie venire dalla sua parte. Svicolò in una stradina e si arrampicò sul tetto di una baracca. Rimase seduto su una trave del tetto accucciato sulla paglia e li vide passare sotto di lui. Tese le orecchie… niente. Solo i discorsi di due uomini annoiati dal turno di notte. Deluso ma non troppo, in fondo se lo aspettava, riprese a camminare diretto al suo punto d’osservazione.
Arrivato nei pressi della caserma, imboccò il solito vicolo, presto che si allargò in un piccolo cortile, lo attraversò senza farsi vedere e accucciato nell’angolo si mise a scostare una manciata di pietre. Non ci volle molto, erano ancora come le aveva lasciate. Quando si aprì un varco abbastanza grande, gattonò al suo interno e si ritrovò nel buio più completo. Procedette a quattro piedi per manciata di metri, erano in momenti come questo in cui avrebbe voluto vederci al buio come i gatti che si vantavano di essere. Sentì un topo scappare per la sua presenza e quasi sbatté il muso contro il muro. Tastò con le mani avanti a se, era giunto alla fine del cunicolo.
Rimase attento in ascolto, l’aria era densa di polvere e umidità e dovette trattenere dei colpi di tosse ma non avvertì niente. La stanza oltre la parete era ancora vuota. Ne approfittò per spostare qualche pietruzza e un po’ più di aria, poca, filtrò all’interno del cunicolo. La presenza dell’armadio dall’altra parte del muro gli dava una certa sicurezza di non essere scoperto e attese.
Gli parve che dall’altra parte stessero facendo più tardi del solito e pensò al lavoro di mesi che ci erano voluti per arrivare a quel cunicolo in cui si trovava. Aveva parlato con amici di amici dei mastri muratori che avevano lavorato al ridimensionamento della caserma e alla conseguente vendita di alcuni locali alle spalle della stessa e aveva saputo della presenza di alcuni cavedi murati. C’era voluta tanta pazienza per individuarne uno e trovare un modo di accedervi senza dare troppo nell’occhio ma alla fine c’era riuscito osservando i movimenti dei topi e dei gatti della zona.
I suoi pensieri furono interrotti dal rumore di una porta. Alcuni passi e il cigolio vicinissimo delle ante dell’armadio. Finalmente l’ufficio del comandante delle guardie si era animato. Mikan misurò il respiro e avvicinò l’orecchio al foro per sentire meglio.
Passò ancora un po’ di tempo, quello necessario al capitano per leggere i rapporti del turno di notte e i dispacci dall’ufficio del sindaco e dall’inquisizione. Quando ebbe finito chiamò il tenente che giunse di lì a breve.
“Buongiorno Capitano, quali sono gli ordini di quest’oggi?”
“Buongiorno, Tenente. Riposo. È giunta un’altra segnalazione che le merci attese dall’inquisizione sono giunte e parzialmente mancanti. Ci comandano di intervenire e fermare il prossimo carico. Il trasportatore dev’essere sicuramente colluso con la Resistenza.”
“Il prossimo carro di provvigioni è previsto per la prossima settimana. Mando subito qualcuno per bloccarlo?”
“No, quel carico ci serve ma possiamo usare la situazione a nostro vantaggio. È evidente che sono ben informati sui nostri rifornimenti ed è la nostra occasione per farli uscire allo scoperto.”
“Come ci muoveremo?”
Silenzio per un po’. “Il mio sospetto cade su una o più guardie che scortano il carico. Non devono sospettare nulla o andrà in fumo il loro incontro. Avrò bisogno dell’aiuto degli inquisitori, è lì che andrò adesso.”
Da dietro il muro Mikan trattenne il fiato allarmato. Doveva avvertire gli altri prima che fossero scoperti. Si voltò per andarsene ma urtò contro alcuni sassi facendo più rumore del previsto.
Da dentro la stanza avvertì i due uomini fermare la conversazione allarmati.
“Avete sentito?”
“Si, sembrava provenire…”
Le voci si mescolarono alle orecchie di Mikan nell’agitazione del momento. Tutto sembrò ovattarsi.
“… l’armadio…” “… aiut… spo… arlo”
Sentì che il mobile veniva spostato mentre il ragazzotto cercava stupidamente di rimettere a posto le pietre che aveva scostato per sentire.
“Mand… guardie… ntrollare!”
Qualcosa scattò nella mente del ragazzo che si decise a scappare via appena prima che la luce irrompesse dai foro. Attraversò il cunicolo buio a ritroso quanto più velocemente potette.
Uscito allo scoperto fu bombardato dall’aria fresca e dalla luce del sole che era ormai sorto. Alla cieca cercò di occultare il passaggio segreto, ma ben presto udì il suono dei passi delle guardie che si avvicinavano di corsa.
Lasciò tutto alla rinfusa e se la diede a gambe. Uscì dal cortile appena in tempo per vedere gli uomini svoltare l’angolo.
“Altolà! Fermati canaglia!” Sentì gridare al suo indirizzo.
Nel panico più totale Mikan scappò tra i vicoli veloce come un gatto. La sua agilità e conoscenza dei vicoli e dei passaggi ristretti gli permisero di acquistare ben presto un vantaggio ragguardevole fino a far perdere del tutto le proprie tracce agli inseguitori.
Aveva combinato un pasticcio. Doveva avvertire gli altri!

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MessaggioInviato: Gio Mag 21, 2015 5:48 pm Rispondi citandoTorna in cima

Intanto ad Athkatla...

“Miria, ti vuoi dare una mossa? La clientela sta aspettando.” Valdas berciava dal suo tagliere mentre sbucciava le patate.
“Se quegli ubriaconi dovessero provare ancora ad infastidirmi, giuro che rovescerò loro la zuppa in testa!” La ragazza puntò i piedi portando le mani ai fianchi come a voler sottolineare la minaccia.
“La tua brodaglia è rancida e ha un aspetto pessimo, ma ogni giorno ad ora di pranzo quei tre tornano sempre. Sai perché?” La indicò con il coltello che stava maneggiando sorridendo malizioso mostrando una fila di denti ingialliti. “Perché non ti ho assunto perché sei una brava cuoca. Ora muoviti.”
Lo fulminò con lo sguardo, i bei lineamenti del suo grazioso e giovane viso alterati da un improvviso scatto di collera. “Senza di ME, TU non riuscirei a combinare un bel NIENTE, brutto idiota.” Si sfogò e sparì dalla cucina reggendo un vassoio di zuppe, pane bianco e vino speziato.

L’oste ridacchiò, prese le patate con le mani tozze e grasse e le gettò in un calderone di acqua bollente. I pochi capelli grigi che aveva erano appiccicati sulle tempie e sulla fronte per il caldo che faceva lì dentro a causa del fuoco, rendendo la sua figura ancora più grottesca.
“Che si fotta quel lurido grassone!” Borbottava la cameriera mentre percorreva la sala della bettola. Lanciò un’occhiata di disprezzo al tetto e alle pareti rattoppati alla buona con delle assi di legno a causa della precedente incursione dell’inquisizione che aveva quasi distrutto l’intero locale. “Tanto questo posto è un vero schifo!”
Poggiò il vassoio con poca delicatezza su un tavolo occupato da tre uomini di mezza età, ma, con piacevole sorpresa di lei, notarono a stento la sua presenza e continuarono a parlare tra loro, sembrava che qualcosa li turbasse.
“…Si! Ti ho detto di sì! Ne sono sicuro”
“Ma come hanno fatto ad introdursi nella caserma? Li hanno presi?”
“No, ma ci sono guardie ad ogni angolo della città... Questione di tempo…”
Li ignorò e andò ad occuparsi di un tavolo appena lasciato vuoto da un avventore, sparecchiò e iniziò a pulirlo non smettendo un attimo di borbottare.

“Buongiorno signorina Miria.” La porta delle bettola si chiuse alle spalle di un bambino di circa sette-otto anni dai capelli biondi, lunghi e spettinati. Aveva il fiatone e il viso arrossato per lo sforzo.
Lei alzò un sopracciglio portando una mano al fianco, lo squadrò dalla testa ai piedi pensando a quanti pidocchi potessero esserci sul suo vestito sgualcito.
“Valdas” Chiamò. “C’è un gatto qui.”
L’uomo emerse dalle cucine e fece cenno al piccolo di avvicinarsi al bancone.
“Tarin! Era da un po’ che non ti vedevo!” Gli diede una pacca sulla spalla tale da fargli perdere l’equilibrio. Gli porse una fetta di pane e formaggio.
“No, no.” Il bambino scosse la testa turbato. “Non ho fame.”
Valdas aggrottò la fronte, si grattò la barba incolta mentre lanciava un’occhiata intorno. C’era troppa gente lì dentro.
“Stai bene, ragazzo? Mi sembri un po’ sciupato. Hai la febbre, vero? Guarda come sei tutto rosso” Lo afferrò bruscamente per una spalla. “Vieni con me, hai bisogno di stenderti e bere una tisana. Vedrai che tornerai come nuovo.”
L’oste condusse Tarin nella sua stanza personale al piano superiore, piccola e spartana. “Dimmi tutto. Che cosa è successo?”

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MessaggioInviato: Lun Mag 25, 2015 12:15 am Rispondi citandoTorna in cima

[Athkatla]

Dag Durnick si rilassò sullo schienale della sedia. Sollevò i piedi e li poggiò sul bordo del tavolo, col risultato che una pila disordinata di pergamene scivolò sul pavimento, come le vecchie penne di un volatile. Sbuffò e non ci pensò neanche a raccoglierle. Non aveva avuto il tempo di leggerle tutte. Ne erano arrivate a decine, nelle ultime settimane, e neanche sguinzagliando i suoi delatori era riuscito a star dietro al ritmo. Eppure gli dispiaceva sentirsi così affannato nel compiere il suo lavoro. Non gli piaceva considerarsi un vecchio.
Si dondolò per qualche tempo sulle gambe posteriori della sedia, rimuginando a quale incarico dare la precedenza, quando una raffica di vento aprì le imposte appena accostate e spense l’unica candela accesa rimasta sul tavolo. Borbottando tra sé, si adoperò per riaccenderla, ma quando la fiammella tornò a rischiarare la stanza, delle pergamene non v’era più traccia. Costernato, continuò a guardare il pavimento spoglio per un bel pezzo, finché una risatina non lo attirò verso il sofà che teneva nell’angolo.
Una figura alta e slanciata era seduta su rozzi cuscini, sfogliando una pergamena dietro l’altra. Una ragazza. Dag l’avrebbe riconosciuta anche se avesse cambiato faccia.
“Audra!” mormorò, e lasciò cadere l’acciarino sul tavolo, un gesto seccato. “Per le ceneri! Non sei la benvenuta, qui.”
La ragazza puntò su di lui i suoi profondi occhi verde smeraldo, e sorrise. “Avevo nostalgia di Athkatla.”
“Avevi nostalgia della forca! C’è gente che non si è dimenticata dell’affare Eclisse. Sono venuti qui a casa mia, ribaltandomela da cima a fondo, pur di cercare quel dannato diamante. E se ti trovassero...”
Lei rise. “Allora spegni la luce, e nessuno mi troverà.”
Uno scintillio cupo negli occhi di Audra fece intendere a Durnick che non scherzava affatto.
“Può essere pericoloso, ci hai pensato?”
“Per ora è utile.” La ragazza tornò a leggere i bandi di taglia prima che Dag glieli strappasse di mano e li gettasse sul tavolino.
“Sono i miei incarichi” ringhiò. “Guai a te se intendi rubarmeli.”
La ragazza si alzò e stiracchiò le braccia, raggiungendo la finestra come a guardare le tenebre fitte della notte. “Non ne ho la minima intenzione.”
“Balle. Ti conosco, Audra. E ti avverto. Non posso più darti né lavoro, né protezione, l’ultima volta mi è’ costata cara. Quando un cacciatore di taglie vede andare in frantumi la propria reputazione, ci sono due strade, ed entrambe portano sottoterra.”
“Ma tu sei ancora vivo e vegeto, non trovi?” lo redarguì lei scherzosamente, sedendosi sul davanzale. Nelle sue mani comparve una strana spada, a doppia lama simmetrica, che lei cominciò a far scivolare da un lato all’altro, all’interno dell’impugnatura centrale. “In realtà non sono venuta qui per lavorare. I momenti migliori, per un cacciatore, sono quando si tendono le orecchie. Saltano all’attenzione parecchi particolari.”
“Riguardo a cosa?” sibilò Dag.
La giovane gli scoccò uno sguardo di sottecchi. “Dimmelo tu.”
“Non giocare con me!”
“Non lo sto facendo affatto.” La voce di Audra perse il tono allegro di poco prima. “Ho visto le taglie e non avrei mai immaginato che qualcuno intendesse mettere dietro le sbarre tutte quelle persone. Anche verso nord la situazione si sta facendo asfissiante e, fuori dai confini, ho visto veri e propri rastrellamenti. Quindi, te lo chiedo, che sta succedendo? Da quando un cacciatore di taglie si vede costretto a stabilire una priorità delle missioni, quando fino a qualche anno fa bisognava inventarsi i crimini pur di indire una bolla di taglia? Qui ad Athkatla sta succedendo qualcosa di grosso. E tu dovresti saperlo.”
Dag si lasciò crollare sulla sedia. “Non mi faccio troppe domande, quando si tratta di una taglia. E non dovresti fartele anche tu.”
“Oh, ma su quello ho imparato molto bene da te” lo rassicurò lei con un sorriso non troppo compiacente. “Solo che troppe richieste sono sospette. Una faida interna? Corruzione? Qui la storia mi puzza e, se fossi in te, non accetterei uno solo di quegli incarichi finché non avrò appurato esattamente come vanno le cose.”
“Non è il nostro compito. Noi siamo super partes. A eccezione della legge.”
“E chi lo dice?”
Dag la fulminò con lo sguardo. “Io. Questa è una lezione che avrebbe dovuto rimanerti in mente. Niente colpi di testa, Audra. Perché io non ti aiuterò. Non questa volta.”
Lei fece spallucce e si ricaricò la spada sulla schiena prima di riavvicinarsi a Dag. “Ah, ecco cosa davvero mi mancava di Athkatla.”
“Cosa?”
“Le nostre litigate” e Audra soffiò di nuovo sulla candela. Con un’imprecazione più che colorita, Dag si riaffrettò a riattizzarla. Quando lo fece, Audra non c’era più, e la persiana della finestra sbatacchiava pigramente, in balia del vento.

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Io sono una creatura del Caos. Ma dal Caos nasce la saggezza, e dalla saggezza il potere.

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MessaggioInviato: Lun Mag 25, 2015 11:14 pm Rispondi citandoTorna in cima

[Athkatla]

Le strade erano tortuosi corridoi immersi nel silenzio.
Audra camminava senza fretta, con solo la voglia di scrollarsi di dosso la polvere e la fatica del viaggio. In effetti una capatina in una taverna sarebbe stata l’ideale. Ma non aveva soldi. Li aveva spesi tutti per il passaggio di carovana che l’aveva riportata alla capitale, e ora non aveva niente. Ripensandoci, un incarico di Durnik l’avrebbe accettato volentieri, se ciò si fosse tradotto in qualcosa di caldo da mettere nello stomaco...
Scalpiccio. Da sinistra. Lei non mutò l’andatura.
Due guardie la sorpassarono correndo, la squadrarono brevemente e poi ripresero a correre. La cosa non la turbò finché la cosa non si ripeté una volta ancora, e un’altra. Corrugò la fronte. Un ricercato in città? Un criminale? La sua mente di cacciatrice di taglie spiegò un’ipotesi dietro l’altra. Quando passò un quarto armigero, stavolta in solitaria, lo trattenne per un braccio. “Ehi amico, che succede?”
“Non impicciarti” sibilò lui, per poi sparire oltre l’angolo. Audra corrugò la fronte. Non che si aspettasse cordialità da chi pattugliava le strade, ma quello era un segnale che, più di ogni altra parola, significava guai grossi.
Stanne fuori, le avrebbe detto Dag.
Solo che lo stomaco mugolava e lei aveva fame di taglie.
Attese che lo scalpiccio si smorzasse, poi si avvicinò allo spigolo della casa e sbirciò oltre, in tempo per vedere il miliziano svoltare in un’ennesimo viottolo. Lo seguì, mantenendo il passo più felpato che poteva, e si arrestò non appena lo udì confabulare con qualcuno. Il brusio era quasi intellegibile. Se soltanto avesse potuto avvicinarsi di più...
In effetti poteva.
La notte non era ancora sfumata nell'alba. Poteva farlo.
E lo fece.

Fu come immergersi in uno stagno gelido. Ogni volta era così. I suoi occhi divennero argento luccicante, prima di fondersi con le tenebre, alla stessa stregua del suo corpo.
Guizzò nell’ombra e la seguì, un tutt’uno con l’oscurità. Avanzò in silenzio lungo il viottolo finché non raggiunse l’estremità opposta, dove il soldato stava parlando con qualcuno che, dall’uniforme, doveva trattarsi di un suo superiore.
“Nessuna traccia, per ora” lo informò la guardia.
“Non può essersi volatilizzato!” lo redarguì l’ufficiale. “Sacri numi! Beffati da un ragazzino! Raddoppiate i turni e le ronde. Rivoltate la caserma da cima a fondo, nulla toglie che possa avere dei complici infiltrati nell’edificio. Fila, ora!”
Audra aggrottò la fronte. La caserma? Quando aveva sentito menzionare il ragazzino, aveva pensato a un volgare ladruncolo; le grandi città ne erano piene. Eppure tutta quella mobilitazione per un fanciullo le parve strano. E poi, da quando i piccoli ladri avevano interesse per la caserma, anziché per la dispensa di qualche taverna?
Ripensò alle taglie. Un plico enorme. Qualcosa non andava, ad Athkatla.
Il soldato tornò sui suoi passi. Le passò davanti senza che la vedesse. Audra lo guardò andar via, moderando il respiro per non rendere inutile la propria mimetizzazione - d’altronde l’uomo avrebbe visto solo un’ombra più scura in mezzo alle altre del vicolo - dopodiché lo seguì, tenendosi a distanza, un pensiero diverso a ogni passo. Lasciò che il potere tornasse quiescente e uscì dalle ombre, sempre pedinando il miliziano. Nella sua mente pensò che avrebbe potuto torchiarlo, capire più di quanto aveva origliato, ma poi rifletté che avrebbe avuto un testimone molto scomodo, che avrebbe dovuto eliminare, e la cosa non le andava. Era una cacciatrice di taglie, non un’assassina. Quella era una regola che non intendeva infrangere per niente al mondo.
“Eccoti...!”
L’esclamazione roca del soldato, che aveva appena girato l’angolo, la prese alla sprovvista. Lei si appiattì contro il muro e si tuffò nell’ombra. Il potere di Eclisse rivestì il suo corpo di buio. Per un attimo pensò di essere stata individuata, poi osò avvicinarsi allo spigolo e sbirciare oltre. Un ulteriore sforzo di potere, e ai suoi occhi tinti d’argento luccicante si disegnò una realtà più nitida. Vide la sagoma palpitante del soldato correre verso est, sulla stessa scia di un’altra figura, più minuta e dall’andatura a zig zag, tipica di chi voleva far perdere le proprie tracce.
Era lui? Il ragazzino? Il fuggitivo?
Audra attraversò il crocevia e li seguì lungo la via parallela. L’uomo correva veloce, la sua andatura non era più guardinga, cosa che confermò i suoi sospetti. Doveva pensare in fretta.
Uno dei due sapeva la verità.
Uno più dell’altro.
Avrebbe dovuto mettere i bastoni tra le ruote a uno dei due, se voleva sapere la verità. Doveva decidere.
Lo fece, in un secondo.
Un cacciatore di taglie non può permettersi di scegliere da che parte stare.
Era quello che diceva sempre Dag. Ma era un concetto che non riusciva a condividere. Per questo se n’era andata.
Aumentò l’andatura per intercettarli. Si arrestò al crocevia successivo e attese. La mano sfiorò la schiena. Misericordia le baciò le dita, un tocco gelido in un’ombra più ghiacciata di un lago d’inverno.

Il soldato riusciva a vederlo. Stava correndo, ma non poteva eguagliare la sua velocità. Sfoderò la spada e lo seguì. Dall’andatura, forse non si era neanche accorto che lo stava pedinando. Fermandosi a un angolo, lo vide rallentare, indugiare sulla direzione da prendere, forse cercando un buon punto dove ripararsi. Sbucò nel viottolo e felpò i passi, non voleva farsi udire. Poteva prenderlo di sorpresa.
Fu l’ombra, invece, a prenderlo di sorpresa, non appena superò il crocevia successivo.
I suoi occhi non riuscirono a seguire appieno ciò che sbucò dal buio. D’istinto, alzò la spada, ma un guizzo nero cozzò contro la lama e gliela scalzò di mano. L’ultima cosa che vide fu l’animarsi di un lembo di tenebra e, nel mezzo, un paio d’occhi d’argento, luminosi come la luna. Poi un forte colpo alla testa, e perse i sensi.

Audra uscì dall’ombra. Afferrò il corpo del soldato svenuto e lo trascinò nel viottolo accanto, sistemandolo in posizione seduta, contro un muro. Era stata silenziosa, e l’ombra l’aveva protetta. Un lavoro pulito.
Ma non poteva perdere tempo a compiacersi.
Fissò il vicolo dove aveva visto infilarsi il ragazzino. Ricorse ancora una volta ai poteri di Eclisse, che gli permisero di scrutare le tenebre. Lo vide, stavolta carponi; stava usando una scorciatoia attraverso un canaletto di scolo.
Sorrise e si tuffò nelle tenebre del viottolo, all’inseguimento.

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MessaggioInviato: Mar Giu 16, 2015 6:46 pm Rispondi citandoTorna in cima

Una decina di lanterne illuminavano la stanza quasi perfettamente quadrata dalle pareti in antica muratura e priva di finestre, inondando di una calda luce la mobilia spartana: un letto, una piccola libreria e una scrivania con una vecchia sediadietro di essa.
La piana del tavolo era cosparsa di mappe e documenti, mentre a uno degli angoli era posto un piccolo trespolo, su cui era appollaiato un enorme corvo reale.
dietro alla scrivania, un uomo sedeva, scribacchiando qualcosa su una pergamena, lanciando a tratti delle occhiate sulla porta che aveva di fronte. C'era silenzio quel giorno, fuori dalla sua stanza. Un silenzio diverso dal solito.
L'uomo posò per qualche istante la penna che stringeva fra le dita, corrugando la fronte con fare meditabondo.
Era difficile essere un capo. Certo, lo era da diverso tempo oramai, ma il ruolo aveva comunque i suoi pro e contro. La responsabilità della vita dei suoi sottoposti ricadeva interamente su di lui e sebbene si trattasse di un compito arduo, era un onere che portava avanti con determinazione. Avrebbe fatto del suo meglio, per tenerli tutti in vita.
Il giovane riprese a scrivere, riportando dati, fatti e avvenimenti dei giorni passati. Ancora non gli era stato fatto rapporto quella mattina, infatti iniziava a montare in lui un vago senso di inquietudine. Si aspettava di ricevere visite da un momento all'altro.

Qualcosa si insinuò sotto l'uscio della porta: una piccola testa triangolare ricoperta di scaglie, seguita da un corpo flessuoso lungo più di un metro color verde scuro. La biscia entrò nella stanza per tutta la sua lunghezza prima di fermarsi e tremare. Nello spazio di pochi secondi il corpo da rettile crebbe, pelo grigio e nero si sostituì alle scaglie e quattro arti fuoriuscirono dai fianchi. Quello che era un serpente si tramutò in un felinide di quasi due metri, fermo davanti alla scrivania di Dorian. Ebbe un ultimo brivido prima di rivolgersi al suo capo."Hai preso una decisione?"

L'uomo per un attimo trasalì, nel vedere ciò che avvenne sotto i suoi occhi. Non poteva farne a meno, le trasformazioni del mutaforma che era appena entrato avevano un fascino tutto loro, insieme intrigante e inquietante.
"Non potresti bussare e aspettare che ti dica di entrare, come ogni persona normale di queste terre?" domandò con un sospiro teatrale il giovane uomo, alzandosi al contempo.
Era più o meno di una testa più bassa rispetto al suo interlocutore, ma non gli aveva molto altro da invidiare: fisico scattante, muscoli ben definiti e un incedere deciso gli conferivano il potere di incutere rispetto a primo impatto.
I suoi occhi, uno sano e l'altro completamente azzurro ed inespressivo, si piantarono negli occhi felini del mutaforma, mentre incrociò le braccia dietro la schiena.
"Ad ogni modo, sappiamo che stanno preparando una trappola e che l'Inquisizione probabilmente sarà lì ad attenderci. Potremmo rischiare se conoscessimo il numero degli armati, o gli Dei sanno cos'altro, che ci vogliono mandare contro. No, ci servono altre informazioni, o rischieremmo di farci macellare come bestie..." rispose quindi. Era una brutta notizia, ora avrebbero dovuto inventarsi altro per rallentare i rifornimenti periodici del loro nemico. All'interno della città erano relativamente al sicuro, ma assaltare un carro rifornimenti al di fuori di Athkatla sarebbe stato un suicidio quella volta."Immagino tu abbia qualche suggerimento in merito, vero?" domandò poi al sottoposto, immaginandosi già cosa avrebbe detto e tornando a sedersi dietro la scrivania.

Il Felinide incrociò le braccia, cominciando ad emettere un suono basso e continuo, simile ad un borbottio ma molto più profondo. Ricordavano le fusa di un gatto, ma Dorian era sicuro che non esprimessero desiderio di coccole nè soddisfazione. "Non uso le porte." disse infine. "Tu hai detto a Caul che avrei avuto vendetta. In cambio dovevo rendere i tuoi cacciatori, insegnare loro ad uccidere. Lo sto facendo. Ma non ho ancora vendetta." Caul posò le mani sulla scrivania e si protese verso il suo capo."Stiamo perdendo molte occasioni. Dobbiamo fare dei morti anche noi, il nostro branco rimane sempre lo stesso o si riduce di elementi, loro crescono. Presto saranno troppo grandi, anche per me. Troppo grandi anche per te."

Dorian sospirò, stavolta di esasperazione.
Quel gatto bipede gli chiedeva almeno una volta al giorno quando gli avrebbe permesso di massacrare qualche guardia o qualche inquisitore.
" E così sarà Caul. Lo so, ne è passato di tempo da quando abbiamo fatto fuori qualcuno di quei bastardi, ma come hai detto tu, siamo pochi. E se andassimo a ficcarci in un'imboscata, ti assicuro che non ne usciremmo vivi nemmeno per miracolo. Chi combatterebbe poi? Chi rallenterebbe i loro rifornimenti, chi tenterebbe di metter loro i bastoni fra le ruote?" il giovane posò le mani sulla scrivania, osservando con rabbia i fogli ivi sparsi."Non posso rischiare le vostre vite in modo così stupido. Dovremo ridurre i nostri attacchi all'ambito cittadino, dove è più facile sparire per noi. Attaccheremo...ma non dove lo faremmo al solito." continuò, mentre un piano iniziava a disegnarsi nella sua mente. "Mi occorre solo del tempo per mettere a punto una strategia. Probabilmente convocherò un'assemblea ristretta, così potremo organizzarci meglio. Avremo tempo meno di una settimana" disse deciso infine, guardando il suo interlocutore.
Anche Dorian moriva dalla voglia di attaccare. Ciononostante, mettere inutilmente a rischio la vita dei suoi uomini non rientrava nei suoi piani.

Caul lanciò un ringhio sommesso prima di chiudersi in un ostinato mutismo, senza mai distogliere lo sguardo da Dorian."E' saggio." aggiunse dopo quasi un minuto." Ma non lo rispetto. Vai contro la tua natura decidendo questo. Anche tu vuoi sangue, anche tu vuoi uccidere. E' questo che non rispetto." Caul si avvicinò al corvo, osservando ogni dettaglio del piumaggio del volatile."Se vuoi indire un assemblea hai un idea. Quale è?"

Per un istante, un lampo attraversò gli occhi di Dorian. In un istante la tempereatura della stanza calò bruscamente, mentre i braccioli della sedia si ricoprivano di una leggera patina ghiacciata. Il corvo gracchiò, allontanandosi dal trespolo e andando a posarsi sulla spalla del suo padrone e osservando poco cordialmente Caul.
Infine Dorian si alzò, lentamente.
" Non sbagli, Caul, anche io voglio sangue. Ma se agissimo come tu vorresti, saremmo stati sterminati da un pezzo. Ricordalo, quando decidi di non rispettarmi" il tono del capo era gelido quasi quanto l'atmosfera che si era creata intorno a loro. Poi, d'un tratto, il gelo scomparve, la patina ghiacciata abbondonò ogni superficie e il consueto calore della stanza tornò a fare capolino. Lo sguardo di Dorian tornò ad essere tranquillo.
" Intendo attaccarli quando entreranno in città. o meglio, quando vi saranno già entrati. Avranno più difficoltà ad utilizzare la milizia regolare e in più possiamo avvalerci di una serie di vantaggi che in campo aperto non abbiamo"
Gli occhi di Caul viaggiarono per tutta la stanza mentre il gelo si diffondeva."Non rispetto il tuo ragionamento, non te. Non sarei qui se non ti rispettassi. Quali vantaggi?"

" Gli edifici, le vie strette, il fatto di poter sparire velocemente, la nostra superiore conoscenza del sistema di cunicoli sotto Athkatla. Perlomeno spero che siamo ancora in vantaggio su questi elementi" Dorian guardò dubbioso il mutaforma mentre pensava." Visto le ultime notizie non possiamo essere sicuri di nulla, dovremo essere doppiamente cauti, qualsiasi cosa facciamo"

"Come dire che fuori della città possiamo usare chiome degli alberi, cespugli e grotte. Abbiamo carenze di informazioni?" qualcosa deformò il volto felino di Caul. Un sorriso? "I tuoi cuccioli d'uomo non sono così bravi come pensavi. Posso aiutarli io."

Dorian annuì alla giusta risposta di Caul.
" Ti devo dare ragione su questo. Ma la mia preoccupazione è che gli Inquisitori possano avvantaggiarsi molto più di quanto noi possiamo prevedere, in campo aperto. La città dovrebbe essere più imprevedibile per loro, visto che non possono operare troppo indisturbati. Se volessero creare trappole elaborate in città, qualcuno lo noterebbe di certo. E per quanto riguarda i nostri Gatti...sono parecchio in gamba. Naturalmente se hai consigli in merito sono bene accetti, ma vorrei che me ne parlassi prima naturalmente"

"Consigli? No." Caul si rimpicciolì a grande velocità, sostituendo piume candide alla pelliccia. Un bianco colombo planò sulla scrivania. "Un aiuto." disse il volatile."I gatti non possono entrare in una casa senza mettersi in pericolo. Io sì, anche se per poco."

L'indice della mano destra di Dorian picchiettò sulla scrivania mentre osservava l'ennesima mutazione di Caul.
"Molto bene allora. Verrò con te però" rispose in tono deciso, voltandosi verso il corvo. L'animale lo fissò per alcuni secondi, girando la testa a destra e a sinistra ad intervalli regolari e andandosi a posare infine sull'avambraccio del padrone.
L'occhio azzurro di Dorian iniziò a brillare lievemente di una luce non propria, mentre altrettanto fecero gli occhi del corvo. Quando la luce scomparve, il corvo chinò il capo, andando a posarsi accanto a Caul.
" Andiamo" aggiunse con voce atona Dorian, stringendo leggermente le dita intorno ai braccioli della sedia.

"Il capobranco non dovrebbe mai cacciare." Caul torno alle sue normali fattezze e aprì la porta. "Non posso impedirtelo, ma ti sconsiglio di venire."

Dal corvo sembrò provenire una lieve risata, in contemporanea con quella di Dorian, sempre seduto dietro la scrivania. Una risata che ben poco aveva di umano.
"Siamo in tempi disperati, Caul. Temo che presto dovrò cacciare con il branco molto più spesso di quanto il buon senso non consigli"

Il corvo si posò sulla spalla di Caul, guardandolo mentre si richiudeva la porta alle spalle. In due sarebbe stato più semplice, ma anche più rischioso. Ma questa di certo non sarebbe stata la prima volta che i due cacciavano insieme.

[continua...]

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MessaggioInviato: Mar Giu 16, 2015 11:28 pm Rispondi citandoTorna in cima

Al centro dell’ennessimo cunicolo che aveva imboccato si prese qualche attimo per ascoltare. I rumori intorno a lui erano quelli della normale vita di Athkatla, se anche aveva degli inseguitori questi dovevano aver perso le sue tracce. Ottimo.
Mikan tornò sulla strada e si diede una ripulita. Doveva tornare al ritrovo dei Gatti e spargere la notizia di stare tutti ben attenti, poi avrebbe fatto una corsa giù nei sotterranei sperando nella benevolenza di Dorian.
Con noncuranza imboccò una via dopo l’altra e presto si trovò nella baracca che fungeva da ritrovo.
Si guardò intorno e poi fece la bussata. Da dentro si sentì qualcuno avvicinarsi poi Sam aprì.

Audra rallentò fino a fermarsi accanto allo spigolo della baracca. Seguire i movimenti del ragazzino era stato più difficile del previsto, anche perché si era infilato in cunicoli dove persino lei, nonostante l’esile figura, aveva fatto fatica a oltrepassare e il più delle volte aveva dovuto compiere un giro più largo per poi individuare di nuovo le sue tracce. Se soltanto avesse potuto fondersi davvero con le ombre! Rinunciare al corpo, sgattaiolare in ogni fessura, in ogni angolo di buio... Rifletté su quel concetto e subito smise di lavorare d’immaginazione. Possedeva quel potere da troppo poco per osare così tanto. Doveva accontentarsi.
Esitò per qualche istante. Forse aveva sovrastimato la faccenda. Dal comportamento, sembrava un qualsiasi monello da strada. Eppure non le era quadrata l’agitazione delle milizie. Ancora li sentiva, in lontananza, abbaiare ordini di ricerca e cattura. Troppo sospetto.
Alzò lo sguardo.
La luna stava impallidendo, e il cielo anche. Poco tempo.
Sperò di fare alla svelta.
Sempre mimetizzata con le tenebre, appoggiò l’orecchio contro la porta scorticata e ascoltò.

“Già qui, non ti aspettavo!” Sam era preoccupato.
“E’ successo un casino, mi hanno quasi beccato” Mikan girò per la stanza passandosi le mani tra i capelli cortissimi. “C’è un casino di guardie che mi cercano. Dovrò infilarmi là sotto per qualche tempo e avvertire Dorian… Questa volta mi fa secco.”
Adesso Sam era decisamente preoccupato, ma la conversazione tra i due fu interrotta da Carbone che abbaiò e si fiondò fuori, sulla strada.
I due ragazzini lo seguirono allarmati ma giunti fuori non c’era nulla di strano.
Carbone annusò un po’ in giro ringhiando, ma non si scostò molto dalla porta. Mikan fece il giro della bettola per accertarsi che non ci fosse proprio nessuno, ma era tutto tranquillo.
Convinsero a forza Carbone a rientrare e calmarsi, poi Sam riprese da dove si era interrotto.
“Ma no… vedrai che Dorian non ti fa niente…” cercò di rassicurare l’amico.
“Lo spero bene, gli abbiamo passato un sacco di informazioni finora! Avverti gli altri di fare molta attenzione e di stare alla larga dalle guardie. Manda qualcuno al Buco a dire che ci saranno ritardi nella consegna. Più tardi ti faccio avere notizie più precise.”
Mikan si avvicinò a Carbone e lo accarezzò. “Lo so, bello, ma devo stare un po’ via, ma torno presto.” quello lo leccò e strusciò il muso sulle sue mani.
I due ragazzi si abbracciarono. “Bada agli altri…” Si congedò il più grande.
“Fa attenzione…” gli fece eco Sam.


Dannato cane... c’era mancato davvero un soffio.
Audra si rizzò dal muro dove si era accovacciata, un tutt’uno col buio. Il potere di Eclisse l’aveva protetta dagli occhi dei ragazzini, ma nulla poteva contro il fiuto degli animali. Quello era un difetto che ancora non poteva eludere. Guardò la porta aprirsi e il ragazzino fiondarsi fuori di corsa. Ripensò alle loro parole.
Dorian?
Quel nome non le era affatto nuovo. Dove l’aveva già udito? Rimase un attimo a riflettere, mentre dall’interno della casupola i latrati del cane ancora disturbavano la quiete notturna, a dispetto delle rassicurazioni che cercava di dargli il suo padroncino. Il guizzo d’intuizione la folgorò, facendole spalancare gli occhi nerissimi, senza iride né pupilla.
Non l’aveva udito. L’aveva letto.
Bene, la questione si stava facendo molto più interessante di quanto sperava.
I passi del ragazzino la stavano distanziando. Con un ultimo sguardo al cielo che volgeva all’alba e pregando che il potere di Eclisse la aiutasse quanto bastava, Audra si lanciò all’inseguimento.

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MessaggioInviato: Mer Giu 17, 2015 10:33 pm Rispondi citandoTorna in cima

Mikan si inoltrò nella parte più antica della città. Alcune costruzioni avevano fondamenta e i piani più bassi di pietra, anche se poi culminavano in maniera del tutto sgraziata e povera. Quel posto metteva i brividi in quei momenti prima dell’alba. Se il covo dei Gatti era in una zona povera della città, questo era il fondo del barile, oltre si poteva solo raschiare e Mikan sapeva che avrebbe dovuto farlo per scendere nei sotterranei della città.
Camminò con aria sempre più guardinga fino ad una vecchia fontana asciutta. Alcuni gargoyles linguacciuti e spaventosi in passato dovevano riversare l’acqua in una vasca molto grande a forma di foglia. Senza pensarci scavalcò il bordo e si inoltrò al centro della vasca e con tutta la forza spinse sulla testa di uno di quelli. Dapprima la roccia scolpita sembrò non far nulla, ma poi un rumore di sfregamento rivelò un movimento impercettibile che attivò una botola al centro della vasca.
L’aria che ne veniva fuori era fredda e fetida di umidità. Mikan strinse le mani a pugno e vi si inoltrò.


Superati i primi scalini andò a tentoni sul muro alla ricerca di una lanterna appesa. Trovata, la accese e la luce delineò gli scalini che scendevano di almeno sei metri rispetto al livello della strada. Raggiunto il fondo proseguì per la galleria fino a quando non iniziò a sentire delle voci.
All’orecchio fino di Mikan non sfuggì la voce squillante di Daine. Era felice di vederla e triste che fosse quasi confinata in questo posto così triste. Percorsi gli ultimi metri, la galleria si apriva in una stanza con delle nicchie su tutti i lati. Dall’alto alcuni fori ben camuffati garantivano il ricambio d’aria e, nelle ore di punta anche un minimo di luce. Le lanterne illuminavano bene l’ambiente malamente arredato.

“Mikan!” lo salutò la ragazzina felicissima di rivederlo.
Il ragazzo salutò gli altri presenti nella stanza e poi si rivolse a Daìne.
“È bello vederti… che stai bene, vedere che stai bene” Mikan arrossì. “Devo parlare urgentemente con Dorian, è successo un casino là sopra.”
La ragazza fece sparire rapidamente il sorriso che le era affiorato sul volto. “Certo, da questa parte!” disse con urgenza.


Poco tempo dopo che Caul e il corvo furono usciti, un piccolo imprevisto si fece largo fra le mura del rifugio. Un imprevisto, che fece subito drizzare le orecchie al corvo reale che svolazzava intorno al felinide.
"Non uscire dalle catacombe, devo controllare una cosa" risuonò l'ordine perentorio di Dorian, sottoforma di voce gracchiante dal becco del volatile. Volò un paio di volte in cerchio, tornando poi indietro e andando a posarsi su un trespolo sul lato della porta che dava sulla sua camera.
Poco dopo, un rumore di passi affrettati nel corridoio di fronte alla porta di legno. Passi leggeri, di bambino.
I Gatti stavano arrivando.

Daìne e Mikan si trovarono ben presto davanti alla porta di Dorian. La ragazza bussò con mano leggera e da dentro arrivò la conferma di poter entrare. Mikan diede un tozzo del pane che aveva rubato la mattina al grande corvo poggiato all’ingresso e lo accarezzò sotto il becco.
Il ragazzo entrò chiedendo a Daìne di aspettare fuori.
“Salve Dorian…” salutò il capo della Resistenza chiudendo la porta dietro di sé.
Appena in tempo, il capo tornò in se, interrompendo il contatto empatico con il suo corvo, che di sua spontanea volontà ritornò dal padrone, gracchiando come suo solito.
Il bambino che entrò doveva avere più o meno quindici anni e sembrava alquanto nervoso. L'espressione intimorita perlomeno diceva questo, sebbene in fondo agli occhi gli si leggesse una forte determinazione.
"Salve, Mikan" rispose, sollevando di poco un sopracciglio."Sei un pochino in ritardo stamattina. Successo niente?" domandò poi, squadrandolo intensamente.
“Si…” il ragazzo abbassò lo sguardo intimorito. Mikan non sapeva quanto fossero sviluppati i poteri del capo e temette che fosse già a conoscenza di quello che era successo, ma poi si disse che se così fosse non avrebbe avuto bisogno di loro, così si decise a parlare.
“Il capo delle guardie stava organizzando una trappola per prendere nel sacco i nostri. Mi sono agitato e sono stato scoperto, quasi mi prendevano. Ho combinato un casino. Scusatemi…” aveva parlato come un fiume in piena.
Dorian si fece pensieroso, iniziando a grattarsi il mento. Infine sospirò.
"Temevo che prima o poi avrebbero architettato qualcosa del genere. Tu stai bene?"
Il ragazzo annuì. “Si, sto bene. Sono riuscito a seminare le guardie. Ho già detto ai miei di stare alla larga dai guai per un po’ e di avvertirmi quando si saranno calmate le acque, ma temo che dovrò rimanere qui sotto per un po’.”
Il capo si alzò, iniziando a camminare avanti e indietro.
"Ovvio che diano la caccia a noialtri...non siamo esseri comuni, è normale che vogliano sbarazzarsi di noi. Ma per gli Dei, anche i bambini hanno nel mirino, quei pezzi di m..." si trattenne all'ultimo, ricordando che stava pur sempre parlando con un bambino. "Ad ogni buon conto, ottima idea Mikan. Non fatevi vedere fino a nuovo ordine, mi assicurerò che non vi manchi nulla. C'è altro sugli Inquisitori?"
“Sapevo che sarebbe potuto accadere quando ho deciso di aiutarvi, gli altri sono con me. Comunque so che sono stati loro a pressare sul capo delle guardie. Far sparire quelle risorse fino ad ora deve avergli causato non pochi problemi.”
Il giovane capo annuì.
Improvvisamente però, il corvo iniziò a gracchiare concitatamente e a sbattere le ali come un forsennato.
Sembrava avercela con un punto in particolare della stanza, l'angolo dietro alla libreria di Dorian per la precisione.
"Ma che diavolo...?" sussurrò, mettendosi in posizione protettiva di fronte al ragazzino.
La temperatura calò drasticamente all'interno della stanza, mentre la luce delle fiaccole diminuì fin quasi a spegnersi. Un velo ghiacciato ricoprì ogni superficie, spandendosi quasi possedesse vita propria.
Le ombre presero a ondeggiare. Acquisirono sempre più consistenza, forma, tridimensionalità. Ciò che prima era mimetizzato nella tenebra andò pian piano a rivelarsi, sfumando nei colori e nei movimenti. Apparve una giovane donna, rigida come se non si fosse aspettato di comparire lì, all’improvviso.
“Beh… salve…” esordì, con un sorriso che le piegò solo un angolo della bocca.


Decisamente una notte da dimenticare.
Audra si maledisse mille volte. Come aveva potuto rischiare in quella maniera? Come aveva potuto scordarsi del limite dei suoi poteri? Aveva calcolato male i tempi, e tutto per la sua sete di sapere, per la sua curiosità. E ora, il padrone di casa non sembrava molto incline a darle il benvenuto.

Mikan era sconvolto dalla manifestazione di tutti quei poteri. Non era abituato a tutto ciò. Poi sgranò gli occhi. “Per gli dei, da quanto tempo mi stai seguendo?!”
Per alcuni secondi, Dorian non seppe cosa pensare. C'era una donna, nella sua stanza, che doveva aver passato tutta la sicurezza per arrivare fin lì e a quanto pareva l'aveva fatto abbastanza indisturbata. E aveva eluso sia Mikan che i sensi del suo corvo per un bel periodo di tempo.
Amentò gradualmente il freddo che li circondava, mentre uno spuntone di ghiaccio saltò fuori improvvisamente dal pavimento fermandosi a pochi millimetri dalla gola della giovane.
"Chi diavolo sei?" scandì Dorian, fissandola con gli occhi socchiusi.
Audra osservò lo spuntone attentarle la carotide. Non si mosse, dapprincipio colta alla sprovvista dalla natura dei poteri del suo sfidante. Lo fissò con aria evasiva, cercando di mantenere un tono di voce che non mostrasse troppo il suo desiderio di sfida. Pochi erano riusciti a metterla con le spalle al muro. E lui c’era riuscito soltanto perché il giorno era sorto prima delle sue aspettative, tradendo la sua copertura.
“Chi sono?” rispose. “Di sicuro non sono un diavolo. Piuttosto, sono quella che ha salvato la pellaccia al marmocchio” ribadì, accennando a Mikan. “Se non fosse stato per il mio intervento, sarebbe ferri ai polsi… o peggio. Non ero la sola a seguirti, piccolo.” Inarcò un sopracciglio. “Posso mettermi comoda o preferisci tagliarmi la gola… Dorian?”
"Dipende, camminatrice dell'ombra. Come faccio a sapere che non sei qui per accopparmi? Salvare Mikan, ammesso che sia vero, non ti garantisce l'immunità da queste parti." la osservò, l'occhio sano che tradiva un'ombra di dubbio. "Ti mandano loro?" chiese poi, facendo ritrarre un po' la stalattite ghiacciata, consentendole di muoversi.
Audra indietreggiò appena, e senza mosse brusche la sua mano si appoggiò su Misericordia. “Non mi manda nessuno” replicò. “E accoppare le persone non fa parte delle mie mansioni, sempre se sui bandi di taglia non sia specificato diversamente.” Assottigliò gli occhi verde smeraldo. “E il tuo volto mi è ben impresso in mente. Peccato, chi ti ha ritratto non ha reso giustizia agli occhi, in compenso ti ha raddrizzato il naso…”
Dorian si rilassò.
Nonostante questo, il ghiaccio non scomparve e, anzi, il freddo sembrò aumentare ancora di più.
"Diciamo che il disegnatore non mi ha avuto a disposizione molto a lungo. Guardare il mondo da dietro le sbarre non faceva per me" commentò asciutto in risposta alla ragazza, squadrandola da capo a piedi. Era alta praticamente quanto lui, dal fisico agile e scattante. I due occhi verdi così intensi da sembrare smeraldi, lo fissavano con aria di sfida, mentre la mano di lei correva all'arma.
Di rimando la fissò, socchiudendo appena gli occhi, mentre il suo corvo gli si posava sulla spalla. "Invece di te non ho mai nè sentito parlare nè ho mai visto il tuo volto. Ma d'altro canto non mi sorprende molto...immagino tu sia abituata all'anonimato molto più di me..."
Audra si rilassò a sua volta. Sorrise con la bocca, ma non con gli occhi.
“Forse perché so fare bene il mio lavoro. E di solito non sono alle dipendenze di nessuno. Quindi, sentiamo: chi sono ‘loro’?”
Un ghigno si fece strada sulle labbra di Dorian.
"Ma come, non dovresti essere abbastanza brava nel tuo lavoro?" la prese in giro l'uomo. "Ad ogni modo, se non lo sai è meglio per te. E ti consiglio di lasciare la città finché puoi, e senza dare nell'occhio, se non vuoi crepare" aggiunse poi.
Inaspettatamente, Audra si mise a ridere. “Fammi capire, TU dai un consiglio a ME?” ribatté. “Tu mi dai un consiglio per non crepare, quando pensate che questo vostro sistema di catacombe vi possa proteggere? Un vero ottimista.” Si guardò intorno, notando il decadimento del luogo. “Ci sono riuscita io senza intoppi, ci riusciranno altri. Dipende tutto da chi vi siete fatti nemici…” Osservò Dorian con l’aria di sapere il fatto suo. “Fossi in te seguirei il tuo stesso consiglio. Il tuo volto è su un bando di taglia dalla cifra astronomica. E se Dag Durnick vorrà prendere in considerazione il lavoro, di te” rifletté un attimo e concluse “non rimarrà neanche un fiocco di neve.”
Il ghigno scomparve immediatamente dal volto di Dorian, che attese fino al termine dell'intervento della nuova arrivata. Quando questa menzionò Dag Durnick, toccò a lui ridere. Non era una cosa che gli capitava spesso ultimamente.
"Dag Durnick??? Quell'idiota è sulle mie tracce da anni ormai e ho perso il conto delle volte che è passato sopra all'ingresso principale senza accorgersene" si voltò, iniziando a camminare avanti e indietro, ridacchiando a tratti. Poi tornò di nuovo serio, voltandosi verso Audra. "No, le persone da cui ci nascondiamo sono molto peggio di Dag, credimi. In confronto a loro, il tuo amico è una barzelletta! E si, ti sto dando un consiglio, che spero seguirai. Oppure potresti scoprire da sola cosa succede qui...dove diavolo sei stata nell'ultimo anno, a cercare fiorellini a Polareia???" continuò poi, fissandola intensamente.
Audra lo lasciò terminare. “Sono stata all’aperto, contrariamente a quanto, credo, abbia fatto tu” lo canzonò. “E non sottovalutare Dag Durnick. E’ un tipo paziente. Colpisce quando deve, a centro sicuro. Io lo so. E’ una tecnica che mi ha insegnato molto bene.”
L'uomo fece una smorfia.
" Tutti pazienti, voi cacciatori di taglie. Non vi è servito a molto finora" commentò Dorian con sufficienza. "Ad ogni modo, non mi sembri qui per collezionare una taglia, a meno di non essere particolarmente stupida e poco accorta, cosa della quale dubito. Perchè hai seguito Mikan?"
Poi un'idea gli attraversò la mente. L'unico motivo per cui quella ragazza avrebbe potuto seguire Mikan poteva essere un evidente indizio su di lui. E l'unico indizio che Mikan poteva aver lasciato in merito a lui era...
"Mikan..." disse in tono gelido."Via di qui, ora. Più tardi faremo una chiacchierata a quattr'occhi" fu l'ordine perentorio.
Il ragazzino si affrettò ad uscire, leggermente pallido, chiudendosi la porta dietro e lasciando Audra e Dorian soli.
Lei guardò il ragazzino andare via mogio. “Pugno duro a quanto vedo” commentò fra sé. “Ma se vogliamo parlare…” Con un guizzo quasi impossibile da vedere, Misericordia tagliò l’aria e mozzò la punta dell’iceberg che attentava alla sua gola. Al contempo Audra balzò un passo indietro, la spada a doppia lama che scorse nella guida dell’impugnatura fino ad assestarsi su un’estremità. La tenne sollevata davanti al viso, non come minaccia ma come garanzia di difesa. ”ORA possiamo.”
Dorian sollevò un sopracciglio, osservando l'arma che la ragazza gli puntava contro.
Poi sollevò leggermente il braccio, indicandole la sedia dietro la scrivania.
"Ti va di sederti?" le domandò, facendo al contempo sciogliere tutto il ghiaccio presente."Sfortunatamente ho soltanto una sedia, come avrai notato i nostri standard sono un pochino...spartani"
Audra avanzò fino alla scrivania e vi saltò sopra per sedersi, incurante di sparpagliare le carte ivi radunate. Cominciò a far oscillare la lama della spada da un’estremità all’altra, quasi giocando col sibilo che produceva. “C’è una taglia sulla tua testa” mormorò. “Ce ne sono tante altre. Troppe. Sento puzza di faida, e voglio capire che diavolo sta succedendo in questa città. Dag non si è scucito… non gli interessa niente di obiettivi e mandanti, se non la cifra che può riscuotere con ogni commissione.” Lo fissò duramente. “Ma io non sono come lui. Cacciare taglie significa anche condannare a morte. E io non sono un’assassina. Voglio capire.” Inclinò la testa. “Con ciò non significa che sto dalla tua parte. Non per ora. Sentirò cosa hai da dire, e se riterrò che la taglia sia giustificata ci batteremo, come leali cacciatori e prede. Ma fino ad allora, ti starò a sentire. Tuttavia, scegli bene le tue parole, Dorian. Sono abituata alle menzogne. E so riconoscerle.”

L'uomo sospirò.
Le azioni più semplici da quelle parti sembravano essere prese abbastanza sottogamba da tutti.
Seguì per alcuni istanti il movimento della strana spada della ragazza, tornando però in fretta a fissare quei due interessanti occhi verdi.
Strinse gli occhi infastidito dal caos creato dagli stivali della cacciatrice di taglie sulla scrivania, ma si costrinse a rimanere calmo. Si prese del tempo per rispondere: sarebbe stato saggio dirle tutto? No, tutto no. Ma quello che sapevano tutti, quello si che avrebbe potuto dirlo.
"Dag non si è scucito perchè ha paura" esordì Dorian, quindi."Non c'è nessuna faida in questa città. Sarebbe più corretto chiamarlo uno spietato massacro in effetti, visto che la maggior parte di noi è stata sterminata quasi subito, all'inizio del movimento degli Inquisitori" si fermò, cercando di capire se le sue parole avessero avuto un qualche effetto sulla ragazza."Ti farò un piccolo riassunto su chi sono gli Inquisitori, anche se il solo nome dovrebbe essere abbastanza esplicativo. In breve, si sono messi in testa che chiunque abbia un briciolo di magia nelle vene vada distrutto. Fine. E noi," indicò dietro di se, per rappresentare metaforicamente i sopravvissuti,"noi siamo i pochi che fronteggiano i molti"
Si fermò. Forse la ragazza avrebbe avuto delle domande, o forse le bastava ciò che aveva appena detto.
La spada di Audra cessò il suo movimento altalenante.
“Follia” disse. Prima ancora che Dorian potesse contraddirla, la sua voce sferzò la sala: “Significherebbe dichiarare guerra al Dersalan intero. Nessuno è così pazzo!”
"Già" rispose mesto Dorian."Credo si possa definire anche così. Una crociata di proporzioni mai viste. Ed è appena iniziata. E a quanto pare gli Inquisitori non si lasciano spaventare..." l'uomo si fece improvvisamente più riflessivo."Mescolano scienza e magia, crescono in numero di giorno in giorno e apparentemente hanno il favore di ogni governo in cui si imbattono. Che siano maledetti!"
Audra rimase a riflettere. Tornò con la mente ad alcuni, sporadici episodi in cui si era imbattuta durante il suo peregrinare degli ultimi tempi. Alle taglie che aveva rifiutato, perché riguardavano anche bambini. Bambini in effetti toccati dalla magia, perché avevano marchi sugli occhi o sulle mani, marchi del Popolo Fatato. Pensò alle sparizioni misteriose in alcune stazioni di posta, persone condotte via senza una spiegazione da armigeri senza insegna. Episodi singolari sparpagliati per tutta Dersalan, e impossibili da ricollegare tra loro. Non senza una contorta logica sotto. Una logica folle, appunto.
Eppure, ammesso che quella follia fosse vera, avrebbe potuto chiamarla in causa. Non aveva proprio intenzione di diventare preda. Sapeva cosa significava.
“Mi stai dicendo che anche Athkatla si è piegata a questo piano epurativo? Il Governo di Athkatla?” disse, con un prudente scetticismo a permeare ogni singola parola. “E la gente, cosa fa, in tutto questo? Il popolo, come si pone? Davvero li appoggia?” Scoccò un’occhiata alla porta: era sicura di aver avvertito, già da tempo e a più riprese, un lieve cigolio. Si concesse un sorriso furbo. “Tanto vale che tu lo faccia entrare. Ci sta ascoltando dal principio.”
Il capo roteò gli occhi, voltandosi.
"E va bene, entra Mikan! Non è bene origliare, non credi?" esordì poi con tono deciso e con un ghigno a tendergli le labbra. Poi la sua attenzione tornò ad Audra.
"Si, anche Athkatla si è piegata...e non ci ha nemmeno messo molto, purtroppo" spiegò poi."La gente, dici? La gente ha paura, come sempre. Nessuno oserà fare nulla. Nessuno rischierà di finire nelle celle degli Inquisitori. D'altro canto come biasimarli, hanno già tanti problemi così, senza che si invischino negli affari nostri. Ufficialmente il popolo è con loro naturalmente, anche se la maggior parte delle persone si fanno gli affari propri." concluse poi, osservando il ragazzino che era di nuovo entrato nella stanza.
“Soltanto noi Gatti e pochi altri senza poteri ci siamo uniti alla Resistenza!” intervenne il ragazzino con rinnovato coraggio. “Quelli hanno dato fuoco alla fucina del fabbro, sono entrati a casa di Daìne e hanno rapito sua madre che è una strega bianca e anche l’altro guaritore è scomparso da qualche tempo, un vecchio strano, Hononoo, o qualcosa del genere. Noi lo sappiamo che sono stati loro anche se li fanno sembrare incidenti. Ti conviene fare come ti ha detto Dorian; vattene finché non sanno che sei qui.” guardò Audra negli occhi.
La ragazza inclinò la testa e li squadrò uno per volta “Se scappare è la soluzione” commentò “perché voi non l’avete fatto? Perché vi asserragliate qui nascondendovi come topi di fogna?”
Fu ancora il ragazzo a rispondere con irruenza prima che Dorian potesse farci nulla. Si piantò l’indice nel petto e disse. “Noi siamo gatti, non topi e questa è la nostra città. Tu non sai niente di quello che facciamo!”
“Ma so molto bene come spesso e volentieri vanno a finire” quasi lo interruppe Audra, fissandolo duramente. “Con le catene. Con le ghigliottine. Con la prigione. Un cacciatore di taglie non è altro che un passaggio verso la forca. E tu hai rischiato grosso stanotte, sbarbatello: se non fossi intervenuta io a quest’ora non avresti neanche una lingua con cui sputare sentenze.”
"Basta adesso!" Dorian richiamò all'ordine." Non mi pare il caso" continuò gelido.
"Siamo nascosti qui perché pensiamo che sia la cosa giusta da fare. Pensiamo che la follia vada fermata" la guardò intensamente." E tu, da cosa sei motivata, ragazza?"
Audra guardò Dorian. “A questo mondo, si tenta quantomeno di sopravvivere” rispose. “Ed è quello che faccio. Se qualcuno mina la mia libertà, mi ribello. Se qualcuno vuole la mia testa, lo combatto. Mi sembra una regola base se si vuole portare a casa la pelle.” Una pausa. “Non ho mai avuto a che fare con questi Inquisitori. Non direttamente. E’ per questo, quindi, che lo sbarbatello era alla caserma? Cosa cercavate?”
"Sono mesi che li spio e non se ne sono mai accorti! E comunque sono scappato a quegli imbecilli più volte di quanto pensi..." il ragazzo si portò le mani sui fianchi
Dorian lanciò uno sguardo severo al ragazzino.
"Ora basta!" lo redarguì. Mikan reagiva troppo focosamente alle provocazioni, con vero ardore di ragazzino. Ma la questione era seria, non poteva lasciarlo parlare a ruota libera.
"Mikan e i suoi Gatti tengono d'occhio svariati punti strategici della milizia qui in città. Cercano di carpire informazioni dalle guardie, cercano di entrare nelle caserme. In alcune, come quella di ieri, siamo già entrati. Pare che vogliano tenderci una trappola. Che sorpresa, dirai tu" Dorian lanciò un'occhiata ad Audra mentre spiegava."Stavolta però pare che ci debbano essere degli Inquisitori. E se ci sono loro, gli dei sanno cos'altro si portano dietro..." improvvisamente l'uomo si fece cupo, come se fosse stato intento a ricordare qualcosa di spiacevole.
La ragazza fece dondolare le gambe, bilanciandosi sulla scrivania. “Senza offesa, Dorian” commentò “ma davvero credi che qualche ragazzino possa intrufolarsi laddove le informazioni sono più succose? Chiunque intenda condurre una guerra del genere non lascerà tracce. Tantomeno potenziali informatori. Magari avete potuto racimolare qualche informazione che ai vostri occhi poteva essere preziosa, ma che forse era utile di più ai vostri avversari, per farvi fare capolino dalla vostra tana. Tu cacceresti le mani nel covo di un serpente velenoso, per stanarlo, o piuttosto aspetteresti che metta fuori il suo muso, magari attirandolo con la carcassa di un topolino, per poi schiacciargli la testa?” Sfoderò un sorriso insolente, ma era evidente che stesse parlando sul serio. “Io farei così, al posto loro.”
Dorian sollevò un sopracciglio.
"Certo che non credo che i ragazzini possano arrivare ai piani alti! Ma si dà il caso che nessuno di noi possa arrivarvi, quindi ci limitiamo a tentare il possibile. Non siamo abbastanza per un esercito, non possiamo fronteggiarli in campo aperto. La guerriglia è l'unica cosa che ci rimane. E puoi contare sul fatto che non metteremo fuori la testa se sappiamo che ci verrà staccata. Ci servono più informazioni quindi più tempo"
“Allora forse le avete cercate nel posto sbagliato.” Con un solo scatto rapido della mano, Misericordia tornò nel suo fodero. “I soldati eseguono ordini. In una caserma troverete ben poco. Quartiermastri, palazzi di governo, sono i migliori. Oppure pagate una prostituta di bordello che vi attiri un cliente dei piani alti e riempite d’oppio il vino che gli farete bere. Gli scucirete le confessioni senza che lui ne serbi memoria.”
"Ah già, non ci avevo pensato!" replicò Dorian sarcasticamente."I veri piani alti non sono usi frequentare bordelli e piacevoli compagnie. Non si fanno fregare da piani del genere. Quanto ai loro sottoposti della milizia, forse potrebbero cascarci. Ma presumo che utilizzino uomini appositamente scelti da loro per evitare che le notizie trapelino" rifletté qualche istante."Un mio sottoposto e io avevamo intenzione di andare a spiare i piani alti oggi" spiegò infine.
“E come pensate di farlo?”
"Abbiamo i nostri metodi, naturalmente. Rischiosi, ma non abbiamo di meglio" fu la risposta."Tu come lo faresti?"
Audra sorrise. "Aspetterei la notte, ed entrerei dove voglio. D’altronde..." e spaziò con lo sguardo per tutta la stanza, “sono entrata anche qui.”
Dorian annuì, sorridendo di rimando.
"Sei stata brava infatti. La tua capacità di sfruttare l'ombra è...come dire...notevole" le disse, lanciandole uno sguardo significativo con le braccia incrociate dietro la schiena.
Audra gli indirizzò un’occhiata sospettosa. “Non farti strane idee. Non ho intenzione di diventare la subordinata di nessuno. Non l’ho fatto nemmeno con Dag, cosa ti fa pensare che lo farò per te? Non sono uno dei tuoi Gatti da comandare a bacchetta. Non lo diverrò mai. Tanto per mettere in chiaro le cose.”
"Non suggerivo nulla del genere infatti" fu la pronta replica di Dorian."Pensavo piuttosto ad un mutuo accordo. Se hai intenzione di fermarti ad Athkatla, temo che potresti aver bisogno di rifugio di tanto in tanto. E tanto per chiarire, qui nessuno è mio subordinato. Siamo una famiglia"
Per tutta risposta, Audra piegò il collo all’indietro e si mise a ridere così forte che tutta la stanza riverberò la sua voce, fin oltre la porta. “Una famiglia?” ripeté quando si fu calmata. “Puoi darla a bere ai mocciosi, ma non a me. Quella che sembra una famiglia, quando le cose andranno male si disferà come una matassa tra le grinfie di un gatto. Per ora a unirvi è la disperazione. Il comune intento. La voglia di sopravvivere. Per carità, è un atto umano, non lo sto denigrando. Ma non parlarmi di famiglia. Usa le stesse parole che hai detto poco fa: mutua convivenza.”
Il capo dovette ammettere con se stesso che Audra non aveva tutti i torti. A lui piaceva pensare che fossero tutti una famiglia, ma sapeva bene che la maggior parte dei sopravvissuti lo seguiva più per paura e disperazione che per altro. Odiava dover riconoscere la verità nelle parole della nuova arrivata. Verità che bruciava in modo particolare nella sua anima.
"Chiamalo come ti pare. Finora ha funzionato non troppo male ad ogni modo, e vorrei che un giorno le cose migliorassero" rispose infine, senza scomporsi troppo.
Audra lo fissò a lungo, senza che la sua aria insolente si scomponesse di un solo millimetro. “Sai cosa vuol dire davvero essere un gruppo, Dorian?” gli domandò infine, con voce più sottile. “Sai cosa vuol dire davvero condividere i rischi? Come una vera famiglia? Metteresti in gioco ogni cosa a cui tieni, per ciascuno di loro, senza distinzione? Lo faresti?” Indicò col mento Mikan, che osservava il loro battibecco senza dire una parola. “Lo faresti per lui?”
Dorian irrigidì la mascella per qualche secondo, fissandola con aria di sfida.
Poi posò lo sguardo su Mikan, guardandolo dritto negli occhi. Occhi giovanissimi, innocenti, eppure già consci dei pericoli e della morte. occhi giovani e vecchi allo stesso tempo. Avrebbe fatto quanto in suo potere perchè lui e gli altri avessero una vita normale. Fosse anche a prezzo della sua, di vita.
"Si" disse semplicemente, tornando a guardare Audra. "Morire per loro è quanto ho giurato di fare quando li ho raccolti uno per uno, pezzo per pezzo. Morire per loro probabilmente è ciò che mi aspetta"
Audra non aveva smesso di fissarlo per un solo istante. L’espressione sul viso non era mutata, ma gli occhi verde smeraldo avevano perduto ogni traccia di derisione. Rimase in silenzio per un bel pezzo, senza muovere un solo muscolo.
“Ci sono due strade” disse infine. “I piani alti. Recuperare informazioni da chi dirige l’orchestra. Intrufolarsi laddove è più probabile recuperare informazioni, fossero anche le camere da letto private degli ufficiali governativi.” Assottigliò gli occhi. “La seconda: Dag Durnick. Se vuoi avvicinare il committente devi dargli la preda. Possiamo inscenare una cattura per avvicinarci il più possibile a chiunque abbia emanato personalmente i bandi di taglia.” Un’altra pausa, più significativa, finché Audra non riprese a parlare: “In entrambi i casi, e finché agiremo di notte… vi aiuterò.”

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MessaggioInviato: Gio Giu 18, 2015 11:53 pm Rispondi citandoTorna in cima

Qualcosa di piccolo e peloso si mosse dietro Audra, fermandoglisi quasi in mezzo ai piedi. Un grasso ratto di fogna alzo il muso verso la donna prima di trasformarsi in Caul. Il felinide osservò per qualche secondo con sguardo neutro la nuova arrivata prima di avvicinarsi ai Gatti e posare la sua grande mano sulle loro teste."Non mi piace aspettare." disse all'indirizzo di Dorian prima di rivolgersi ad Audra."Hai un odore cattivo. Sa di cose nascoste."
Audra mimò rumorosamente il fiuto di un segugio e storse la bocca in un ghigno. "Detto da uno che fino a un attimo fa era un topo di fogna... Ti assicuro che il tuo pelo non profuma affatto" lo canzonò prima di rivolgersi a Dorian. "E' amico tuo questo?"
Dorian sollevò un sopracciglio, osservando Caul.
"Si, è un amico" rispose infine ad Audra, dopo alcuni secondi."Caul, stai calmo. Lei è dalla nostra parte, a quanto pare" spiegò all'indirizzo del gatto bipede.
"A quanto pare. E' quello che mi preoccupa. Quello e il come sia entrata qui dentro." Caul continuò a carezzare la testa del Gatto. "I cuccioli sono troppo esposti...." disse quasi a sè stesso prima di tornare a fissare Audra.
Mikan si sottrasse alla mano di Caul scivolando con la testa di lato. Averbbe detto qualcosa riguardo all’essere appellato ‘cucciolo’, ma Dorian l’aveva avvertito, così rimase in silenzio.
"Diciamo che è in prova. La terrò d'occhio io. La cosa ti renderebbe più tranquillo, Caul?" disse Dorian levando leggermente gli occhi al cielo. Solitamente Caul era molto più diffidente di lui e questa non era cosa da poco.
Caul non rispose. Rimase ad osservare Audra e il suo capo per quasi mezzo minuto, immerso nella sua personale versione delle fusa."Mi fido del tuo giudizio." disse infine.
"Allora," esordì, "abbiamo bisogno di più informazioni e finora siamo andati a caccia di pesci piccoli. Dobbiamo farci più audaci però: stavolta ci dedicheremo direttamente ai piani alti...e voglio che sia tu a guidare questa spedizione, Caul" guardò deciso il mutaforma, per accertarsi che avesse capito."Audra e io andremo a spremere un po' Dag...se è tutto giusto, potrebbe avere delle informazioni preziose. Ci sono domande?"
"So già del piano. Ho ascoltato quasi tutta la conversazione in forma di topo." Caul si fregò le mani."Posso farlo. Preferirei agire da solo."
Audra saltò giù dalla scrivania. "Dei santissimi, ma non vi hanno insegnato niente? Da solo? Ho sentito bene? Si caccia soli soltanto quando non si vuole spartire la preda... Non quando si vuole scovare la tana."
"O quando non si vuole mettere in pericolo il branco."
"Il... branco?" Audra fissò Dorian con aria furba. "Branco, famiglia.. tanti nomi, ma alla fine ognuno fa per conto suo. Sei davvero sicuro di tenerli a bada tutti?"
Dorian si passò una mano sul volto, chiedendosi in effetti dove sarebbero andati a finire.
"Ognuno ha i suoi pensieri, Audra. Ognuno è libero di pensare ciò che vuole e proporre ciò che crede sia meglio. Ma alla fine, l'ultima parola è ancora la mia" rispose in tono piatto al sarcasmo della giovane.
Caul non era mai stato "disciplinato", per così dire. Preferiva l'azione alla pazienza. E gli piaceva lavorare da solo, oltretutto. Non una cosa che lavorasse a favore del gruppo in effetti. Fortunatamente in genere accettava senza troppo discutere che gli fossero assegnati dei compagni, anche se quando tornava glie la faceva pagare a suon di proteste.
Di sicuro in quel momento c'era che sarebbe servita unità e coesione fra tutti loro.
"Caul, andrai con Mikan e qualche altro gatto volontario. Nessuno va solo da nessuna parte stavolta. Sarà forse più difficile, ma più sicuro" decise infine, cercando di mettere la parola "fine" alla nascente discussione.

“Dorian…” si intromise Mikan “... è meglio che non mi faccio vedere in giro per il momento. Non è che ho paura, ma almeno una guardia mi ha visto abbastanza bene e… cioè, se tu dici io comunque vado con Caul.” guardò l’uomo e poi il felinide.
"Va bene." il muso del felinide si mosse. Un sorriso forse. "Cercherò di riportarteli tutti, anche se mi verrà fame durante la missione." guardò verso il bambino."Ha ragione. E' meglio nascondere Mikan per qualche tempo."
Il capo ascoltò Mikan con attenzione.
"Non hai tutti i torti in effetti. Allora rimarrai qui. Scegli i Gatti migliori, manderemo loro con Caul" si girò verso il felinide."Ovvio che me li riporti tutti" gli disse, lanciandogli un'occhiata significativa.
"Vengo io con te!" Daìne entrò di colpo. Era rimasta fuori ad ascoltare tutta la conversazione. "Se andiamo nei piani alti, è bene che venga con te, sono l'unica dei gatti che sa leggere e che non è cresciuta per strada. Voglio farlo." gli occhi della ragazzina erano lucidi. "Sono stanca di essere un peso e..." fece un attimo una pausa "... lo devo alla mia mamma." aggiunse a voce più bassa.
Caul si girò verso Daine prima di inginocchiarsi davanti a lei. La bambina poteva sentire il torace del felinide vibrare per le fusa tanto erano vicini. Caul la squadrò prima di stringerle il mento tra indice e pollice e osservarla con attenzione. "Tu vai bene." asserì prima di trasformarsi in un gatto dal pelo fulvo, il muso schiacciato e le zampe leggermente storte. Il prototipo dell'animale da compagnia che solo un bambino può amare."Puoi prendermi in braccio?"

Daìne annuì e si chinò per raccogliere Caul, appena trasformato, dal pavimento. "che bruttino che ti sei fatto però... “ disse sottovoce accompagnando le parole con un grattino dietro l’orecchio.
Mikan osservò la scena. Daìne era molto cambiata dalla ragazza orfana e spaventata che avevano aiutato per strada meno di un anno prima. “Sei sicura di volerlo fare? Non sarà facile…”
La ragazza annuì ancora passandosi il dorso della mano sugli occhi e sorridendo all’amico. “Si, sono sicura.” gli schioccò un bacio sulla guancia.
"Bene allora!" Dorian indietreggiò un po' in modo da avere tutti i presenti nel suo campo visivo."Andiamo a prepararci, abbiamo del lavoro da fare. Caul, mettimi al corrente della vostra linea d'azione appena puoi. Audra e io metteremo a punto un piano per spremere Dag nel frattempo. Tutto chiaro?"
Il gatto fulvo annuì prima di sfregare il muso contro il collo di Daine. "Dammi il tempo di pensarci."
Audra rimase ad ascoltare finché non sentì chiamare Dag in causa. “Dag non lo spremi” lo contraddisse. “Con Dag ci parli. E ci parlerò io. Ma per avere la sua attenzione devo… avere qualcosa che gli faccia gola.” Guardò Dorian e sorrise a trentadue denti.
Dorian sospirò. Sapeva dove la ragazza voleva andare a parare.
"Bè, allora cominciamo"

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Lorenzo Ferretti
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MessaggioInviato: Dom Giu 21, 2015 11:34 pm Rispondi citandoTorna in cima

C’era solo la luna a illuminare le grigie e solitarie vie di Athkatla. Audra lasciò rallentare la giumenta, risistemandosi sulla sella. Da sotto il cappuccio, spiò il crocevia, assicurandosi che nessuno si stesse interessando al suo transito, e captò soltanto il rassicurante baccano di gozzoviglia dalla vicina taverna. Si bilanciò sulle staffe; rubare quel cavallo sellato non era stato un problema, ma non aveva avuto tempo di regolare i finimenti per ottenere maggiore comodità. Quando abbassò lo sguardo, tuttavia, sorrise nel pensare che almeno non aveva fatto la fine del sacco di patate. “Comodo?” sussurrò, con una pacca sulla spalla di Dorian.
Il loro mezzo di trasporto non era esattamente dei più comodi. Ma difficilmente qualcosa sarebbe potuto risultare comodo, sulla strada malamente lastricata che stavano percorrendo. Appeso di traverso dietro la sella, la sua vista era ridotta a zero, coperta da un sacco di tela scuro, mentre le sue mani erano legate dietro la schiena in modo non molto severo.
"Una favola, la vista è stupenda!" sussurrò di rimando Dorian, tentando di non dare a vedere che non fosse stordito.
“Bene, ne terrò conto per la prossima volta.” Audra diede di redini e imboccò un canaletto di scolo, a malapena sufficiente per far passare la giumenta, fino alla parte opposta. “Goditi il viaggio ancora per un poco. Ci siamo quasi. La dimora di Durnick non è lontana.”
E meno male... pensò Dorian. Era già stufo di penzolare come un sacco di patate dietro al sedere di quella cacciatrice di taglie.
"Ora che ci penso, non ho ancora avuto il piacere di conoscere il tuo nome" commentò in un sussurro l'uomo.
“Da quando è un piacere conoscere il nome di un cacciatore di taglie?” lo schernì lei, svoltando lungo una strada baciata dalla luce della luna. Non c’era in giro neanche una guardia, e la cosa le risultò insolita. Non conosceva gli orari delle ronde, ma non credeva neanche che le vie fossero così sguarnite. Storse la bocca e si chinò appena verso il fagotto che ballonzolava alle sue spalle, vittima del trotto della giumenta. “Mi chiamo Audra” sussurrò. “Ora sei più tranquillo?”
"Per me è sempre un piacere conoscere i nomi altrui. I nomi sono la chiave di molte cose. Prima fra tutte un maggiore livello di fiducia. E si, mi sento più tranquillo" fu la pronta risposta, da un po' a tratti a causa dello sballottamento. "Manca ancora molto?" continuò poi."Tutto a posto finora?"
“Finora sì. Ma era anche la parte più facile.” Audra tirò le redini fin quasi a fermarsi. “Ci siamo.”
Smontò da cavallo legando le redini a un anello di ferro appeso al muro. Con poca cura, trascinò giù Dorian di groppa e lo afferrò per la collottola, guidandolo fino alla porta della dimora di Durnick. “Non parlare” sussurrò. “Dag ti spezzerebbe i denti. Non si scherza.”
Istantaneamente, Dorian si calò nella parte.
Iniziò a zoppicare leggermente, non abbastanza da rallentare Audra però. Si piegò leggermente da un lato, in modo da far credere che fosse ferito ad un fianco o che avesse qualche costola rotta.
Si fece guidare senza fiatare, cercando solo non inciampare e pregando che non si stesse cacciando in una trappola. Dopotutto Audra era una cacciatrice di taglie, nulla le impediva di fare il doppio gioco con lui. Nemmeno la paura degli Inquisitori, ammesso che dovesse averne. Sperò anche che Dag non avrebbe deciso di mandarlo al creatore per sicurezza. Sarebbe stata una fine ignobile per lui.
Audra bussò una volta sola, quattro colpi secchi. E un altro, solitario. Dall’interno non si udì alcun rumore. Lei strinse Dorian a sé, piegandolo appena in avanti come avrebbe fatto con un comune prigioniero.
La porta si spalancò di netto. Un bagliore nella luna.
Audra osservò la lama di spada che le balenava a pochi centimetri dalla gola. Buffo, era la seconda volta che le capitava, in un solo giorno, di ritrovarsi sgozzata, e solo per precauzione. Osservò la figura di Dag che la teneva sotto scacco, rigida come una statua, e mimò un bacio silenzioso, civettuolo, come la strizzata d’occhio che ne seguì. Per tutta risposta, la lama indietreggiò, ma solo per permetterle di entrare, e anche quando lei si fu chiusa la porta alle spalle non smise di solleticarle la carotide.
“Salve anche a te” lo salutò Audra.
“Ti avevo detto che non saresti dovuta tornare” la redarguì Dag, senza abbassare la spada.
“E questo mi renderebbe una bambina disobbediente, non è vero...?” lo prese in giro la ragazza, fissando in alternanza la spada e il volto dell’uomo. Infine, assestò un calcio al ginocchio di Dorian, perché cadesse ai piedi del cacciatore di taglie.
Quasi Dorian si lasciò sfuggire un'imprecazione. Il colpo arrivò del tutto inaspettato, cosa che rese la sua caduta decisamente genuina, come anche il gemito involontario che ne seguì.
Ancora non vedeva nulla, ma poteva supporre che Dag non fosse particolarmente felice di vedere Audra. E a quanto pareva i due dovevano essersi visti di recente, da come parlavano.
“Ti avevo detto anche di non rubarmi il lavoro!” ribatté Dag. La spada esitò, tornò nel fodero, ma non per questo la voce del cacciatore cambiò tono. “E’ meglio per te che te ne vai, Audra. Parlo sul serio. E non solo per Eclisse.”
Audra finse uno sbadiglio. “Perché non dai un occhio alla merce che ho in mano?” Si chinò su Dorian e gli strappò il cappuccio.
Per un attimo a Dorian sembrò di essere arrivato in una stanza completamente bianca, tanto fu l'impatto della luce sui suoi occhi.
Lentamente poi, la vista si adattò all'ambiente, dandogli modo di vedere Dag e il resto della stanza. Ma soprattutto Dag.
Sbatté le palpebre un paio di volte, abbassando poi la testa con fare spaventato.
Dag lo afferrò per i capelli, lo guardò con attenzione. “Dorian Maldovar” sussurrò, la voce contaminata da una vaga e contenuta incredulità. Si risollevò e guardò Audra con sospetto.
“Diecimila monete d’oro come cadavere” ribatté lei. “Il doppio se ancora in vita. Ho letto giusto?” Con lo stivale calcò la schiena di Dorian e lo costrinse a terra. “Su, non fare quella faccia. Dovrei essere io quella davvero sorpresa. Ho catturato in una notte un ricercato che vi sfugge da mesi! Domani ad Athkatla non si parlerà d’altro. La mia reputazione salirà fino alle stelle.”
Dorian fece una smorfia, mentre Dag gli tirava a forza indietro la testa.
Fece un enorme sforzo per non fissarlo mentre ciò avveniva, onde evitare un calcio in bocca o peggio.
Lo stivale di Audra tuttavia non migliorò la sua situazione, mandandolo lungo disteso per terra.
Speriamo finisca presto questa farsa.. pensò rassegnato.
“Quel bando di taglia era mio” quasi ringhiò Dag.
“Un bando di taglia è di chi se lo conquista” puntualizzò Audra. Quando vide il cacciatore arraffare delle catene, raccolse Dorian da terra e lo strattonò lontano dalla sua portata. “Fermo, Dag! Mia la preda, mio il trattamento. Questo non scappa, te l’assicuro. Ci ha provato. Se n’è pentito subito, vero, pivello?” e lo scrollò per la collottola, non con l’intento di far male, ma in maniera sufficiente a farlo sballottolare come un panno steso. “D’altronde, è stato fin troppo facile catturarlo. Sai, Dag, credo che tu o altri abbiate adottato una tattica sbagliata; vi siete posti immediatamente dal lato dei suoi nemici, per questo le sue mosse e il suo nascondiglio vi risultavano inaccessibili. Ma io ho drizzato le orecchie meglio di te… e ho saputo sfruttare il suo vero punto debole.” Strinse di più la presa sulla collottola, sgualcendo il vestito. “Sai, questo povero idiota si è fidato di me. L’ho abbindolato bene con una bella carrellata di cavolate. I soliti discorsi, sul fatto che lo avrei aiutato, che avevo gli agganci giusti per assecondare i suoi piani. Ci è cascato con tutte le scarpe!”
Un brutto presentimento si fece strada nella mente del giovane.
Il racconto di Audra sembrava dannatamente convincente.
E se fosse stato vero? Se davvero lei lo avesse appena venduto come aveva detto?
Lentamente, iniziò a lavorare sul nodo non troppo saldo intorno ai suoi polsi, in modo da non farsi notare nè da Audra né da Dag. Se stava rischiando di crepare, avrebbero dovuto lottare molto duro per averlo.
Lanciò uno sguardo d'odio alla ragazza, quando questa lo strattonò come un cencio.
Dag la guardò con fare scettico, senza smettere di sorvegliare ogni mossa di Dorian. Per tutta risposta, lei gli indirizzò un sorriso complice. “Bene, ho una preda, mi manca soltanto il mandante per riscuotere. Chi è il committente della bolla di taglia?”
“Non ti riguarda.”
“Andiamo, Dag! Ne ho diritto! La preda è mia!”
Il cacciatore di taglie tornò alla scrivania e vi si appoggiò con le mani. “Lascia qui il Marlovan” decise infine. “Ci penserò io a condurlo da chi ha commissionato il lavoro.”
“Mi hai preso per un’ingenua?” ribatté Audra, con fare seccato. “E lasciarti intascare il compenso al posto mio? Non se ne parla!”
“Non posso dirti il nome.”
“Perché?”
“Non posso e basta!”
Per tutta risposta, Audra allacciò un braccio attorno al collo di Dorian. “Se è solo per una questione di lavoro” mormorò “allora ti propongo di spartire a metà. Diecimila monete d’oro a testa. Ed egual merito a entrambi.”
Dag si voltò verso di lei. Solo allora Audra intuì che qualcosa non andava. C’era qualcosa nello sguardo di Dag. Non era collera, non era rancore. Era preoccupazione.
“Tu non capisci” replicò l’uomo. “Lascia che lo consegni io. Avrai la tua parte di denaro, hai la mia parola d’onore. Dopodiché, promettimi che sparirai dalla vista. Che te ne andrai dalla Capitale. Qui non c’è posto per te.”
Audra pensò freneticamente. Non poteva lasciare Dorian in mano a Dag. Le servivano dei nomi, dei punti di partenza, delle persone da spremere finché non avessero cantato fino all’alba. Non poteva delegare a nessuno la raccolta di quelle informazioni.
“No!” si ribellò. “Dimmi i nomi!”
“Non cambierebbe niente!” ribatté Dag, afferrando un foglio e lanciandoglielo contro. La pergamena ondeggiò come una foglia caduta fino a posarsi davanti a loro.
Audra sentì la gola stringersi fino a diventare delle dimensioni di uno spillo.
Su quel bando di taglia, da cinquemila monete, c’era lei.


Dorian continuò ad osservare la scena, iniziando a provare un nuovo senso di inquietudine. C'era qualcosa di sbagliato nell'aria.
Quando vide l'avviso di taglia per Audra, non seppe cosa pensare, se non che di certo non era dalla parte di Dag. Non lo avrebbe lasciato a lui, questo era certo.
Dal canto suo Audra non sapeva spiegarsi quella bolla. Non aveva violato alcuna legge in alcuna regione del Dersalan. Non aveva pestato i piedi ad alcun nobile o attiratosi le ire di nessuna banda criminale. Tutti coloro che avevano catturato, in quel momento, si stavano godendo la vista di una luna a scacchi sul pavimento. Nemmeno per Eclisse… il committente si era bevuto la storia dello smarrimento. Allora come...
“Per questo ti ho detto di lasciare la città” la apostrofò Dag. “Ti cercano, Audra. Vattene da qui. Stanotte. Adesso!”
“Chi l’ha emanata?” replicò lei, con voce sorda. “Hai incontrato il contatto?”
“Non sono affari che ti riguardano. Meno sai, più a lungo vivrai.”
“Maledizione, Dag!” si esasperò Audra. “Prima mi dici che qualcuno ha indetto una taglia sulla mia testa e osi spacciarmi questa situazione come qualcosa da ignorare?” In realtà la domanda che voleva fare era un’altra, e non faticò a formularla. “E adesso?” continuò. “Hai… intenzione di accettare l’incarico?”
“Tu cosa faresti al mio posto?” la rintuzzò Durnick.
Lei sfoggiò un sorriso amaro. “Già… la solita diatriba sulla barricata da scegliere…” sussurrò. “Io, però, almeno ho scelto da che parte stare.”
La presa alla collottola di Dorian svanì, come d’incanto.


"Finalmente!" sbuffò Dorian, pochi istanti dopo, liberandosi dalla corda che gli teneva legati i polsi.
In un batter d'occhio il pavimento sotto a Dag venne ricoperto di ghiaccio, come anche le pareti della stanza. Come un essere vivente e pensante, la patina cristallina serpeggiò lungo le gambe del cacciatore di taglie, imprigionandolo fino alle ginocchia con una presa di ferro. Con leggeri moviemnti delle dita, il giovane creò delle stalattiti fini e appuntite come aghi che si diressero immediatamente contro i punti vitali di Dag, fermandosi a qualche centimetro di distanza e realizzando così una vera e propria prigione di ghiaccio.
"Scusa Dag" disse in tono piatto ad opera compiuta."Abbiamo bisogno di quei nomi, però. Sappiamo che c'è qualcuno dei piani alti...ci servono solo un paio di indizi" lo guardò gelidamente, attendendo una risposta soddisfacente. Si voltò poi verso Audra.
"Temevo che non avreste più finito di battibeccare, per gli Dei!"
Così immobilizzato, Dag ebbe solo modo di afferrare la spada, ma non gli riuscì di sguainarla: il ghiaccio prodotto da Dorian gliel’aveva saldata nel fodero. Con un grugnito e un’occhiata colma di risentimento verso Audra, affrontò Dorian: “Fossi in te ci andrei piano” lo provocò. “La morte di un cacciatore di taglie non farebbe altro che aumentare la taglia sulla tua testa. E non credo che gli altri cacciatori saranno più scrupolosi di me.”
"Per gli Dei, Dag, credi davvero che gli altri cacciatori di taglie siano così bravi da trovarmi? Fatta eccezione per Audra, naturalmente" lanciò un'occhiata di sfuggita alla sua nuova alleata. "Non intendo farti del male. Voglio solo quei nomi" lo fissò con decisione, a pochi metri di distanza.
Quell'uomo, per quanto esperto nel suo mestiere e ad affrontare il pericolo, nascondeva in fondo allo sguardo una paura del tutto inadeguata alla situazione in cui si trovavano. Qualcosa di molto più grosso di lui lo teneva sotto scacco e sapeva di non potervisi opporre. Sfortunatamente, Dorian sapeva già di chi si trattava.
" Credimi, i piani alti non ti saranno grati, anche se mi portassi da loro...da bravo cacciatore quale sei, sai perfettamente come funziona la logica di resa e di informazione, no? Meno persone sanno, migliore è la resa complessiva" si guardò intorno." Ora...i nomi" lo sguardo si indurì ulteriormente, mentre la temperatura iniziava gradualmente a scendere sempre di più e un altro paio di spuntoni si levavano dal terreno.
Sorprendentemente, Dag liberò una risata stonata. “Evidentemente non vuoi capire, Dorian” lo rintuzzò. “Io non ho accettato l’incarico. Né per te” e fissò Audra. “Né per te. Te l’ho chiesto prima: cosa avresti fatto al mio posto? Io ti conosco, ragazza. Non cacci mai alla cieca. Stavolta ho fatto lo stesso. Ma non puoi dire di no a certi committenti. Se non vuoi essere passibile di complicità. Non con questi. Meglio trattenere per le redini un cavallo indomabile piuttosto che lasciarlo libero e assistere mentre altri lo abbattono.”
“Quella taglia” lo incoraggiò Audra. “Chi l’ha emessa?”
“Ti ostini a non comprendere” proseguì Dag. “Non sono bandi ufficiali. Non troverai mai questi avvisi nelle bacheche delle stazioni di posta, nelle piazze pubbliche. Questi ordini non arrivano dalla Capitale. E loro sanno tenersi nascosti molto bene. Non sei l’unica” e le rivolse un sorriso sghembo “a sapersi nascondere nelle ombre.”
La notizia turbò Dorian.
Se Dag non aveva accettato gli incarichi, questo significava che era stato il migliore amico di Audra e continuava ad esserlo ancora. La stava ancora proteggendo, nonostante avesse il fiato sul collo di gente molto al di fuori della sua portata.
Il giovane fece sparire le stalattiti, ma fece si che il cacciatore di taglie rimanesse ancorato al pavimento e che non potesse usare la spada.
"Lo so, è gente...persuasiva, per così dire, vero Dag?" gli chiese con una punta di amarezza nella voce, lasciando intendere di intendersi dell'argomento.
“E’ gente che caccia con armi migliori” rispose Dag. “Ho soltanto preso tempo. Ma dovrò portare dei risultati per evitare che nel loro famoso elenco ci capiti anche io.” Fissò Dorian come avrebbe fatto con un cervo da abbattere e poi tornò con lo sguardo su Audra. “Se lo consegni, le acque potrebbero calmarsi. Potresti ritagliarti spazio sufficiente per una fuga. Amnistia, la chiamano. Dura un anno. Per te potrebbe essere più che sufficiente…”
“No!” s’inalberò Audra. “Non intendo farlo.”
“Allora non posso proteggerti” ribatté l’uomo. “Per te l’unica soluzione è la fuga. Vattene da Athkatla e rifuggi qualsiasi contatto. Anche con me. Per quel che ne sappiamo, questa tua visita potrebbe non essere passata inosservata.”
“Non me ne vado senza i nomi” insistette lei. “Dimmeli!”
Dag sembrò esitare. “Non li conosco.”
“Menti!”
“Non mento! Ma so almeno come contattarli. Ogni plenilunio si presentano nella piazza ovest. Sotto il salice al centro, quello che adorna la fontana. Tu puoi avvicinarti a loro, Audra. Puoi farlo senza che ti vedano. Senza che…”
Dei colpi furibondi risuonarono alla porta, troncando d’improvviso qualsiasi spiegazione.
Dorian rise.
"L'Amnistia è una balla! Come tutto il resto, Dag. Ti vengono a prendere lo stesso, presto o tardi, dovunque ti trovi!"
L'improvviso frastuono gli ricacciò la voce in gola.
Li avevano seguiti.
Non c'era tempo per altre spiegazioni a quel punto.
Liberò Dag senza pensarci due volte; dopotutto era solo una vittima del gioco degli Inquisitori.
"Direi di levare le tende..." sussurrò rivolto agli altri due occupanti della stanza. Non ci teneva a fare la conoscenza dei nuovi arrivati.
Per precauzione, si tenne pronto a lanciare qualche incantesimo.
“Dag Durnick!” urlò una voce oltre l’uscio. “Apri immediatamente! Per ordine dell’Alto Consiglio di Athkatla, devi…”
“Aiutatemi!” urlò inspiegabilmente Dag, a pieni polmoni. Audra si voltò verso di lui, stupefatta, ma prima ancora che potesse replicare l’uomo continuò a gridare: “Attenti, sono armati! Stanno per sfondare la porta!”
Furbo, caro il mio bastardo, pensò. Lui parve captare il suo pensiero, perché le scoccò uno sguardo significativo e indicò col mento la finestra alle loro spalle.
“Un addio, quindi” sussurrò lei.
“Già. Ti direi di trovarti un brav’uomo e di sposarti, ma so già che lo faresti impazzire, povero diavolo. La vita domestica non fa per te. Fila via! Svelta!”
Nuovi colpi sull’uscio. Audra non se lo fece ripetere due volte. Agguantò utti i bandi di taglia sul tavolo e li arrotolò, infilandoli poi nella cintura. “Dorian, la porta. Bloccala!”
Uno strato di ghiaccio spesso come un muro si erse davanti alla porta d'ingresso, andando a riempire le crepe e le fessure.
"Questo dovrebbe tenerli a bada per un po'!" guardò un attimo Dag. Poi gli congelò le gambe, ancorandole nuovamente al terreno. "Così sembrerà più verosimile" sussurrò, iniziando a seguire Audra verso la finestra.
Guardò il vicolo, cercando fra le ombre forme sospette che avrebbero potuto attenderli.
"Sembra libero" sussurrò ad Audra, guardandola.
Audra scavalcò il davanzale. Si scostò per far posto a Dorian, quando dalle tenebre della casa dirimpettaia sbucò fuori una figura armata di una balestra a una mano. Lei fece appena in tempo a scorgerla con la coda dell’occhio e, d’istinto, afferrò la persiana spalancata e l’attirò a sé per farsene scudo. Il dardo bucò i listelli, fermandosi a un centimetro dalla sua fronte. Con un ringhio di disappunto, la cacciatrice di taglie fece volare la mano alla cintura, dove teneva un paio di coltelli da lancio, gli ultimi che aveva a disposizione. Sbatté via la persiana e lanciò alla cieca, non tanto per fare centro, quanto per guadagnare tempo: subito si precipitò verso destra, imboccando un canale di scolo, proprio nel momento in cui - lo udì chiaramente - la porta della dimora di Dag Durnick veniva abbattuta a forza. Non appena ritenne di aver svicolato abbastanza, senza mai aver rallentato neanche per un metro, si appiattì contro un pergolato per riprendere fiato.
“Hai detto che era libero!” sbottò non appena Dorian la raggiunse.
A Dorian quasi prese un colpo quando la freccia si incastrò a poca distanza da lui, rischiando quasi di bucare la testa della sua alleata.
Dopo che lei ebbe lanciato due dardi a sua volta, lui rincarò la dose con una bordata di aguzzi aculei ghiacciati, senza sapere peraltro se avesse colpito o meno. Corse dietro ad Audra, fermandosi poi accanto a lei contro il pergolato.
"Ho detto sembra libero!" ribatté piccato, guardandosi furtivamente intorno.
Audra trattenne la risposta acida che le era sorta alle labbra. Tese le orecchie e ciò che captò non le piacque. Troppi passi, in svariate direzioni. Rimbalzare di armature.
“Stai indietro” avvisò Dorian.
Fece un passo nell’ombra del pergolato e sfruttò il potere di Eclisse. Il suo corpo si rivestì di tenebra, i suoi occhi brillarono per un attimo prima di fondersi col buio. La sua capacità sensoriale le permise di scorgere le figure che stavano muovendosi tutt’attorno. Capì all’istante. “Maledizione” imprecò tra i denti, uscendo dalle ombre. “Ci stanno circondando! Chiudendo! Via, via!”

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MessaggioInviato: Mer Giu 24, 2015 12:33 am Rispondi citandoTorna in cima

La situazione stava peggiorando a vista d'occhio. Erano finiti in un maledetto vespaio e a quanto pareva erano anche attesi.
Dorian strabuzzò un attimo gli occhi quando vide Audra svanire, ma si riprese abbastanza in fretta da sentire distintamente rumore di passi arrivare dalle vie intorno a loro. Milizia della capitale...
"Grazie per l'informazione" commentò sarcastico il capo della Resistenza quando Audra si palesò di nuovo al suo sguardo."Il vicolo a destra, presto!" le indicò la direzione. Conosceva bene la città e sapeva che da quella parte avrebbero potuto eventualmente salire su qualche tetto e svignarsela dall'alto. Il suo occhio cieco si illuminò di un pericoloso bagliore azzurro mentre iniziavano a filarsela.
Già da due vie stavano convergendo i soldati, con gran fragore d'armi e armature, consci del fatto che le loro prede fossero vicine.
“Ci chiuderanno dentro” constatò Audra, svoltando in un altro vicolo. Lo percorse fino in fondo, fece per sbucare nel crocevia ma fece dietro front come se avesse visto un ostacolo. “Non di qua...” e si lanciò in una viuzza laterale, qualche metro più indietro. “C’è un accesso da qualche parte?” gli chiese, alludendo alle catacombe con un’occhiata significativa.
"L'accesso più vicino è una vecchia lavanderia che dà sulla piazza del piccolo mercato!" rispose Dorian, ricambiando lo sguardo."I canali di scolo portano direttamente alle fognature!" non continuò a spiegare come arrivare dalle fognature alle catacombe, ma pensò che ci potesse arrivare da sola.
La risposta di Audra venne soffocata dall’improvvisa apparizione di due figure in fondo al vicolo.
“Eccoli!” fu il grido, a cui rispose una serie di esclamazioni e ordini brevi, precisi, abbaiati poco lontano.
Frenando bruscamente, Dorian fissò gli avversari.
A quanto pareva non c'era altro modo se non combattere...
Sollevò le braccia lentamente, mentre un anomalo gelo si fece largo nell'aria. Dal terreno si innalzò in un batter d'occhio un muro bianco, alto più o meno tre metri che si estese da un muro all'altro del vicolo.
"Questo dovrebbe tenerli occupati per un po'!" disse ad Audra, voltandosi per prendere un'altra strada.
Audra lo seguì mentre s’infilava in un altro viottolo mal illuminato. Avvertì dei passi giungere dall’altra estremità della via parallela e, di riflesso, lo strattonò in una stradina laterale, proprio nel momento in cui altre due guardie facevano irruzione dall’estremità opposta. Si precipitarono entrambi fino alla curva successiva. “Vogliamo fare a gara... a chi... arriva prima?” lo stuzzicò lei, mentre correva.
Se la situazione fosse stata meno seria avrebbe riso. Purtroppo gli eventi non erano in loro favore al momento, quindi si limitò ad un ghigno inquietante.
"Chi arriva...prima!" confermò quindi, accelerando.
Continuarono a correre per vie e viottoli, riuscendo a svicolare sempre in tempo i loro inseguitori.
Non resisteremo a lungo.. pensò Dorian guardandosi intorno.
Alla svolta successiva, avvenne proprio quello che aveva temuto: I soldati li chiusero completamente.
La via che avevano appena imboccato si gettava su una via perpendicolare che per loro sfortuna era già stata presidiata su entrambi i lati. Contando le pattuglie che li seguivano, i due si trovarono chiusi su tre lati in totale.
"mé£$@.." sussurrò Dorian, schiena a schiena contro Audra, con la spada sguainata.
Le guardie intanto si avvicinavano sempre più.
"Tieniti pronta!" quasi urlò alla compagna di disavventura.
Per alcuni secondi sembrò non succedere nulla.
Poi l'energia dei ghiaccio si manifestò in tutta la sua potenza: intorno ai due fuggitivi si erse un solido muro irto di punte acuminate, freddo come la morte. Sembrò manifestarsi come una creatura vivente, crescendo intorno a loro con una rapidità inimmaginabile, ponendosi a difesa estrema contro le guardie cittadine, che furono costrette a rallentare e ad avventarsi prima contro di esso.
"Non reggerà all'infinito..!” Dorian ansimò, con la fronte imperlata di sudore per lo sforzo di erigere la barriera."Non ho molte idee a questo punto che ci permettano di scappare senza uccidere nessuno" continuò poi, guardando Audra.
Lei valutò la situazione.
Combattere... avrebbe potuto farcela? Erano tanti, da quanto aveva visto.
Fuggire? Anche se si fosse tuffata nelle ombre, Dorian sarebbe rimasto indietro.
A meno che...
Si gelò, trattenendo il respiro. Non l’aveva mai fatto. Poteva provare, ma non sapeva se avrebbe funzionato.
Al diavolo, cosa potrebbe andare peggio? si decise infine.
“Un modo c’è” mormorò. “Almeno credo.” Senza permettergli di ribattere, lo afferrò per una spalla. “Qualsiasi cosa succeda, NON interrompere il contatto! Non sarà bello. Per nessuno dei due!”
Il potere di Eclisse si attivò. Su entrambi.
Dorian non era di certo nuovo al gelo, ma quello che percepì addosso era qualcosa che andava oltre il ghiaccio. Era innaturale, il freddo delle ombre... LUI stesso era ombra. Non riconobbe come suo il corpo che era diventato nero come la notte, un tutt’uno con le tenebre. Non c’era respiro, non c’era battito del cuore: solo la vaga sensazione della mano di Audra sulla sua spalla. Nient’altro.
Una sensazione di panico lo assalì per i primi secondi. Forse era questo che si provava quando si moriva.
Per un po' tentò di trovare i propri arti, di sentire il battito del proprio cuore o qualsiasi altro indizio che gli confermasse che fosse ancora nel regno dei vivi.
Nulla di tutto questo però gli riuscì di trovare. La mano di Audra però, sebbene lieve e impossibile da localizzare, gli diede una certa sicurezza, permettendogli di riprendere il controllo delle sue emozioni.
Credevo lo potesse usare solo su se stessa! si ritrovò a pensare. Ora riusciva a vedere intorno a sé: le guardie se la stavano ancora prendendo con il suo muro di ghiaccio, che però in alcuni punti stava già cedendo.
Sotto la guida di Audra, stavano costeggiando il muro, spostandosi di ombra in ombra.
Stupefacente... pensò di nuovo, senza però riuscirsi a scrollare di dosso la sensazione di gelo dalle ossa.
Lo so. La voce di Audra gli giunse dritta nella testa. “E’ la prima volta che lo faccio. Non sentirti lusingato, mantenere la concentrazione non è affatto uno scherzo. Cammina piano.”
Ma che diavolo...??? Pensò l'uomo.
Telepatia... ragionò subito dopo.
Si affrettò a seguire le istruzioni della giovane, camminando (a proposito, dove diavolo erano i suoi piedi??) il più lentamente possibile.
E' fottutamente difficile, come fai a sapere dove metti i piedi?? domandò con il pensiero.
La risposta di Audra venne anticipata dal fracasso del ghiaccio che andava in frantumi. Nelle ombre, la ragazza strattonò Dorian attirandolo a sé. Si schiacchiarono contro il muro.
Non muoverti, fu il suo ordine perentorio.
In effetti le guardie non sembrarono notarli, anche se erano a pochi passi da loro. Una volta riunitesi, si guardarono intorno più volte, lanciando colorite imprecazioni.
“Dove diamine sono andati?”
“I tetti! Forse si sono...”
“Aggirate le case, sbrigatevi!”
Gli uomini si dileguarono in fretta. Per tutto il tempo Audra era rimasta immobile, come l’ombra della casa che li aveva ospitati.
La direzione, sussurrò a Dorian.
Non c'era che dire, il potere della ragazza era sbalorditivo.
La strada da cui siamo venuti, poi la seconda a destra e poi di nuovo a destra. Superati i due archi d'ingresso alla piazza poi, subito a sinistra c'è la vecchia lavanderia rispose prontamente Dorian.
Va bene, convenne la ragazza. D’improvviso la presa sulla spalla si fece più pesante, solo per un attimo. Diavolo, è dura davvero..., sussurrò poi. Ora ascoltami bene: niente movimenti bruschi, cammina piano senza fare rumore. Sempre nell’ombra, non uscire allo scoperto, specie alla luce della luna, o addio copertura. Correre è fuori discussione, non riuscirei a mantenerti mimetizzato. E non usare i tuoi poteri... almeno, non so neanche se in questa forma sei in grado di usarli. Ma non farlo, ecco. Meno ti agiti, mentre sei in questo stato e meglio è. Intesi?
Dorian annuì, con la strana sensazione di avere la testa più leggera del dovuto.
Tutto chiaro pensò, seguendola nelle ombre.
Non immaginava quanto potesse essere difficile per lei, ma il suo tono di voce gli fece capire che doveva trattarsi di uno sforzo non indifferente.
Si avviarono lentamente e in silenzio lungo i muri, tornando da dove erano venuti e cercando di rimanere nell'ombra.
Dei soldati non vi era traccia al momento, se non lontani ordini gridati al vento e imprecazioni.
La strada per giungere alla piazzetta si rivelò più lunga di quanto Dorian non ricordasse: era da un po' che non aveva bisogno di utilizzare ingressi secondari.
Mi sono rammollito dietro la scrivania... pensò, senza ricordarsi che Audra poteva sentirlo benissimo.
Audra si bloccò giunti all’imbocco della piazza. Non ci voleva! sbottò nella sua testa. Guarda!
Dorian osservò la piazza davanti a loro: una quindicina di miliziani era posizionato strategicamente sul posto, in modo che nessuno potesse entrare o uscire dalla piazza senza essere controllato.
La casa è quella lì, con le assi davanti alle finestre pensò rivolto ad Audra.Potrei distrarli... suggerì, iniziando a pensare ad un modo per cavarsela senza farsi notare.
Lei pensò febbrilmente, incurante che ogni più piccola congettura potesse essere condivisa con Dorian. Distrarre, sì, ma come? La piazza era invasa dalla luna. Un attacco in piena luce l’avrebbe di certo resa meno letale e avrebbe dovuto esporsi. Come se dovessi ancora nascondere il mio volto, ragionò con amarezza. Rifletté per qualche secondo, finché non osservò il vicolo che li ospitava ed ebbe un guizzo d’idea.
Una maniera c’è, rivolse a Dorian. Tieniti...
Rilasciò il potere di Eclisse e mollò il giovane. Il contraccolpo che subì, già sgradevole di suo, fu peggiore del previsto. L’assalì un conato che contenne a malapena, piegandosi su un ginocchio. Ogni fibra del suo corpo era svuotata d’energia. Non farlo più, si ripromise, pur intuendo che la situazione l’avrebbe con tutta probabilità richiesto più e più volte.
Dorian stava per chiedere ad Audra cosa avesse in mente, ma l'ultima cosa che riuscì a percepire fu uno strattone. O spintone, Dorian non ne fu sicuro. Dalla sensazione di ghiaccio mortale che lo aveva attanagliato fino a quel momento, l'uomo passò in un istante ad un calore tale che l'unico paragone che gli venne in mente fu il fuoco degli Inferi. Brividi involontari gli percorsero il corpo intero, mentre un conato di vomito gli risalì dalle profondità delle viscere. Si trattenne solo perchè se avesse vomitato, li avrebbero massacrati.
Poi, gradualmente, il suo pensiero tornò lucido. Era riuscito a vedere cosa Audra avesse in mente, pertanto non gli riuscì difficile mettersi in moto.
"Li attiro, tieniti pronta!" le sussurrò.
Avanzò in mezzo al vicolo, le ginocchia ancora leggermente tremanti per via del trattamento subito fino a poc'anzi.
Per gli dei, mai più. Non avrebbe mai più accompagnato Audra nell'ombra. Si sentiva come se fosse stato preso a badilate.
Si fermò ad una distanza ragionevole dall'ingresso della piazzetta, guardando le guardie ivi dislocate e tirandosi una benda fin sopra al naso, lasciando libera la faccia solo dagli occhi in su.
"Cercavate me?" domandò spavaldo, estraendo la sciabola e mimando un inchino beffardo. Gli occhi si illuminarono di un azzurro pericoloso, mentre delle piccole stalattiti di ghiaccio comparvero a mezz'aria, ricadendo dopo qualche secondo.
Grazie per aver atteso che mi riprendessi, si complimentò Audra con sarcasmo, mentre udiva poco lontano le esclamazioni dapprima sorprese e poi concitate dei miliziani. Quando i passi si tramutarono in falcate, Dorian le sfrecciò accanto. Lei si rimise in piedi dominando le ultime ondate di nausea. Guardò la piazza.
Quindici. Tanti. E senza poterli uccidere, spargere sangue di soldati non avrebbe aiutato alla causa. Non erano loro il vero nemico.
Si sarebbe arrangiata, come sempre.
“Nasconditi” disse a mezza bocca prima che Dorian la superasse. Trattenne il respiro, come se dovesse tuffarsi nelle profondità di un lago ghiacciato, e si immerse di nuovo nelle ombre.
Dorian corse al meglio delle sue possibilità in quel dato frangente. Si infilò in un vicolo buio in tutta fretta, sentendo già lo scalpiccio degli stivali dietro di se.
Pessima idea, pessima idea, pessima idea continuava a pensare.
Intanto era arrivato in fondo al vicolo.
Peccato fosse senza via d'uscita.
Per un attimo il capo della resistenza si maledisse per la scarsa memoria delle viuzze di Athkatla. Dopotutto avrebbe dovuto conoscerle come le proprie mani. Poco male, si sarebbe adattato.
Si voltò a fronteggiare gli armigeri, perdendo qualche secondo per contarli: sembravano esserci tutti. O perlomeno la maggior parte.
Si mise in guardia, scrollando leggermente le spalle per sciogliere i muscoli. Nella mano sinistra, il bagliore del ghiaccio magico rese guardinghi i soldati: con i mutanti non c'era da scherzare.

Ne sfilarono quindici. Audra li contò.
E li seguì.
Tutti all’inseguimento di Dorian, senza sapere che lei era alle calcagna. Raggiunse l’ultimo della fila e Misericordia comparve nella sua mano. Non voleva uccidere.
Solo difendersì, oh sì, non l’avrebbe usata ad altro scopo.
Lo sorpassò e gli fece lo sgambetto. Il miliziano ebbe soltanto il tempo di rendersi conto di aver incespicato; cadde a terra e subito il pugno di Audra lo colpì alla nuca, stordendolo. Stessa sorte ebbe il suo compagno, appena più avanti, che ricevette un destro alla mandibola non appena si girò per capire cosa fosse successo. Gli ultimi della coda rallentarono, prestandole attenzione. O perlomeno, capire perché le ombre attorno a loro sembravano aver preso vita propria.
Audra sorrise, li fiancheggiò e colpì.
Misericordia s’infranse sulla prima spada sguainata che le si profilò davanti, scalzandola di mano. Si liberò dell’avversario con un calcio al ventre e sgusciò come un’onda oscura verso il successivo, che aveva menato un fendente alla cieca nelle tenebre. Liberò l’impugnatura e la lama scivolò verso il basso, facendo sì che l’altra estremità, priva di punta, andasse a cogliere il soldato sul mento, sbilanciandolo all’indietro.


I miliziani delle retrovie divennero irrequieti.
"Trappola!" urlò qualcuno.
Proprio in quell'istante, Dorian partì alla carica, dritto addosso al primo soldato.
Parò il primo fendente istintivo di quello con facilità, ruotandogli di fianco e afferrandogli al contempo il braccio, strattonandolo e facendolo sbattere contro i suoi commilitoni. Non aveva ancora toccato terra, che già Dorian gli assestò un pugno alla mascella, privandolo dei sensi.
I successivi due soldati si ritrovarono con gli stivali saldati al terreno, mentre Dorian si occupava dei prossimi, parando un attacco laterale e un fendente dall'alto in rapida sequenza. Un calcio al ginocchio e uno all'inguine misero fine agli attacchi di due sfortunati miliziani.
Dorian si voltò un attimo intorno: di Audra non v'era traccia, ma sapeva dalle urla dei soldati che si stava dando da fare.

Il fendente successivo le passò a una spanna dalla guancia. Aveva avuto fortuna, il maledetto, ma non gli avrebbe concesso un secondo tentativo. Con un rapido movimento del braccio, trasformò Misericordia in un’ala d’ombra che parò l’ennesima stoccata e ne deviò la lama verso destra, aprendo lo spazio necessario per entrare nella guardia. Un colpo col gomito, un calcio all’inguine e subito si tuffò a destra, lasciando che i miliziani non vedessero altro che un guizzo di tenebra abbandonare il loro compagno stordito e precipitarsi su quello a fianco.

Ne rimanevano sei in piedi.
Con un guizzo della mano, Dorian formò una lastra di ghiaccio sotto i loro piedi, in modo da far loro perdere l'equilibrio.
Si avventò sul primo, fintando sulla sua sinistra e approfittando del suo sbilanciamento per afferrargli il braccio armato che subito corse a pararsi. Lo strattonò verso di sé, assestandogli una possente ginocchiata in fronte che lo mandò lungo disteso per terra insieme ai suoi compari.
Gli altri due nel frattempo si erano allontanati dalla lastra di ghiaccio e si mossero verso di lui, coordinando il loro attacco.
Dorian parò senza problemi il primo colpo, ma il secondo lo sfiorò alla gamba, che riuscì a ritrarre giusto in tempo.
Dannazione... pensò, mentre si spostava lateralmente per non permettere ai miliziani di usare il loro numero come vantaggio.
Creò due piccole sfere di ghiaccio, nascondendole però dietro la schiena, mentre i due soldati si rimettevano in pari con lui, costringendolo contro il muro di una casa.
"Arrenditi!" gli urlò contro uno dei due, intimandogli di far cadere la spada.
Con un guizzò, le sfere partirono, centrando i due in faccia, distraendoli così. Questo permise all'uomo di correre incontro al primo, atterrandolo con il proprio peso e stordendolo con un pugno dritto alla mascella.
Sfortunatamente, un fendente del secondo lo raggiunse al braccio in modo non troppo grave, lasciandogli un lungo solco sul tricipite. Dorian rotolò, alzandosi poi di scatto e congelando i piedi della guardia per terra, immobilizzandola.

Davanti ai suoi occhi, nel nero più assoluto, le figure pulsanti si muovevano sempre più in maniera scoordinata. Dei tre avversari che ancora la stavano fronteggiando, Audra riuscì a eludere la controffensiva del primo, che mirò alla cieca senza colpire nulla in quelle tenebre. Il secondo, tuttavia, la prese in controtempo e non riuscì a evitare che la lama le solcasse una coscia. Serrando il dolore tra i denti, si scagliò contro l’aggressore, che era rimasto istupidito a fissare il filo di sangue sulla spada, e caricandolo con tutto l’impeto che aveva lo sbilanciò - gli altri presenti video soltanto una grossa onda di tenebra sommergere l’avversario - facendolo schiantare a terra. Subito riacquistò l’equilibrio e falciò alla cieca, parando per pura fortuna uno sgualembro che avrebbe attentato alla sua vita. Fece scivolare la lama, entrò nella guardia e colpì l’uomo al fegato con una gomitata micidiale, voltandosi poi verso l’ultimo. Questi, niente più che un ragazzo, gettò la spada e alzò appena le mani, tremante, in segno di resa, anche se dai suoi occhi, che non fissavano un punto preciso, si capiva che ignorasse con che creatura avesse a che fare. Audra gli si avvicinò, Misericordia che slittava da un lato all’altro producendo un suono inquietante, e il giovane si acquattò ancora di più. Smise di tremare soltanto quando la ragazza gli assestò un montante che lo spedì a gambe all’aria, lasciandolo esanime al suolo.

Dorian si voltò. Avevano, incredibilmente, steso tutti i loro avversari senza uccidere nessuno.
"Stai bene?" domandò preoccupato rivolto ad Audra.
Si controllò la ferita al braccio, imprecando lievemente. Appena tornato a casa avrebbe dovuto medicarsi.
Audra riemerse dalle tenebre. Sangue sgorgava da un brutto taglio sulla coscia. “Non è tempo per pensare ai rattoppi... li senti?” e indicò un punto vago in direzione ovest. Tendendo le orecchie, Dorian poté sentire in lontananza altri richiami e i fischietti d’allarme. “Ora o mai più!”
"Ce la fai a correre?" le chiese Dorian, guardandola preoccupato.
In lontananza, i soldati iniziavano ad accorrere, richiamati dal frastuono che avevano causato.
Ad un cenno affermativo di lei, si lanciò lungo la via, correndo in direzione della vecchia lavanderia.
La luce della luna tingeva d'argento le superfici che colpiva, immergendo la città in un'atmosfera pallida e fredda.
Ci misero poco ad aprire la porta del vecchio edificio: sul fondo, dietro ad alcune grandi vasche, si apriva un tombino coperto da una grata vecchia e arrugginita. Una puzza inconfondibile di fogna si levava dal pertugio.
"Lo so, non è il meglio del meglio, ma di sicuro nessuno si caccia qui dentro di sua volontà!" commentò Dorian, arricciando il naso involontariamente. Per gli dei, che fetore..
Sollevò la grata con un po' di sforzo, ringhiando per il dolore al braccio ferito. Quando ebbe spostato il pezzo di metallo, si girò verso Audra.
"Entra prima tu, dovrebbero esserci dei gradini per gli ultimi due metri." le disse cercando di suonare incoraggiante.
Lei non se lo fece ripetere. Dopo un ultimo sguardo alle sue spalle, si calò rapidamente fino a raggiungere il fondo. Atterrò con gli stivali in una pozza di liquame e arricciò il naso. Dalle stelle alle stalle. Bella carriera di cacciatrice di taglie, che si prospettava. Ora era diventata lei la preda.
L'uomo la seguì poco dopo, richiudendo la grata dietro di se con fin troppo sforzo. Decisamente, quella non era un'entrata di servizio utilizzata spesso. Avrebbe dovuto mandare qualcuno a fare qualcosa per quella grata.
Atterrò vicino ad Audra, cercando di non pensare cosa stesse calpestando.
"Meglio che la mé£$@ stia sotto i piedi piuttosto che annegarci dentro..." commentò, più per alleggerire la situazione che per enunciare una perla filosofica.
Esplorò a tentoni una parete viscida di umidità, finché non trovò quello che cercava: una piccola lanterna.
Impiegò qualche minuto per accendere una fiammella con due pietre focaie che aveva con se, e subito vi fu un po' di calda luce ad illuminare il cunicolo buio e maleodorante.
Audra sbuffò con divertimento. Lei non aveva bisogno della luce per vedere.
“Dici che Caul e gli altri...?” Non terminò la frase.
Un pesante senso di inquietudine si abbatté su Dorian.
Se loro due erano stati presi in trappola...poteva voler dire che anche Caul e i Gatti erano attesi...per gli dei..
"Non lo so...spero di no. Caul è in gamba, nonostante sia un testa calda. Se c'era pericolo, avrà di sicuro portato via i bambini perlomeno" non suonava troppo convinto però. Iniziò a temere il peggio.
Audra si guardò la ferita. Brutta ma sopportabile. Si sarebbe cucita dopo, quando avrebbe avuto un luogo pulito per dedicarvisi.
“Comunque... non abbiamo fallito” e sventolò davanti a Dorian i manifesti di taglia. “Se non ricordo male, mancano tre giorni al plenilunio. Non so te...” e la sua smorfia corrucciata divenne un ghigno soddisfatto, “ma questo è un appuntamento a cui non voglio mancare.”

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MessaggioInviato: Sab Nov 07, 2015 1:24 am Rispondi citandoTorna in cima

[Athkatla]

Caul si mosse tra le braccia di Daine, emettendo basse fusa."A destra." sussurrò in un soffio alla bambina, il più a voce bassa possibile così che nessun passante casuale potesse accorgersi di una piccola mendicante con un gatto parlante in braccio."Tra circa venti passi fermati, prima che il vicolo finisca." Non a caso aveva scelto la forma felina per quella sortita. Nel buio della notte riusciva a vedere in maniera perfetta, e le sue orecchie percepivano suoni sconosciuti alla maggior parte delle creature.
La ragazzina seguiva con attenzione le indicazioni che puntualmente le giungevano da Caul. Non le piaceva camminare al buio per strada, all’inizio era anche inciampata un paio di volte, ma ormai camminavano da un pezzo e si era fatta più sicura nell’incedere. Prima che il vicolo fosse finito si fermò. Si sforzò per non chiedere “E ora?” così da non sembrare completamente scema vista dall’esterno, quindi si limitò a grattare il felino appena dietro l’orecchio.
Caul si liberò con facilità della stretta della bambina e piombò a terra, sedendo sul selciato. Osservò la strada per qualche secondo prima di girarsi e trotterellare tra le gambe della bambina. "Sei sicura di volermi accompagnare?" esordì a bassa voce. "Lì dentro..." indicò con il muso un alto palazzo di quattro piani."...potremmo reperire informazioni. Ma ci sono tante guardie, ne sento l'odore."
Daìne guardò il palazzo, era molto più grande delle costruzioni del borgo. Non era riuscita a seguire per bene la strada, ma aveva intuito di non essere troppo lontana da una delle piazze principali di Athkatla.
“Ma questo è… il tribunale?” Chiese di rimando al micio accovacciandosi così da parlare a sua volta a bassissima voce.
"Esattamente. E' qui che quelli come voi amministrano la giustizia." Caul non tentò nemmeno di celare il disprezzo nella voce. "Ogni preda lascia tracce Daine..." Il gatto fulvo si leccò le zampe con affettazione. "E gli inquisitori non fanno eccezione. Lì ci sono le nostre tracce."
La ragazzina annuì a quanto detto dal micio. Aveva senso. Rimase un attimo a pensare. “Forse ho un’idea!” Non attese la richiesta di Caul per esporla. “Tu sei un micio silenzioso e furbo, quindi puoi entrare da qualche finestra, in caso te la apro io una di queste al piano terra, e gironzoli all’interno senza farti notare… non appena trovi qualcosa di interessante ti ci acciambelli sopra. Ci diamo un tempo e a quel punto busso e dico che ho visto il mio gatto entrare dalla finestra così cerco di recuperarti e, se ci riesco, a prendere i documenti su cui sarai disteso…” Il piano sembrava filare. Daìne non aveva però idea se anche il suo coraggio avrebbe retto ad piano del genere.
Caul rimase a guardarla per qualche secondo, ponderando sulla proposta della bambina. "Non sono pratico di quella che voi chiamate burocrazia, cosa dovrei cercare?"
Daìne si fece piccola piccola. “Io… io non lo so… cose segrete?” il suo viso di giovanissima donna era una maschera di richiesta di scuse e imbarazzo.
Il gatto fulvo inclinò di lato la testa osservando la bambina. "Vedrò che posso fare. Sei sicura di riuscire a prendere me e quello che troverò senza farti scoprire?"
La ragazzina annuì “Se non sono troppi fogli posso farcela, ti infilo direttamente dentro questa borsa…” gliela mostrò, era giusto una sacca di tela con la tracolla. Dentro c’erano tante altre cose, poche pergamene si sarebbero potute nascondere.
Caul annuì e cominciò a rimpicciolire fino quasi a scomparire. A Daine ci volle un attimo per capire che non era sparito ma si era tramutato in un insetto, un grosso e nero calabrone. "Conta sei volte fino a cento, poi corri dalle guardie all'ingresso." disse volando via.
Adesso era sola. Doveva essere coraggiosa, come Dorian, come Caul e.. come Mikan. Non doveva avere paura. Contare fino a cento per sei volte e poi andare dalle guardie. Il piano era semplice. Se fosse successa una qualunque cosa sarebbe potuta correre prima dalle guardie, in fondo erano pur sempre guardie. Sperò che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
“uno, due, tre…”

[Continua…]

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MessaggioInviato: Mer Giu 29, 2016 12:19 am Rispondi citandoTorna in cima

Caul atterrò su un mobile con un ronzio incontrollato delle ali. Gli occhi da calabrone inviavano al suo cervello un reticolo di immagini nella frequenza dell'ultravioletto, disorientandolo. Tentò di muoversi e riprendere il volo ma riuscì a fare pochi centimetri prima di atterrare pesantemente sul legno. Era al limite della sua trasformazione, poco tempo ancora e lo stress mentale lo avrebbe fatto tornare alle sue normali fattezze. Imprecando mentalmente contro sè stesso cerco una nuova forma adatta a quell'ambiente. Finalmente la trovò: lo spazio di un attimo e il calabrone si gonfio, un ispido pelo crebbe sopra la chitina, due delle zampe si ritirarono e il pungiglione si tramutò in una lunga coda glabra. Caul il ratto, pensò tra sè il changeling con una punta di rabbia. Era una forma che poco apprezzava ma che lì dentro nessuno avrebbe notato. Con un agile balzo atterrò sul pavimento e si insinuò sotto una porta.
Si ritrovò in un corridoio illuminato da lanterne. Udito fine, olfatto prodigioso, vista non eccezionale, elencò nella sua mente percorrendo il corridoio. Decise di affidarsi al naso e cominciò ad annusare sotto ogni porta, alla ricerca dell'odore tipico dell'inchiostro. Passò sotto una porta dall'odore promettente e si trovò in un piccolo ufficio. Con un attimo di esitazione riprese il suo normale aspetto e cominciò a cercare qualcosa di utile tra i fogli. "Inutile..." borbottò dopo un minuto di ricerca, lasciando cadere alcuni fogli. SI ritrasformò in un topo e corse nel corridoio. Stava sprecando troppo tempo, presto la ragazzina e le guardie avrebbero cercato in tutto l'edificio un gatto. Con questi pensieri in testa arrivò ad una robusta porta di legno incernierata d'acciaio. L'odore di pergamena e d'inchiostro aggrediva le sue narici come fosse qualcosa di vivo, rapido si gettò sotto la porta ed entrò in quello che sembrava un archivio o una biblioteca. Stava per riprendere le sue normali fattezze quando un rumore di passi nel corridoio lo immobilizzarono. Quattro gambe, stivali, odore di olio per armature, cuoio. I passi si avvicinarono e si allontanarono nello spazio di ore, almeno quella fu la percezione nella mente tesa di Caul. Infine si ritrasformò e cominciò a cercare tra gli scaffali.

“… novantotto, novantanove e cento e con questa fanno sei!”
Daìne era rimasta nascosta e in silenzio nel vicolo come le aveva detto il mutaforma, ma adesso era il momento di entrare in azione.
La ragazzina si mosse in direzione del tribunale.
“Gattaccio? Gattaccio vieni fuori?” gridava fingendosi alla ricerca del proprio animale. Guardava agli angoli dei vicoli e sotto le finestre delle case, fino a quando giunse all’ingresso dell’edificio in cui Caul si era infiltrato.
Due gendarmi erano di guardia. Vedendola avvicinare, uno dei due le disse.
“A quest’ora dovresti essere a casa, ragazzina.”
“Ho perso il mio animale, Gattaccio. L’ho visto infilarsi nel vicolo qui vicino e poi entrare in una delle finestre di questo palazzo…”
“Non è possibile, ragazzina. Tutte le finestre sono sbarrate a quest’ora. Ti sarai sicuramente sbagliata. Torna a casa.”
“Signora guardia, sono sicura. Una finestra era aperta e il mio gatto si è infilato dentro. Se non ci crede può venire a vedere…”
I due uomini si guardarono. Il più anziano dei due fece cenno all’altro di guardare nel vicolo.
“Se la finestra è aperta, ci tocca allertare l’interno.”
La ragazzina fece strada al militare a cui non servì entrare nel vicolo per accorgersi che quanto detto da Daìne corrispondeva a verità. La afferrò dal braccio.
“Vieni!” Le disse trascinandola nuovamente verso l’ingresso.
“La ragazzina ha detto la verità” disse non appena il collega fu a vista.
Nel giro di pochi secondi l’allarme si diffuse per tutto l’edificio. Se un gatto era entrato da una finestra aperta, chiunque sarebbe potuto infiltrarsi ed accedere a documenti riservati. Daìne temette di non essere all’altezza della situazione.
“Non fategli del male, per favore. È solo un micio spelacchiato il mio Gattaccio e si farà prendere solo da me!”
Nessuno le diede ascolto, fu trattenuta nell’atrio d’ingresso sotto stretta sorveglianza di uno dei due piantoni mentre l’altro si era unito alle ricerche con le poche altre guardie del turno serale.

Le guardie perlustrarono tutto l’edificio senza trovare traccia del gatto e solo il miagolare del felino le richiamò verso la porta dell’archivio che si rivelò stranamente socchiusa.
Dentro, videro il gatto acciambellato a terra in un angolo, mentre la stanza mostrava tutti i segni del suo passaggio. Pergamene e scartoffie giacevano infatti sparse dappertutto, molte portavano evidenti i segni degli artigli dell’animale che ora appariva pacifico e miagolava annoiato squadrando i nuovi venuti.
Giudicandolo dall’anziana apparenza, le guardie si convinsero che acchiapparlo sarebbe stato semplice, ma l’impresa si rivelò più ardua del previsto. Ad ogni tentativo dei gendarme di afferrare l’animale, quello scattava repentino e aggiungeva nuovo disordine nella stanza e graffi a tutto il mobilio presente per poi tornare comodamente al suo angolo.

Daìne quasi temeva che non l’avrebbero richiamata facendo così, di fatto, saltare il piano, quando finalmente le fu chiesto di riprendersi quello ‘stupido animale’ e tornarsene a casa.
Fu accompagnata presso una pesante porta rinforzata e la scena che si rivelò ai suoi occhi sarebbe potuta sembrare comica, ma la ragazzina si vide bene dal ridere delle guardie.
“Gattaccio! Dove ti eri cacciato?” disse con voce affettuosa all’indirizzo dell’animale.
Caul, dal canto suo, si limitava a miagolarle dall’angolo che aveva eletto a suo giaciglio.
La ragazzina si avvicinò cauta. I nervi a fior di pelle per quanto si accingeva a fare. Nascose la tensione parlando al proprio animale.
“Sei proprio un monellaccio, guarda cos’hai combinato! Ora ritorni nella borsa e poi andiamo a casa!”
Alla frase della ragazzina seguì il solito miagolio dell’animale.
Spalle alle guardie, Daìne si accovacciò e aprì la borsa. Caul miagolò di nuovo. Con un gesto repentino della mano la ragazzina finse di accompagnare l’animale dentro la borsa, quando invece quel che vi mise dentro erano alcune delle pergamene su cui il gatto era acciambellato.
“Ecco fatto!” disse con aria trionfante serrando la borsa.
“Ora ti tengo lì, così è sicuro che non mi scappi!”
Le guardie erano fin troppo sollevate che il possibile allarme si era rivelato un nulla di fatto per fare caso alla ragazzina. Gli archivisti avrebbero sistemato tutto il giorno successivo mentre loro avrebbero ricevuto solo una lavata di capo per la leggerezza della finestra, ma nulla di più.
Il corridoio fino alla porta sembrò non finire mai e Daìne temette che, da un momento all’altro, l’avrebbero trattenuta e perquisita. Sarebbe potuta finire in prigione. Caul si sarebbe trasformato e avrebbe avuto la meglio sulle guardie. Avrebbero dovuto combattere. Ne sarebbe stata in grado?
Il panico di tutti questi pensieri non le fecero accorgere che era giunta finalmente alla porta. Ricevette ancora qualche raccomandazione che non ascoltò e poi fu per strada.
Si allontanò quanto prima dall’area del tribunale. Il calo di tensione le fece cedere le gambe tutte d’un colpo e si ritrovò seduta a terra a iperventilare.
Un piccolo topolino sgusciò fuori dalla sacca della bambina e, dopo aver controllato che fossero soli si ritrasformò in Caul. Strinse le spalle stendendo le braccia e prese in braccio la piccola con inaspettata delicatezza. "Sei stata molto brava." borbottò incamminandosi.
Daìne si lasciò cogliere dalle braccia possenti di Caul e, rincuorata dalle sue parole, iniziò a tranquillizzarsi. Era dal giorno in cui erano morti i suoi genitori e aveva conosciuto Mikan che non aveva più avuto così tanta paura. Non chiese di essere rimessa a terra, anzi poggiò il capo sul petto del felinide e chiuse gli occhi mentre tornavano alla base della Resistenza.

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Lorenzo Ferretti
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MessaggioInviato: Gio Dic 20, 2018 4:50 am Rispondi citandoTorna in cima

“Oh sì, ci è andata proprio bene. Meno male che non siamo finiti in un posto di mé£$@ con gente di mé£$@ alle costole” commentò Dorian in risposta con più sarcasmo di quanto non avrebbe voluto.
Le fogne si snodavano per miglia e miglia sotto alla città e senza una mappa sarebbe stato un inferno trovare la strada giusta. Se ben ricordava i manoscritti, tuttavia, gli antichi fondatori usavano un sistema di simboli e segni per addentrarsi fra i bui cunicoli senza timore. Insieme agli altri avevano provato a decifrarli senza arrivare a risultati soddisfacenti sfortunatamente, finendo per ricorrere ad un loro personale sistema.
“Dovrebbero esserci dei segni qui in giro, due linee parallele sormontate da un triangolo... ci condurranno di nuovo al covo, per quanto lontano sia” disse alla ragazza, iniziando ad avanzare lentamente lungo il cunicolo ed illuminando le pareti umide di volta in volta. “Vuoi appoggiarti a me?” le chiese poi, offrendole il braccio. Quel taglio alla coscia doveva fare un male cane, avanzare non sarebbe stato propriamente facile per lei.
“Ce la faccio.” Audra constatò le sue condizioni e anche quelle di Dorian. Strappò dal mantello due strisce e ne applicò una per sé, stringendo forte. La seconda la avviluppò attorno al braccio di Dorian. Aveva un tocco rude, rapido, ma non gli fece male. “Conosco i loro metodi. Useranno i cani. Li hai sentiti i fischietti, no? Se disseminiamo sangue ovunque, e quelli capiscono che siamo qui sotto, ci troveranno in un baleno.” Si guardò intorno. “E’ notte, e non so quando apriranno i condotti... Come potrebbe andar peggio, in fondo? Se tutto va bene, finiamo nella mer.da. Ci dobbiamo sbrigare.
La osservò medicarsi alla bell’e meglio, per poi osservarla con attenzione mentre gli fasciava il braccio sveltamente. Ammirò la fermezza e la precisione con cui agì, non accorgendosi quasi della stretta creata intorno al taglio.
Il pensiero di dover sfuggire anche ad una muta di cani, tuttavia, non risvegliò bei ricordi nella mente dell’ex-commissario. Gli era capitato un paio di volte di dover fuggire a gambe levate per colpa dei mastini delle ronde. Improvvisamente però gli venne un’idea.
“E se ghiacciassi l’acqua al nostro passaggio? Qualsiasi goccia di sangue caduta rimarrebbe intrappolata al di sotto, ci darebbe del tempo se scendessero qui?” domandò. Era chiaro che Audra si intendeva molto meglio di caccia rispetto a lui.
“Di sicuro ritarderà le loro ricerche.” Lei annuì. “Tuttavia le cose sono due: o rimaniamo sotto e rischiamo l’allagamento, o proviamo a tornare su una volta svicolati gli inseguitori. Non conosco molto bene queste fogne, anche se riesco a vederle bene col buio. Devi dirmi tu quanto manca.”
L’uomo si grattò il mento, pensieroso.
In effetti l’allagamento era una bella rogna a cui pensare. Rimanendo lì rischiavano davvero di annegare nel peggiore dei modi... e la capacità di ghiacciare l’acqua non sarebbe bastata a fermarne milioni di litri.
“Sfortunatamente non ho la più pallida idea a che distanza ci troviamo dal covo. A giudicare dalla direzione che prende il tunnel però, direi che se continuassimo ci ritroveremmo nel centro cittadino fra forse un’ora. Da lì arrivare al covo sarebbe una passeggiata. Se siamo fortunati, invece, potremmo trovare qualche galleria comunicante con le catacombe, in quel caso potremmo metterci meno.” fece una pausa, ridacchiando fra sé e sé. “Anche se di fortuna non ne abbiamo avuta troppa finora”
Lei alzò una mano come a zittirlo. Aveva lo sguardo proiettato verso l’altro. “Direi che non ne abbiamo affatto” commentò con sarcasmo. “Li senti? Sono sopra di noi.”
Fece immediatamente silenzio, tendendo l’orecchio.
Come aveva detto Audra, i miliziani erano arrivati dannatamente vicini alla loro posizione. Poteva sentire i mastini guaire piano mentre passavano al setaccio ogni centimetro quadrato del pavimento della vecchia lavanderia, seguendo il flebile odore di sangue che molto sicuramente i due fuggiaschi avevano lasciato alle loro spalle.
Cercando di non far rumore, Dorian protese una mano verso i liquami ai loro piedi e quasi istantaneamente una lastra di ghiaccio andò a formarsi, serpeggiando verso l’imboccatura del tunnel e verso l’accesso alle fogne.
“Pare che non abbiamo molta scelta allora...” borbottò sottovoce, facendo cenno ad Audra di seguirlo. “Seguimi, continuerò a far ghiacciare l’acqua dietro di noi!” la incitò, iniziando ad avanzare, la lanterna ben protesa in avanti.
Da un momento all’altro, gli schiamazzi dei soldati sembrarono scemare, come stessero attendendo qualcosa. Poi, un forte rombo, il rumore di qualcosa di pesante che veniva fatto precipitare per qualche metro e le grida ricominciarono più concitate di prima, unite ora a dei forti latrati. A quanto pareva, i miliziani avevano deciso di seguirli.
“Dobbiamo andare più veloce. Spegni ogni luce.” Senza dire altro, Audra lo afferrò, ma Dorian ebbe appena il tempo di avvertire il freddo sulla sua pelle, peggiore di quello del ghiaccio, che la ragazza si chinò in avanti con i denti stretti. “Maledizione! Con le ferite è più difficile. Anche la tua dà problemi.”
Senza esitare Dorian soffocò la fiamma, facendoli piombare di nuovo al buio. Solamente i suoni dei loro inseguitori continuarono a perturbare l’oscurità delle gallerie, mentre una mano fredda, più fredda del ghiaccio, lo strattonò donandogli una sensazione già vissuta in quella giornata.
Fu una cosa breve, tuttavia, e Dorian si ritrovò ad afferrare Audra per le spalle, come a sorreggerla. Imprecò, voltandosi rapidamente come a cercare di scorgere perlomeno i mastini.
“Non muoverti!” le intimò, ritronando sui propri passi di alcuni metri.
Un vento freddo spazzò la galleria, come se la Bora stessa avesse deciso di fluire al di sotto della città invece che al di sopra di essa. Digrignando i denti per il dolore, Dorian estrasse la sciabola, facendone sparire la punta fra i liquami. Lentamente, un muro di ghiaccio iniziò ad ergersi fra loro e il resto del tunnel.... Troppo lentamente tuttavia.
“Non li ritarderà come pensi!” fece eco Audra da poco lontano. “Faranno il giro attraverso un’altra imboccatura. Più restiamo fermi e più il nostro odore rimane.” E i latrati si moltiplicavano, crescevano, amplificati dalla volta dell’ampia galleria. “Dobbiamo evitare che possano circondarci, prenderci tra due fuochi. Siamo lenti per loro. Affrontiamoli un poco alla volta, sfoltiamone le file.” Scrutò la semioscurità del posto, già infranta dal riverbero, in lontananza delle prime torce. “Io provo a nascondermi. Fatti trovare, io li falcerò non appena ti arrivano a tiro.”
In effetti, ergere un muro e cercare di coprire il tunnel sarebbe stato impossibile, perlomeno prima che arrivassero tutti i loro assalitori. S’interruppe quindi, estraendo la sciabola ed annuendo, senza dire nulla, ben sapendo che Audra poteva vederlo benissimo.
Intanto, il baluginio delle torce si fece sempre più intenso, immergendo il cunicolo in una tetra penombra mentre massicce forme a quattro zampe iniziarono a correre verso di lui.
Indietreggiò lentamente, preparandosi ad affondare la lama.
“Porca miseria porca miseria porca miseria!” sibilò a denti stretti quando il primo mastino balzò, puntandolo alla gola con quel suo cranio massiccio dai denti affilati come rasoi.
La sciabola si frappose per puro caso, impedendo all’animale di affondare le zanne ma facendo cadere all’indietro entrambi, in un nugolo di latrati,imprecazioni e affondi alla cieca.
L’ombra accanto a Dorian si animò. Ne emersero due occhi lucenti, poi una gamba che calciò il mastino facendolo schiantare contro la parete del cunicolo. La lama doppia slittò nell’alloggiamento dell’elsa con uno stridio da far venire la pelle d’oca.

Audra guardò gli astanti. Il dolore della ferita era scomparso. L’unica traccia era una sorta di spirale evanescente che si librava dalla superficie oscura che disegnava la sua gamba.
Tutto scompariva, nelle tenebre. Sapeva che dopo avrebbe comunque dovuto farci i conti.
Dopo.
Aprì il mantello al massimo non appena fu a vista degli inseguitori che erano stati più veloci. Sapeva di essere una visione abbastanza inquietante, quando assumeva le sembianze dell’ombra. I due uomini, già pronti con le armi, esitarono e indietreggiarono, facendole guadagnare il tempo necessario perché Dorian potesse rialzarsi in piedi. Uno di loro lasciò la presa sul guinzaglio e il cane si scatenò in latrati furibondi prima di finirle addosso. Misericordia tenne fede al suo nome e scivolò con un suono sinistro, traiettoria discendente; un solo scatto come una pugnalata dritta verso il cranio dell’animale, che finì inchiodato al suolo. Indietreggiò a sua volta di un paio di passi: la luce tremolante della torcia portata dagli inseguitori minava le tenebre in cui si era mimetizzata e mantenere la concentrazione per rimanerci immersa era più difficile.
Un’eco alle sue orecchie. Piantò per un istante i suoi occhi perlacei nel buio alle sue spalle, un buio che per il potere di Eclisse non possedeva segreti.
Maledizione!
“Arrivano! Dietro!”
mormorò soltanto all’indirizzo di Dorian. La sua voce, nell’ombra, era distorta, come se provenisse dal fondo di un pozzo.

Il sangue colò copioso dal corpo dell’animale, inzuppandolo completamente. Sentì poi la massa dell’animale spostarsi violentemente e per un attimo il pensiero che questo fosse ancora vivo lo sfiorò.
Si trattava tuttavia di un calcio ben assestato di Audra, che con impeccabile tempismo era riuscita a calciar via il corpo morto della creatura.
Ansimante, Dorian si sollevò in piedi, fronteggiando i due miliziani appena arrivati.
Questi ultimi indietreggiarono di mezzo passo alla vista dell’uomo, ormai più rassomigliante ad una belva ricoperta di sangue che ad un essere umano: insieme all’ombra, era decisamente una vista di cui preoccuparsi.
“Allora, cominciamo?” sbottò Dorian, facendo mulinare la sciabola. I miliziani lo imitarono quasi immediatamente, pronti a balzare in avanti.
Un ghigno si dipinse però sul volto del capo della Resistenza, e un guizzo veloce del polso disarmato colse i fanti alla sprovvista: una piccola lama di ghiaccio si diresse alla lanterna in mano ad uno dei due, infrangendone l’anello di sostegno e facendola cadere fra i liquami ai loro piedi. Il vetro si infranse con un rumore cristallino e la fiamma soffocò inesorabilmente nell’immondizia. Una di meno.
Con il secondo soldato il trucco però non funzionò, soprattutto perchè il suo attacco era già in arrivo. COn un ringhio di sfida Dorian gli si lanciò contro, intercettando il fendente dell’altro e deviandolo all’esterno, mandando a segno un taglio alla pettorina che però si rivelò essere distante di quel tanto che bastò a renderla inefficace.
“Ma porca miseria!” imprecò a denti stretti, lanciandosi con rinnovato vigore contro il suo avversario.
Audra scambiò fronte di combattimento. La lanterna spenta le aveva permesso di mantenere l’equilibrio nell’ombra. Coi suoi occhi scovò l’origine del suono: un discreto numero di armigeri proveniente dalla direzione opposta. Ma vide anche altro: oltre il fronte, il cunicolo si allargava. Una stanza. Forse potevano imboccare altre gallerie e seminarli prima di ritrovarsi senza via d’uscita.
Prima però doveva sfoltire le fila.
Sperando di non lasciar scoperto Dorian troppo a lungo, si tuffò a sinistra verso la parete, lasciò che la tenebra la inghiottisse e, fusa con essa, percorse il muro fin quasi al soffitto. Le poche lanterne che gli attaccanti avevano con sé, appese ai collari dei cani e alle cinture, non erano troppo in alto per disturbarla. Solo quando fu vicina si lasciò cadere. Strinse i denti quando, uscendo dall’ombra, la ferita alla gamba si fece sentire, ma fu un piccolo prezzo per una soddisfazione più grande: sentire la mascella dell’uomo spaccarsi sotto il suo pugno, un colpo che lo mandò al tappeto. Misericordia fischiò nell’aria e tranciò il sostegno della lanterna. Il fuoco rotolò ai piedi del mastino, che si ritrasse impaurito, sbilanciando il suo possessore. Audra non gli concesse il tempo di rimettersi in posizione: fintò a sinistra, entrò nella sua guardia e con uno sgambetto prima lo fece andare a terra, poi gli calciò la tempia. Saltò all’indietro per evitare il contrattacco di quello che lo seguiva, sfuggendo anche al morso di un secondo mastino lasciato libero, e di nuovo si tuffò nell’oscurità. Dannate lanterne! imprecò fra sé. Se soltanto fosse buio completo...
Tuttavia, anche nella penombra, vide qualcosa che non le piacque affatto. Corse indietro senza precauzioni, fino a raggiungere Dorian. Emerse come un manto d’ombra, a mezzo metro da lui.
Le retrovie degli armigeri avevano spianato le balestre.
“Le luci!” urlò. “Fa’ calare il buio!”

Sfortunatamente il secondo miliziano, ripresosi dalla sorpresa di vedersi tranciata via la lanterna, aveva ben pensato di dare man forte al proprio compagno, gettandosi anche lui su Dorian. Quest’ultimo iniziò a girare intorno agli avversari, facendo sempre in modo che si intralcassero fra di loro, fintando e contrattaccando senza dar loro tregua.
La ferita al braccio bruciava ormai così tanto da essere divenuta una macchia di dolore quasi indistinta nella mente dello sciabolatore, che, dopo alcune finte ben piazzate, riuscì a colpire alla gola il primo miliziano, facendolo crollare a terra mentre si strozzava con il suo stesso sangue.
Fu in quel momento che udì l’intimazione di Audra.
Senza quasi battere ciglio costrinse il miliziano rimanente ad indietreggiare con un paio di stoccate pericolosamente vicine alla sua faccia, salvo poi indietreggiare anche lui verso la compagna di disavventura. Improvvisamente, gli venne in mente che per seguire il piano della cacciatrice di taglie, sarebbe bastato infrangere i vetri delle lanterne... il vento gelido avrebbe fatto il resto.
Con un ghigno quasi sadico, il criomante lanciò una serie di piccole lame ghiacciate in direzione della cintola del soldato, tranciandogli di netto il cinturone e facendo piombare la lanterna nella putrida acqua sottostante. D’accordo, non era esattamente andata come sperava, ma l’obiettivo era stato comunque raggiunto.
“Ci provo, ma devi stare dietro di me!” le intimò.
L’idea era di scagliare un’ondata di vento gelido pieno di piccole schegge di ghiaccio in direzione della nuova ondata di nemici: troppo piccole per ucciderli, ma abbastanza efficaci da far perdere un occhio a qualcuno e, ancora più importante, infrangere i vetri dei lanternini.
Avanzando di qualche passo oltre la posizione di Audra, quindi, Dorian si concentrò, inspirando profondamente. Nuovamente, un vento freddo iniziò a fluire attraverso la galleria, abbassando la temperatura quasi immediatamente di svariati gradi. Lentamente, piccoli cristalli scintillanti iniziarono a fluttuare nella corrente d’aria, pizzicando la pelle di Audra senza però farle davvero male. Più avanti, invece, le schegge sembravano fondersi man mano che avanzavano, arrivando a raggiungere le dimensioni della falange di un dito umano, che poi veniva scagliato con velocità nella direzione dalla quale era tornata Audra. Il vento continuò a montare d’intensità, finchè non sembrò un piccolo ciclone le cui urla venivano amplificate dalla volta delle fognature. Gli occhi di Dorian scintillavano ultraterreni come anche le mani, circondate da piccole schegge vorticanti, mentre un ringhio affaticato proveniva dalla sua bocca... non avrebbe resistito a lungo.
Avvolta dalle tenebre, Audra non patì il cambio di temperatura. Coi suoi occhi fu in grado di vedere ogni lanterna rimasta infrangersi e il contenuto smorzarsi uno dopo l’altro. Ben presto il buio fu tale che sembrò ingoiare anche le grida di panico degli astanti.
Non perse tempo.
Non avrebbe potuto correre con Dorian nelle ombre. Ma non poteva correre senza le ombre. Sperò bastasse.
In un attimo fu al suo fianco. “Ghiaccia il terreno alle nostre spalle appena iniziamo a correre” gli sibilò con quella voce strana. Dorian sentì agganciare il braccio-ombra di Audra al suo. Era più gelido delle sue mani. “Tu corri e basta. Ti guido io. Corri e gela questo tunnel finché non dico di smettere!”
Senza quasi finire di parlare, si precipitò nelle tenebre. L’oscurità nel tunnel non aveva segreti per lei, ma la cacofonia di grida, ordini gridati a casaccio e i latrati dei cani disorientati la stordivano. Era proprio di quelli che aveva più paura: il loro fiuto funzionava ancora. Si schiacciò verso la parete per evitarli; schivò un armigero che cercava inutilmente di schermarsi dal freddo e fece abbassare la testa a Dorian per evitare che fosse decapitato dal fendente dato alla cieca da un altro soldato. Passò in piena corsa attraverso la linea nemica e andò oltre. Qualcuno urlò un ordine, avvertì l’armarsi di un grilletto. D’istinto aprì il mantello dietro di sé e Dorian per occultarlo nel proprio buio.
“Stai giù!” gli gridò nelle orecchie dandogli una spinta per guidarne il movimento. Scoccò un’occhiata alle sue spalle, si rese conto della situazione e con uno strattone attirò Dorian a sé per guidarlo fuori dalla linea di tiro. Sentì i sibili di diversi quadrelli fischiarle attorno alle orecchie. Dorian non emise gemito, e intuì che non era stato colpito. Lei? Chissà. Nell’ombra non poteva capirlo.
Imboccò il tunnel davanti a sé, sempre correndo. “Ora!” sibilò nelle orecchie del criomante. “Non ghiacciare più nulla!”
Dal canto suo, Dorian avvertì la mano di Audra sulla spalla e il suo sibilo che gli diceva di ghiacciare il terreno alle loro spalle.
“È... una parola...” ansimò, affaticato dal dispendio di energie appena compiuto. Ma aveva ragione lei, dovevano andare avanti, tirare dritto attraverso le fila nemiche e poi sparire nelle fogne senza lasciare traccia. Ghiacciare il terreno percorso era l’unico modo per impedire ai cani di fiutarli ancora, perlomeno nell’immediato futuro.
Non ebbe però davvero il tempo di compiere questo ragionamento, poiché Audra si affrettò a tirarlo quasi immediatamente con sé.
Si sentì strattonare verso la parete del tunnel, poi una mano lo fece chinare e poté sentire distintamente una lama che gli carezzava quasi i peli della nuca passargli oltre. Urla, ordini e latrati echeggiavano ovunque, compressi dal caos e dal disordine.
Dorian avvertì nettamente il loro passaggio attraverso le fila dei miliziani, andando a sbattere contro molti di loro nell’oscurità, imprecando e bestemmiando come fosse uno di loro per cercare di confonderli quando gli passavano vicino.
In tutto quel trambusto, il criomante aveva fatto ciò che la cacciatrice di taglie gli aveva detto, ovvero ghiacciare il terreno che si lasciavano dietro. La patina di ghiaccio li seguiva diligentemente, domandando sempre più energie dalle ormai esigue riserve dell’uomo, che si lasciò continuare a trascinare lungo il cunicolo.
D’improvviso, però, qualcosa allarmò Audra. Il suo grido di abbassarsi tuonò nei suoi timpani più chiaro di qualsiasi altro suono. E Dorian obbedì. Si lasciò quasi cadere sulle ginocchia mentre quadrelli di balestre si piantavano tutt’intorno a loro, lasciandolo miracolosamente illeso. Non ebbe però tempo di compiacersi della propria fortuna: avvertì distintamente il mantello di Audra spostarsi dietro di lui.
Che l’avessero colpita?
La sua mente galoppò a briglia sciolta al pensiero di dover veder morire la sua compagna. Il fatto che si conoscessero da poco non importava.
Il sibilo successivo di Audra interruppe il filo dei suoi pensieri però: basta ghiaccio.
Con un sospiro, il criomante interruppe la propria magia, potendo ora finalmente concentrarsi a non inciampare e rimanere in piedi.
“Vedi qualcosa? Simboli, altri cunicoli?” sussurrò, ansimando.
Audra rallentò per esaminare le pareti. Aveva imboccato un cunicolo a caso e sperò fosse quello giusto. Le mura umide e colme di muffa e sporcizia non rivelavano dettagli di nota. Stava quasi per perdere la speranza quando, al bivio successivo, le parve di scorgere un segno più netto che indicava il tunnel di sinistra.
“C’è qualcosa. Due linee parallele con sopra un triangolo. Come fosse una casa stilizzata.”
Dorian sospirò, un guizzo di speranza nel cuore finalmente.
“Bene, è quello giusto! Benedetti ragazzini... “ esclamò.
Sebbene avesse detto molte volte ai ragazzini di non avventurarsi in cunicoli poco usati un migliaio di volte, era felice che gli avessero disubbidito, in quel frangente. “Da qui seguiamo sempre quello e arriveremo dritti dritti alla tana. Non dovrebbe volerci molto.” aggiunse per rassicurare Audra.
Audra si lanciò nel tunnel e lo percorse guidando sempre Dorian nelle tenebre. Rifletté qualche istante e infine disse, con una punta di preoccupazione: “Ma così rischiamo di condurre anche le milizie fino alla tua tana, Dorian.”
“Dannazione... hai ragione” iniziò ad osservarsi intorno febbrilmente, cercando di discernere qualcosa nell’oscurità.
“Un momento, un momento... siamo entrati dalla vecchia lavanderia, quindi...” un improvviso gorgoglio lo interruppe. Un rombo cupo, come un tuono sotterraneo. Come acqua in una “...cisterna!” esclamò d’un tratto. “Siamo vicini alle chiuse del sistema fognario!” fissò Audra, mentre il suo cervello realizzava fin troppo lentamente cosa avrebbero potuto fare.

Audra udì le parole frammentarie di Dorian, ma neanche a lei era sfuggito quel rombo sordo. Calcolò febbrilmente. Non era ancora il momento della schiusa fognaria. Però potevano sempre...
“Mi è venuta...
“...un’idea!” esclamò, e quasi si mise a ridere quando si accorse che l’avevano pronunciata insieme. “Se anticipassimo l’apertura di quel bel coperchio? Che ne dici?”
Mentre parlava, continuava a percorrere i tunnel. Ora che aveva ben chiaro dove andare, i suoi movimenti nell’ombra erano sicuri e veloci. Cercava quantomeno di evitare che Dorian inciampasse. Svoltò a destra, percorse un lungo cunicolo e, sempre seguendo i segni familiari, si fece strada, girando solo all’ultimo in un tunnel più ampio. Che non aveva sbocco.
La chiusa. Vide il portellone che sigillava il muro in fondo, i macchinari che, tramite complicate leve situate in superficie, ne permettevano il sollevamento per provvedere al drenaggio dei liquami.
Attirarli lì, scardinare il portellone a sorpresa, equipaggiarsi per resistere a una valanga d’acqua e attendere che il flusso terminasse per poi tornare sui propri passi e prendere finalmente la via verso la tana dei Gatti.
La prima parte era forse la più facile. Chissà come mai.
“Ci servirà uno scudo; se vogliamo scardinarlo, finiremo travolti in un baleno.” Lasciò la presa su Dorian esaminando a fondo le pareti per capire come agire con esattezza. Nel farlo, senza accorgersene mollò anche la presa sulle ombre... e se ne pentì subito. Una fitta acuta le percosse la spalla. Strinse il gemito tra i denti in uno sbuffo e si tastò la scapola.
Un dardo. Cavolo. Allora l’avevano beccata sul serio. In un attimo tornò nelle ombre per provare sollievo. Non avrebbe dovuto lasciarle per nulla al mondo, almeno per il momento.
Dorian balzò avanti istintivamente quando la sentì gemere di dolore.
Avvertì di sfuggita il quadrello della balestra che le spuntava dalla spalla... la stessa spalla che lo aveva protetto poc’anzi.
“Concordo, dobbiamo prepararci bene. Posso creare una barriera di ghiaccio intorno a noi, così da evitare il primo impatto. Per il resto lo scudo si stratificherà con l’acqua che continuerà ad arrivare” propose quindi, una nota preoccupata nella voce. “Come li attiriamo quei bastardi però? Li chiamiamo?” domandò poi, non volendo chiedere alla ragazza di mettersi anche a correre verso il nemico per poi farsi inseguire.
“Ma prima, se permetti...” borbottò afferrando saldamente l’asta del quadrello. Sobbalzò avvertendone il freddo innaturale... non ci avrebbe mai fatto l’abitudine, se lo sentiva. Con uno sbuffo si concentrò, spezzandolo poi con uno scatto veloce. “Per ora lasciamo il resto lì, ci pensiamo alla tana a toglierti la punta.”
Audra non provò dolore quando Dorian le spezzò il quadrello, ne avvertì solo lo strattone. “Allora dobbiamo arrivarci prima dell’alba. Se il potere di Eclisse svanisce, sono nei guai.”
Guardò il tunnel alle sue spalle. Gli schiamazzi erano cessati e l’eco delle gallerie portava alle sue orecchie soltanto pochi discorsi intelligibili. Erano calmi, e in avvicinamento. L’ansare dei cani riverberava nella volta del cunicolo.
“Se li chiamiamo capiranno che si tratta di una trappola.” Guidò Dorian affinché avesse lo sguardo di fronte a sé. “Li vado a prendere io. Tranquillo, finché sto nell’ombra sto una meraviglia.“ Lo disse con una scanzoneria assurda per la situazione. “Vedrai che mi seguiranno. Non si lasceranno sfuggire una bella ragazza: gli uomini sono tutti così.”
Cambiò tono all’improvviso: “Appena me ne vado, accendi la lanterna e deponila davanti al sigillo, così puoi orientarti. E’ di fronte a te, venti metri. E’ una distanza sufficiente per creare uno scudo e al contempo riuscire a incrinarne l’infrastruttura con il tuo ghiaccio?”
“Direi di sì, dovrebbero bastare” asserì, iniziando a dirigersi verso l’imboccatura del tunnel. Avanzò lentamente, a tentoni, cercando di non scivolare sul terreno viscido. Quando si fu posizionato riprese le pietre focaie, accendendo nuovamente la fiamma da tempo spenta.
Finalmente un po’ di luce!
“D’accordo, tu vai allora. Io inizio, ci vorrà un po’” disse rivolto ad Audra, prendendo un respiro profondo e concentrandosi.
Seguì con la mente i piccoli rivoletti d’acqua lungo le pareti, risalendone il debole flusso che disegnava infinite ragnatele d’acqua lungo muri e sulla volta. Percepì le vie d’acqua come fossero vene sotto la pelle, iniziando quindi ad abbassarne rapidamente la temperatura. Le chiuse, per quanto opere tecnologiche costruite a regola d’arte, non erano completamente impermeabili. E l’acqua che ora trattenevano stava per diventare il loro peggior nemico. Avvertì i rivoletti espandersi e contrarsi come in preda a microscopici spasmi. Più acqua vi scorreva, più ghiaccio andava formandosi, ingrandendo fessure, allargando crepe e spaccando la pietra, lentamente ma inesorabilmente. Percepì nettamente le pareti metalliche della chiusa che tremolavano ad ogni vibrazione, portandolo sempre più vicino al suo obiettivo. Mancava davvero poco e i muretti accanto alla chiusa stavano pian piano cedendo. Piccoli frammenti di pietra stavano infatti già cadendo al suolo, mentre il gorgoglio dell’acqua retrostante iniziò ad intensificarsi. Dorian spinse ancora, abbassando maggiormente la temperatura e permettendo al ghiaccio di espandersi ancora di più. Lo sbalzo fu così repentino stavolta che in alcuni punti la roccia parve esplodere, mentre il metallo della chiusa iniziò a gemere sotto il peso di tonnellate d’acqua.

Audra non aveva perso tempo. Forte del sollievo delle ombre, si era lanciata nel tunnel alle sue spalle, ripercorrendolo a ritroso. I rumori dei passi e la concitazione della caccia dei miliziani le rintronava nelle orecchie. Gli sembravano pure in numero maggiore, segno che erano arrivati addirittura i rinforzi. Avevano fatto bene a svignarsela.
Si toccò la spalla. Non provava dolore, ma non poteva rimanere nel buio per sempre. Sperò che alla Tana avessero di che curarla.
Devo essere uscita di testa! Ora mi metto a proteggere le mie prede? Dag riderebbe di me fino alla prossima luna piena!
Già, perché diavolo l’aveva fatto? In effetti era stato più un gesto istintivo. Scorse il dito sulla protuberanza del dardo. Non troppo profondo, ma era ben impiantato nell’osso. Non fatale, quello no, ma da “normale” avrebbe fatto un male d’inferno. E doveva evitare di diventarlo, per più tempo possibile, anche se le costava una faticaccia.
Un pensiero le attraversò la mente.
“Morire per loro è quanto ho giurato di fare quando li ho raccolti uno per uno, pezzo per pezzo. Morire per loro probabilmente è ciò che mi aspetta.”
Già. Forse era soltanto curiosa di vedere se alla fine l’avrebbe fatto sul serio e avrebbe tenuto fede alla sua parola.
Smettila. Non morirà nessuno in questa fogna. Né tu, né lui. A parte i segugi che ci hanno scatenato contro. Mi spiace ucciderli, ma non posso fare altrimenti.
Superò una curva a gomito e per poco non se li ritrovò faccia a faccia. Aveva visto all’ultimo momento il bagliore rinnovato delle loro torce. Uscì dall’ombra involontariamente, cosa che le scatenò una fitta lancinante che le attraversò l’intera schiena. Volendo ben guardare, tuttavia, fu comunque un effetto positivo, perché la videro.
“Di qua! Di qua!”
Scopo raggiunto. Ora doveva filarsela. Magari lasciando un po’ di briciole di pane per farsi seguire fino a destinazione, proprio come in quella fiaba.
Tornò nelle ombre del vicolo, serrò i denti per prepararsi al dolore, e quando il primo uomo fece capolino, pur con prudenza, usò Misericordia per farlo scattare all’indietro: una sola stoccata sibilante, un guizzo argenteo che spezzò la corsa degli inseguitori. Solo per un attimo. Lei tornò indietro e riguadagnò il buio, e con esso anche il respiro. Dei, che male. Avvicinarsi troppo non era un’opzione da contemplare.
“Da questa parte! Liberate i cani! Mille monete a chi blocca quel maledetto spettro!”
Oh, cavolo.
Accelerò, divorando il tunnel in lunghe falcate. Quasi slittò nella melma umidiccia del pavimento quando affrontò l’ultima curva. L’ansare dei cani le scaldava quasi le caviglie. Uno tentò di morderla, ma stavolta la fortuna non l’abbandonò e riuscì a togliere via il piede appena in tempo.
Era giunta nella sala. A parte la lanterna lungo la parete opposta, non c’era altro che ghiaccio e la figura di Dorian ferma immobile, in concentrazione, quasi al centro. Lei corse a perdifiato per raggiungerlo, e con la coda dell’occhio vide che i cani si bloccarono, come presi dal panico, e se la filarono guaendo. Avevano avvertito il pericolo. Stolta! A loro non aveva pensato. Sperò che anche gli uomini non mangiassero la foglia.
Era tardi, però, per i dubbi.
Quasi sbatté contro la schiena di Dorian per fermarsi. La volta della galleria si riempì delle voci animate dei miliziani. Non appena li vide comparire all’ingresso del tunnel, gli voltò le spalle, guardando terrorizzata le balestre. “Alza.. quel.. maledetto.. scudo!” lo implorò.
Senza quasi farle finire di pronunciare l’ultima parola, Dorian agì.
Il tempo stringeva e la chiusa sarebbe crollata da un momento all’altro. O meglio, questa decise di crollare nell’esatto momento in cui uno strato di ghiaccio iniziò ad avviluppare i due fuggiaschi, come una sorta di bozzolo cristallino dall’apparenza fin troppo sottile per affrontare la furia di ciò che stava per arrivare.
Per alcuni istanti vi fu silenzio, quasi il tempo si fosse fermato. L’armigero fece per prendere la mira e rilasciare il proprio dardo, che avrebbe centrato Audra in pieno.
Ma non successe nulla di tutto ciò.
In un istante, il metallo della piastra principale della chiusa si piegò come un foglio di pergamena, e quello che sembrò un intero lago si riversò nella stanza con l’impeto di un mare in tempesta.
Vi furono grida, imprecazioni e un fuggi fuggi generale ebbe inizio. Solo Audra e Dorian rimasero fermi, la campana di ghiaccio quasi completa che si richiuse per un soffio sul pavimento davanti ai piedi della cacciatrice di taglie.
Non vi fu tempo nemmeno per gridare, per Dorian. L’unica cosa che gli riuscì di pensare in quel momento fu di inspessire ancora le pareti della loro piccola bolla, mentre la furia dell’acqua continuava a riversarvisi contro, tentando di spazzarli via con il resto dei liquami e, probabilmente, con gli armigeri.
“Dovremmo... essere al sicuro adesso!” urlò il criomante alla compagna.
Poi, orrendo nella sua nefandezza, uno scricchiolio.
“Cos...”
Un piccolo sibilo, accompagnato da un altrettanto piccolo getto d’acqua che colpì l’uomo in piena fronte.
“Ma che ca...”
Uno scricchiolio più forte, alle sue spalle. Un altro sibilo malefico, accompagnato da un getto d’acqua.
“Dobbiamo preservare la campana!” gridò, più rivolto a sé stesso che ad Audra, riprendendo ad aggiungere ghiaccio al loro scudo con tutte le forze che ancora aveva. Inutilmente. Nuove crepe andavano formandosi di volta in volta, rendendo il suo lavoro un supplizio inutile.
Audra sentì l’acqua torbida e puzzolente riversarsi sulla schiena. Benché in forma d’ombra poteva sentirne l’olezzo disgustoso. Cercò di tappare con le dita quante più fessure possibili, ma i suoi occhi notturni potevano vedere come la ragnatela di crepe si espandesse con preoccupante velocità.
“Hai detto che eravamo al sicuro!”
“Ho detto DOVREMMO!”
“Figlio di...” Audra si stava sforzando di chiudere gli spiragli, ma inutilmente. Il ghiaccio era ormai instabile. Avrebbe ceduto a momenti e loro non avevano alcuna àncora a cui aggrapparsi per evitare l’impeto della corrente. Anche se...
Gli occhi lucenti si sgranarono.
Certo che ce l’aveva, un’àncora. Le tenebre. Lei poteva.
Ma Dorian...
Rifletté nello spazio di un secondo. Anzi, avanzò del tempo per decidere come agire.
“Cosa cavolo vuoi preservare!” urlò in quell’inferno d’acqua putrida che iniziava a far scricchiolare l’intera struttura. Anche da ombra, poteva avvertire la forte pressione esercitata sulla barriera di ghiaccio. “Ah, maledizione! Odio le fogne! Odio l’odore di melma! E soprattutto odio TE, Dorian Maldovar!”
Senza neanche dargli il tempo di una replica, lo tirò a sé e lo serrò in una sorta di abbraccio burbero. Digrignò i denti.
Giù nelle ombre.
Giù nelle ombre, entrambi, adesso!
Avvertì il dolore farle presa. Il contraccolpo per poco non la fece emergere dal buio. Imprecò tra i denti serrati e ritentò. Ancora. E ancora. A ogni tentativo tratteneva il respiro come per buttarsi in apnea, sebbene in forma d’ombra l’aria non le servisse affatto. Era su quello che contava: sopravvivere in quel mare d’acqua come parte delle tenebre.
Lei e Dorian.
Nessuno di noi due morirà in questa fogna, si ripeté in un gemito.

Dorian stava quasi per replicare, ma non ne ebbe il tempo.
Sentì le braccia di Audra stringerlo con forza dopo che si era voltato verso di lei. Sapeva ormai cosa stava per fare... e non sarebbe piaciuto a nessuno dei due. Un altro pensiero lo colpì tuttavia in quell’istante e cioè che lei avrebbe potuto benissimo lasciarlo lì a morire, salvandosi per conto proprio. Nessuno avrebbe potuto biasimarla, d’altro canto, in una situazione del genere. Perfino quelli del covo le avrebbero creduto, forse, dopo aver visto in che condizioni fosse tornata. Ancora una volta, quindi, si ritrovò senza parole nell’accorgersi che qualcuno gli stava salvando la vita e che quel qualcuno fosse una persona che non gli doveva assolutamente nulla.
L’acqua ribollente, tuttavia, lo riportò velocemente alla realtà.
La campana si stava riempiendo in fretta e presto sarebbero annegati come due topi in trappola.
Che fine ignobile, peggio che venir ammazzati da Dag.
Ma qualcosa non stava funzionando: Audra sembrava avere problemi a usare il suo potere, stavolta. Non che fosse strano, visto tutto quello che aveva sopportato fino a quel momento.
Ormai l’acqua gli stava arrivando al mento. Pochi minuti e tutto sarebbe finito.
Per un attimo si chiese se morire annegati sarebbe stata una cosa veloce.
“Sappi... che ti volevo ringraz-”
E improvvisamente una nuova corrente lo trascinò... o meglio, lo risucchiò. Una forza ineguagliabile, unita ad un freddo talmente potente da far sembrare una bara di ghiaccio una stanza termale. Ci era riuscita!
Wow..., riuscì solo a pensare, sbattendo i denti. Non sapeva nemmeno come reagire a tutto quel freddo, visto che muoversi non sembrava un’opzione. Ma tu guarda se dovrò morire congelato...
Guarda che...posso anche lasciarti andare! fu l’immediata minaccia che ricevette. Per un istante sembrò farlo davvero perché la forte presa delle braccia si smorzò, non tanto da interrompere il contatto, ma sufficiente per fargli andare il cuore in gola, se soltanto stesse palpitando in quell’unica marea nera.
NONONONO, il pensiero esplose violento nella mente di Dorian, che si strinse di più a lei istintivamente. Nonostante il freddo, quello era il posto più sicuro in tutte le fogne ora e lo sapeva bene. Si chiese solo quanto Audra sarebbe stata in grado di resistere, tuttavia...
Finchè... non defluisce... l’acqua..., si sentì rispondere debolmente. La presa delle sue braccia si fece meno ferma e stavolta Dorian fu sicuro che non lo stesse facendo di proposito.
Ma quanto ci avrebbe messo l’acqua a defluire? Di certo una chiusa conteneva una massa d’acqua incalcolabile ma diamine, prima o poi sarebbe terminata anche quella!
Di nuovo le braccia di Audra sembrarono cedere e il criomante la sentì cadere in ginocchio. La seguì, afferrandola e cercando di sostenerla.
Non mollare dai! Puoi farcela, manca poco!, la esortò, cercando di suonare incoraggiante. La verità era che era spaventato a morte. Non sarebbe riuscito ad incoraggiare nemmeno il suo corvo in quel momento, figurarsi una camminatrice dell’Ombra in fin di forze. Non cedere mi senti? Sei arrivata fin qui, non morirai in una stupida fogna lerciosa, mi hai capito? continuò ad urlare nella propria mente.
Ma chi voleva prendere in giro?
Forse doveva rassegnarsi.
Lentamente, una sorta di calma innaturale scese su di lui. Evidentemente era destino che sarebbero morti lì, al buio, lontani dalla Tana. Si domandò se gli altri stessero bene, se fossero riusciti ad eludere le trappole degli armigeri. I Gatti erano svelti, se la sarebbero cavata, si disse.
Vuoi dettarmi per caso.. anche le tue ultime volontà?! La voce di Audra gli giunse rabbiosa pur affaticata. Stai fermo e tieniti forte...
Si concentrò, serrò le dita sul pastrano di Dorian, ombra tra le ombre, mentre gli ultimi frammenti di ghiaccio venivano spazzati via dalla corrente furibonda. Contava i secondi tra sé, anche se non sapeva se fossero quelli che rimaneva all’acqua per defluire o a lei per perdere la concentrazione. Mantenere entrambi nell’ombra era già difficile, con le ferite era quasi impensabile.
Quasi.
Con la visuale donata dal potere di Eclisse, Dorian vide le spirali nere defluire, nella corrente, dalle ferite di Audra. Lei provò a rizzarsi, fallì, riuscì a mantenere salde le gambe. Nel suo torace, a livello dell’ombelico, il diamante nero che aveva incastonato nelle carni divenne più gelido delle tenebre. Anche Dorian ebbe la stessa sensazione, mentre era a contatto con lei.
Giù nelle ombre, giù, giù...
E in quel momento l’acqua cominciò a scendere. Il muggito si placò, la corrente divenne meno travolgente. Il livello si abbassò pian piano. Da sommersi si ritrovarono ben presto con l’acqua al petto, poi alla cintola, infine alle ginocchia. La puzza di cui erano impregnati era nauseante, da far vomitare anche l’anima.
Mai come emergere di colpo dalle ombre, però.

Se venir risucchiati nelle ombre era stato traumatico, venirne risputati fuori non fu certo da meno. La puzza che lo circondava era opprimente, quasi insostenibile. Ciononostante Dorian prese un profondo respiro, piegandosi da un lato e rilasciando tutto il contenuto del proprio stomaco per terra, cercando al contempo di non far cadere Audra a terra e di non insozzarla ulteriormente.
Poi, dal nulla, iniziò a ridacchiare.
Una risata isterica, quasi folle date le circostanze, in cui si riversò tutta la tensione delle ore passate.
“Avevi... ragione...” ansimò tra una risata e l’altra “Siamo proprio... finiti nella mer.da...”
Con la faccia affondata nel suo petto, stremata di forze, Audra sussultò appena. Incredibilmente stava ridacchiando anche lei alla battuta. Solo quando Dorian ebbe avuto modo di riprendersi riuscì a spiccicare parola: “Io... ti... odio... “ La voce si spense quasi subito in un gemito e Dorian la sentì irrigidirsi nella sua presa. Si accorse solo ora che non era più nelle ombre come prima. E che il dardo spiccava come una protuberanza colma di sporcizia e sangue.
“Dannazione...” borbottò, senza osar toccare ciò che rimaneva del dardo. Doveva portarla al più presto alla Tana, o sarebbe stata spacciata probabilmente.
Solo in quel momento realizzò che avrebbe dovuto avanzare a tentoni nel buio per le prossime ore. Audra non poteva tornare nel buio e di certo lui non glielo avrebbe chiesto. Si sarebbe sforzato di trovare la via giusta.
“Se ti porto in spalla... riusciresti a indicarmi la strada?” le domandò quasi in un sussurro, infine. Lei si era sforzata per tenerli in vita fino a quel momento. Portarla in spalla fino alla Tana era il minimo che poteva fare.
“In... spalla? Non se... ne parla.” Il tono di voce di Audra rasentò l’imbarazzo. Tuttavia, nel tentativo di issarsi in piedi, il dolore che le scudisciò la spalla le tolse persino le ultime forze che aveva. Era così stremata che non riusciva nemmeno a rientrare nelle tenebre, ma forse sarebbe bastato un piccolo sforzo per evocare il dono della vista oltre l’oscurità. “Va... bene. Solo per... stavolta. Ammetto che sarebbe... stato divertente... vederti giocare... a mosca cieca...”
Dorian avrebbe riso di nuovo, se non avesse già avuto poche forze.
Prima di procedere aveva bisogno di rattoppare quel brutto taglio al braccio. Digrignando i denti tolse la benda ormai lurida e inutile, lanciandola da qualche parte alle proprie spalle e tastandosi cautamente la ferita. Al buio non seppe stabilire quanto fosse profonda, ma gli faceva un male cane. Concentrandosi, si sforzò di invocare nuovamente l’aiuto del ghiaccio: la sua mano rilucette debolmente per alcuni istanti, emanando un intenso freddo. La portò delicatamente sul taglio. Quasi gli sfuggì un grido quando il freddo intenso gli morse la carne. Dei che male. Furono istanti interminabili, che si risolsero però in un sordo dolore pulsante, come dopo un’ustione. Perlomeno il sangue avrebbe smesso di sgorgare.
“Posso... chiuderti le ferite” le disse, avvicinandosi lentamente.
“Col..ghiaccio?” Audra guardò la luce che scaturiva dalle dita gelide di Dorian. Inspirò a fondo e con delicatezza sollevò il braccio sano per guidare la sua mano dapprima sullo squarcio della coscia, e poi su quello della spalla. In entrambi i casi fu doloroso. Dovette mordersi le labbra per evitare di perdere i sensi. “Così almeno ci arrivo viva.. alla Tana. Sei comunque... in debito, Dorian Maldovar. Dovrai... ” Sembrò pensarci su per qualche secondo. “Deciderò quando... quando sarò più lucida. Ahia...”
“Sì sì.. Ci pensiamo..dopo” rincarò la dose, caricandosela in spalla con difficoltà. La procedura durò qualche minuto, visto lo stato di entrambi, ma alla fine furono pronti per partire.
“Bene... vado dritto?” domandò.
“No... vai... di traverso...” Dorian avrebbe giurato di averla sentita ridacchiare nel dirlo. “Ovvio che vai dritto...” continuò fortunatamente.
“Simpatica...”


Il viaggio nell’oscurità ebbe così inizio.

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MessaggioInviato: Sab Dic 22, 2018 3:39 am Rispondi citandoTorna in cima

Stavano camminando da parecchio, forse troppo, a parere di Dorian. Le tenebre lo serravano da ogni parte e muoversi senza un punto di riferimento, persino per i propri piedi, si stava rivelando più estenuante del previsto, soprattutto per il morale. Audra lo aveva guidato lungo i bivi, indicandogli la direzione da prendere e mettendolo in guardia dai possibili ostacoli, ma ora che il tunnel era lungo e senza sbocchi non aveva più aperto bocca. Forse si era assopita. Stava per scuoterla appena per capire se fosse sveglia, quando inciampò su qualcosa di inamovibile.
Parco di forze com’era e senza la possibilità di attutire la caduta con le braccia, riuscì a malapena a inarcare la schiena per evitare di spaccarsi il mento. Audra gli sfuggì, proprio mentre lui cadeva di pancia su una pozzanghera limacciosa. Dovette aver rotolato sul pavimento, perché le scappò un grido di dolore.
Dorian cercò di rimettersi in piedi in fretta per poter controllare che la ragazza stesse bene. La cercò a tentoni, trovandola a pochi metri di distanza.
“Perdonami... una pietra sporgente, credo” ansimò, mettendosi a sedere e tirandola su. ”Pausa?” chiese quindi.
Sì, pausa. Necessitavano entrambi di riposo al più presto e sebbene arrivare alla Tana fosse la loro priorità, arrivarci vivi sarebbe stato senza dubbio ancora più importante. E se non avessero riguadagnato almeno un minimo di forze non sarebbero arrivati lontani.
“E pausa sia... “ Benché detestasse ammetterlo, Audra era davvero provata. Non tanto per la fatica - andare a cavalcioni le aveva permesso di prendere fiato quel tanto che bastava per permetterle di farle sentire di nuovo il dolce solletico di Eclisse - quanto per il dolore. La punta del dardo le toccava la scapola e ogni movimento del braccio o qualsiasi sforzo della schiena le faceva mordere le labbra a sangue, e quella caduta improvvisa non era stata certo un toccasana. Quand'era stata l'ultima volta che era stata ferita seriamente? Non lo ricordava. Da quando era venuta in possesso del diamante, le cose erano diventate facili. Forse quasi troppo. E per questo, forse meno divertenti.
“Colpa mia, avrei dovuto avvisarti... Non dovevo distrarmi o chiudere gli occhi.“ La sua voce, a parte il fiatone dovuto alle fitte, era tornata sicura. Si mise seduta stando attenta a non fare movimenti bruschi, con la sua vista speciale individuò la parete più vicina e vi strisciò trascinando anche Dorian con sé. Per evitare altri sforzi decise di entrare nell'ombra e lo sentì trasalire al contatto, come al solito. Buffo che un dominatore dei ghiacci si spaventasse a quel modo per il tocco gelido del buio. I suoi occhi erano perle nell'oscurità mentre scrutava le tenebre per essere sicura che non ci fossero pericoli. Aveva sentito fin troppe leggende sulle bestie immonde che infestavano le fogne.
“No no, tranquilla, siamo entrambi a pezzi, non devi scusarti...” fu la pronta risposta di Dorian, assestandosi meglio per cercare una posizione che non gli facesse urlare di dolore tutti i muscoli. Ora che lo scontro era terminato da un po’, lo sforzo compiuto per tutti quegli incantesimi su larga scala stava reclamando il suo prezzo in più di una maniera. Per quanto fosse divenuto bravo con il passare degli anni, aveva ancora molta strada da fare prima di potersi considerare un esperto.
“Vedi niente d’insolito? Dobbiamo preoccuparci di qualche leggenda locale?” domandò all’improvviso, rompendo il breve silenzio che era seguito alle sue ultime parole. Sembrava quasi che avesse letto nel pensiero ad Audra, sebbene non si trovasse nell’Ombra come poco prima. Dopotutto, di racconti sulle fogne e sulle catacombe ve ne erano a bizzeffe e anche se né lui né gli altri avessero mai incontrato nulla di persona, di luoghi che non venivano deliberatamente esplorati lì sotto ve n’erano parecchi ancora.
“Se ci fosse davvero qualcosa di mostruoso qua sotto, i tuoi Gatti avrebbero vita breve” sbuffò Audra. “Semmai mi preoccupo delle vipere d’acqua, è stagione di schiusa e tendono a essere aggressive se qualcuno si avvicina al loro nido. Ma per ora non ne vedo.”
Si appoggiò con la nuca al muro, godendosi il sollievo dell’ombra che cancellava ogni dolore, e guardò Dorian. Sapeva che lui non poteva vedere altro che i suoi occhi, eppure inarcò comunque il sopracciglio, dubbiosa. “Che stavi dicendo, là dentro? ‘Sappi che..’?”
Dorian voltò stancamente la testa verso di lei, o meglio, verso i suoi occhi.
“Oh... bé, in effetti stavo per ringraziarti di avermi salvato la pelle per ben due volte. Visto che pensavo fossimo sul punto di crepare mi era sembrato importante tu lo sapessi” rispose quindi semplicemente, la voce quasi un sussurro.
Il sopracciglio di Audra si innalzò ancora di più. “Ringraziarmi di averti salvato la vita mentre stavamo per lasciarci la pelle? Non è un controsenso?”
Per la seconda volta da quando erano entrati nelle fogne Dorian proruppe in una risata, sebbene questa si spense in pochi istanti.
“Direi di sì. Ma questo non significa che non ti fossi ugualmente riconoscente” asserì con calma. “Se fossimo morti non sarebbe stata colpa tua... ci avrebbe distrutti una forza maggiore.” aggiunse quindi, cercando di rendere più chiaro il ragionamento.
Stavolta fu il turno di Audra nel mettersi a ridere. “E ci mancherebbe che fosse pure colpa mia! Se non fosse stato per me, quel dardo ti avrebbe trafitto la nuca!”
“E se non fosse stato per me la chiusa sarebbe rimasta chiusa e ora ci sarebbero due cadaveri in fondo alle fogne!” ridacchiò di rimando Dorian, tornando poi nuovamente silenzioso. “Certo che nonostante tutto abbiamo avuto fortuna” commentò ripensando a tutte le trappole che avevano evitato quel giorno. Sarebbe stata una storia degna di racconto.
“Correzione: UN cadavere! A me sarebbe bastato balzare nelle ombre e lasciarti in buona compagnia, chiusa o non chiusa!” Lei sbuffò, quasi divertita, e incrociò le braccia-ombra. “Ti dirò, per un momento ci ho pure pensato. Ma poi ho riflettuto che non potevo lasciarti morire.”
Dorian fece una smorfia.
“Bé, non ti avrei biasimato devo dire. Non sono in molti che rischierebbero la vita per qualcuno che non conoscono nemmeno. E’ stato molto generoso da parte tua...” la voce dell’uomo si abbassò leggermente verso la fine, quasi in imbarazzo.
Nonostante non fossero connessi dalle tenebre, Audra percepì il disagio dell’uomo e per qualche strano motivo se ne sentì contagiata. Sebbene non potesse vederla, sventolò una mano nell’aria. “Ehi. Cala, cala, Dorian. Non darti troppe arie” ribatté cercando di simulare un’aria scontrosa per spezzare quell’imbarazzo. “Non l’ho fatto per chissà quale nobile intento, tantomeno per giocarmi la vita a beneficio della tua. La verità è che tu, da morto, vali meno della metà. E non avevo affatto voglia di spiegare a un branco di marmocchi piagnucolanti che il loro capo era morto in una maniera così infame.”
Stavolta fu il turno di Dorian a sollevare il sopracciglio.
“Oh, quindi è per soldi che l’hai fatto. Speri ancora di consegnarmi, una volta tornata in superficie?” le chiese quindi in tono sarcastico.
Lei rimase in silenzio per qualche istante. I suoi occhi sparirono, segno che aveva chiuso le palpebre. Quando ricomparvero, stava fissando il pavimento. “E’ tardi per quello” confessò. “Non ricordi cosa ho detto a Dag? Io ho scelto da che parte stare.” Il suo sguardo perlaceo lo trafisse. “Che razza di persona credi che sia? Una che pensa soltanto al denaro? Non sono a caccia, e tu non sei la mia preda. Ma non farmi pentire di questa scelta... Non più di quanto mi sia già pentita, quando mi sono presa quella freccia. Fa un male cane!”
“A giudicare dalla tua parlantina basterà estrarla dai!” ribatté il criomante cercando di non ridere. L’oscurità inghiottì le sue parole, tuttavia, facendoli brevemente piombare di nuovo nel silenzio. “E cosa ti ha fatto decidere da che parte stare?” chiese, curioso.
Audra alzò le spalle anche se sapeva bene che l’altro non poteva vederla. “In parte è stato intuito. In parte sono gli intenti comuni. Ci danno la caccia solo per quello che siamo... Non voglio essere la preda di nessuno. E non voglio cacciare i miei simili solo perché hanno dei poteri, dei doni, delle mutazioni. Non c’è colpa né crimine nel nascere così, o nel diventarlo.”
Si alzò in piedi. “E tu, Maldovar? Cosa ti ha spinto a radunare quei bambini? E cosa ti spinge a fare qualcosa che in verità non vuoi?” Lo fissò con i suoi occhi di madreperla. “Dici che saresti in grado di morire per loro. Che sei addirittura destinato. Eppure hai una fottuta paura della morte. L’ho sentito, in mezzo a quel mare d’acqua, ti sentivo tremare, corpo e mente. Cosa ti spinge a fare qualcosa di simile, senza guadagno alcuno?”
Dorian si rese conto troppo tardi del terreno instabile su cui aveva portato il discorso. Trattenne il respiro per alcuni secondi, per poi sospirare piano, cercando di non far percepire troppo il disagio di cui si ritrovò pervaso.
“Mi ha spinto il fatto che non avessero nessun altro cui rivolgersi. Mi ha spinto il loro coraggio nell’opporsi ad un mondo ben più grande di loro, sebbene questo sia in grado di distruggerli con facilità, potenzialmente.” rispose con lentezza, ponderando ogni parola come pesasse una tonnellata. “E che persona sarei se non temessi la morte? Non sono un essere superiore, non ne sono immune.” proseguì, per poi abbassare il tono di voce in un sussurro rivolto più a sé stesso che ad Audra. “A volte mi sembra che sia l’unica cosa che ancora mi rende umano.”
Lei rimase ad ascoltarlo in silenzio, quasi senza sbattere le palpebre. Quando finì di parlare, rimase pensierosa per qualche tempo. “Sembra quindi che tu abbia delle ottime ragioni per continuare a vivere” ribatté. “I Gatti. La Tana.” Si grattò la testa. “A proposito di tana. Mi puoi assicurare che quando arriveremo lì avremo di che curarci? Una pozione, o un guaritore...?”
“Di pozioni non so se ne abbiamo ancora, ma in caso potrei mandare i Gatti a saccheggiare un laboratorio alchemico inutilizzato da una decina di giorni. Oppure potremmo provare con il capanno del guaritore che si trova nella periferia di Athkatla” rispose prontamente Dorian, cogliendo la palla al balzo per cambiare argomento. “E ad ogni modo sì... la Tana e i Gatti sono il miglior motivo per rimanere in vita...” concluse.
Lei per tutta risposta si mise a ridacchiare. “Ah, la famiglia! La tanto agognata calorosa famiglia... L’arte di risolvere insieme quei problemi che da solo non avevi.”
Una risata amara scaturì dalla gola di Dorian, infrangendosi contro i mattoni del tunnel. “Diamine se hai ragione!” commentò, felice che la vena sarcastica di Audra non sembrasse affievolita dalla situazione in cui versavano.
Lei stirò le labbra in un sorriso furbo, che smorzò in uno più indulgente, ma che Dorian non poté vedere. “Non è importante quello che credi tu, è importante quello che credono loro. E tu per loro sei l’unico punto di riferimento. A parte quel monociglio di Caul.”
Si avvicinò a Dorian e si inginocchiò. A sorpresa gli prese il braccio ferito. “Il tuo ghiaccio ha funzionato, ma sta peggiorando” gli disse ruvidamente. “Con questa schifezza d’aria e di liquami...”
L’uomo trasalì, trattenendo un’imprecazione. Audra aveva ragione, dovevano andarsene di lì al più presto: sebbene la chiusa fosse stata appena aperta e avesse spazzato via tutto, l’igiene di quel posto lasciava decisamente a desiderare.
“Hai ragione, cerchiamo di trovare il tunnel giusto...” disse sollevandosi lentamente in piedi e tendendo una mano nella direzione approssimativa in cui doveva essere seduta Audra. “Torni in spalla?” le chiese. Il cammino era lungo e trasportarla un altro po’ le avrebbe fatto risparmiare più forze.
Lei si alzò con una smorfia. “Ma smettila... “
Senza preavviso s’incuneò sotto il suo corpo. Lo mise a cavalcioni sulla spalla sana in modo da afferrarlo per la gamba, e trattenne il resto del peso sull’altro lato, facendosi passare il braccio di Dorian davanti e afferrandolo per mantenerlo in equilibrio.
“Ma che ca...” l’esclamazione di sorpresa di Dorian fu interrotta velocemente, facendolo ritrovare penzoloni sulle spalle della compagna. “Che diavolo stai facendo?”
“La soluzione più logica” sbuffò lei. Fortuna che era appena poco più alto di lei, o sarebbe stato difficile. “Con quel braccio non puoi sollevare nulla, quindi non fare lo smargiasso. Finché sono nell’ombra il mio corpo ha tutta l’energia che serve per procedere spediti, e non ce la faremo mai a muoverci con rapidità con te che incespichi a ogni passo. Ti faccio notare che non sappiamo ancora se ci sia qualcuno sulle nostre tracce: voglio evitare un altro agguato. Dobbiamo procedere veloci e raggiungere la Tana prima dell’alba.” Non aggiunse il motivo. Non ce ne fu bisogno. L’idea che il giorno la sorprendesse, estinguendo il potere di Eclisse, mentre aveva ancora quella freccia in corpo le risvegliò il ricordo del dolore provato e preferì non ripetere l’esperienza. “Così potrai riposarti un po’. I bambini devono vederti in forze e non in uno stato pietoso, altrimenti potrebbero spaventarsi, e ora come ora non te lo puoi permettere. Non temere, poco prima dell’arrivo ti lascerò camminare con le tue gambe... sia mai che la tua dignità ne esca lesa.” Si guardò la coscia: poteva vedere gli strali d’ombra volteggiare nell’aria, fluendo dalla ferita. Niente dolore, niente fatica: almeno, non subito... Era il “dopo” che non l’allettava. L’estremità spezzata del dardo solleticava la guancia di Dorian: trasportarlo avrebbe peggiorato le condizioni della ferita? Poteva solo indovinarlo, e sperare che nel frattempo la medicazione di ghiaccio limitasse i danni. Mascherò quella preoccupazione dietro un tono scanzonato: “E non fare quella faccia!” aggiunse sbirciando il volto di Dorian che fissava approssimativamente il punto dove era stata colpita. “L’hai detto tu stesso: basterà estrarla più tardi, no? Tu garantiscimi una pozione curativa al mio arrivo e io ti porto fino alla Tana. Ci arriveremo in un baleno.”
“Ah bene, ora sarei uno smargiasso” ribatté Dorian falsamente piccato, piombando però nel silenzio per alcuni secondi. “Non dirlo a Caul.”
Audra si fermò un attimo, voltando lievemente la testa e ghignando furbescamente, anche se Dorian non l’avrebbe vista. “Non una parola.” assicurò, reprimendo una sghignazzata.

Il viaggio procedette in modo incredibilmente spedito. Sembrava quasi che Audra scivolasse senza nemmeno toccare terreno, nel suo stato d’Ombra. Ogni suo movimento risultava fluido e leggero come se nemmeno stesse trasportando un uomo decisamente non leggero sulle spalle.
Man mano che il tempo passava però, una strana sensazione di calore aveva iniziato a spandersi sulla guancia di Dorian. Una sensazione inizialmente quasi impercettibile ma che via via si stava presentando con maggior insistenza a piccoli fiotti. Sollevò leggermente la testa, stranito dal fatto di non sentire il normale freddo delle ombre in quel punto e cercando di vedere qualcosa nel buio. In quel momento, un rivoletto caldo decise di superare il suo mento e scorrergli sulle labbra. Istintivamente l’uomo sputacchiò, con l’unico risultato di ritrovarsi con un sapore metallico in bocca.
“Audra...” cercò di richiamare la sua attenzione senza al contempo allarmarla eccessivamente.
“Cavolo sei stato in silenzio per più di trenta minuti, sono impressionata!” fu il pronto commento di lei. “Che c’è?” chiese quindi in tono stizzito.
“Oh niente, stai solo perdendo sangue come un bufalo squartato, ma non c’è nulla di cui preoccuparsi eh”. Sbuffò di rimando. Avrebbe scosso la testa se avesse potuto. “Se mi fai scendere un attimo ti ghiaccio di nuovo la ferita, almeno non perderà altro sangue così in fretta” propose poi in tono serio.
Lei avanzò per qualche passo ancora prima di rispondere. “Non sono molto sicura di voler tornare me stessa in questo momento” confessò.
“Perché?”
Non rivelare mai i tuoi punti deboli, le aveva inculcato Dag Durnick fin dai primi albori dell’addestramento. Possono ritorcerteli contro. Fu quello a farla esitare, almeno al principio. Eppure l’interesse di Dorian sembrava sincero. E lei stessa non era sicura dello stato in cui versasse ora.
“Quando sono nell’ombra” spiegò, la voce poco più di un sussurro come se temesse quella confessione “io non sento niente. Ferite, botte, urti... potrebbero tagliarmi una mano e non proverei nulla. Non mi sono neanche accorta del dardo finché non sono uscita dal buio. Ma quando torno normale, ecco... il corpo presenta il conto.” Guardò i simboli familiari sul tunnel prima di sorpassare una curva a gomito. Sperò non mancasse molto, ma la frequenza con cui stavano trovando quei segnali le dava da sperare che fossero sempre più vicini, e ciò le montava l’adrenalina. “So che il tuo ghiaccio mi aiuterebbe. Ma se torno normale adesso senza sapere come sono conciata... Immagina che ti si riversi addosso tutto il dolore che prima non hai provato. Ti piacerebbe? Tanto vale farlo con sottomano una pozione curativa. Inoltre” aggiunse “finché non mi tolgo la cuspide, il tuo ghiaccio può fare ben poco: la ferita rimane sempre aperta, perché il movimento la fa allargare sempre. Capisci? E col cavolo che me la tolgo qui e adesso. Rischio di morire dissanguata più di quanto non lo stia già facendo.” L’ultima frase la mormorò a mezza bocca e accelerò il passo. “Vedo una strettoia” annunciò, quasi per distogliere l’attenzione di Dorian dal discorso. “Con un’arcata di ferro. Ti è familiare?”
Dorian fischiò piano al termine della spiegazione, impressionato.
“Fa apparire tutta la faccenda di fondersi con le ombre molto meno allettante, devo dire...” ragionò. “Eppure resta un piccolo svantaggio in confronto a quello che ti permette. Fa sembrare la mia criomanzia uno scherzo, quasi.” continuò, ridacchiando. Quella ragazza avrebbe potuto uccidere lui e Caul senza nemmeno iniziare a sudare, se lo avesse voluto. E chissà cos’altro avrebbe potuto fare...
Le sue elucubrazioni si fermarono però alla domanda di lei. Girò la testa come se si aspettasse di vedere qualcosa di diverso dal buio, per poi rovistare tra i propri ricordi.
“Arcata di ferro? Diamine, siamo vicinissimi!” quasi esultò. “La Tana è a poche svolte: segui la strettoia per circa trenta passi, poi alla tua sinistra troverai un varco che sembra essere un condotto crollato: è fatto apposta per non sembrare sicuro, ma è puntellato bene. Seguilo e troverai una camera circolare con due condotti: prendi quello di destra e seguilo fino in fondo. Quando arrivi ad una grata, fammi scendere.” spiegò quindi mentre percepiva un’ondata di sollievo pervaderlo. Ce l’avevano quasi fatta. Ora restava solamente da scoprire se Caul e i Gatti stessero bene e, cosa altrettanto importante, se ci fosse ancora qualche pozione curativa fra le scorte.
“Ci sono luci sul percorso?” Audra fece quella domanda come se fosse una priorità assoluta.
“No, a meno che non ci sia passato qualcuno di recente” fu la risposta secca.
“Allora speriamo che i Gatti siano rimasti al calduccio nella Tana, o sarà un problema.”
La verità era che il problema più pressante era un altro. Cominciava a vedere male nel buio. Non sapeva se stesse sopraggiungendo l’alba, ma di solito Eclisse non dava preavvisi: il potere si dissolveva di botto, infatti era stato per quello che Dorian l’aveva sorpresa nel suo covo. Accelerò quasi di riflesso e sgattaiolò nella direzione indicata. Rimanere nelle ombre di solito non era più che un piccolo sforzo di concentrazione, ma stava iniziando a patire il prolungato sforzo della ferita, anche se di dolore non c’era, manco a dirsi, neanche l’ombra.
Sinistra, condotto crollato. Volò nell’oscurità, a tal punto i suoi passi erano veloci e sicuri. Dov’era la camera? Continuò a camminare; si sarebbe messa anche a correre, ma non era sicura di mantenere la concentrazione. “Ti odio” mormorò fra i denti. “Sei un falso magro.”
“E cosa vorresti dire con quest-”
Dorian non fece mai in tempo a finire la frase, per sua sfortuna. Dal nulla, infatti, i passi di Audra sembrarono farsi meno fluidi e più incerti... come se non fosse più in grado di scivolare agilmente attraverso le ombre. Fortunatamente Dorian poté contare ogni singola sbandata, nonché tenerne conto sulla fronte con il numero di lividi che le mattonelle della parete gli procurarono. Per alcuni minuti, infatti, si poté udire distintamente un Ahio dopo l’altro, sincronizzato perfettamente con i colpi.
Quando arrivarono alla stanza circolare, sia Audra che Dorian stavano ansimando, sebbene per motivi diversi.
“S-sento di aver raggiunto una nuova sinergia con i tunnel, Audra... tu invece?”
Lei sbuffò. “Se non chiudi il becco, ti faccio fare amicizia anche col pavimento! Con tutta probabilità quei bernoccoli ti renderanno più bello. Dovresti ringraziarmi.”
“Mi dispiace non poter dire che quel quadrello ti renderà meno un pallone gonfiato” fu la pronta replica. “Vedi già il condotto di destra?” tagliò corto poi.
“Sì, lo vedo... Sei pronto a una nuova sinergia?”
“No.”
“Consolati. Neanch’io.”
Audra salì i pochi gradini metallici che la separavano dall’imboccatura e procedette oltre. “Dimmi che almeno ti sei riposato. Testate a parte.”
“Non c’è male, è stata una meravigliosa vacanza” rispose Dorian massaggiandosi la fronte con cautela. “Mi ...faresti scendere?” chiese poi... pentendosene subito dopo.
“Qui è tutto sconnesso, inciamperesti! E siamo vicini...” Lei sembrò essere pervasa da uno strano tono euforico mentre continuava a parlare. “Ricordati che mi hai promesso la pozione. E che sei anche in debito. Mi devi qualcos’altro. Mi devi... mi devi...” Sbandò un poco e tornò in equilibrio. “Un mantello! Oh sì. Un mantello nuovo. Più grande di quello che ho adesso. Così mi basterebbe avvolgerlo sulle persone e non dovrei per forza immergerti nell’ombra per nasconderti dai nemici, razza di ghiacciolo!”
“Certo che ti ho promesso la pozione, per gli Dei! E sì, sono in debito, lo so, mi hai salvato la vita per ben due volte... ma che c’entra tutto questo?” le parole di lei sembravano venir pronunciate in preda ad un delirio euforico assolutamente fuori luogo in quel momento. Gli stava chiedendo un mantello per la miseria! “Ma che c4%%0 stai dicendo?”
Non lo sapeva neanche lei. Il tremore della paura le si stava insinuando nella mente. La stabilità sulle ombre era precaria. Non adesso, si implorò. Non tornare normale adesso. Manca poco. Manca poco...
Le gambe le tremolarono. Parla. Non svenire. Se perdi i sensi, esci dal buio. Non ora! E un pensiero ancora più fulmineo le attraversò la coscienza. Non mostrarti mai debole. Dag lo diceva sempre. Non mostrarti debole. Porta a termine il compito. Fino in fondo. Fino in fondo.
E in quel momento, gli Dei la fulminassero, il suo compito era guidare un ricercato nelle tenebre per salvargli la pelle. Il destino sapeva essere un ingrato.
“Ti sbagli!” esclamò lei con una verve che però si smorzò subito. “Tre... Tre volte.”
Il buio le si serrò intorno.
“Ti ho portato a casa.”
Non disse altro. Crollò in ginocchio proprio a pochi metri dalla grata e stramazzò al suolo.

Dorian la ascoltò blaterare ancora.
La ragazza stava ormai ondeggiando pericolosamente e gli sembrava di essere stato messo su una dannatissima barca mal calibrata. Poi, Audra toccò l’apice di quello che probabilmente poteva essere definito solo come euforia nervosa. Vi furono altri tremiti e ondeggiamenti che portarono l’uomo pericolosamente vicino ad un incontro ravvicinato con una delle pareti del tunnel... il secondo della giornata. D’improvviso, il pavimento iniziò ad avvicinarsi a velocità proibitive, come quando si precipitava in un sogno. Ma quello non era un sogno, sfortunatamente. E il travertino che lo attendeva ancor meno.
“Ma sei defic...!”
Di nuovo, non poté mai finire la frase. Il travertino accolse la sua faccia a braccia aperte, dandogli l’impressione che le ossa venissero sbriciolate dall’impatto.
E rimase lì, immobile, per alcuni minuti.
“Ahio.” mugugnò debolmente, incapace di muoversi.
La ragazza era invisibile nelle ombre. La sua voce s’udì sottile come il vento, quasi timorosa, e aveva perduto totalmente il tono strafottente di prima. “Scusa.” Tentò di ridere per alleggerire la situazione, ma le uscì solo un gracchio distorto dalle ombre. Quando riprese a parlare, sembrò farlo a fatica: “Dorian...” Non le uscì altro.
Nonostante il dolore della caduta gli stesse ancora facendo vedere le stelle, l’uomo si mosse nel sentire il proprio nome. Dapprima lentamente, poi più in fretta quando il pensiero delle ferite di Audra tornò a farsi pressante nella sua mente. Ovvio che si stesse comportando in modo strano. Ovvio che non riuscisse a portarlo più in spalla.
“Dannazione...” strisciò a tentoni per togliersi di dosso dalla ragazza e non peggiorare ancora la sua condizione.
“F-falso...magro...”
“Risparmia il fiato... penso sia ora per me di camminare. Conosco il resto della strada a memoria. Ma prima ti tolgo di dosso quel quadrello...” la voce di Dorian risuonò secca nell’oscurità mentre con le mani risaliva il più delicatamente possibile il braccio ferito di lei, cercando i resti del quadrello. Lo trovò piantato nella scapola, dov’era sempre stato nelle ultime ore.
Dunque, Audra aveva detto che nell’ombra non sentiva nulla. E in effetti, tutti ciò che era successo fino a quel momento sembrava confermare la cosa. Afferrò quindi saldamente il moncherino di legno sporgente, preparandosi. Prese un profondo respiro, infine, dando un forte strattone. In un istante, la sensazione glaciale che aveva attanagliato il palmo della sua mano mutò in un calore quasi bruciante, che sorprese Dorian facendolo sobbalzare. Era talmente lordo di sangue che probabilmente l’asta avrebbe avuto quel colore fino alla fine dei tempi.
“Manca molto?” la voce di Audra giunse debole alle orecchie di Dorian.
“Affatto. Una volta superata la grata arriveremo in fretta ad una delle porte esterne. Ma dietro ci saranno torce accese, dovremo agire in fretta.” le spiegò.
“La mia solita fortuna...” Lei tentò di risollevarsi quantomeno sui gomiti. Ce la fece, ma a discapito del suo stato d’ombra, sentiva la testa troppo leggera. “Dici che ci... che ci saranno i bambini?”
“Non saprei... se sono tornati prima di noi è probabile...”
Lei inspirò a fondo. “Non so che succederà quando tornerò normale” disse in un fiato. “Fallo ora. Usa il ghiaccio... Fa’ luce con le mani. Chiudi la ferita.” Si aggrappò con una mano a una pietra sporgente. La strinse. Ben misera valvola di sfogo, ma non poteva fare altrimenti. “Non... non li voglio spaventare. Non sono... canaglia fino a questo punto.”
Dorian annuì lentamente, comprensivo.
“D’accordo... immagino non debba dirti che farà male” disse solamente.
“Non ho bisogno di essere rassicurata, lo so!” la risposta arrivò caustica senza perdere un colpo.
“Stavo dicendo a me stesso” replicò asciutto, incanalando il proprio potere nelle punte delle dita, che brillarono intensamente lacerando l’oscurità. Nello stesso istante, il corpo di Audra tornò completamente visibile e, senza por tempo in mezzo, Dorian premette le dita glaciali nello squarcio iniziando a cauterizzare quasi istantaneamente nonostante l’ingente perdita di sangue.
L’urlo trovò la via della gola quasi all’istante. Per quanto cercasse di soffocarlo, il passaggio fu troppo repentino e il dolore troppo improvviso, sia quello dell’ustione da gelo, sia quello che aveva sopportato in sordina. Audra vuotò i polmoni schiacciando la faccia sui mattoni. La nausea la accecava. Quando Dorian ebbe finito lei cercò di riprendere fiato, gemendo. Si sentiva vorticare come se il mondo le danzasse davanti agli occhi.
Tutto per un ricercato...
“Dorian...” sibilò in un soffio, soffrendo per ogni sillaba pronunciata. “Non... dirlo... a Dag.” La presa sulla pietra si smorzò lentamente.

L’urlo fu quasi disumano.
A Dorian parve di sentir vibrare le ossa, domandandosi come diavolo facesse un essere vivente a gridare tanto forte. E ne aveva sentite di urla strazianti, in vita sua.
“Muto come una tomba” assicurò in risposta. Almeno sui segreti reciproci erano pari.
Non seppe però se la ragazza lo avesse sentito o meno, dato che doveva essere svenuta pochi istanti dopo aver pronunciato le parole.
Senza indugiare se la caricò in spalla, avanzando verso la grata ed iniziando a rovistare fra le tasche del pastrano. Dopo quella che parve un’eternità trovò finalmente la chiave che cercava, infilandola in un chiavistello rugginoso che emise un sinistro cigolio una volta che venne sbloccato.
Ora la strada era davvero semplice, per fortuna: li attendeva una curva a gomito, superata la quale gli si parò dinnanzi una robusta porta di legno.
Tempo per la seconda chiave, pensò, frugando nuovamente nelle tasche.
Al di là della porta, finalmente, il calore della Tana.
“Avevi ragione, Audra... mi hai davvero riportato a casa...” commentò, un mezzo sorriso che gli stirava il volto stanco mentre continuava ad avanzare, finalmente al sicuro.

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Piccolo angelo bellerrimo crudele sanguinario...

Io sono una creatura del Caos. Ma dal Caos nasce la saggezza, e dalla saggezza il potere.

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