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The Chronicler
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MessaggioInviato: Ven Dic 28, 2018 12:17 pm Rispondi citandoTorna in cima

Un cigolio acuto riecheggiò nella stanza mentre il pesante portone di legno e ferro si apriva verso l’interno. Un uomo entrò con passo indolente, non prima di aver squadrato per bene la figura accovacciata al centro della sala, come per accertarsi fosse ancora lì.
L’uomo scostò dalla testa il suo cappuccio verde sporco, rivelando una testa dalla forma leggermente allungata e con pochi capelli sul cranio. Gli occhi scuri, piccoli e infossati, non perdevano di vista la figura inginocchiata immersa nel buio. La luce della torcia, che l’uomo agganciò ad un anello di metallo al muro, era l’unica fonte di luce presente nella stanza.
Il gocciolio che si avvertiva dal muro opposto era stato fino a quel momento la sola compagnia della figura inginocchiata. Quell’unico rumore ritmico venne interrotto improvvisamente dall’uomo appena entrato, che si schiarì la voce con un colpo di tosse, prima di parlare.
“Bene bene, Vampiro. Bentornato a casa. Permettimi una breve presentazione, tanto abbiamo qualche minuto prima che ti conduca dagli Aurei.”
La figura al centro rimase immobile.
“Mi chiamo Josiel e credo di doverti ringraziare. Se non avessi ucciso il mio predecessore Azariel, non l’avrei potuto sostituire nelle sue mansioni e sarei tutt’ora a svolgere il mio -ingrato- lavoro precedente.”
Un ghigno beffardo si dipinse sul volto magro dell’uomo, dal naso adunco e con un tentativo malriuscito di pizzetto giallastro.
“Questo ovviamente non cambia niente riguardo la tua attuale situazione. Sappi solo che raccoglierò la lezione che Azariel avrebbe appreso, se tu non l’avessi sgozzato come un animale: non toglierò mai quei ceppi che ti inchiodano al suolo. D’altronde è quello che si dovrebbe fare con le bestie feroci, no?”
La figura inginocchiata al centro della stanza non rispose. Pesanti catene inchiodavano le braccia all’indietro, verso il suolo, e anelli di pietra ne cingevano i polsi. Il torso era nudo, per gran parte coperto di sangue rappreso. Non si scorgevano però ferite visibili sui muscoli, in tensione a causa della postura forzata. Il capo inizialmente chino si sollevò appena per guardare dritto verso il suo interlocutore.
Occhi castani rivolsero a Josiel uno sguardo di puro, gelido odio attraverso i lunghi capelli sporchi.


“I dati sono incongruenti.”
“Ne sei sicuro?”
“Sì. Quando è ricomparso, il soggetto ha manifestato un battito cardiaco, e non è possibile.”
“Riesaminalo.”
“Già fatto. Gli organi adesso sono inerti. Nessuna respirazione, nient’altro.”
“Un errore di calibrazione del macchinario?”
“Ne dubito. Era già emerso la prima volta. Due errori non sono concepibili.”
“Pensi sia dovuto all’Anchsar?”
“Forse. Sono solo ipotesi. In tal caso dobbiamo provocare la manifestazione, riesaminando i fattori ambientali e replicandoli.”

Ibrido crollò su un ginocchio. Il disorientamento iniziale gli faceva ballare la vista. Non si era ancora abituato al teletrasporto, ma c’era altro che lo rodeva dall’interno. Da quando aveva bevuto il sangue dell’altro, un senso di disagio si era fatto strada nelle sue viscere e nel suo cervello.
”Bentornato a casa, Vampiro.”
La voce provenne da ogni direzione. Ibrido scrollò il capo e si rese conto di essere piombato nella consueta sala dove faceva rapporto. Tutte le luci erano spente e, sebbene il buio non avesse misteri per lui, quell’immota tranquillità gli instillò un presentimento cupo.
”Oh, grazie. Perché sono già di ritorno? Sono lusingato delle vostre premure, ma non c’era bisogno di...”
La frase gli si interruppe a metà. Le pareti vibrarono e quasi subito Ibrido sentì una forza irrestistibile agguantargli le braccia e tirarle verso le pareti opposte, come fossero catene immateriali e invisibili. Ringhiò di riflesso sfoderando le zanne ancora sporche di sangue.
”Ti avevamo detto VIVO, Vampiro. Che stavi facendo?”
La domanda colse Ibrido alla sprovvista. Non era uno stupido, sapeva che forse gli Inquisitori tenevano traccia dei suoi spostamenti, ma non avrebbe mai creduto così da vicino.
”Che c’è? Mi rimproverate una mancanza di buone maniere...?" mormorò tra i denti.
”Non osare prenderti gioco di noi. Abbiamo rilevato l’entità delle ferite, prima che si rimarginassero. E abbiamo visto le tue azioni. Non stavi adempiendo al tuo compito. Stavi soltanto soddisfando il tuo sollazzo.”
Sospetti confermati. Ibrido ringhiò di nuovo, per la frustrazione. La sua libertà era quindi irrimediabilmente compromessa. La bilancia dei vantaggi cominciava a pendere nella direzione che non desiderava. Doveva riequilibrarla al più presto.
”Non ve l’ho ucciso, no?” sputò con astio. ”So dosare bene le mie forze. Volevo soltanto rendervelo più remissivo.”
”Dosare le forze?” La voce, se possibile, assunse un tono curioso. ”Se avessi voluto renderlo inoffensivo dal principio, avresti usato il tuo potere. Il tocco che brucia. Ma non l’hai fatto. Forse persino tu hai dei limiti.”
Ibrido sgranò gli occhi nel buio. Di male in peggio. Avevano capito i limiti della Forgia contro l’altro Vampiro. Digrignò le zanne e cercò di strattonare le braccia, senza successo. Per un attimo, ma fu una sensazione fugace, ebbe l’impressione di avere i polsi stretti in ceppi, un sentore fisso nel cervello. Un attimo, e la sensazione svanì.
Che diavolo mi sta succedendo? Pregò che almeno i pensieri gli appartenessero. Almeno quelli.
”Il mio potere contro di lui? Rischiavo di rendervelo carbone!” rise, tentando di sviare i loro sospetti.
”Forse.” Ibrido non colse alcuna convinzione in quella voce. ”Lo sapremo presto. Avanti. Rapporto.”
Ibrido esitò. Di norma bastava vomitare il sangue ingerito per eseguire l’ordine, ma stavolta non obbedì subito. Quel sapore in bocca gli stava ancora rovistando le viscere e altro, qualcosa che non capiva, gli stava divorando la mente. Doveva capire cosa gli stava succedendo. E doveva farlo da solo, prima che lo facessero quei dannati incappucciati.
”Non ho mietuto altre vittime” mormorò a mezza bocca. ”I vostri ordini...”
”Conosciamo bene i nostri ordini, Vampiro. Ora obbedisci.”
Per la prima volta da quando era nella ziggurat, Ibrido sentì mancare il controllo sulla situazione. ”Volete farmi morire di sete?! Mi rendereste inutile.”
”Oh non preoccuparti di questo, Vampiro” lo rassicurò la voce, senza premura alcuna nel tono. ”In alcun modo sarai inutile.”
”Volete rimandarmi a caccia?”
”Niente caccia per te, per un bel pezzo” fu la risposta, e prima ancora che Ibrido potesse replicare, la stanza svanì.

Un crepitio, dapprima sottile e poi via via più intenso, scosse la sala ovale ai piani superiori della ziggurat. Un piccolo globo di luce comparve e iniziò a pulsare al centro della stanza finché, in un silenzioso lampo di luce, d’improvviso si materializzarono il Vampiro, ancora incatenato al suolo, e il suo custode umano Josiel leggermente scosso a causa del teletrasporto.
I sette uomini erano seduti al grande tavolo circolare in pietra scura che il Cronista ricordava. Sembrava che fossero rimasti sempre lì, in paziente attesa del suo ritorno.
“Bentornato, Vampiro.” lo salutò l’uomo incappucciato al centro. Il Cronista alzò la testa, fissando dritto negli occhi l’umano che aveva parlato. Né la penombra né la tunica nera potevano nasconderne del tutto i lineamenti. Il Vampiro intuì una mascella volitiva, occhi cerulei e un ciuffo di capelli biondi sulla fronte.
“Hai commesso un grosso errore a fuggire. Un grosso ed inutile errore. Come vedi la nostra tecnologia è sufficiente a riportarti qui da qualunque buco deciderai di nasconderti. Se non ti abbiamo riportato indietro immediatamente è stato solo per lasciarti riavvicinare ai tuoi vecchi compagni e potervi studiare con comodo.”
Il Cronista non fiatò.
“Ora, ci troviamo in una spiacevole situazione: prima che decidessi di tradirci e di darti alla fuga, avevamo concesso di lasciarti studiare più da vicino il Nucleo di questa struttura.” l’uomo appoggiò i gomiti sul tavolo e congiunse le mani al centro, davanti alla bocca, in atteggiamento riflessivo “ovviamente tale concessione è revocata. Cercheremo di trovare altri modi per lavorare su quel progetto senza il tuo aiuto. Ma non temere...” portò l’indice della mano sinistra verso il Vampiro inginocchiato “abbiamo altri piani in serbo per te. Un altro progetto per il quale il tuo aiuto potrebbe essere prezioso.”


Ibrido comparve di botto in una stanza che non aveva mai visto. Una sala ovale, dall’illuminazione quasi fastidiosa. Di buono fu che le braccia erano tornate libere, anche se non sapeva perché avesse ancora il sentore di avere i polsi serrati da qualcosa d’invisibile. Di cattivo fu la presenza sgradita che si trovò di fronte: lo squadrone degli Aurei al completo. Compreso Qain, che lo aveva accolto nei primissimi secondi della sua non-vita e con cui aveva stretto il patto di mutua convivenza.
Ma non era solo.
Accanto a lui, in ceppi e accompagnato da un uomo incappucciato, stava l’Altro. Il Creatore. Logan. Il Cronista. Nendai-ki henja. Gli appellativi fioccarono come grandine nella sua mente. La sola vista gli accese lo spirito della battaglia. Ringhiò e sfoderò le zanne, ma l’altro non sembrò neanche vederlo, gli occhi fissi sul Consiglio di Aurei che aveva di fronte. Neanche il suo aguzzino parve badare a lui. Ibrido non capì subito, finché non si accorse del tremolio dell’aria che li separava. Un muro invisibile. Li avevano isolati.
Guardò i polsi stretti nei ceppi e il collegamento che fece con le sue sensazioni lo disorientò. La stessa morsa al petto che aveva provato durante il morso si rifece viva e, d’istinto, vi si portò la mano. Avvertì un sussulto, poi più nulla. Che gli accadeva, dannazione?

”Di nuovo. Hai visto?”
“Avevi ragione. Direi che possiamo rendere tesi la nostra ipotesi. E per quanto riguarda le possibilità dell’immunità superiore... direi che abbiamo trovato i soggetti ideali. Sia la cavia, sia l’alchimista.”


”Perché mi avete portato qui?”
”Per illustrarti il tuo nuovo compito” fu la risposta recisa di Qain. Non muoveva le labbra, ma era come se la voce venisse direttamente dalla stanza, come al solito. ”Quell’uomo non dovrà uscire dalla stanza che gli sarà assegnata. Lo sorveglierai tu. Osserverai il suo operato e farai adeguato rapporto. Lo terrai a bada e sederai qualsiasi suo tentativo di rivolta.”
Quella proposta risultò alle orecchie del Vampiro, se possibile, un insulto ancora peggiore di essere tenuto prigioniero da barriere invisibili. Ma non solo. Continuava a guardare il Cronista attraverso quel vetro incorporeo e improvvisamente una sorta di orgoglio ferale lo investì in pieno. Un avversario, l’unico avversario degno di lui, tenuto in ceppi, SPRECATO! Lo voleva per sé, senza dividerlo con nessun altro. Gli apparteneva!
Qualcosa dovette trasparire dalla sua espressione, perché avvertì di nuovo una sorta di tensione ai polsi. Lo stavano per imprigionare ancora in quelle catene incorporee? Attese, ma non accadde nulla. Corrugò la fronte, senza mollare l’altro Vampiro con lo sguardo.
Era possibile? Stava avvertendo le stesse sensazioni dell’Altro? Si leccò il sangue sulle labbra. Doveva essere soltanto un riflesso, non altro.
”Come mai quest’uomo è vostro ospite?”
”La cosa non deve interessarti” replicò Qain senza scomporsi. ”E allora come saprò che sta portando avanti il suo lavoro?”
”Limitati agli ordini che ti abbiamo dato. Sapremo noi quando avrà terminato. Quando accadrà, sarai libero di scannarlo come più ti piace. Ma fino ad allora, deve rimanere vivo, e al sicuro, finché non avrà concluso il suo compito. Questo è il patto.”
”Per essere un Aureo, sei piuttosto generoso con i patti...” si complimentò Ibrido con falsa ammirazione. ”E se dicessi di no? Tanto per chiedere, eh... Sono solo curioso di come...”
Una scudisciata gli afferrò la schiena e lo piantò in ginocchio, esattamente come prima.
”Posso chiedertelo o posso farti obbedire con una semplice iniezione, Vampiro”, lo apostrofò Qain senza fare una piega. ”A te la scelta.”
Balle. L’orgoglio di Ibrido gli fece vibrare la gola con un ringhio. So perché sono ancora... vivo, e soprattutto me stesso: perché non vuoi perdere il tuo Anchsar. Bene, me lo terrò stretto. Finché mi fa comodo.

D’improvviso l’Aureo al centro tacque, come in attesa di un cenno di risposta da parte del Cronista. Cenno che il Vampiro non mancò di evitare. Si concentrò invece sui ceppi che lo inchiodavano al suolo. La prima volta, da solo al buio, aveva provato a strattonarli per saggiarne la resistenza; l’unico risultato ottenuto, uno scatto all’indietro dei ceppi che gli aveva fatto schioccare le scapole. Inutile tentare ancora: quegli umani sapevano bene il limite fisico di un Figlio della Notte.
Dopo qualche minuto di attesa, d’improvviso avvertì un tremolio alla sinistra del suo campo visivo. Con stupore e una punta di sgomento si accorse di avere l’Ibrido a poche spanne da lui. In ginocchio, stava guardando dritto verso gli Aurei, completamente disinteressato alla sua presenza. Bastò un’occhiata all’aria che sembrava vibrare tra lui e l’altro a chiarire.
Non mi vede. Tra noi è stata posta una barriera.
Osservò l’Ibrido con cui aveva combattuto poche ore prima. Cercò di intuire in quelle forme ferali, negli occhi color sangue, una qualche traccia dell’amico scomparso.
Aygarth...
Il dolore che gli invase il petto fu improvviso e impietoso. Era mortalmente stanco e mentalmente a pezzi. L’essersi ricongiunto per pochi giorni ai suoi vecchi compagni d’arme, scoprire che niente era rimasto del loro antico legame, lasciarsi consegnare come un traditore ad un carnefice dalle fattezze del suo vecchio amico e fratello, erano sentimenti che urlavano senza pietà nelle sue viscere. L’umanità di cui Aygarth gli aveva fatto dono era ormai diventata un fardello che lo legava in ceppi ben peggiori di quelli che lo bloccavano.
”Ti presento il tuo nuovo esperimento, Vampiro.” la voce di Qain, che permeava la stanza, lo costrinse a focalizzare la sua attenzione nuovamente sul gruppo di umani incappucciati. Forse solo per questa brusca interruzione non si accorse di come l’Ibrido avesse spalancato gli occhi dalla sorpresa quando il nome di Aygarth era comparso nella sua mente.
”Avrai nuovo materiale biologico su cui lavorare, e anche un nuovo guardiano. Entrambe le cose sono qui alla tua sinistra, in questo momento sorde alle mie parole.”
Nonostante la situazione in cui stava per precipitare, il Cronista non poté fare a meno di notare il sibilo di frustrazione di Josiel alla sua destra: il Vampiro era stato probabilmente l’incarico più breve della sua carriera.
”Questo Ibrido non conosce ovviamente l’entità dell’incarico che sto per affidarti. Ma sa esattamente come tenerti a bada: l’abbiamo visto prima di riportarvi qui entrambi.”
“Tenterà di uccidermi non appena gli darete la possibilità di vedermi. Avrete due cani che si azzannano a giro per i dedali di questa struttura. Davvero volete commettere questa sciocchezza?”
Davvero, sì. Sappiamo come tenerlo a bada, e lui terrà a bada te.”
Incurante dello sguardo assassino che il Cronista lanciò all’Aureo, la voce di Qain continuò a riempire gli spazi della stanza ”C’è una cosa che vogliamo tu estragga da lui. Dovrai partire dal composto che hai sviluppato per i Mietitori e che li ha resi refrattari a qualunque arte magica. Ha funzionato egregiamente. Dovrai compiere un passo in avanti. Come immagino tu sappia il corpo di questo Ibrido custodisce molto di più di semplici arti magiche: con il materiale organico che ti procureremo, dovrai plasmare il composto in modo da rendere il materiale inerte da qualsiasi tipo di magia. Qualsiasi.” Il Cronista capì ”Quando sarà pronto, il tuo guardiano diventerà la tua cavia. Lo renderemo inoffensivo, e gli inoculerai il siero. Dopo, penseremo noi al resto.”
Il Vampiro non sprecò fiato a chiedere il perché. Intuiva il motivo e ricordava bene la conversazione precedente che aveva ascoltato, sempre in quella stanza ovale, riguardo l’Anchsar.
Osservò l’Ibrido, e il suo sguardo corse in un guizzo sui suoi tratti bestiali.
Se Aygarth è ancora lì dentro, da qualche parte, è l’Anchsar a custodirlo. Svilupperò il siero e, quando sarà il momento, l’Anchsar verrà con me. E Aygarth con esso.
Si voltò nuovamente verso l’Aureo al centro e annuì con un breve cenno del capo.

Un’ondata inesplicabile gli invase le viscere. Ibrido spalancò gli occhi cremisi. Non era una sensazione fisica, ma qualcosa di più simile a uno stato d’animo, che però gli era sconosciuto, mai provato in prima persona. Gli toccò rovistare nei ricordi del passato per trovare traccia di quanto gli stava accadendo. E la trovò, in molteplici occasioni.
Tristezza.
Assurdo! Perché si sentiva in quel modo? Era furibondo, umiliato, desideroso di rivalsa e di vendetta. Ma non c’era neanche motivo di contemplare quel sentimento! Non per un predatore come lui!
Adocchiò la barriera che lo separava dall’Altro, ora opaca. Aveva perso il contatto visivo. Maledizione! Da quando aveva assaggiato il suo sangue, il corpo e la mente avevano iniziato a fargli scherzi, a non renderlo più padrone di se stesso. E la cosa peggiore, ne era sicuro, era che anche gli Inquisitori se ne sarebbero accorti. A quelle teste incappucciate non sfuggiva niente.
Si raggelò all’improvviso. Avvertì un sussulto nel petto... un battito.
IMPOSSIBILE!
Cessò prima ancora di terminare il pensiero. Ibrido si ritrovò a inspirare aria nei polmoni pur non avendone bisogno. Un riflesso della sua vita precedente, di quando lo sgomento gli paralizzava la ragione.
Eppure...

Rumore di ingranaggi. Nelle orecchie, tutt’attorno.
Stavolta ebbe coscienza di aprire gli occhi. Dentro di sé vibrava ancora il suo stesso grido, un’eco che si perdeva nel nulla.
Non sapeva dove fosse. Non era l’altra parte, no, l’aveva vista e la temeva come fosse il peggiore degli incubi. No, era da un’altra parte. E doveva capire dove.
Una luce fioca illuminò quel buio che credeva eterno.
Senza indugio si mosse - o così gli parve - come una falena attratta dalla lanterna.


Ibrido serrò le zanne, uno spasmo incontrollabile. Il cuore. Il cuore aveva dato un battito, stavolta l’aveva sentito davvero. Per un istante.
Controllati! Qualsiasi cosa succeda, è colpa dell’Altro. Dissimula. Non mostrare segno. Non devono sapere. Devo capire io per primo. Io prima di loro.
”Accetto!” ringhiò, e un sorriso crudele gli sfiorò le labbra incrostate di sangue.
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MessaggioInviato: Ven Gen 04, 2019 3:23 pm Rispondi citandoTorna in cima

[Anchsar]

La luce non si è ancora spenta. Una lucciola che gli instilla la speranza.
La segue. Tallona ogni suo guizzo, ogni suo movimento, come se fosse l’unica risposta a ciò che succede. A ciò che è.
Si avvicina. Protende la mano che non è una mano. Protende se stesso.
La luce, da misera scintilla, diventa un faro. Un sole. Un mondo...

...assordante.
Aygarth ebbe la sensazione di essere caduto da una grande altezza. Il primo istinto fu di portarsi la mano al petto dove, a quel risveglio, aveva provato un dolore lancinante, subito scomparso. L’ultimo ricordo che aveva di sé era un pugnale. Freddo e implacabile tra le carni, nelle ossa. Nel cuore.
TLA-CLUNK! TLA-CLUNK!
Era raggomitolato in posizione fetale su una lastra di metallo fuligginoso. Allungò le mani e ne saggiò la consistenza col tatto. Non era un’illusione.
Metallo?
E quel fracasso... non cessava. Ferro che strideva, cacofonie ritmiche...
Aygarth alzò lo sguardo per la prima volta. Quasi si pentì di averlo fatto. Da dovunque fosse caduto - se così davvero era successo - era atterrato su una sorta di piattaforma circolare, non più grande della piazza di Athkatla. Tutt’attorno...
TLA-CLUNK! TLA-CLUNK!
Sbatté le palpebre, incredulo. Non c’erano muri o soffitti, ma solo un conglomerato di ruote dentate, leve, stantuffi e cingoli. Il movimento, solo a una prima apparenza scoordinato, obbediva a un ritmo che ad Aygarth ricordava fin troppo un battito cardiaco. Si incastravano alla perfezione l’uno nell’altro, come se ogni centimetro di quel luogo fosse stato accuratamente studiato per stiparvi più meccanismi possibili senza che il lavoro di ciascun tassello disturbasse quello degli altri.
Il giovane fabbro si alzò in piedi, trovando le gambe fin troppo leggere. Si passò una mano sul petto e per un istante ebbe la sensazione di sfiorare, proprio al centro, una sorta di foro freddo e profondo. Si guardò con terrore, ma non vide altro che il proprio torace, sfregiato dalle cicatrici delle battaglie che aveva affrontato nella sua breve carriera di alabardiere.
Ma dove diavolo sono?!
Nell’Anchsar.
Ad Aygarth scappò un’esclamazione di sorpresa. Indietreggiò fin quasi al bordo della piattaforma, fino a saturarsi i timpani col macinare degli ingranaggi. Eppure non aveva paura. Sembrava una voce femminile, ma non era quella di Zadris.
Zadris! quasi pensò di riflesso, con un’onda di panico, e all’istante le ruote dentate acquisirono velocità. Spaventato da quella reazione, Aygarth si costrinse a calmarsi, respirando a fondo per dominare le emozioni. Quando il ritmo dei meccanismi tornò quello consueto, ebbe la certezza che quell’ambiente rispondesse al suo stato d’animo.
Chi sei?
Non mi conosci, ma ti ho osservato, attraverso altri occhi. Ho assunto altre forme e ascoltato un altro battito prima del tuo. Un battito spirituale, colmo di potere e conoscenza. I cingoli rallentarono come a voler produrre meno rumore. Mi chiamavano Shantia, ma ora è un nome senza significato. L’Anchsar ospita il mio spirito da tempo. Mi ci sono fusa.
L’Anchsar... I ricordi si riversarono nella mente come un ruscello gelido. Ricordava Ainlime. Il giorno del suo incontro con la compagnia. Darth sul letto, esanime. Honoo che gli impiantava l'artefatto nel petto. E poi, miglia lontano e in un tempo che sembrava così remoto, l'anima di Darth che permeava la sua. Il suo spirito che gli donava le conoscenze, che lo plasmava in un certo qual modo. Donandogli tutto... anche quello.
Un senso d’oppressione gli montò nel petto. Sono... morto...?
Sarebbe la terza volta, non è vero? La voce, che proveniva da ogni dove, sembrò tuttavia priva di scherno. Ma così non è. Non sei morto, Aygarth della Forgia. Ti ho reclamato prima che il tuo spirito si dissolvesse.
Dov’è Zadris?!
Non posso saperlo. Ma se tu vivi, ella vive. Così è sancito.
Allora... Aygarth si guardò intorno. Questo luogo...?
La prima volta che hai visto l’Anchsar con i tuoi occhi, era solo un artefatto meccanico. Ma il Maestro delle Matrici l’ha reso spirituale, una volta nelle sue carni. E’ la tua mente a dare realtà a quanto vedi. Lo spirito reagisce allo spirito.
Ecco perché quella sorta di panorama bizzarro. La prima immagine che lui aveva dell’Anchsar, trasfigurata dal suo inconscio. Dovette trascorrere qualche secondo perché Aygarth accettasse quell’ennesima verità.
Ma se tu... se tu mi hai preso, ora che ne è del mio corpo? Che ne è della Forgia? Ricordò la pugnalata, lo scivolare via senza un gemito. Si era spento quasi troppo velocemente. Io posso guarire! Lo hanno già fatto... Honoo aveva... Sentì il sapore del dubbio nelle sue stesse parole. Perché non posso uscire? A che pro tenermi qui dentro se non posso vivere?
Si diresse rapidamente verso il bordo della piattaforma. Shantia, o qualsiasi cosa fosse viva nell’Anchsar, non disse nulla. Nell’avvicinarsi, i marchingegni reagirono facendogli spazio, manco scansassero un appestato. Il pavimento si allungò, plasmandosi in un corridoio che Aygarth percorse a passo svelto, nell’eco cacofonico degli ingranaggi in movimento. Quand’anche l’ultima ruota dentata si scostò per dargli strada, si ritrovò di fronte a un muro di ferro. No, non un muro. Una porta.
La toccò e subito ritrasse la mano. Era rovente, ed era bastato quel singolo contatto per avere il palmo strinato, come se l’avesse immersa nel fuoco vivo. Aygarth sentì montare la collera.
Perché non mi fai uscire?!
Perché non puoi.
D’improvviso, uno zigrinio sulla porta. Una finestrella sorse dal nulla. Aveva il vetro in parte affumicato. Aygarth vi posò un avido sguardo.
Nonostante l’opacità del vetro, ciò che vide fu fuoco allo stato puro.
Era come un tornado di lava. Non poteva avvertirne il calore, ma fu sufficiente guardarlo per percepirne il tocco rovente fin dentro l’essere. Non vide dettagli, solo quella furia di fiamma che non dava tregua.
Che diavolo è?!
Fu allora che udì la risposta che lo raggelò.
La Forgia.
Aygarth arretrò, sconvolto, gli occhi fissi sul palmo strinato. Non è possibile, balbettò nella mente. Perché dovrebbe ferirmi? Perché dovrebbe essere un pericolo per me? Io sono il Detentore!
Non è a te che obbedisce, ora. Non lo capisci, Aygarth? Non ti sto proteggendo dalla morte. Ti sto proteggendo da LUI.
Lui CHI?
E non appena lo disse, una puntura dolorosa gli arpionò il labbro inferiore. Si portò una mano alla bocca e avvertì, per un istante infinito, i canini ipersviluppati sfiorargli la pelle. Cadde bocconi, incredulo.
No!
Un pugno sul metallo.
No, no, NO!
Mi dispiace, Aygarth... La voce di Shantia assunse una nota sconsolata. E’ nato.

_________________
Piccolo angelo bellerrimo crudele sanguinario...

Io sono una creatura del Caos. Ma dal Caos nasce la saggezza, e dalla saggezza il potere.

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MessaggioInviato: Mar Gen 08, 2019 8:30 pm Rispondi citandoTorna in cima

[Ore dopo]

Spire luminescenti attraversarono la sala buia. Ibrido aveva imparato a tenerle d’occhio e non fidarsi. Era stato ricondotto lì, ma non ne sapeva il motivo. Perlomeno non era rimasto immobilizzato. Toccò il petto ora inerte. Nessun altro segno. Quel silenzio non lo convinceva.
Un sibilo, come del vapore che fuoriusciva dalla caldera. Il Vampiro si guardò intorno. L’oscurità non rivelava nulla. Pensò di ricorrere alla precognizione, ma si accorse che la sala era schermata. L’unica arma su cui poteva contare era la Forgia, ma neanche quei sensi speciali rivelarono presenze viventi.
D’improvviso il dolore.
Lo avvertì al braccio, lancinante. Vi si portò l’altra mano e si accorse che vi era impiantato un aculeo sottile, collegato a una sorta di tubo che spariva sul soffitto. Era apparso dal nulla, rapido come una serpe. Imprecando fra sé, Ibrido si scostò con uno strappo, disincagliandosi in fretta, ma non abbastanza da non avvertire un’orrida sensazione di risucchio prima che l’aculeo schizzasse via.
”Che diavolo...?!” Voltò lo sguardo in tutte le direzioni, le zanne sfoderate. ”Che significa?”
La voce dell’Inquisitore giunse lontana, metallica, come se provenisse da una conca di rame.
”Il tuo sangue, Vampiro. Al momento siamo a corto di... provviste adeguate per persone della vostra risma. Tu hai bevuto a sufficienza nelle scorse ore, ma l’alchimista ha bisogno di nutrirsi. Un sorso basterà a permettere che non muoia.”
”Morire...? Cosa..." Al di là del controsenso pronunciato, a Ibrido bastò un’occhiata ai propri ricordi per capire l’inutilità di quell’operazione. ”Lui non si nutre col sangue! E’ diverso da me! Comunque, se proprio ci tenete a saziargli la Sete, fatemi uscire e catturare qualche preda, almeno sarà sangue fresco e non di…”
Una sferzata invisibile gli aprì una ferita sulla schiena. Il Vampiro crollò in ginocchio. Non riusciva a individuare la fonte di quegli strumenti di tortura, né se fossero oggetti fisici o manifestazioni d’energia. Quel che era peggio, non riusciva a prevederli e quindi schivarli.
”Ricordati il tuo compito. Sei il suo guardiano e nient’altro. Ora assolvilo.”

Il sangue scorreva lungo un piccolo solco del diametro di un pollice che scendeva, risaliva e si rituffava verso le viscere della ziggurat. Il canale baluginava di un tenue colore verde e il liquido ne seguiva fedele il percorso, incurante di curve strette e gravità. Infine terminò il suo percorso sbucando dentro una stanza rischiarata dalla luce di alcune torce, dove immobile una figura attendeva.
Il piccolo ruscello cremisi cadde senza fretta in un’ampolla di vetro. Quando le ultime stille di liquido finirono al suo interno, mani affusolate prelevarono l’ampolla dal tavolo in legno scuro su cui era appoggiata e la soppesarono.
Il Cronista si spostò con l’ampolla verso la parete opposta all’ingresso, su cui erano appese e custodite alcune fiale di liquido trasparente. Ne prelevò due e aggiunse alcune gocce di entrambi i composti all’interno dell’ampolla. Il sangue contenuto nel recipiente acquistò sfumature di colore viola acceso. Si spostò quindi al centro della stanza, verso una ruota dentata in legno da cui alcune cinghie si dipartivano e scomparivano in un foro nel muro. Versò il contenuto dell’ampolla in una fiala di vetro e la tappò; ripose l’ampolla in un cassetto di un vecchio scrittoio in legno e posizionò la fiala in un incavo della ruota dentata. Azionò una leva, e la ruota iniziò a girare, dapprima lentamente, poi acquisendo via via velocità. Dopo alcuni minuti di velocità sostenuta il Cronista riposizionò la leva nella posizione precedente e la ruota rallentò fino ad arrestarsi. Staccò la fiala dal suo alloggiamento e la osservò al chiarore delle torce. Il suo contenuto era ora di colore omogeneo.
Stappò la fiala e la agganciò ad un supporto posizionato sopra un piccolo braciere. Agganciò alla sua estremità un piccolo tubo trasparente e flessibile e ne seguì con lo sguardo il percorso. Il piccolo tubo si divideva in tre rami, le cui estremità terminavano all’interno di tre piccoli recipienti. Dopo qualche minuto, il calore iniziò a far ribollire e poi evaporare il liquido viola contenuto nella fiala. Osservandone distrattamente il vapore che fluiva e si divideva nei suoi tre principali componenti, Il Cronista toccò il tubo flessibile. Ingegnoso. Non ho mai visto un materiale così duttile. si trovò a pensare suo malgrado. Il cigolio della pesante porta d’ingresso in legno e ferro lo strappò a quel pensiero.
Ibrido entrò nella stanza dove era tenuto prigioniero il Cronista. Teneva il volto in ombra; solo gli occhi erano gocce cremisi e vivide, e l’occhiata che gli scoccarono non fu affatto delle più amichevoli. Senza dire una parola si avvicinò a un angolo sgombro e incrociò le braccia, spaziando con lo sguardo sul tavolo colmo di alambicchi e fogli ricchi d’appunti.
“Un nuovo giocattolo per i tuoi padroni?” lo schernì. ”Non l’avrei mai detto... Sembra che tu ci provi gusto a rendere capolavori le tue creazioni, per questi...” Non finì la frase. Non sapeva se fossero ad ascoltare. Anche se lo intuiva.
Il Cronista non si voltò, resistendo alla tentazione di non dare le spalle ad Ibrido, ed osservò con tranquillità il vapore che saliva verso l’alto nel peculiare tubo trasparente dividendosi nei tre rami. “Un nuovo giocattolo? Forse. Se riuscirò nel mio intento.” Dopo qualche minuto, il vapore iniziò a condensarsi all'estremità del ramo più in basso. Quando la prima stilla ricadde nel recipiente posto al di sotto, l'alchimista si voltò verso Ibrido e ne studiò il volto con sguardo vigile “Tu invece? Ci provi gusto ad essere il loro cane ubbidiente?”
Ibrido allargò un sorriso, meno strafottente ma non per questo meno inquietante. Avrebbe potuto dare una risposta al fulmicotone, ma di certo non poteva smascherarsi da solo. “Meglio il loro cane che lo zerbino dell’Uomo-Antico. Tu dovresti saperlo. E poi..." Afferrò le spade e le lanciò in orizzontale lasciando che si impiantassero nella parete fino all’impugnatura, due segmenti affiancati. Con un balzo leggero vi saltò, e girò sui talloni accovacciandosi per sorvegliarlo. “...come dicevo, e poi hanno già i loro bravissimi cani. Sono degli ottimi cacciatori, oh sì.”
Con la mente risalì ai ricordi in cui i Mietitori giunsero alla fucina del fabbro. Ricordò la porta sfondata, il panico del ragazzo, la Forgia inerte, e il lembo di muscolo della schiena strappato con un solo morso. Per poco non era emerso quel giorno... ci era mancato davvero un soffio.
Il volto del Cronista non si scompose alla vista delle due spade conficcate nella parete. Ma socchiuse gli occhi di colpo, come distratto da un pensiero improvviso, quando Ibrido menzionò i Mietitori. Per un attimo aveva avuto la sensazione di trovarsi di nuovo nella cucina della sua casa a Garmya, solo e in attesa che gli Inquisitori venissero a prenderlo per costringerlo a lavorare per loro. Aveva convinto Kyla a scappare ed era rimasto solo ad aspettarli: in quel momento gli era parsa la cosa più giusta da fare, per il bene della ragazza. Sentì risuonare nelle orecchie il rumore della porta di casa sfondata e il brontolio sordo dei Mietitori che, implacabili, si portavano al centro della stanza per sopraffarlo. Tentò di liberare qualcosa dentro di sé (la sua furia da combattente? La sua Sete da Vampiro?) ma invano. Fu sopraffatto dalla paura e chiuse gli occhi con uno scatto in attesa di essere aggredito. Li riaprì dopo pochi attimi, e il suo sguardo acquistò consapevolezza mentre lanciava un’ultima occhiata ad Ibrido. I Mietitori non l’avevano mai braccato. Lui stesso li aveva creati per gli Inquisitori.
Questo ricordo non è il mio.

[Anchsar]
TLA-CLUNK!
Nonostante il fragore dei marchingegni, Aygarth sentiva soltanto un profondo silenzio attorno a sé. Dentro di sé.
Ha preso il controllo mormorò alla sala vuota. Non era una domanda, ma percepì l’esitazione di Shantia e ne ebbe la conferma. Che cosa ha fatto? Nel momento in cui lo chiese, scoprì di aver paura di scoprire la risposta. Shantia, tu hai visto che cosa ha fatto?
L’ho sentito.
Dimmelo...!
Sarebbe inutile, giovane guerriero. Dovresti vedere coi tuoi occhi per comprendere e, per farlo, dovresti forzare i ricordi del Vampiro. Così facendo, lui si accorgerebbe di te e ciò non deve accadere. Se Ibrido...
Ibrido?!
E’ il nome che si è scelto. Se Ibrido scoprisse che tu sei qui dentro, farebbe di tutto per annientarti. Sei l’ultimo appiglio alla vita, tua e di Zadris... e un non morto non può permettere che la vita torni nel suo corpo. Il tono di Shantia si fece più indulgente. Il tuo è stato uno spirito morente per parecchio tempo, Aygarth. Devi ripristinarti, altrimenti non riuscirai mai a fronteggiarlo. Né lui, né la Forgia che ora comanda.
Aygarth chinò il capo. La spossatezza che avvertiva era fin troppo reale. Cercò di rimettere in ordine i pensieri. Chissà che ne era stato di Zadris... E Lao! Fuggito o catturato ancora? Non lo sapeva. Che avrebbe dato per scoprire quanto era accaduto.
Era lui anche prima? chiese al vuoto rumoroso che lo circondava. Il contatto che ho percepito, quando mi sono svegliato. Era Ibrido?
No, Aygarth. Era l’altro.
Chi? e non appena lo pensò, la sala venne invasa da una cacofonia di voci che riuscì a sovrastare il clangore metallico dei meccanismi. Dovette tapparsi le orecchie per non esserne sopraffatto. Tutte le voci erano identiche alla sua. Voci di ricordi.
“Cronista! Colui-Che-è-Come-Un-Fratello! Il Protetto della Forgia! Il Vampiro! Logan! LOGAN! LOGAN!”
Aygarth si ritrovò carponi cercando di dominare l’ondata di emozioni che lo aveva travolto. Quando fu sicuro che il riverbero assordante fosse cessato, staccò le mani dalle orecchie e osservò, sgomento, i macchinari che si ammansivano.
Lui?! Com’è possibile? Era qui? QUI? Shantia?! Rispondimi!
Lui E’ qui. Ora.
Quella risposta lo folgorò. Si guardò intorno, preso da una smania incontrollabile. Non sapeva esattamente cosa fare. Gridò il nome del fratello a più riprese, ma la sua voce venne coperta dai TLA-CLUNK dei cingoli. Frustrato, si acquattò di nuovo per terra, artigliando il ferro.
Calmati. O ti sentirà!
Voglio che mi senta lui, non Ibrido! Voglio che sappia che sono qui! Come ci riesco?! Lo sperava ardentemente. Era aggrappato a quella piccola speranza come se fosse l’ultima della sua vita. Voglio sentire! Insegnami! Voglio sentire! Tu dici di sentire il mondo esterno, di vedere ciò che fa Ibrido! Voglio farlo anche io!
Senza aspettare risposta dalla presenza, si sdraiò sul pavimento come a volerlo auscultare. Ogni pensiero volò al fratello di sangue, e persino i macchinari ne seguirono il ritmo. Un ultimo grido in quel delirio di metallo.
LOGAN!
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MessaggioInviato: Mar Gen 08, 2019 11:29 pm Rispondi citandoTorna in cima

[Athkatla]

La luce soffusa delle lampade ad olio colpì l’occhio di Dorian come una stilettata. Abituato ormai alle tenebre delle fogne, infatti, la sua vista sembrava essersi dimenticata di come fosse fatta una torcia, tanto da renderlo cieco per alcuni interminabili secondi.
Si trascinò lentamente lungo la galleria d’ingresso, sorreggendo Audra con fatica nonostante fosse parecchio più leggera di lui. Ma non vi era un istante da perdere.
“UOMINI, A ME!” gridò con quanto fiato gli era rimasto in corpo, sperando che qualcuno nella Tana lo sentisse.
Forse non la mossa più intelligente, visto che il luogo avrebbe potuto essere già stato occupato da altri armigeri, ma non aveva granché scelta.
Per alcuni minuti non successe nulla e solamente il rimbombo delle proprie parole aleggiò nell’aria umidiccia. L’uomo continuò pertanto a trascinare la compagna di disavventure in direzione dell’infermeria, sbuffando come un mantice per lo sforzo. La testa gli doleva a tal punto da sembrare sul punto di scoppiare e il dolore della ferita al braccio si era fatto più bruciante. Inoltre, se non si fosse rifocillato al più presto non sarebbe stato in grado di organizzare alcuna resistenza. Ma tutto questo aveva importanza marginale alla luce del fatto che Audra si stava letteralmente dissanguando. Forse avrebbero dovuto aspettare ad estrarre il quadrello, dopotutto.
Le elucubrazioni frenetiche di Dorian furono però interrotte da un improvviso scalpiccio. Piccoli passi affrettati si stavano avvicinando, riempiendo di un eco familiare i tunnel della Tana. Pochi istanti dopo, infatti, uno sparuto gruppetto di ragazzini e ragazzine comparve da dietro un angolo. Con occhi sgranati dalla paura e dalla preoccupazione, si fecero incontro ai due malridotti avventurieri, cercando di sostenerli come potevano, nonostante le dimensioni ridotte.
“Dobbiamo portarl-ahia!- in infermeria...” borbottò Dorian, digrignando i denti per il dolore quando una delle giovani reclute gli toccò inavvertitamente il braccio ferito.
Vociando concitatamente i gatti aiutarono il loro comandante e la ragazza. Nel giro di pochi minuti si ritrovarono quindi in un’ampia stanza circolare piena di brande.

”All’inferno!” Goudrel sputa astio e sangue. La ferita al polpaccio sanguina abbondantemente e a poco serve fasciarla, il muscolo è strappato dal feroce morso di un mastino. “Ci stanno ancora seguendo?”
Matrim si sporge dall’angolo del cunicolo. Le catacombe puzzano da fare schifo, e arriccia il naso. “Per ora no.”
“Ci siamo persi...” fa eco il terzo uomo.
“Non credo.” Matrim sposta lo sguardo e finalmente la osserva. Lei sta in silenzio, senza dire una parola. Come potrebbe? Nessuno le ha mai insegnato a parlare. “Questa pulce ci ha guidato bene. Chissà che ci faceva qui sotto.” *E chissà perché l’ha fatto*, aggiunge tra sé e sé. *Da quando i mercenari sono simpatici ai bambini?*
“Questo è un posto ideale per gli orfani e quelli senza fissa dimora...” fa eco Goudrel. “Non la vedi, come ti fissa? Adesso vorrà pure da mangiare. Cacciala via! Non voglio mocciosi tra i piedi.”
“Dobbiamo ancora uscire da qui” replica Matrim e fa spallucce in direzione della bambina. Occhi verde smeraldo lo fissano curiosi. “Sai la strada per uscire da questo labirinto?”
Lei annuisce scrollando i capelli nerissimi e sporchi fino all’inverosimile.
“Ah, Matrim!” si lamenta Goudrel, fasciandosi la gamba azzoppata. “Sarà una palla al piede! Lasciala qui e muoviamoci! Ci basteranno le torce!”
“Sembra conoscere la mappa di questo posto. Se ci perdiamo, tu muori dissanguato! Comincia a riprendere fiato, quando potrai camminare un po’ ce ne andremo da questo posto.” Matrim fissa il terzo uomo, seduto contro il muro, che guarda ostinatamente davanti a sé. “Tu che ne dici?”
L’uomo, che non avrà più di trent’anni, non sembra dargli retta. Matrim inspira e alza un poco la voce. “DAG! Tu che ne dici?”
Dag gli rivolge uno sguardo indifferente. “Il bagaglio è tuo. Il peso anche. Se resta indietro, se la cava da sola. Se ci fa scoprire, la lascio marcire. Questo è quanto.”
“Ovvio” fa Matrim. La bambina assiste a quello scambio senza battere ciglio. Chissà se ha capito.
“Allora falla rendere utile mentre aspettiamo che Goudrel si faccia bello...”
“Vai al diavolo...!”
“... e fai in modo che nessuno ci segua.”
“D’accordo.” Matrim si china sulla bambina e le indica il cunicolo. “Prima lezione di fuga. Quando si è feriti e si scappa...”

“...non si lasciano tracce.” La voce di Audra arrivò impastata come se venisse da un irresistibile dormiveglia. Ciondolava sulla spalla di Dorian, bianca come un cencio, eppure sembrava sicura come se recitasse una lezione a menadito. “Il sangue. Il sangue caduto va pulito. Cancellare le tracce. Il vino va bene, l’acqua meno. La cenere, il fuoco, la fiamma... Pulisci ogni traccia o arriveranno.”

Una ragazzina corse immediatamente verso uno degli scaffali addossati alla parete che erano pieni di bendaggi e medicazioni d’ogni tipo, traendone alcune bende pulite ed una piccola anfora di terracotta.
“Questo l’abbiamo preso da Honoo... quando ancora era al negozio...” disse con una vocina chiara e porgendo l’anfora a Dorian.
Questo sì che era un colpo di fortuna! Honoo era rinomato per i suoi impiastri in tutta la città e più di una volta avevano salvato la vita a membri della resistenza grazie alla loro applicazione. Era una tragedia che fosse sparito ormai da quasi due settimane senza lasciar traccia, la bottega semi-distrutta come unico lascito della sua presenza.
“Presto... dobbiamo pulirle la ferita” incitò stancamente Dorian, soffermandosi un attimo ad osservare Audra lì distesa su un fianco. Avrebbero dovuto toglierle di dosso il corpetto e la camicia, necessariamente. Fosse stata pienamente cosciente probabilmente lo avrebbe ammazzato anche solo per averlo pensato. Dovevano aver pensato una cosa simile anche i Gatti, visto che il loro vociare si spense ed iniziarono tutti a guardare Dorian in attesa di una sua presa d’iniziativa.
Pensava di essere troppo stanco per il pudore, eppure la sua mente sembrava avere un’opinione diversa al riguardo. Esitò in evidente imbarazzo prima di avvicinare le dita alle cinghie laterali del corpetto, armeggiandovi per un po’ prima di bloccarsi improvvisamente: agganciata alla schiena, infatti, vi era un’arma a doppia lama di fattura alquanto singolare. A dire la verità l’aveva già vista non troppe ore prima, quando Audra l’aveva brevemente minacciato nella sua stanza. Si sporse quindi per sfilarla ed evitare di ammazzare qualcuno per sbaglio. Per un attimo pensò che la lama sarebbe balzata fuori come la prima volta che l’aveva vista in azione, ma non successe nulla sul momento... finché non ruotò incautamente il manico in verticale. Con uno scatto repentino, la lama scivolò fuori dal proprio alloggiamento, arrestandosi a pochi centimetri dal piede destro di Dorian facendolo imprecare mentre un colpo di adrenalina lo fece balzare all’indietro.
“Questa qui è pericolosa pure da svenuta, dannazione...” sibilò tra i denti, cercando di non pensare al fatto di aver quasi perso un piede.
Ricomponendosi tornò ad occuparsi della ragazza, tuttavia, slacciandole finalmente il corpetto e facendosi aiutare dai gatti per muoverla il meno possibile durante l’operazione. Velocemente le sfilò la manica della camicia per poter raggiungere il foro d’ingresso del quadrello che stava continuando a perdere sangue.
“Morirà?” la voce candida di uno dei gatti ruppe il silenzio.
“Non penso. No, decisamente no, soprattutto se mettiamo l’impiastro di Honoo” fu la veloce risposta di Dorian. Cercò di suonare incoraggiante, nonostante temesse che la perdita di sangue avrebbe potuto essere troppa.
Dopo aver pulito la ferita con dell’acqua vi applicò delicatamente l’impiastro cercando di ricoprire al meglio il foro e sperando che la quantità usata bastasse.
“Mi sembra molto debole...” commentò preoccupato un altro gatto, osservando il volto pallido di Audra.
L’impiastro di Honoo, tenendo fede alla fama del mago, cominciò subito ad agire. Uno sfrigolio acuto si levò dalle carni offese di Audra. I legami muscolari presero a rigenerarsi in fretta, l’osso ricompose la frattura causata dalla cuspide. Un vago odore di alga bruciata si levò dalla ferita, che si stava rapidamente chiudendo.
Quasi all’istante, il volto di Audra si contrasse in una smorfia di dolore acuto e il braccio di lei, come per un riflesso incondizionato, si protese e artigliò quello sano di Dorian, che nel frattempo aveva aggirato il letto e le si era posizionato davanti per sincerarsi delle sue condizioni. Nonostante l’aspetto, la stretta delle dita, che imploravano una valvola di sfogo, era ferrea e ricca d’energia.
“Ma a volte l’apparenza inganna!” quasi gridò Dorian di riflesso, tentando di liberarsi.
Quando anche l’ultimo lembo di pelle si richiuse, l’impiastro secco cadde dalla spalla. Solo allora Audra si rilassò e la presa sul braccio del criomante si allentò, consentendogli di toglierlo dalle dita. Non si era svegliata, almeno non sembrava.
Massaggiandosi piano il braccio Dorian osservò meglio il volto di Audra. Sembrava esservi tornato un po’ di colore, finalmente. Di certo non sarebbe morta.
Stava per sedersi sulla branda di fronte quando uno dei gatti esclamò sorpreso:
“Guardate, ha un diamante nell’ombelico!”
Gli occhi dei ragazzini sembravano ancora più sgranati di quando li avevano visti fare il loro ingresso nella tana. Naturalmente Dorian si avvicinò, altrettanto curioso.
Era una pietra sfaccettata, di forma circolare. Nonostante fosse intagliata ad arte, la luce che vi batteva non produceva riflesso. Il cuore della pietra era nero come la notte. La pelle tutt’attorno all’ombelico presentava piccole striature nere, come venuzze in rilievo. A una prima occhiata sembrava infisso direttamente nelle sue carni.
Dorian si ritrovò ad allungare la mano. Il suo dito ondeggiò a pochi centimetri dal cristallo. Lo toccò.
Fu come tuffare le dita negli abissi più profondi dei laghi sotterranei di Polareia. Se prima, entrando nelle ombre con Audra, aveva provato un freddo indicibile, la sensazione che ora gli mordeva le membra era, se possibile, ancora peggiore. Si ritrovò a battere i denti e se ne stupì, proprio lui che aveva il dominio incontrastato del ghiaccio! Osservò il dito e d’improvviso si avvide delle identiche venuzze nere che gli stavano invadendo l’unghia. Eppure non riusciva a staccarsi, il freddo lo teneva inchiodato là, lo...
Con una mossa repentina, Audra schizzò a sedere. Il contatto si interruppe. Dorian ebbe il tempo di vedere la sua mano tornare normale prima che un’altra, meno fredda ma non per questo meno pericolosa, gli avvinghiasse la gola e stringesse forte. Non da farlo soffocare, ma da dargli dolore al respiro. Audra lo fissava con occhi colmi di collera.
“Non-farlo-mai-più” ringhiò con una voce che fece arretrare i Gatti.
“Vabenevabenevabene stai...calma” le parole uscirono leggermente soffocate dalla gola dell’uomo mentre sollevava le mani in segno di resa. “Volevo solo dare un’occhiata!” aggiunse poi, fissandola negli occhi. Non che fosse una giustificazione sufficiente, lo sapeva bene, ma era pur sempre la verità. I secondi trascorsero lenti, tanto da dare l’impressione a Dorian di essere stretto dalla mano di Audra da un secolo. “Mi lasceresti andare adesso?” chiese infine. Molto cautamente.
La stretta s’intensificò appena prima che lei lo liberasse. Audra lasciò cadere stancamente la mano sul grembo e poi si ridistese, non prima di aver lanciato un’occhiata ammonitrice ai bambini. “Sapete la storia della curiosità del gatto, no? Sapete com’è andata a finire? Prima lezione: MAI toccare le proprietà altrui. Specie se non si ha idea di che cosa si va a stuzzicare.” Fissò Dorian con aria poco amichevole. “Volevi passare la tua vita col corpo in ombra? Bella prospettiva!”
Dorian si massaggiò la gola, tossicchiando imbarazzato.
“Hai ragione... perdonami” disse soltanto, sedendosi stancamente sulla branda con un gemito di dolore. Si voltò poi verso i gatti, facendo loro un cenno con la testa e sorridendo. “Grazie per l’aiuto... potete andare a riposarvi anche voi”
Un po’ imbronciati e ancora spaventati i gatti lasciarono la stanza lentamente: avevano tante domande, si vedeva, ma allo stesso tempo non volevano rischiare di far arrabbiare Audra.
“E’ quella la fonte del tuo potere?” chiese infine Dorian, quando rimasero da soli. Immaginava la risposta, visto come il diamante aveva agito su di lui poc’anzi, ma rimaneva anche lui una mente curiosa, dopotutto.
Dopo l’esitazione iniziale, Audra annuì.“Ne ignoravo le doti, all’inizio. Non è stata una bella notte, quella in cui mi si è conficcato a forza. Il suo potere va compreso e dominato, e io ho avuto fortuna...” Gli scoccò un’occhiata colma di rimprovero. “Eclisse è mio... per ora. Non ha padroni. E’ ancora notte, per questo ha reagito. Mi sono svegliata quando l’ho sentito toccarti: se ti avesse *preso* come ha fatto con me anni fa, ora saresti lì, spaventato come un bambino, mentre il tuo corpo continua a mutare dalla normalità all’ombra, del tutto slegato dalla tua volontà. Viste le tue *virili* reazioni di prima, non sarebbe stato un bello spettacolo per i tuoi Gatti. Per non pensare al rischio che hanno corso! Se l’avesse toccato uno di loro? Ci hai pensato?” Non aveva alzato la voce, eppure si accorse di quanto l’avesse inasprita, colma di una preoccupazione involontaria. Inspirò a fondo per calmarsi, e ci volle del tempo per riuscirci. Si drizzò a sedere, annusò il contenuto dell’anfora e ne riconobbe la natura. Con la mano sana ne raccolse un po’ nel palmo e lo premette sulla coscia ancora sanguinante. Sibilò tra i denti il dolore, stavolta più sopportabile, e attese che l’impiastro facesse il suo lavoro prima di gettarlo via. Dèi, avrebbe avuto bisogno di abiti nuovi, i suoi erano un disastro.
“Eclisse non è certo l’unico cristallo arcano al mondo.” Fissò Dorian, nella fattispecie l’occhio traslucido. “E tu dovresti saperne qualcosa, mi sbaglio forse?
La mano di Dorian avrebbe voluto correre all’occhio artificiale in quell’istante, eppure si trattenne. Serrò per un istante le labbra, come se anche solo menzionare il cristallo gli procurasse dolore.
“Ne so qualcosina anche io, sì.” rispose lentamente. “Diciamo che questo mi dà la possibilità di… avere un paio d’occhi in più quando serve” sorrise stancamente, chiudendo poi per un attimo entrambi gli occhi e poggiando la testa tra le mani con un sospiro.
“E questi occhi non potevi usarli per vedere chi e dove ci stava seguendo?” La frase le uscì dalle labbra più secca di quanto volesse. “Diavolo... Dobbiamo pulire le tracce al più presto. Ci siamo dileguati in fretta, ma chissà da che punto possono riprovare coi mastini…” Si grattò la testa. Era ancora debole, e doveva mangiare e bere per ripigliarsi. Scoccò un’occhiata a Dorian, che era ancora con la faccia tra le dita, e si accorse dello squarcio ancora aperto sul suo braccio. Senza dire una parola, affondò le dita nell’anfora, si alzò in piedi nonostante le gambe fossero più molli di un giunco e senza mezzi termini gli calcò l’impiastro sulla ferita, mentre con l’altra mano gli bloccava il polso per evitare scatti inconsulti. Sapeva che quell’intruglio faceva un male cane.
Dorian digrignò i denti dal dolore mentre l’impiastro sfrigolava sul suo braccio, per poi lanciare un’occhiata quasi risentita ad Audra. Considerando tutto quello che aveva passato lei, tuttavia, il risentimento era decisamente fuori luogo.
“E per cosa avrei dovuto usarli gli occhi in più, per dirti quello che già sapevamo?” replicò con una punta di acidità nella voce. “E poi Memento è con Caul, non posso togliere degli occhi che potrebbero servire a lui.” Concluse.
“Memento? Stai quindi parlando del corvo?” Ma che nome idiota è? “Beh, se è i tuoi occhi, allora saprai dov’è quel monociglio e se è al sicuro.” La ragazza aveva un’aria fin troppo pratica. Buttò via l’impasto ormai secco, si tirò su le maniche della camicia lercia fino ai gomiti e controllò minuziosamente le braccia dell’uomo per capire se fosse stato colpito durante il combattimento. “Non ti hanno ferito in altre parti, no...?”
L’uomo annuì.
“Sì, è il corvo. E il problema se lo richiamo adesso è che lo potrei distrarre da qualsiasi cosa stia facendo. Non sarebbe saggio, diciamo.” spiegò poi. Dopo l’attento esame della ragazza rispose con un cenno di diniego. “Se escludiamo l’orgoglio, direi che non mi hanno colpito altrove… grazie a te.” le sorrise con gratitudine, quando improvvisamente la porta dell’infermeria si spalancò con un colpo secco.

Mikan era rimasto a girare su e giù per le catacombe come un’anima in pena da quando gli altri avevano lasciato la base per andare in missione. Non aveva mangiato, non riusciva a dormire, era mortalmente preoccupato per Caul e Daìne, ma soprattutto per la ragazza, che non erano ancora tornati e anche Dorian e la donna-ombra iniziavano a tardare.
Dopo del tempo che gli era sembrato infinito, avvertì scompiglio proveniente da una delle porte secondarie della base, una di quelle sulle fogne poi uno dei più piccoli lo venne a chiamare. “Dorian e la donna delle ombre sono arrivati. Sono feriti e li abbiamo portati in infermeria!”
Mikan corse in infermeria appena in tempo per vedere la calca di ragazzini che ne affollava la porta andare via spaventata.
“Che succede?”
“La donna stava soffocando Dorian e poi ci ha detto che eravamo troppo curiosi!”
“COSA?!”
Mikan afferrò il manico di uno scopettone per pulire a terra, lì abbandonato vicino a un secchio e corse verso l’infermeria. Quasi sfondò la porta “Lascia stare Dorian o io…!”
Il ragazzino si fiondò sulla donna mulinando il bastone.

Audra si accorse solo all’ultimo della porta che si apriva di colpo e del ragazzo che si era precipitato all’interno. Un po’ complice la debolezza per la perdita di sangue, non riuscì a fronteggiarlo coi suoi soliti riflessi. Riuscì soltanto a evitare l’impatto col bastone che era diretto alla sua testa, ma non fu in grado di scansarsi prima che Mikan le fosse addosso. Cadde all’indietro con lui sopra e fu per un colpo di fortuna che riuscì a impugnare il bastone prima che le spaccasse la fronte.
“Ti insegno io a soffocare il comandante!” Il ragazzo non si era accorto che i due stavano conversando, poiché allarmato dalle parole del suo compagno.
Cercò di liberare il bastone con tutte le sue forze, ma la presa della donna sembrava una morsa. Proprio durante uno strattone più forte dei precedenti Audra lasciò andare il bastone e Mikan fu sbilanciato all’indietro.
Non ho tempo per queste turbe adolescenziali... Audra lasciò che Mikan si sbilanciasse, gli agguantò entrambi i polsi con forza e facendo leva con le gambe lo ribaltò in avanti, facendolo capriolare sul pavimento. Senza interrompere il movimento, gli fu sopra a sua volta per immobilizzarlo col suo peso. Strappò il bastone dalle mani del ragazzino e, dopo un’occhiata furibonda che minacciava di restituire la cortesia delle percosse, si rizzò in piedi e spezzò il bastone a metà puntandolo sul ginocchio. Gettò i moncherini lontano oltre le brande.
“Gli ho salvato il c.ulo per tutta la notte, al tuo comandante!” sbottò senza mezzi termini, gli occhi infuocati. “Se questo è il ringraziamento, la prossima volta lo lascio annegare, trafiggere dai balestrieri, e infine lo lascio agonizzare al buio delle fogne!”
“Ma… ma…” Mikan non aveva capito molto di quanto era successo, si era ritrovato schienato a terra e disarmato in meno di un battito di ciglia “ma tu lo stavi soffocando…”
Lei lo guardò più allibita che arrabbiata. Si sedette pesantemente sulla branda, cercando di dominare i capogiri dovuti alla copiosa emorragia di poco prima. Lo indicò stendendo appena l’indice. “Ti sembra morto, lui..?”
Mikan guardò per la prima volta all’indirizzo del comandante. “Beh, no.” ammise con imbarazzo.
Dorian ricambiò lo sguardo di Mikan con espressione preoccupata, preso da altri pensieri.
“Voialtri state tutti bene? È successo qualcosa mentre eravamo via?” domandò quindi, facendogli cenno di sedersi sulla branda accanto a lui.
Già che era a terra, Mikan rimase seduto sul pavimento, per praticità. “No, non è successo niente, ma Daìne e Caul non sono ancora tornati, sono preoccupato…” il ragazzo tornò serio. “La vostra missione com’è andata?” Poi si voltò verso Audra “Scusa…”
La ragazza cavò dalla scarsella i manifesti che aveva rubato da Dag. La sua forma d’ombra era riuscita a preservarli dall’acqua e dal sangue, evitando che si rovinassero: uno dei tanti vantaggi di camminare nelle tenebre. “Abbiamo un appuntamento al buio, fra tre giorni” mormorò sparpagliando i fogli per terra. “I mandanti di questi bandi saranno in piazza. Dag li avrebbe incontrati..."
Dag. Il solo pensiero le trapassò la mente come una stilettata. Dag. Non sapeva che fine avesse fatto. Dopo l’irruzione delle guardie, le strade erano due: liberato o imprigionato. Non osò considerare la terza strada. Scacciò l’ipotesi dalla mente con forza. Si alzò in piedi, nervosa, e recuperò la propria spada giocherellandoci per smaltire la tensione. Nel sentire le scuse del ragazzino, si limitò a un cenno col mento. Non aveva proprio voglia di dare spiegazioni a nessuno. Né di arrabbiarsi.
Lentamente, Dorian si andò a sedere sul pavimento accanto a Mikan, posandogli una mano sulla spalla a mo’ d’incoraggiamento.
“Vedrai che Daìne starà bene. È un Gatto anche lei, sa come cavarsela se le cose vanno male” disse solo. Sapeva quanto il ragazzino ci tenesse all’amica e sperava davvero che Caul, nella sua infinita avventatezza, avesse perlomeno considerato di ritirarsi qualora le cose fossero andate male.
Lanciò poi uno sguardo ad Audra, vedendola assorta nei propri pensieri.
“Vedrai che starà bene anche Dag. E’ un osso duro anche lui e ne ha viste di tutti i colori.” cercò di rassicurarla, sebbene fosse un tentativo misero.
“Ah, parli come se lo conoscessi davvero..." La voce di Audra suonò fin troppo cinica. “Quello che si è mosso va oltre la normale giurisdizione, ce ne siamo accorti fin troppo bene! E c’è qualcosa che non mi quadra. Sono sicura che nessuno mi abbia seguito quando ti ho portato infagottato a casa sua. Quelle guardie erano lì per lui, non per noi.” Strinse il pugno. “Dag non ha poteri. Non ha MAI avuto uno straccio di poteri. E io ero sparita dalla circolazione da un pezzo, non avrebbero mai potuto ricollegarlo a me in maniera così diretta! Nessuno sa che sono tornata in città, mi sono nascosta bene! E..." Si rese conto che stava riflettendo ad alta voce e smorzò il discorso.”Andrò a vedere che fine ha fatto non appena starò meglio. Non c’è niente da bere, da mangiare? Sono a pezzi..." Lo chiese frettolosamente, quasi fosse ansiosa di sviare l’argomento.
Mikan annuì ad Audra “Chiedo a Sam se è rimasto dell’arrosto!”
“In effetti qualcosa da mettere sotto i denti non sarebbe male…” incalzò Dorian, alzandosi in piedi.
Il ragazzo si voltò questa volta in direzione del comandante. “Va bene, vado subito…” Si alzò a sua volta e fece per andarsene. Prima di uscire dalla stanza si fermò sull’uscio e guardò Dorian e Audra un’ultima volta assottigliando leggermente gli occhi. “Torno… presto.” Si allontanò con la sensazione di essere stato mandato via con una scusa.

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MessaggioInviato: Mer Gen 16, 2019 2:13 am Rispondi citandoTorna in cima

Un asciutto sorriso increspò il viso di Lao. Seduto fuori dalla grotta aveva espanso la sua mente per percepire quelle delle sue due allieve. Non così a fondo da poterne leggere i pensieri ma abbastanza da capire che la situazione si era rasserenata. "Brave, molto brave." borbottò rialzandosi in piedi e stirando la schiena. Chiuse la mente e rivolse lo sguardo altrove. Un problema forse risolto, altri migliaia da affrontare. pensò acido prima di avvicinarsi all’albero su cui era appoggiato il simbolo stesso di uno dei problemi più grossi nella lista: Zadris, l’alabarda di Aygarth.
Galdor, Ulkos e Magistra che erano rimasti fuori dalla caverna, videro uscire Lao. Da solo. Il guerriero si mosse nella sua direzione ma quasi subito notò l’espressione serena del vecchio e si tranquillizzò, nonostante l’assenza della ladra.
“Com’è andata là dentro?” gli chiese quando fu abbastanza vicino.
“Come doveva andare, non preoccuparti.” rispose Lao con un’alzata di spalle. “Sono ragazze intelligenti, anche la vampira. Nonostante quello che Aygarth pensava di lei.”
L’altro annuì alle parole di Lao. “Va bene” poi avvide che il vecchio stava puntando verso l’alabarda che aveva lasciato appoggiata poco lontano prima di entrare nella caverna. “Percepisci qualcosa provenire da Zadris?” gli chiese.
“Vediamo…” il vecchio si avvicinò all’arma e poggiò due dita sulla lama. “No.” rispose dopo qualche secondo di concentrazione. “E’ ancora dormiente, anche se non credo sia il termine giusto. Devo ammettere che quasi mi fa piacere che sia in questo stato. C’è un grande potere qui dentro, che solo Aygarth sapeva utilizzare propriamente.”

[Anchsar]
La luce non si è ancora spenta. Una lucciola che gli instilla la speranza.
La segue. Tallona ogni suo guizzo, ogni suo movimento, come se fosse l’unica risposta a ciò che succede. A ciò che è.
Si avvicina. Protende la mano che non è una mano. Protende se stesso.
La luce, da misera scintilla, diventa un faro. Un sole. Un mondo...


Dopo che Lao ebbe tolto i polpastrelli, Zadris ebbe un sussulto. Impercettibile, ma presente. Quel lieve tremore passeggero si tramutò in un vibrare rapidissimo. Lao rimase stupito da quella reazione. “L’avete visto?” chiese agli altri avvicinandosi ancora di più all’alabarda. Espandette al massimo i suoi poteri mentali nel tentativo di entrare in comunicazione con Zadris.
Nel momento in cui il vecchio cercò d’instaurare un legame, l’alabarda venne colta da un tremito più violento. Chiunque fosse nelle sue vicinanze poté percepire chiaramente il cambio di temperatura: il metallo si era fatto di botto incandescente. La corteccia dell’albero su cui era poggiata s’annerì di colpo, emanando una puzza penetrante di bruciato. Alla mente di Lao giunse un insieme di sensazioni indefinibili, che riuscì soltanto a paragonare al ruggito di un leone che si destava. O che minacciava chiunque invadesse il suo territorio.
“Ah... Ci tengo a precisare che non è colpa mia.” Lao arretrò concentrando la sua telecinesi contro Zadris. L’alabarda si sollevò lenta da terra, allontanandosi dall’albero su cui era appoggiata. “Ma che…” un intenso calore stava invadendo il vecchio, un calore che aveva percepito spesso in battaglia al fianco di Aygarth: la Forgia. Tentò di contrastarla con i suoi poteri mentali ma più tentava più sentiva il calore bruciare dentro la sua testa. “Allontanatevi da lei!” urlò infine quando si ritrovò al limite della sopportazione scagliando l’arma contro il terreno. “Ha cercato di bruciarmi…” borbottò crollando a sedere.
Intanto Ulkos e Magistra erano accorsi. “Solo un cieco non la vedrebbe vibrare” disse la donna insetto. Ulkos annusò istintivamente l’aria in cerca di minacce “Che sia opera di Ibrido? Non dovevamo fidarci della sua parola!” e involontariamente schioccò a Galdor un’occhiataccia, memore ancora di quanto accaduto qualche giorno prima.
Il guerriero portò istintivamente la mancina sull’elsa di Elrohir, quando si avvide che i tatuaggi sul suo braccio avevano preso a brillare. Ma che diavolo… si scoprì l’avambraccio mostrando gli intricati intrecci che brillavano di oro e vermiglio. Sentiva un fremito nel braccio, come quando faceva ricorso ai poteri della Fenice. Era da moltissimo tempo che non si attivavano al di fuori dal suo controllo. Magistra lo guardò. “I tuoi occhi brillano, che succede?”
“Questa è proprio una bella domanda, ma vi consiglio tutti di allontanarvi, la situazione potrebbe diventare... scottante…”
Si rivolse a Lao. “Voglio fare una prova, ma se ti accorgi che sono in pericolo, tirami lontano da Zadris.”
Il vecchio annuì “È una tua scelta, starò all’erta.”
Galdor si avvicinò cautamente all’arma riversa per terra, si accovacciò e qualcosa lo spinse a sfiorare con le dita il bordo del foro che incrinava la lama.
Mentre Galdor si avvicinava, le rune sulla lama dell’alabarda presero a baluginare appena, intermittenti, quasi a emulare un respiro stanco e rabbioso. Il calore era percepibile sulla pelle, irradiava l’aria come un falò irresistibile. Quando Galdor posò le dita sul foro, la vibrazione del metallo si accentuò fino a farlo risuonare sul terreno, quasi un ronzio.
Galdor sfiorò il foro e qualcosa gli afferrò la mente, come con una tenaglia. E lo portò giù.

Tienilo lontano da me!
“... Zadris?” il guerriero fu stupito della voce di donna nella sua testa. Sentiva il calore di cui parlava Lao, ma non in maniera da renderlo insopportabile, anzi, era quasi un abbraccio materno.
Uomo di Fuoco. La voce giunse pacata, come se, pronunciando il suo nome, Galdor avesse conquistato il diritto di poterla calmare. Tuttavia la vibrazione non cessava, il giovane lo sentiva come se gli trapanasse il cervello. L’alabarda era inquieta, anche se quella sorta di rabbia non era rivolta contro di lui. Ti riconosco. Una parte di te mi parlò, molto tempo fa. Percepimmo entrambe la nostra fiamma.
Galdor non era sicuro a cosa si riferisse l’alabarda. “Come sta Ayg...” qualcosa di più antico prese posto nella sua coscienza.

“Ci incontriamo ancora, Figlia della Forgia.”
Zadris tacque per qualche istante. Ricordavo molto più ardente il tuo tocco. Siamo entrambe sopite, in qualche modo.
“Rimane solo l’ombra della mia presenza in Galdor, ma la Fenice non abbandona mai del tutto il nido e vi fa ritorno ogniqualvolta che sente avvicinarsi il tempo del rinnovamento. Ma il mio è solo un omaggio, Figlia della Forgia. Lascerò che sia il mio nido a discorrere con te, egli può aiutarti in questo momento più di quanto io non possa.”

“...arth?” concluse il guerriero.
Se egli vive, io vivo.
Galdor fu felice della rivelazione, ma allo stesso tempo il sapere che l’amico era ancora vivo rendeva più difficile avere a che fare con Ibrido. Un passo falso avrebbe potuto far scomparire l’anima del giovane fabbro per sempre.
“Ne sono lieto. C’è qualcosa che posso fare?”
Vive, ma non so come. Né dove. Non lo sento, eppure non sono morta. Lui avrebbe dovuto essere morto... Il calore percepito da Galdor s’intensificò, pur senza nuocergli. Ricordo. Ricordo tutto. Ricordo LUI! Un sentimento molto simile alla rabbia attraversò la mente di Galdor e se ne sentì contagiato. L’Uomo-Antico! E’ colpa sua. Ha abbandonato il Detentore. Io ero con lui, ogni sensazione, ogni ferita, ogni dolore. Fino all’ultimo attimo!
Galdor venne investito da una valanga di sensazioni, immagini, suoni. Davanti ai suoi occhi sfilarono immagini velocissime, da una soggettiva che - intuì ben presto - si rivelò essere quella dell’alabarda stessa. Vide Aygarth schiantare i pugni contro una teca di cristallo, afferrare l’arma, e infine correre in direzione di Lao. Udì con le sue orecchie il ricatto degli Inquisitori, la rabbia e la delusione del giovane. Vide nero d’improvviso, ma gli parve di percepire come fosse sulla sua pelle ogni tortura subita dal giovane fabbro. Non ultima, una pugnalata che spaccò il torace in due.
Tienilo lontano, ripeté Zadris quando il fiume d’immagini evaporò dalla mente di Galdor. E’ colpa sua. Io lo ODIO.
Il guerriero rimase sconquassato dalla valanga di informazioni e percezioni che lo investì e gli ci volle un tempo che non riuscì a quantificare perché si riprendesse. Il colpo al torace di Aygarth si tramutò all’esterno in Galdor che poggiava un ginocchio a terra e portava la destra al cuore. Lao non perse tempo e cercò di separarlo da Zadris con i suoi poteri, evidentemente allarmato da quella reazione.
Il guerriero alzò la mano per fermarlo. “Non serve, Lao. Non ancora…” e tornò a focalizzarsi sull’arma, mentre gli altri piano piano si facevano di nuovo più vicini, incuriositi da quanto stava accadendo.
“... Capisco quello che provi e cercherò di fare quanto mi chiedi, ma Lao è l’unico di noi che riesce a portarti.”
Io sono desta, ora. Come il Detentore. Non avrai bisogno di alcuna arte per sollevarmi. Inoltre, guerriero, il tuo spirito è quello più forte e ardente di tutto il gruppo. Riesco a sentirlo. Il calore che emanava incoraggiò Galdor ad azzardare una presa sull’asta. Le rune gli solleticavano la pelle senza ferirlo.
Non sento il Detentore, ripeté Zadris. C’era un’Altro, in noi. Il Detentore della Forgia di Sangue. E’ lui a escludermi. Lui a recidere il contatto.
“Ibrido?”
Il suo nome ci era ignoto. Egli è quindi desto?
“Si, lo è. È più potente di quanto Aygarth non sia mai stato… Dobbiamo trovare un modo per fermarlo, per far sì che Aygarth torni in sé. Deve esistere un modo!” aggiunse con rabbia e determinazione.
Zadris rimase in silenzio per parecchio. L’Uomo di Sangue possiede un’anima immortale. Il Detentore ha solo metà anima. Non può farcela, senza la Forgia.
“Non capisco. Aygarth viveva solo con metà anima? E l’altra, è stata consumata dal vampirismo?”
L’altra sono io. Vivo grazie al patto sancito con la Forgia. Metà anima in me... la SUA anima. Per darmi la vita.
“... quindi vorresti che ti riportassimo da lui? Da Ibrido?”
Al suo corpo. La vibrazione del metallo si fece più ritmica per poi quietarsi di colpo. Il suo sangue è la chiave di tutto. Lo ha versato per Forgiare me, e Forgiare se stesso. Dovrò raggiungere il suo spirito, bevendo il suo sangue. Ricongiungermi alla sua anima, per l’ultima volta. Prima ancora che Galdor potesse chiedere cosa significasse, Zadris sentenziò: Dovrai trafiggerlo. Con me. E da ciò che sento, dall’ardore e dai pensieri che ti attraversano la mente, tu sei l’unico che può... e che VUOLE farlo.

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MessaggioInviato: Sab Gen 19, 2019 12:08 am Rispondi citandoTorna in cima

Il Cronista afferrò con forza il bordo del tavolo nell’udire quell’urlo silenzioso, e qualche scheggia di legno scuro saettò tra le provette e le pergamene ricoperte di appunti. Nel riconoscere la voce di Aygarth che gli chiedeva aiuto dalle profondità dell’Anchsar, e di Ibrido stesso, si voltò verso il suo guardiano: Era nella stessa posa da avvoltoio appollaiato sopra la coppia di spade, ma lo sguardo sbigottito che aveva in quel momento non lasciava adito a dubbi: sicuramente anche lui aveva sentito l’urlo del giovane nella sua mente.
Sì, siamo connessi mentalmente tu ed io. Un tempo avevo un profondo legame di sangue con il corpo che custodisci. Ti chiedo scusa per averti fatto ascoltare un mio vecchio ricordo. Dopo tanti anni sono diventato un vecchio nostalgico, nonostante le mie fattezze ancora non lo dimostrino. Con quella conversazione telepatica sperò di aver distolto l’attenzione del Vampiro dalla richiesta di aiuto di Aygarth. Per non lasciargli il tempo di riflettere, con aria noncurante si voltò verso gli appunti e iniziò a riordinarli, continuando a parlargli nella mente Da quanto lavori per loro?
Ibrido resistette all’impulso di portarsi la mano al petto. Il sussulto che aveva provato era straordinariamente familiare a quello che l’aveva colto poco tempo addietro, nell’assaggiare il sangue del Cronista. Anche se stavolta era inconsueto, troppo dirompente per essere un disturbo passeggero. Che mi sta accadendo? si allarmò, per poi cercare di mantenere un’espressione neutra. Qualunque cosa fosse in atto nel suo corpo o nella sua mente, l’ultima cosa che doveva permettere era che quegli Inquisitori se ne accorgessero. Se davvero era il legame con il Vampiro a dargli quelle sensazioni come effetto secondario di quella bizzarra telepatia, avrebbe dovuto cercare di rimanere indifferente, e sfruttare la situazione a suo vantaggio. Come sempre.
Io non lavoro per loro, sputò con astio nella sua mente, indirizzato all’altro. In questo buco schifoso sopravvivi soltanto se sei utile. Lo stesso vale per te, non t’illudere. Sfoderò un ghigno corollato di zanne appuntite. Se invece ti riferisci a quanto tempo ho trascorso qui dentro... Lao non ti ha detto nulla? Eppure lui c’era, quando sono nato. Dovrebbero essere circa cinque giorni fa. Periodo breve ma intenso.

[Anchsar]
Aygarth balzò indietro. Dal pavimento, proprio davanti al suo volto, era emersa d’improvviso una ruota dentata che, come un’immensa mola, macinò il pavimento con uno stridio acuto. Si allontanò senza neanche rialzarsi, strisciando via senza perderla d’occhio, solo per ritrovarsi a sbattere la schiena su un altro marchingegno contorno che era sbucato dal nulla. Lo stridio dei macchinari era così forte da risultare insopportabile... eppure, nemmeno quel caos riuscì a coprire il frastuono oltre la barriera meccanica.
L’urlo della Forgia.
Divampava, fuori dalla finestrella da cui aveva sbirciato poco prima. Aygarth non aveva bisogno di vederla per capirne la potenza. L’Anchsar parve contrarsi su se stesso e poi dilatarsi, quasi avesse fatto un respiro, e subito dopo la voce di Shantia s’elevò in quel trambusto, colma di sgomento.
Pazzo! Se ti avesse sentito? Non dimenticare che l’Anchsar ha pur sempre dei limiti. Lui non sa che sei qui dentro, e non deve saperlo! La Forgia non ti percepisce, qui dentro, ma non dobbiamo darle un bersaglio, o si accanirebbe su di noi. Su di me, su di te!
Aygarth boccheggiò - ma davvero stava respirando aria, là dentro? - e venne assalito da una vergogna paralizzante. Aveva agito senza pensare, spinto dalla foga, e soprattutto dalla paura. Eppure aveva bisogno di instaurare un contatto. Che avrebbe dato perché potesse sentirlo. Che avrebbe dato per capire se Logan l’avesse percepito o meno.

Sì Lao mi ha detto qualcosa..ma dato che siamo chiusi qui insieme, e mi infastidisce molto avere i tuoi occhi puntati sulla mia schiena, pensavo potessi raccontarmi la tua versione. Prese la risma di pergamene che aveva radunato e le infilò in uno stretto cassetto dello scrittoio appoggiato alla parete accanto alla porta d’ingresso. Poi si mosse al centro della stanza a studiare le tre piccole ampolle che si riempivano delle principali componenti, o armoniche, del liquido organico che gli era stato chiesto di analizzare: nient’altro che il sangue del suo interlocutore. Sei venuto alla luce cinque giorni fa, d’accordo. Ma da quanto tempo prima hai la consapevolezza di esistere?
Impari bene dai tuoi aguzzini. Mi stai sondando. Fu un pensiero che Ibrido tenne per sé ma, nonostante questa consapevolezza, non si turbò più di tanto. Si sistemò in una posizione più comoda, senza smettere di osservare ciò che l’alchimista stava facendo. I suoi occhi guizzarono da un’ampolla all’altra e qualche rudimentale conoscenza alchemica affiorò nella sua mente, ricordi di una vita non sua.
Un bel po’, rispose vago. In fondo ho solo seguito il consiglio di una persona: “abbi il coraggio di vivere e ritagliare il tuo posto su questa terra”. Sorrise, con crudeltà. Io c’ero quando nessuno c’era. Ma visto che potresti dubitare delle mie parole, Nendai ki-henja… lascia che ti mostri ciò che ho visto. E non solo io.
Evocò dalla mente tutto quanto accaduto in quell’ultimo anno, sia quand’era relegato in un angolo da cui poteva soltanto essere testimone degli eventi, sia quand’era divenuto parte integrante della psiche del fabbro, che era ormai sfinito da una Forgia sempre più debole e da una situazione contingente dove persino gli alleati sembravano averlo abbandonato. Nella mente di Ibrido, forte come un torrente di alta montagna dopo una stagione delle piogge, si riversarono immagini, suoni, sensazioni. Aygarth che cercava di resistere al vampirismo in quell’ultimo anno, Aygarth che veniva attaccato dai Mietitori, Aygarth che contrastava l’odiata Carnival conquistando l’ira di Lao, Aygarth che veniva sondato da Lao stesso e per poco veniva ucciso dalle sue arti, Aygarth che perdeva Zadris, perdeva la ragione, perdeva la fiducia… E poi la sua corsa nel folto, una corsa dettata dalla rabbia, dalla disillusione e dalla ferocia più pura. Il cuore che rallenta, si ferma. I sensi che si acuiscono. La solitudine che diventava la sua forza. Un obiettivo solo in mente, la consapevolezza che nessuno l’avrebbe aiutato se non se stesso. Se non lo stesso errore in cui si era tramutato. I ricordi scorsero in fretta, troppo in fretta... cunicoli, ombre, poi Zadris in una teca, la violenza con cui l’ha liberata - violenza animale, il successo a un palmo di mano e poi la situazione che precipita. La frustrazione, la delusione - INUTILE CARIATIDE CHE NON SEI ALTRO! - e la sconfitta. La prigionia. La tortura. E quell’unico colpo in pieno petto che ha stroncato la vita e fatto emergere l’oscurità troppo repressa nella mente. Una nascita accompagnata da un senso di trionfo e libertà come mai provata fino a quel momento.

Il Cronista osservava ad occhi chiusi quel torrente in piena di suoni, immagini e odori. Chino sulle ampolle per non dare nell’occhio, qualora gli Inquisitori lo stessero osservando, sotto le palpebre chiuse i suoi bulbi oculari si muovevano a folle velocità. Un senso di impotenza lo pervase nell’intimo quando la morte di Aygarth, la sconfitta e la disperazione, lo raggiunsero. Cercò di non darlo a vedere ad Ibrido, mentre sollevava la prima ampolla piena dell’armonica principale del sangue del Vampiro. Il colore di quel componente era grigio ferro, ed era denso come metallo in punto di fusione. Posò l’ampolla sul tavolo principale, da un cassetto dello scrittoio estrasse una pergamena pulita, una penna e un calamaio e appoggiò l’ampolla sopra la pergamena al centro del tavolo. Ti ringrazio. E’ stato illuminante. lanciò mentalmente all’indirizzo di Ibrido, senza aggiungere altro. Poi intinse la penna nel calamaio, e disegnò un ‘1’ in elegante grafia sulla pergamena, al di sopra del punto in cui era appoggiata la prima ampolla. Annotò alcuni appunti al di sotto dell’ampolla: lo stato di densità del composto, il tempo di distillazione necessaria a riempire il recipiente, il colore e l’odore in quel momento. Lasciò l’ampolla in quel punto, e disegnò due cerchi al lato sinistro e destro della pergamena: con tutta probabilità dove avrebbe posizionato le altre due ampolle una volta riempite. Ricambierei volentieri, ma credo ti sia ben noto tutto il mio passato, visto che ti prendi la briga di pronunciare il mio nome in una lingua che non comprendi e che non viene parlata in queste terre. Si voltò ancora verso Ibrido, scoccandogli un’occhiata storta per non dare nell’occhio.
Dovere, dovere, lo schernì Ibrido con falsa premura. Osservò il suo prodigarsi con le ampolle e ricambiò la curiosità: E tu? Da quando sei lacché di questi fanatici? Io almeno ci guadagno cacciando. Tu?
Il Cronista alzò un sopracciglio. “Beh. Mettiamola così...” sbottò per interrompere il silenzio che ormai regnava nella stanza da qualche minuto “un buon posto dove lavorare, tranquillo e silenzioso, strumentazioni all’avanguardia che sicuramente non avrei avuto modo di procurarmi nella mia vecchia casa di Garmya…” -...e che possono essermi utili non solo per gli interessi dei tuoi padroni- aggiunse mentalmente all’indirizzo di Ibrido “l’unica nota dolente è la compagnia. Continuano a mandarmi fastidiosi galoppini, ansiosi di fare carriera scalando la gerarchia dei cappucci colorati. E ora tu...che stai prendendo le misure per la mia giugulare da almeno mezz’ora.” Si voltò verso il piccolo braciere da cui la fiala originaria con il sangue di Ibrido emanava vapore attraverso il tubo trasparente. Raccolse la seconda ampolla a metà altezza e chiudendola la portò verso il tavolo centrale. La posizionò sul cerchio tracciato a sinistra della prima ampolla e, intingendo nuovamente la penna nel calamaio, vi tracciò un ‘2’ sulla pergamena e prese nota con alcuni appunti dei medesimi parametri. Era rossa cremisi e fluida come il sangue. Ovviamente il Cronista se l’aspettava.
Stavolta Ibrido non poté contenersi. Liberò una risata sommessa che vibrò tra le pareti dello stanzino. Non era crudele, anzi, era quasi genuina. La tua giugulare? ripeté. Per essere un Vampiro centenario hai la memoria confusa. Quando mai ho detto che voglio ucciderti?
Il Cronista scrollò le spalle a quella affermazione. E’ un modo di dire. Un modo come un altro per dire che mi stai squadrando come si squadra un pezzo di carne che giace in un piatto, o che corre nel sottobosco. Dici che il tuo desiderio non è uccidermi. Allora è solo batterti con me? Capisco. Effettivamente hai solo cinque giorni di vita...vuoi giocare con il cibo, proprio come fanno i cuccioli.
No. La risposta di Ibrido giunse così calma e pacata che non sembrò neanche sua. Nella semioscurità del suo angolo, gli occhi rossi avevano perso la brama ardente che li contraddistingueva. Voglio capire cosa sono. Non sono come te, lo percepisco, lo vedo. Tu, gli altri... mi avete sempre visto come un errore. Quando invece l’errore non sta nella conseguenza, ma nella causa. Lo sguardo, pur duro, non tradiva né rabbia né strafottenza. Era mortalmente serio, come se stesse pronunciando una verità radicata nel suo essere. Tu l’hai fatto sentire ‘sbagliato’. Eppure, ti dirò... inconsciamente lui vedeva nel vampirismo, nell’immortalità, un’àncora di salvezza. Vuoi sapere la sua paura più grande? La paura di morire. Oh sì. Proprio lui, che si è sempre buttato a capofitto in ogni situazione rischiosa, pur di salvarvi, pur di obbedire ai doveri della Forgia. Lui ha... aveva, una fottuta paura di morire. Perché sapeva cosa l’aspettava. Sotto sotto, anche se non se ne rendeva conto, lui ci sperava di diventare come te. Immortale come te. Tutto, pur di non reincontrare ciò che ha visto nell’Oltre. Si drizzò in piedi, in perfetto equilibrio sulle lame, e si appoggiò al muro con le braccia conserte. Tu mi hai creato, Nendai-ki henja. Troppo facile ora ricusare le responsabilità. Come se fosse colpa di Aygarth.
Il Cronista lo guardò assorto. Tu dici il vero. Io ti ho creato.. Ne studiò il volto, gli occhi vermigli, le zanne che spuntavano dalle labbra. E io ti curerò. O ti ucciderò. concluse tra sé, celando quest’ultimo pensiero ad Ibrido.
Il Vampiro si voltò improvvisamente. Aveva sentito lo zampillare dell’ultima stilla di liquido che cadeva nella terza ampolla. La prese tra le mani. Il composto, fluido quasi come l’acqua, aveva un colore dorato che ammiccò alla luce del braciere. La chiuse delicatamente e la posizionò sul cerchio a destra della prima ampolla, l’armonica principale. Tracciò un ‘3’ e ne annotò come fatto con le prime due armoniche la composizione, l’aspetto e il tempo di distillazione.
Fece un passo indietro e squadrò quanto aveva raccolto. La pergamena, che distesa per bene sul tavolo lo ricopriva per una buona metà, attendeva le sue annotazioni, i suoi calcoli e infine le sue conclusioni.
Il Cuore, il Corpo e l’Accordo. Eccoti qui, figlio mio. Adesso capirò cosa sei.

[Anchsar]
Stava seduto sul pavimento, la faccia tra le mani, l'assordante rimbombo metallico nelle orecchie.
Shantia.
TLA-CLUNK.
Shantia, tu vedi, tu ascolti. Sai cosa c'è oltre la Forgia. Insegnami. Ti prego.
Non posso insegnarti ciò che non conosco. Io non domino l’Anchsar più di quanto non sappia dominarlo tu. E' l'Anchsar che mi permette di percepire ciò che avviene all’esterno. Tu non hai questo legame, né una sinergia tale da poterlo usare. Non possiedi una tale arte, Aygarth della Forgia.
Il giovane rizzò la schiena come se fosse stato punto sul vivo. Quell’ultima frase gli aveva instillato un sospetto. Pensò intensamente a ciò che era emerso dai suoi ricordi. A ciò che era successo, poco più di un anno fa. A ciò che era giunto nel suo spirito, assieme allo stesso Anchsar.
Fissò davanti a sé.
Tra i macchinari, dal nulla, era comparsa una sorta di statua metallica. Alta, possente. Una spada che ben conosceva stretta nel pugno. Gilravien.
Io no.
L’elmo con la celata a forma di teschio brillò nella luce amorfa dell’Anchsar.
Ma lui sì.
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MessaggioInviato: Sab Feb 09, 2019 1:07 am Rispondi citandoTorna in cima

[Ore dopo]
La punta della piuma d’oca vergava la pergamena con tratti nervosi, mentre gli occhi del Cronista saettavano ora sul tavolo con gli alambicchi, ora sulle pagine di appunti che andavano via via aumentando di numero. Identificare la matrice primaria di ognuna delle tre armoniche che componevano il sangue di Ibrido era stato il lavoro d’uno sguardo: d’altronde il Vampiro conosceva bene cosa si celava nel corpo del suo vecchio fratello di sangue e il colore dei tre composti era un’indicazione evidente.
-Il Cuore, l’armonica principale, è senza dubbio alcuno la Forgia.- rifletté il Cronista guardando l’ampolla di liquido denso, del colore del metallo fuso, posta sopra il numero ‘1’ al centro della grande pergamena distesa sul tavolo. -E, ovviamente, il Corpo è la Sete.- pensò sospirando tra sé, mentre squadrava l’ampolla posta sopra il numero ‘2’. Il senso di colpa lo assalì in un istante, nell’osservare il composto rosso cremisi che gli ammiccava al bagliore delle torce del laboratorio. -Se Aygarth non avesse ricevuto da me il Vampirismo- il Cronista di questo era certo -il Corpo avrebbe avuto tutt’altra componente primaria. Invece l’ho condannato al mio stesso destino...il sangue-.
Costrinse la sua attenzione sull’ampolla posta sopra al numero ‘3’. Il colore dell’oro brillava dall’Accordo, la terza armonica e chiusa finale di quello che era Ibrido e che prima di lui era stato Aygarth.
-E’ sull’Accordo che devo concentrare maggiormente i miei sforzi. Se le mie supposizioni sono esatte, è proprio quello che sto cercando.- il Vampiro aprì un alto cassetto dello scrittoio e ne estrasse un oggetto peculiare: il corpo in legno con molti incassi sottili da cui accedere lateralmente, alto un braccio, aveva alcuni sottili dischi in vetro già inseriti all’interno della sua struttura. Il manufatto non aveva particolari decorazioni od orpelli, tranne due piccole manopole di ottone collegate a degli ingranaggi anch’essi in legno. Il Cronista pose delicatamente lo strumento sul grande tavolo da lavoro, nel punto più vicino al braciere che riscaldava la stanza. Prese da un cassetto dello scrittoio tre sottili dischi in vetro e ci versò sopra, delicatamente, alcune stille delle tre ampolle oggetto del suo studio, un’armonica per ogni disco. Poi inserì il piccolo disco su cui aveva versato alcune gocce dell’Accordo nell’invito più in basso del manufatto in legno.
Si avvicinò al braciere, afferrò una pala e raccolse con essa un piccolo pugno di brace incandescente. Inserì quella sorgente di luce dentro una lanterna dalle pareti specchiate che richiuse e appese ad una trave del soffitto, lasciandola sospesa appena sopra il marchingegno in legno. Dopo aver annuito tra sé circa il posizionamento reciproco dei due oggetti, manufatto e lanterna, si sporse verso quest’ultima per afferrare e girare un piccolo specchio avvitato sul bordo di uno degli sportelli specchiati. Un forte chiarore fu direzionato da quello specchio sull’apertura superiore e circolare dello strumento in legno.
Il Cronista guardò in basso e osservò l’immagine che si era formata all’improvviso dopo aver introdotto quella sorgente di luce dentro l’apparecchio. Infatti su una pergamena posta al di sotto dello strumento, il chiarore della brace passava attraverso il sottile disco in vetro contenente l’Accordo, formando un gioco di luci ed ombre.
Il Vampiro azionò, alternando l’utilizzo, le due manopole di ottone dello strumento fino a che non si ritenne soddisfatto della nitidezza dell’immagine risultante. Con la piuma d’oca tracciò il contorno circolare dell’immagine sulla pergamena e tratteggiò i bordi delle principali zone di luce che vi si distinguevano. Una volta trasferita su carta buona parte della forma dell’immagine, prese un secondo disco, quello sul quale aveva fatto cadere alcune stille del Corpo, ovvero la Sete. Lo inserì in un invito posto più in alto di quello dell’Accordo, e non si stupì affatto nel vedere che, sebbene di luce comunque ne passasse a sufficienza attraverso il Corpo -ne vedeva il riflesso più in basso- essa fosse quasi completamente catturata dal disco dell’Accordo: il chiarore era a malapena distinguibile sulla pergamena.
-Ecco: le due armoniche sono quasi del tutto incompatibili tra loro. L’Accordo è l’Anchsar....come immaginavo. E se voglio estrarlo, devo renderlo completamente incompatibile con il Corpo. Quindi..- tracciò con alcuni veloci cerchi le uniche zone di luce che si distinguevano sulla pergamena -queste devono sparire. Poi toccherà al Cuore, ma lì sarà tutt’altra cosa. La Forgia ha una natura molto più simile a quella dell’Anchsar.-
Alzò gli occhi verso la vecchia porta in legno oltre la quale aveva visto scomparire la schiena di Ibrido alcune ore prima.
-E’ dura lavorare senza sapere quanto tempo si ha a disposizione.-

La convocazione era giunta troppo presto, a suo avviso. Ibrido si ritrovò nella consueta sala e attese di essere interpellato. Il silenzio che lo circondava lo teneva all'erta.
Ma non solo.
La Sete iniziava a martellargli le tempie, inaridirgli la bocca, gelargli le vene ormai prive di sangue pulsante. Il prelievo forzato che gli avevano fatto ore addietro non l'aveva prosciugato, ma sentiva nelle viscere lo stimolo di cacciare, un impulso che non poteva permettersi di ignorare. Umettò le labbra e i canini, un gesto automatico retaggio della sua vita passata. Se gli avessero prelevato altro sangue, sarebbe rimasto troppo debole. E l'ultima cosa che voleva, nel fare la guardia all'alchimista, era mostrarsi privo di difese.
La sfida per lui contava più di ogni altra cosa.
"Vampiro, come procede?"
Non era Qain. La cosa lo sorprese. Chiunque fosse, era nella stanza con lui anziché osservarlo da un'ala protetta. Il mancato rispetto del consueto protocollo lo insospettì.
"Procede. Non avete gli occhi anche là dentro, forse? Il vostro giocattolino è diligente."
I suoi occhi da Vampiro saettavano da tutte le parti. Non vedeva nessuno. Eppure il suo udito non lo ingannava affatto.
"Meglio che consideri seriamente il tuo compito di guardiano, Vampiro."
"Ehi, ce l'ho un nome, usalo."
"Non mi interessa." Il tono di voce tradiva un'ombra d'irritazione. Ibrido la percepì subito e cercò di capire come potersene servire per farlo uscire allo scoperto. Dubitava che fossero davvero soli, ma ciò che non sopportava, da quando era rinchiuso dentro quella ziggurat, era sentirsi apostrofato da persone a cui avrebbe spezzato il collo con la semplice presa di due dita. Li contava tutti, quegli affronti, e dentro di sé rimuginava su come avrebbe potuto renderli al mittente. "E poi, da quando le bestie hanno un nome?"
Finalmente la figura si palesò di fronte a lui. Josiel, uno degli ultimi fedeli tirapiedi di Qain. Ibrido si chiese con che artifizio si fosse schermato ai suoi sensi di Vampiro e di Forgia, ma non ebbe il tempo di curarsi di quel dubbio: una forza invisibile lo agguantò per le braccia, divaricandogliele, e lo costrinse in ginocchio. Ibrido gonfiò i muscoli e strattonò finanche a rischiare di slogarsi le spalle, ma invano: quella morsa era troppo ferrea persino per la sua forza sovrumana.
"So bene che il tuo parirazza si sta dando da fare" commentò l'Inquisitore, fronteggiandolo. Teneva in mano una specie di congegno a forma di spirale, pieno di protuberanze che agli occhi del Vampiro sembravano interruttori. "Noi vediamo sempre e ovunque, e dopo la tua disubbidienza ci teniamo che nulla sfugga al nostro controllo..."
"Oh, ne sono lusingato" lo sbeffeggiò Ibrido, tutt'altro che colpito.
"...tuttavia, razza di cane" continuò Josiel, girandogli attorno, "trovo davvero assurdo che a una bestia sciolta come te abbiano dato l'alto onore di custodire un tesoro prezioso come quell'alchimista."
"Invidioso?" Ibrido cercava di non perderlo di vista. Non gli serviva la Forgia per indovinare di che colore avrebbe visto la sagoma di Josiel. Ogni sua parola sprizzava di disprezzo, di un livore a malapena contenuto. "Ti ho forse rubato una promozione?"
Josiel non lo fece neanche finire di parlare. Una nuova pressione sul marchingegno che teneva in mano, e d'improvviso la gravità aumentò, ma solo per Ibrido. Il Vampiro si ritrovò quasi con il mento schiacciato al suolo. Bastò quell'atto per fargli capire una certezza: non era una procedura di cui Qain era a conoscenza. L'Aureo era sì spietato, ma non senza un motivo. Era in mano a una sorta di ripicca stizzita di quell'Inquisitore da due soldi.
"In realtà sei tu la mia promozione." Il ronzio che gli trapanava le orecchie quasi gli occultò le successive parole dell'Inquisitore. "Non crederai davvero di essere così speciale da meritarti tutta l'attenzione degli Aurei? Il mio compito è far sì che tu faccia il cane da guardia, ubbidiente e remissivo. Ho tutte le armi che voglio per renderti servizievole, come un cucciolo. E non temere, ho tutta l'intenzione di usarle."
Quella minaccia di vendetta implicita non spaventò certo il Vampiro, tuttavia la rabbia per quell'umiliazione fu sufficiente a incrementargli la Sete. I canini si allungarono più della norma, bramosi di trafiggere. Ibrido li digrignò soffocando un ringhio.
"Smetti di ringhiare, cane!"
Un altro comando dal marchingegno, e un artiglio invisibile gli pizzicò la gola, fino a incidergli la pelle in profondità. Ibrido avvertì piccole, preziose gocce di sangue ormai vecchio scaturire dalla ferita e perdersi sul pavimento. Un rapido risucchio gli fece intendere che non era stato sprecato. Cibo per il Vampiro, così aveva detto Qain. Anche se non capiva il motivo.
E la Sete...
Lo stava spaccando in due. Doveva nutrirsi. Ne sentì il bisogno spasmodico.
L'artiglio si ritirò. Gli fu concesso di alzarsi, ma le membra si stavano intorpidendo. Nella sua breve vita non aveva mai sperimentato quel sintomo, ma lo ricordava. Il Nendai-ki henia lo conosceva, ne aveva sofferto a lungo. Tutti i ricordi legati a quell'impulso erano spiacevoli, rabbiosi, colmi di vergogna. Per lui, tuttavia, avevano soltanto il sapore della sconfitta, quella che stava provando adesso.
"Che ti prende, Vampiro?" Ibrido avvertì la menzogna nello stupore di Josiel, che nel frattempo era tornato a fronteggiarlo. Lui tentò quantomeno di alzarsi sui gomiti, brancolando nella nebbia della Sete. Uno strano furore gli stava montando nel petto. Un'insolita frenesia.
Doveva bere, al più presto.
"Mi hanno raccontato della Sete. Deve essere sfibrante. In fondo, potrei anche essere generoso. Tutte le volte che il tuo alchimista produrrà un successo, io ti permetterò di bere del sangue appositamente fornito dalle nostre scorte. Tutte le volte..."
"Dammelo... adesso..." lo interruppe Ibrido.
Josiel scattò. Un dolore acuto sfondò le reni di Ibrido. Lo aveva pugnalato alla schiena. Contrasse la Forgia verso la mano che l'aveva offeso, ma essa si ritrasse. Poteri sopiti, in quel luogo: il maledetto figlio di buona donna sapeva usare il cervello! La ferita si chiuse quasi subito, ma non senza aver versato un piccolo pur tuttavia prezioso contributo di sangue, che sfrigolò sul pavimento. "...tutte le volte, invece, che fallirà un esperimento, te lo toglieremo. La tua sopravvivenza è legata al suo successo, cane, quindi vedi di spronarlo a dare del suo meglio."
La rabbia di Ibrido, mescolata al senso di umiliazione, tracimò. Il pugno serrato iniziò lentamente a sfoderare gli artigli.
"Ora ti riporterò al laboratorio. L'Alchimista avrà di sicuro continuato il suo lavoro. Controlla i suoi progressi e riferisci tutto alla prossima convocazione. Sei congedato, schiavo. Sarà un piacere tornare a parlare con te."
Ibrido sentì l'aria tremolare attorno a sé. Teletrasporto. Lo stava riportando indietro. Il malessere dovuto a quello spostamento inconsulto lo dominò del tutto, accresciuto dalla Sete ormai incontrollabile. Ringhiò, sfoderò zanne e artigli, e in quel brevissimo in cui la forza invisibile che lo teneva imprigionato lasciò spazio a quella che l'avrebbe ritrasportato nel laboratorio, liberò un braccio e colpì. Un'artigliata come quella di un gatto, rapida e precisa.
Avvertì la carne e la pelle di Josiel sotto uno dei suoi artigli, il suo breve grido di dolore e sorpresa, poi il mondo si capovolse. Si sentì risucchiato altrove, galleggiare in aria, distruggersi in mille molecole... e quasi in un attimo si schiantò sul pavimento dell’anticamera del laboratorio. Per qualche secondo ancora rimase a contorcersi sul pavimento: dovette dominarsi a lungo per evitare di perdere lucidità. La Sete urlava nelle sue orecchie, offuscava la sua coscienza, reclamava il sangue proprio come tempo addietro l’alabarda dell’umano lo reclamava per la Forgia.
Sangue...
Ibridò spalancò gli occhi ormai opachi. L’odore che gli era giunto alle narici era fin troppo caratteristico. Si contemplò l’artiglio ancora esteso, su cui brillava un rivolo cremisi.
Se lo tuffò in bocca, bramoso, e...

Luoghi.
Descrizioni.
Mappe.
Direzioni.
Cunicoli e porte, congegni e pulsanti.
Aurei in circolo. Inchini e promesse, sussurrate o declamate in pubblico.
Menzogne, verità sottintese, occultate. Inganni.
Cavia.
Anchsar.
Cavia.
Sangue, studio... estirpare, dividere, utilizzare.
Alchimia contro magia.
E poi a lavoro finito...


Ibrido soffocò un urlo. Trattenne quei ricordi dentro di sé, come se temesse che la Sete li eliminasse. Dalla quantità di memorie che aveva assorbito, aveva potuto ricavare solo pochi sprazzi, ma erano stati illuminanti.
Cavia. Sangue.
Alchimia.
Ora sapeva cosa stava facendo l’Altro in quel laboratorio. Sapeva che fine avrebbe fatto a lavoro ultimato. Entrambi. Senza possibilità d’uscita.
Ibrido guardò la porta del laboratorio come se la vedesse la prima volta. Senza una parola, si rizzò in piedi a fatica, si avvicinò alla piastra accanto allo stipite e vi posò la mano. La pietra sembrò riconoscerlo e l’ingresso si spalancò. Lui entrò a fatica, i pugni ancora serrati, i denti stretti, la Sete che lo rosicchiava dall’interno.

Il cigolio della porta spalancata fece voltare la testa di scatto al Cronista che, in piedi accanto al braciere, con un paio di tenaglie in ferro teneva sospesa una piccola ampolla dal fondo sferico. Al suo interno un liquido ambrato stava ribollendo al calore delle fiamme. L’espressione di disappunto dipinta sul volto dell’Alchimista, infastidito nell’essere nuovamente in compagnia, scomparve in un attimo nel vedere quella di Ibrido, per lasciare il posto ad una maschera di opportuna e saggia indifferenza.
Senza dire una parola né degnarlo di uno sguardo, Ibrido tornò al suo posto, riappollaiandosi sulle due spade. Solo allora prese a fissare il Cronista con uno sguardo da predatore ancora più inquietante di quello sfoggiato in precedenza. Aveva perduto ogni traccia di scherno, di determinazione: gli occhi rossi, velati dalla Sete, tradivano una rabbia sorda.
Vedo che ti stai dando da fare.
L’Alchimista finse di non avvertire il pericolo in quelle parole sibilate a denti stretti. Volse le spalle a Ibrido e versò parte del liquido ambrato direttamente sul vetrino dell’Accordo. Mentre reinseriva il disco di vetro nel suo alloggiamento e metteva a fuoco l’immagine sottostante con le manopole di ottone, pregò solo che i mezzi di inibizione degli Aurei fossero efficaci, in caso l’altro gli fosse saltato alla gola. -Sì mi sto dando da fare. Questa cosa o viene fatta subito, o è necessario ripeterla dall’inizio e perdere ancora altro tempo- rispose mentalmente, mentre il liquido ambrato raffreddandosi cristallizzava insieme alla porzione di fluido dell’Accordo. Il componente che aveva aggiunto era l’antitesi di quello che aveva elaborato per rendere compatibili i tessuti organici dei Mietitori.
Ibrido ascoltava a malapena le sue parole. Tra la Sete che offuscava la sua capacità razionale e la rivelazione ottenuta dal sangue di Josiel, i suoi pensieri saettavano come schegge impazzite, incapaci di condensarsi in un vero piano d’azione. Ciò che sapeva, tuttavia, era che finché quell’alchimista rimaneva in quel laboratorio, finché aveva serie e concrete possibilità di sviluppare un composto che avrebbe potuto separarlo dall’Anchsar, la sua stessa sopravvivenza era in pericolo. Conosceva troppo bene la fine destinata a una cavia. Lui non avrebbe fatto eccezione.
Fu così che, dopo qualche tempo, formulò un pensiero assurdo, ma che rappresentava l’unica soluzione che era stato in grado di trovare.
E se ti dicessi che so come farti scappare?

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Piccolo angelo bellerrimo crudele sanguinario...

Io sono una creatura del Caos. Ma dal Caos nasce la saggezza, e dalla saggezza il potere.

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MessaggioInviato: Gio Feb 14, 2019 12:29 am Rispondi citandoTorna in cima

Astrea socchiuse gli occhi appena intravide la luce dell’alba che filtrava attraverso l’ingresso della caverna, quando finalmente emerse dalle tenebre fece un sospiro di sollievo e si sentì meglio. Notò gli altri compagni poco distanti e cominciò ad avvicinarsi a passi lenti.
Fu Ulkos il primo a fiutarla e annunciò la sua presenza al gruppo. Galdor era ancora assorto accanto a Zadris con Lao che lo teneva sotto controllo.
“Non vedo la vampira e nemmeno la fiuto, però…” continuò e andò incontro alla ragazza.
La ragazza fece un cenno interrogativo con il mento al licantropo in direzione di Galdor e Zadris. “Mi sono persa qualcosa?”
“Onestamente, non lo so.” rispose il mezzolupo “È così da un pezzo. Zadris aveva dato in escandescenze e ha reagito a Lao mentre la spostava e Galdor ha insistito per toccare l’alabarda, ma sembra che vada tutto bene. Almeno credo.” questa volta fu il turno di Ulkos ad accennare col mento. “Ti vedo orfana di un Cadavere…”
Astrea fissò l’alabarda mentre mille pensieri le frullavano in testa per alcuni lunghi istanti. “Carnival non verrà, non ora. Ci raggiungerà quando sarà pronta, almeno spero.”
Il volto di Ulkos tradì una leggera contrazione mentre da un lato pensava che la marcia si era rivelata inutile, ma dall’altro era sollevato di essersi tolto di torno quella presenza disturbante. Ad ogni modo, tenne per sé queste considerazioni. “Torniamo dagli altri…” si limitò a dire.

Gli altri non vorranno, sussurrò ancora l’alabarda alla mente di Galdor. Ai loro occhi questo sembrerà colpire a morte. Ma tu saresti in grado. Tu lo hai voluto fin dall’inizio, ma non per annichilirlo: per salvarlo.
Non preoccuparti del giudizio degli altri, a quello ci penso io. Sono abituato. rispose il guerriero. Se non c’è altro interromperei qui, non sono abituato a queste cose, mi stanca terribilmente.
C’è lei, mormorò Zadris dopo un istante di esitazione. La Sorellina. Mi è mancata, quasi quanto è mancata a lui. Vorrei poter udire la sua voce. Ma non posso. Una nota di rammarico colorò il tono di quella voce così umana da risultare impossibile da attribuire a un’arma. Vai e dalle speranza, Uomo di Fuoco. Da’ speranza a tutti.
Il guerriero si sforzò di rimanere impassibile alle ultime parole di Zadris e si limitò ad annuire dopo qualche secondo staccando la mano dall’alabarda.
L’ultimo impulso di Zadris nella sua mente lo portò a voltarsi in direzione di Astrea, consapevole di dove fosse, senza nemmeno doverla cercare con lo sguardo.
“Aygarth è vivo…” disse a tutti. “Anche se sarà difficile tirarlo fuori da lì…”

“Diavolo, sì!” quasi urlò Ulkos. La scarica di adrenalina che gli aveva dato quella notizia inaspettata per poco non gli fece perdere il controllo sulla sua trasformazione. Riuscì comunque a mantenere il proprio contegno e annuì in direzione del guerriero. “E’ stata Zadris a dirlo? Può sentirlo? Dove si trova adesso?”
Galdor scosse la testa “Non può sentirlo e non sa dove risiede la sua coscienza, ma se Zadris è viva allora anche Aygarth lo è, me lo ha confermato.”
Le guance di Astrea cambiarono improvvisamente colore a quella notizia. “E Ibrido non si è accorto di nulla? Credi che sia in pericolo?”
Il guerriero alzò entrambe le mani in segno di resa. “Una buona notizia alla volta.” rispose. “Zadris non saprà dirmi altro fino a quando non incontreremo nuovamente Ibrido.”
Astrea non rispose e l’entusiasmo si era già smorzato. Avevano ancora un mese di tempo prima di un probabile reincontro con l’Ibrido e non era detto che ne sarebbero usciti incolumi. Si avvicinò a Zadris fino a sfiorarne l’impugnatura.
L’alabarda rimase muta, ma un lievissimo venticello caldo lambì i polpastrelli della ragazza. Un saluto, o forse una parola, chi poteva dirlo? Una breve vibrazione del metallo le comunicò una sensazione strana, paragonabile a quella di una carezza.
“Un momento” interloquì Magistra Ro. “Hai detto che ‘sarà difficile tirarlo fuori da lì’. Quindi Aygarth è dentro Ibrido come supponevamo. Ma come faremo, parlando in termini più pratici, a tirarlo fuori?”
Zadris vibrò appena prima che Galdor potesse rispondere. Quasi un avvertimento.
Il guerriero sfoderò la sua migliore faccia di bronzo. “Penseremo a un piano in questo mese di tempo. Intanto Zadris cercherà di percepire Aygarth per darci indicazioni” e sperò che le domande, almeno per il momento, si sarebbero concluse lì; anche se il silenzio di Lao lo preoccupava. Quasi a rispondere alla sua preoccupazione il vecchio gli sorrise storto: “Sento il rumore dei tuoi pensieri Galdor. Qualcosa ti preoccupa?”
Il guerriero annuì alle parole di Lao. “Penso che il timore di Astrea che Ibrido possa accorgersi di Aygarth e vanificare ogni nostra speranza non sia del tutto infondata.” si passò una mano sulla nuca. “Ma ci serve tempo per rimetterci in forze, elaborare un piano e prepararci per quando lo incontreremo.”
Lao approvò con un cenno le parole di Galdor. “Sono d’accordo. Mi preoccupa comunque avere la spada di Damocle di Ibrido che ci pende sulla testa.” il vecchio lanciò un rapido sguardo ad Astrea. “Ci ha dato un mese, ma niente ci assicura che rispetti la parola data. E abbiamo due braccia in meno.” Lao incrociò le braccia. “Forse sono uno dei pochi a pensarlo, ma l’assenza di Carnival si farà sentire.”
“Non credo che menta” La ragazza scosse la testa “Ne sono abbastanza sicura dopo il nostro breve contatto e lo ha dimostrato quando ha portato via Cronista senza farci del male, per quanto riguarda Carnival…” Esitò “Vorrei che potesse fare pace con se stessa durante la sua solitudine”
“Quando sarà pronta tornerà.” disse Galdor.
“Non ci libereremo di lei così facilmente” fece eco Ulkos. “Però Lao ha ragione, l’apporto tattico di Carnival non era indifferente.”
Ci fu un breve momento di silenzio che fu interrotto da Magistra. “Piangeremo e ci dispereremo un’altra volta, ora che si fa?”
“Ho un’idea ma è folle e abbastanza disperata, ma non meno della situazione in cui ci troviamo in questo momento direi” Astrea parlò dopo qualche istante di silenzio “Dobbiamo capire perché Ibrido ci ha consigliato di andare a nord e soprattutto se lui sarà diretto lì, ma al momento non abbiamo alcuna informazione utile e a noi, alla luce della scoperta che Aygarth sia ancora vivo, sapere dove sia Ibrido è di vitale importanza…” Si rivolse a Lao non riuscendo a nascondere una smorfia immaginando già la sua reazione “Ecco perché potrei cercarlo io questa volta”
Lao alzò un sopracciglio a quelle parole. “In quella grotta doveva esserci qualche stalattite bassa…” commentò prima di chiudersi in cupe riflessioni. “Hai pensato che potrebbe essere pronto al tuo arrivo? Che potresti non riuscire ad arginarlo se reagisse?”
“Sì lo so, non ti nascondo che Ibrido sia la cosa peggiore che mi sia capitata, quando mi ha morso ho creduto sul serio di morire. È stata l’esperienza più brutta della mia vita ed ecco perché ho chiesto il tuo aiuto quando è entrato nella mia testa” Lo incalzò “Ma non abbiamo né tempo né alternative e voglio fare il possibile per salvare Aygarth.”
“C’è sempre un’alternativa. Sempre.” affermò Lao con voce preoccupata. “E’ un piano rischioso, e dovremmo attuarlo solo come misura estrema se non troviamo altro.”
Il guerriero si intromise “È vero, ma Astrea potrebbe essere una buona distrazione per evitare che Ibrido si accorga che la coscienza di Aygath non è più sopita”
Lao lanciò a Galdor un occhiata gelida. “E’ una mia impressione o hai appena suggerito di usare Astrea come esca o come diversivo?”
La ragazza alzò gli occhi al cielo “Devo solo riuscire ad avere informazioni da lui, Lao, e l’unica alternativa che abbiamo è girare a vuoto mi sembra”
Anche Galdor rispose a Lao. “Potrebbe essere rischioso, ma Astrea non sarebbe sola: ci saresti tu. Hai già arginato Ibrido una volta nella sua testa, secondo te potremmo riuscire a trarre vantaggio da questo legame?” gli chiese a sua volta.
“Sì, l’ho fatto. Due volte, a stento e con molta fortuna. E non sono neanche sicuro di averlo arginato se devo essere sincero.” rispose Lao grattandosi la testa. “Ascoltate, sincerità per sincerità, da quando è cominciata tutta questa storia con Qàin, Ibrido e tutto il resto non sono più tanto sicuro di quanto siano forti i miei poteri, visto che dipendono dalla mia stabilità e serenità mentale. Se siete sempre disposti a darmi fiducia…” lasciò la frase in sospeso.
La mia giammai, sibilò Zadris nella mente di Galdor.
Galdor socchiuse gli occhi involontariamente per via dell’improvviso sfogo di Zadris.
“È vero che nell’ultimo periodo ci siamo scornati parecchio e probabilmente non mancheranno altre occasioni, ma la mia fiducia nei tuoi e nei vostri confronti non è mai venuta meno. Dobbiamo stare uniti se vogliamo essere forti.”
Per due volte ha tentato di toccare la mente del Detentore, sussurrò ancora l’alabarda, e per due volte ha solo fatto danni. L’ultima volta ha rischiato di scombinarlo, annullarlo, nel tentativo di sconfiggere l’Altro. Se lui ci riprova, e l’arma vibrò in maniera anomala nel pugno del guerriero, io lo ammazzo.
Galdor rafforzò la presa sull’arma. “Anche se Zadris, ti raccomanda di stare attento a non ferire Aygarth nel tentativo di attaccare Ibrido. A quanto mi dice in passato devi esserci andato molto vicino.” aggiunse.
Il vecchio annuì. “Zadris dovrebbe capire che è anche nel mio interesse salvare Aygarth. Ma se devo scegliere tra il conservare la vostra fiducia e guadagnarmi quella di un’arma mentre salvo quel ragazzo, preferisco la prima. Per una questione affettiva.” incrociò le braccia volgendo lo sguardo al resto del gruppo. “Dobbiamo muoverci.”
Astrea si girò d’istinto verso le grotte come se si aspettasse di vedere spuntare fuori Carnival all’improvviso ma rimase delusa. Annuì al suo maestro “Andiamo, non c’è più motivo per noi di restare qui.”

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MessaggioInviato: Mar Feb 19, 2019 1:03 pm Rispondi citandoTorna in cima

[Anchsar]

TLA-CLUNK! TLA-CLUNK! TLA-CLUNK!
Aygarth era seduto a gambe incrociate sul pavimento di ferro, che gli trasmetteva ogni vibrazione di quel luogo. L’assordante sferragliare degli ingranaggi era un costante colpo di mannaia alla sua capacità di concentrazione, specie considerando che non aveva la più pallida idea di come concentrarsi su qualcosa che neanche conosceva.
L’Anchsar.
TLA-CLUNK!
Shantia contemplava in silenzio la sua meditazione. Da quando si era seduto, non aveva più spiccicato parola, né per incoraggiarlo né per farlo desistere dalle sue intenzioni. Aygarth si era ripromesso di non chiederle consiglio, cercando di individuare nelle proprie memorie - quelle offerte da Darth Roxx al momento della sua morte, il bagaglio di tutte le sue conoscenze - qualsiasi indizio utile per aiutarsi nel compito.
Non era facile, in ogni caso. In teoria era sospeso in un limbo arcano, non sapeva neanche se fosse davvero “vivo”.
Cosa avrebbe fatto Darth?
Era stato testimone delle sue abilità prima ancora di ereditarle. Si ritrovò a rimpiangere di non aver potuto imbastire una conversazione approfondita sulle sue arti, così potenti e al contempo così pericolose per se stesso. Troppa lotta e troppe fughe gli avevano impedito di potersi guardare attorno e vedere i suoi compagni negli occhi, se non per brevi momenti di tregua. E Darth, con il fardello di Sharra, di cui lui aveva conosciuto il calore e la furia, era uno di quei maestri che non cercavano allievi, eppure sapevano insegnare tanto, ne era sicuro.
Cosa avrebbe fatto Darth?
Se lo ripeteva, lo aiutava quasi a concentrarsi. A calmarsi. Finora aveva imitato la sua posizione di meditazione, ma lo sforzo si era fermato lì. Aprì un occhio e sbirciò la statua: era il suo specchio, anche lei seduta e col capo chino, le mani raccolte in grembo. Aygarth capì che era un riflesso della sua concentrazione e tornò a isolare la sua mente.
TLA-CLUNK!
Se non fosse per quel casino.
Aygarth strinse i denti. Il breve contatto col Cronista gli aveva acceso una speranza che, col passare del tempo, si stava tramutando in una frustrazione galoppante. Oltre quella porta di ferro, oltre quello spioncino affumicato, c’era una Forgia che ruggiva, smaniosa di bruciare. La Forgia di Sangue, come era stata soprannominata tempo addietro. La Forgia che obbediva al cieco impulso del Vampiro e scappava al controllo della sua mente razionale. Non poteva uscire e non poteva capire nulla di quanto accadeva all’esterno se non per fugaci apparizioni, contatti involontari.
Era stanco di non poter avere il controllo. Erano due anni, ormai, che viveva così.
Pensa, Aygarth, pensa! Questo posto ha preso le sembianze prelevate dal mio inconscio, perché è stato così che ho visto l’Anchsar per la prima volta: nient’altro che un artefatto. Anche il pavimento si è plasmato per seguire i miei movimenti. Quindi “risponde” a un contatto. Devo solo consolidarlo. Padroneggiarlo. Renderlo mio. E usarlo, per “toccare” l’esterno, proprio come il guanto che uso per prelevare le lame dalla forgia della fucina, né più né meno. La mia armatura contro la Forgia. Ripeté quell’ultima frase nella mente e ne assaporò il retrogusto amaro. Incredibile doversi proteggere da qualcosa che, fino a quel momento, pur essendo spesso causa principale dei suoi guai, gli aveva salvato la pelle. Ma ci sarebbe riuscito. Shantia gli aveva detto che le sue percezioni erano dovute alla sua ormai completa fusione con l’Anchsar e lui, che gli Dei lo fulminassero, si sarebbe alzato da lì solo a obbiettivo raggiunto.
Concentrati.
Rilassò il respiro, controllò il battito del proprio cuore. Sapeva che le manifestazioni fisiche erano soltanto una proiezione mentale, ma era il suo unico appiglio per rendere realtà la propria volontà. I suoi ricordi erano confusi, in quel piano d’esistenza, e si era accorto che più si sforzava di afferrarli, più gli sfuggivano, come anguille viscide.
Allora li lasciò fluire naturalmente.
La sua mente si riempì di nero - non poteva vederlo, ma anche l’illuminazione artificiale dentro l’Anchsar si smorzò considerevolmente - e Aygarth rimase in ascolto di se stesso.
TLA-CLUNK!
Tu-tump, tu-tump, tu-
TLA-CLUNK!
Tu-tump, tu-t...
TLA-CLUNK!
Strinse i denti. La voce di Darth si materializzò tra i suoi pensieri, sovrapponendosi alla sua: -troppo veloce! Armonizzati. Entra in sintonia con l’Anchsar.-
A parole era facile, ma sembrava che il suo cuore andasse per i fatti suoi, e più si sforzava di controllarne il battito, più accelerava. Era frustrante.
Concentrati, maledizione, stupido fabbro che non sei altro!
Se lo disse da solo, con rabbia, e subito avvertì una scossa di rimprovero che poteva provenire soltanto dall’eco della mente di Darth.
-Calmati. Respira. Segui il ritmo.-
Un passo alla volta, si decise. Cominciò dal respiro, a lasciarlo scandire dai macchinari. Ben presto si ritrovò a inspirare a ritmo, e si tenne stretto quel progresso cercando di non perdere né calma né concentrazione.
-Ora il cuore. Seguirà il respiro e il tuo stato d’animo, quindi sentimenti dirompenti come collera, paura e frustrazione ti sono nemici in questa fase. Non pensare a nulla se non a te stesso. Quando riuscirai ad “ascoltarti”, allora potrai andare in sintonia col resto.-
Belle parole, alle orecchie di Aygarth. Tutt’altra cosa riuscirci. Tuttavia si costrinse a non pensare, a non badare alle accelerazioni improvvise del suo battito, ribelle al suo controllo.
Invisibile ai suoi occhi, anche la statua imitò i movimenti del suo torace.
Respira.
TLA-CLUNK!
Tu-tump, tu-tump
Calma.
TLA-CLUNK!
Tu-tump, tu-
Calma...
TLA-CLUNK!
Tu-tump…
TLA-CLUNK!
Tu-tump..
Nell’istante stesso in cui il cuore di Aygarth si sintonizzò sul ritmo degli ingranaggi, un’insolita ondata di calore avvampò dal pavimento. Senza osare riaprire gli occhi e controllando ossessivamente la respirazione, Aygarth vi pose lentamente i palmi.
Sotto la sua pelle, il metallo pulsava come fosse vivo.
Premette appena le dita e lo sentì cedere. Era soffice come pane fresco. La sensazione bizzarra lo fece deconcentrare, e se ne accorse quando il metallo lo respinse bruscamente, tornando alla sua consueta solidità.
Forza...
Tornò a concentrarsi. Ci impiegò un po’ di meno a sintonizzarsi. Provò ancora a tastare il pavimento e stavolta non si lasciò impressionare dai sensi. Lui non stava provando davvero il senso del tatto. Era una proiezione della sua mente, e doveva convincersene.
Affondò le dita nel metallo e strinse. Era come cercare di impugnare il miele. Passò le mani tutt’attorno a sé come se accarezzasse la superficie di uno stagno. Il pavimento assecondò i suoi movimenti, senza ostacolarlo.
Con il proprio cuore e lo sferragliare degli ingranaggi a rimbombare perfettamente sincronizzati nelle sue orecchie, Aygarth osò prenderne un po’.
Lo sentì scivolare tra le dita, e anche cercando di trattenerlo era difficile. Sentendo mancare il controllo, Aygarth ebbe l'impulso di aprire gli occhi. Il metallo gli colava dalle mani fino al pavimento, dove venne riassorbito.
Si concentrò. Solido. Diventa solido.
Il metallo non parve ubbidirgli.
Aygarth strinse nelle mani l’ultima porzione rimasta di metallo fuso. Chiuse gli occhi e vi proiettò tutto se stesso, sordo a qualsiasi altra sensazione.
Li riaprì soltanto quando ingranaggi e cuore smisero di essere coordinati. Il fracasso dei macchinari tornò a essere sgradevole alle sue orecchie. Aprì le dita e notò che tutto il metallo era colato...
No. Non tutto.
Si chinò sul piccolo tesoro che serbava nel palmo. Una scheggia non più grande del suo mignolo, acuminata e lucida come uno specchio.
Sorrise.
-Un passo alla volta-, disse Darth nella sua testa.
Sì, maestro.

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Piccolo angelo bellerrimo crudele sanguinario...

Io sono una creatura del Caos. Ma dal Caos nasce la saggezza, e dalla saggezza il potere.

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Lorenzo Ferretti
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MessaggioInviato: Dom Feb 02, 2020 7:00 pm Rispondi citandoTorna in cima

[ATHKATLA - CORTE DEI MIRACOLI]

Audra lo guardò sgattaiolare via. Quando fu certa che non li sentisse più, si sedette di nuovo, stavolta con l’aria più afflitta. “Dovresti metterli più in riga” disse con indifferenza. “Se li mandi in missione così impulsivi, finiranno male.”
Dorian ridacchiò.
“Metterli in riga? Quei ragazzini sono già adulti fatti e finiti, c’è poco che io possa fare se non cercare di insegnar loro ad essere più cauti.” rispose poi mestamente. “Ma se la sono cavata finora e da bambini non è cosa facile…” continuò poi.
“A dei bambini serve sempre una guida. Imparare da soli li rende forti, ma non invulnerabili. In questo momento la loro guida sei tu, quindi dovresti dar loro dei consigli anziché lasciarli a briglia sciolta.” Si alzò in piedi pur avendo un precario equilibrio. “E a proposito di invulnerabili: qui sotto non lo siamo affatto. Meglio se torno indietro di qualche cunicolo. Controllerò che nessuno ci stia ancora braccando e pulirò ogni segno del nostro passaggio. Meglio farlo finché è ancora notte, così muoversi nell’ombra sarà facile...” In realtà non era facile per niente, aveva la testa leggerissima e nonostante fosse guarita l’emorragia l’aveva sfibrata. “Tu tieni i Gatti lontani dai guai, e dal mio cristallo..." Si avviò decisa verso la porta dell’infermeria.
Tornare sui nostri passi? Con gli armigeri e i mastini ancora in giro? Non poteva lasciarglielo fare. Più velocemente che poté, Dorian la seguì, trattenendola il più fermamente possibile per un braccio.
“Aspetta, sei troppo debole ancora!” le disse, cercando di mascherare la preoccupazione. Gli era capitato spesso di far finta di niente di fronte a ferite gravi. Non erano rare le volte in cui aveva fatto finta di star bene quando in realtà non si sarebbe retto in piedi per più di dieci minuti e conosceva il tipo di determinazione di cui ora sembrava investita Audra.
“So badare a me stessa!” replicò lei con voce decisa. Si voltò nella sua stretta e cercò di allontanarlo, quasi menando alla cieca.
Le sue dita sfiorarono il volto di Dorian. Per un interminabile attimo, venne a contatto con l’occhio artificiale. Audra avvertì una puntura acuta nel cervello, e...


“Impara in fretta.”
“Tutti i trovatelli imparano in fretta, quando si tratta di mangiare. Chissà da quanto vive per la strada… Siamo il suo colpo di fortuna. Ovvio che ci tiene stretti.”
“Avanti, Dag, non dirmi che non ti diverte quando cerca di tendere la balestra! Quanto avrà, cinque anni? E’ intraprendente!”
“E ci farà beccare, prima o dopo! Sarà una palla al piede per l’eternità. Accollarsi un’orfana delle Catacombe significa una bocca in più da sfamare. Vuoi dividere la ricompensa anche con lei?”
“Intanto sembra conoscere molto bene Romar e tutte le sue vie più nascoste. L’ultima taglia l’abbiamo guadagnata perché ci ha fatto scoprire un passaggio segreto che, sono sicuro, sarà stato dimenticato pure dai suoi artefici… E poi l’hai vista? Sguscia dappertutto. Passa dove noi non possiamo farlo. Ci sarà utile!"
“Allora inizia pure ad addestrarla, la pulce, se ti diverte tanto. Io non ne voglio sapere.”
“Quello bravo con le spade sei tu! Goudrel è più in gamba con l’arco. Senza contare che ora che è zoppo non ha nemmeno voglia di muoversi troppo...”
“Ti ho detto che per me può rimanere dove sta.”
“Abbassa la voce! Potrebbe sentirci.”
“No, dorme. Non fa che dormire quando è il turno di guardia. Quella pulce non è buona neanche in un compito così semplice.”
“Dovremmo anche darle un nome.”
“‘Pulce’ non è adatto?”
“Spiritoso...”
“Tu che conosci l’elfico, orecchio-mezza-punta, qual è la parola per dire ‘pulce’?”
“Ehr… non esiste un vero termine, non per il significato che intendi tu. La parola che più ci si avvicina è ‘auder’. Ma così sembra un maschio...”
“E il problema dove sta? Dobbiamo forse renderne conto agli elfi? Chiamala Audra. Ecco, questione del nome risolta. E ora vai a svegliarla, la pulce. E’ già l’alba.”
[...]
Sta tornando dalla caccia, due lepri in mano. Al nascondiglio, Goudrel e Matrim stanno russando. I nuovi giunti negli ultimi mesi, Finnick e Steav, sono di vedetta nei paraggi. Lei posa le lepri e la balestra, dà un calcio alle braci e guarda Goudrel che si agita nella coperta. Gliela riassesta in modo che non prenda freddo.
“Non farlo.”
Dag la redarguisce. Come sempre. Lei si gira verso l’uomo: sta affilando la lama sulla cote, il metallo stride a ogni secondo lanciando scintille vivide. Ormai Audra ha dieci anni e sa rispondergli a tono, anche se non si sa spiegare quell’atteggiamento antipatico.
“Ti curi troppo degli altri. Lascia che si arrangino. Non siamo una famigliola felice, ficcatelo in testa. Ognuno per sé, e gli Dei per tutti. Quando fai il cacciatore di taglie, si pensa ai soldi e alla pelle. Gli altri non esistono se non come facce sulle bolle di caccia, o come braccia in più che possono aiutarti a raggiungere l’obiettivo. Non ci si può e non ci si deve MAI affezionare a nessuno. Perché...”
“...perché non si sa mai che volto ci sarà, su quei bandi, alla prossima alba” ribatte lei, come se fosse una lezione che sa a menadito. Si avvicina a lui e gli si accovaccia accanto. “Se Goudrel prende freddo, si ammala; se si ammala, perdiamo il nostro palo” sussurra senza una piega. “Senza il palo, i nostri agguati vanno in malora. E possiamo dire addio alla ricompensa.”
A sorpresa, Dag sfodera un sorriso indulgente. “Ben detto, Audra.” Quell’accenno di benevolenza viene però troncato dalla frase successiva: “La ricompensa è l’unica cosa che conta."




Un’intensa luce rossa pervadeva la stanza. Un focolare probabilmente. Un acre odore di fumo permeava l’aria e una lenta litania risuonava in sottofondo, pronunciata dalla voce del vecchio.
Non riusciva a muoversi.
Il terrore gli attanagliò le viscere, mentre la sensazione di non poter fuggire si faceva strada nei suoi pensieri. Improvvisamente, nel suo campo visivo comparve una specie di cucchiaio rovente.
Poi, un dolore spietato, mordente, come di mille aghi infuocati infilzati direttamente nel cervello. Un urlo fuggì dalla sua gola, incapace di trattenere il senso di sgomento e dolore. Ora metà della visuale era completamente nera e un dolore pulsante lo stava facendo piombare nell’incoscienza.
“Sveglio ragazzo! Devi rimanere Sveglio!” l’ordine arrivò secco, senza un briciolo di pietà.
Sollevò l’unico occhio che ancora ci vedeva, riuscendo a riconoscere il vecchio che riprese a salmodiare parole in una lingua a lui sconosciuta. Aveva una piccola sfera azzurra in mano grande come una noce all’incirca. Terminata la litania si girò verso di lui, avvicinandosi fino a portargli l’oggetto a pochi centimetri dal naso.
“Ora comincia la parte dolorosa, Dorian. Da qui in avanti potrai nasconderti, chiudere gli occhi, fuggire dove vorrai. Ma al Patto non puoi sfuggire. Onoralo sempre e forse ti ricompenserà con ciò che cerchi.” Recitò come una formula: ”Memento vede, Memento sa... Memento mori!”
Prendendolo per il collo, il vecchio lo obbligò a rimanere fermo. Un altro dolore acuto penetrò nella sua testa, quando la sfera fu spinta nelle sue carni ancora pulsanti di dolore. Punture gelide colpirono il suo viso, affondando fin nella sua mente. Stralli di ghiaccio avvilupparono i suoi pensieri, divenendo un tutt’uno con essi… un tutt’uno con ciò che era stato. Volti contorti iniziarono ad affollare la sua visuale. Volti di decine di persone, trascinate via in ceppi e catene, ammassate in carri troppo piccoli e portate via come bestiame…


Ansimando Dorian balzò indietro, scostando la mano di Audra dal proprio volto e ritornando in sé. Scosse la testa, cercando di fare ordine fra le immagini che gli erano appena scorse davanti agli occhi.
“Non… non era solo un tuo amico…” mormorò, guardandola di sottecchi. Lentamente iniziò a comprendere. Dag non era mai stato solo un insegnante, era stato prima di tutto l’unico maestro di vita di Audra. Non era mai nemmeno stato sempre uno sceriffo, ma un cacciatore di taglie della peggior specie… proprio come lo era Audra.
Dal suo canto, Audra era indietreggiata fino a sbattere di schiena contro la porta. Si passò una mano sul viso, ancora non convinta di quanto le era accaduto, cosa avesse portato con sé quel contatto. Il cristallo! Il cristallo nell’occhio! Aveva vissuto il momento in cui era stato impiantato, ma non solo...
“E’ colpa mia!” si trovò a gridare, senza controllo. Ma quel pensiero non le apparteneva. Mille volti le sfrecciarono davanti, come nella visione appena avuta. “Colpa mia... no, non è colpa mia! Maledizione!” Si tolse la mano dalla faccia e si accorse di avere gli occhi umidi. Guardò Dorian con stupore. “Tu... un commissario! Un miliziano! Tutta quella gente! Li hai cacciati per loro..." Guardò il rifugio come se lo vedesse per la prima volta, e un lampo di comprensione balenò nei suoi occhi simili a gocce di veleno. “Ecco perché sei qui sotto. Ecco perché li hai presi con te. Ecco perché moriresti per loro, anche se non vuoi morire affatto."
Dorian sembrò ondeggiare leggermente all’indietro, come se Audra gli avesse dato uno schiaffo. Provò a riprendersi, il cuore che ancora batteva all’impazzata per ciò che era appena successo. Un senso di solitudine e abbandono lo permeava, inframezzato da sprazzi di rabbia e cieca determinazione. Ma non erano sentimenti suoi, non del tutto perlomeno, come se al proprio stato d’animo ne fosse stato aggiunto un altro che non era in grado di contenere. Faticava ancora a riprendere fiato quando riuscì a replicare con voce spezzata.
“Non… sapevo… non avevo idea...” non riuscì a completare la frase, incerto su cosa dire e come dirlo. Non vi erano molte possibilità di sfuggire al giudizio di Audra e non sarebbe sfuggito nemmeno a quello del resto della Tana, una volta che lei avesse raccontato la verità in giro. Probabilmente lo avrebbero linciato sul posto. Non avrebbe potuto biasimarli, d’altro canto. “Avevamo degli ordini… dai capi della città.” Spiegò lentamente, faticando a tirar fuori ogni singola parola. “Ci dissero che vi era la possibilità di una rivolta e che dovevamo indagare su determinati tipi di famiglie” Si diresse verso l’unica cassapanca nella stanza, traendone una bottiglia con del liquido ambrato all’interno e prendendone un lungo sorso. Offrì poi la bottiglia ad Audra. “Quando ho scoperto cosa facevano… era troppo tardi. Minacciarono di deportare chiunque fosse ancora vivo della mia famiglia e mi misero a lavorare direttamente con la squadra d’arresto.” si sedette, fissando il vuoto davanti a sé.
Audra strappò la bottiglia di mano a Dorian. “Sai cosa mi fa ridere? Mi hai sempre squadrato dall’alto in basso considerando la mia professione soltanto un bieco mezzo per far soldi sulla pelle altrui. Io, però, almeno scelgo le mie prede. Valuto se ne vale la pena e soprattutto se lo meritano. Tu hai solo obbedito agli ordini senza chiederti perché. Se l’avessi fatto, avresti potuto ribellarti molto prima... e forse saresti morto, oh sì. Ma almeno avresti avuto la coscienza pulita.” Bevve un paio di sorsi prima di risbattere la bottiglia sul coperchio della cassapanca. “Toglimi una curiosità: gli altri lo sanno?”
L’uomo la ascoltò senza fiatare e senza neanche guardarla. Sembrò riscuotersi solamente quando Audra sbatté la bottiglia accanto a lui, facendogli sollevare gli occhi con un sorriso mesto. “Oh sì, avrei potuto ribellarmi molto prima se mi fossi fatto domande. Ma non me le sono fatte. E ora sono qui.” prese due lunghi sorsi ancora, facendo una smorfia mentre posava di nuovo la bottiglia. “E no, non lo sanno. Almeno credo. Sono abbastanza sicuro di no o non mi spiegherei perchè sono ancora vivo qui sotto.” ridacchiò senza allegria nella voce.
Audra lo fissò con occhi sottili. “Quindi lo fai per una sorta di vendetta? O per ripulirti la coscienza?”
Dorian scrollò leggermente le spalle. “Probabile. Cerco qualcosa di simile alla redenzione, penso… qualcosa che mi renda di nuovo umano quando mi guardo allo specchio.” Le lanciò uno sguardo enigmatico prima di proseguire. “E comunque, sei la prima cacciatrice di taglie che ha la fortuna di poter decidere se una preda merita o meno di essere catturata. Generalmente nessuno si fa scrupoli. Dag cosa ne pensava?”
Audra si prese del tempo per rispondere, senza smettere di guardare Dorian dritto negli occhi. “Dag cacciava chiunque avesse un solo soldo sulla testa, vivo o morto non faceva differenza per lui. Mi ha insegnato che tutti gli uomini diventano assassini, alcuni più di altri. E ha ragione. Nessuno è immacolato. Ho imparato bene la sua lezione. Sono solo diventata più brava a riconoscere chi uccideva per brama e non per difesa personale. E anche…” perse lo sguardo per un istante nel vuoto come a ricordare “... anche più brava a ricordarmi che non si nasce assassini, né si nasce con un fardello di colpe addosso.”
Dorian si alzò, muovendo un paio di passi verso di lei. “Ti penti di essere rimasta a vivere con lui?” domandò, semplicemente. “Ho visto… alcuni tuoi ricordi, credo. Non sembrava volerti con sé, da una parte, ma dall’altra capisco perchè tu sia voluta restare. Ti ha dato forza, ma ti ha anche dato un fardello… come hai detto tu.”
Lei arretrò, esterrefatta dapprincipio da quell’affermazione, poi il suo viso tornò serio. “Quando sei orfano, impari a convivere con il male minore. Come fanno i Gatti con te. Come ho fatto io con lui e i suoi uomini.”
Fu Dorian stavolta ad arretrare di qualche passo, quasi ricadendo sulla cassapanca. Si riprese in tempo però. “Io almeno ho commesso errori cercando di fare del mio meglio. Dag non ha mai cercato di fare del suo meglio, da quel che so.”
Audra scosse la testa. “Tu non sai niente, Dorian Maldovar” sentenziò. “Non sarei viva se non fosse stato per lui. Dag non mi ha mai detto cosa lo abbia spinto a cacciar taglie, e a tutt’oggi non mi ha mai detto perché quel giorno non mi abbia scacciato via anziché prendermi con sé. Ma Dag ha sempre fatto del suo meglio, nel bene e nel male. Mi ha dato tutto ciò che poteva darmi, e io da lui ho conquistato tutto ciò che volevo per vivere. Sono qui, ancora viva, capace di lottare e di ribellarmi. Io direi che ha fatto un buon lavoro.”
“Allora dopotutto anche Dag forse aveva un cuore. Come dici tu, non so nulla di lui.” Dorian sorrise a mezza bocca. “ Quello che so è che ai Gatti e a tutti quelli che oggi sono qui ho potuto dare una casa e, in molti casi, una nuova speranza. Non è molto e non cancella ciò che ho fatto in passato… di sicuro non fa di me un santo. E come io non sono un santo di certo non lo è nemmeno lui né mai lo sarà. Ciò non toglie che per alcune, forse troppe poche persone, è riuscito a fare la differenza nel bene. E se qualcuno può considerare Dag una buona persona, forse qualcuno, un giorno o l’altro, potrà considerare allo stesso modo anche me.” si risiedette, lo sguardo nuovamente perso in ricordi non troppo lontani.
Audra si sedette al suo fianco, le braccia conserte e un sospiro lieve. “Non lo verranno a sapere da me” sussurrò. “Ognuno ha il diritto di mantenere i propri segreti.” Si guardò la camicia ormai lercia di sangue e sporco e sospirò di nuovo. “E grazie per le cure. Ma ricordati che mi devi un mantello nuovo. Era nei patti.”
Dorian voltò appena la testa per osservare Audra sederglisi vicino. “Grazie…” sussurrò a propria volta, per poi raddrizzarsi. “Un giorno però dovrò dirglielo, temo. Non potrò portare avanti questa mascherata per sempre. Hanno il diritto alla verità, dopotutto, almeno da parte mia.” Sorrise poi, quasi divertito per la prima volta da innumerevoli ore. Sembravano passate settimane da che erano usciti per andare da Dag. “Dovremmo avere ancora qualcosa in magazzino. Serviti pure, naturalmente. Se non te ne va bene nessuno andremo a procurarcene un altro.” La guardò di nuovo, stavolta più a lungo. “Forse sarà il caso di cambiare anche tutto il resto. Il puzzo di fogna non si leva più dai vestiti.” si azzardò anche a ridacchiare stavolta.
“Un mantellaccio pulcioso in cambio di averti salvato il cul0? Sei un pessimo commerciante. Me lo comprerai, e sarà esattamente come ti dirò. Dovrà essere… utile, e non solo un banale orpello.” Annusò a fondo i vestiti di Dorian e fece una smorfia. “Ti dirò, tu puzzavi di fogna fin dall’inizio.”
“Almeno non sono ricoperto di melma dalla testa ai piedi!” L’uomo le diede una leggera pacca sulla spalla, senza farle male. “E sia, andremo al mercato e ti comprerò un mantello in modo onesto, contenta?” sorrise, offrendole di nuovo da bere.
Audra accolse la battuta con una smorfia, e si attaccò alla bottiglia. “Entro tre giorni” aggiunse. “Prima dell’incontro al chiaro di luna. Potrebbe servirmi.” Strinse i pugni dopo aver riconsegnato la bottiglia a Dorian. “Non so che fine possa aver fatto Dag” si limitò a dire.
Dorian la guardò accigliato, percependo la sua preoccupazione non tanto velata. “Sono sicuro che starà bene. Uno come lui ha la pellaccia dura. Inoltre avranno visto com’era immobilizzato, dubito gli potranno dare la colpa della nostra fuga. Tantopiù che sono stati loro a perderci nelle fogne, non lui.” Annuì, convinto del proprio ragionamento. “Se la caverà. Non penso gli sarò mai simpatico, ma non gli auguro certo la morte.” Sospirò, i suoi pensieri improvvisamente altrove. “Spero che anche i Gatti e Caul stiano bene…” non voleva nemmeno iniziare ad indulgere sui guai in cui avrebbero potuto imbattersi in quella missione… se fosse successo qualcosa solo per prendere dei dannati documenti, non se lo sarebbe perdonato mai. Giusto per aggiungere un rimorso in più alla lista.
“Vorrei dirti che il sentimento, per Dag, è reciproco, ma sarei insincera…” Il tono scherzoso di Audra si sposava male con l’aria seria che era sempre solita mostrare. Lanciò un’occhiata sfuggente a Dorian prima di scrollare le spalle. “Staranno bene. Dovresti fidarti di loro. Non c’è lavoro di squadra se ognuno non fa la sua parte. E poi il monociglio saprà guidarli a casa.” Guardò la volta del soffitto e sospirò. “Casa… Dura poterlo chiamare così, un tugurio come questo.”
Dorian si lasciò sfuggire una risata all’idea di considerare Caul un monociglio ambulante. “Hai ragione, di loro mi fido infatti. Sono gli altri che mi preoccupano.” disse quindi. Si guardò intorno, considerando il posto in cui si trovavano con una finta aria critica. “Sì beh, se mettiamo un controsoffitto, qualche arazzo carino e un caminetto nell’angolo questo posto potrebbe diventare una vera reggia!” la voce suonò volutamente pomposa, quasi stesse facendo una perizia.
Audra assecondò quella follia mettendosi a ridacchiare. “Sì, certo. E come trofeo davanti al camino, una bella pelle di mastino? Ti manca soltanto una regina per proclamarti il Re sotto la Città.”
In un istante Dorian divenne paonazzo, tossendo per alcuni secondi prima di attaccarsi alla bottiglia e mandare giù alcuni sorsi veloci. “Giusto, una regina di buone maniere, raffinata e sensibile… di certo non una scavezzacollo, incosciente che mette in pericolo la vita altrui un giorno sì e l’altro pure, con amici che preferirebbero ammazzarmi piuttosto che darmi una mano e che mi costringano ad una vita di fughe e disperazione!”
Audra accusò la punzecchiata più di quanto volesse ammettere. “Beh, se è per questo, persino per le sue fogne Athkatla merita un re giusto, nobile, di sana rettitudine e di solidi principi! Non un miliziano pentito che si diverte a fare i pupazzi di neve!”
Il colpo andò dritto a segno fra le costole, pungendolo nel profondo. Ci furono lunghi secondi di silenzio assordante, in cui Dorian non fece che fissare Audra con intensità. “Senza il mio ghiaccio saremmo stati sopraffatti dai miliziani ben prima che usassi il tuo mantellino magico!”
“Ah davvero?! Senza le mie ombre non ci saresti neanche arrivato, alle fogne! Ti avrebbero ammazzato in quel vicolo, come un cane!”
“Ah sì?! Senza le tue ombre non avrei rischiato di finire all’inferno e lasciarci anche metà della mia sanità mentale!”
“Perché sei un pivello!” gli gridò in faccia Audra, prima di ricomporsi. Era più paonazza di lui. “Diavolo! Che nervi ammetterlo!” esclamò, distogliendo lo sguardo. “Tu saresti morto senza di me. Io sarei morta senza di te. Non sono mai stata brava a dire “grazie”. Non mi complicare la situazione!”
Anche Dorian si ricompose, schiarendosi la gola ed accorgendosi che nel discutere entrambi si erano alzati in piedi ed avevano il fiatone. “Per quanto mi secchi ammetterlo… hai ragione. Senza collaborare saremmo morti entrambi.” distolse lo sguardo a sua volta, finendo per fissare le mattonelle dismesse del pavimento. “Non serve che mi ringrazi, siamo sfuggiti per un pelo. Cercheremo di non arrivare a tanto la prossima volta.”
“Non ci penso nemmeno a crepare per te” sussurrò Audra, massaggiandosi le braccia. “Quindi vedi di non costringermi a farlo.”
“Non preoccuparti, nemmeno io creperò per te. Vedrò di non starti fra i piedi e tu vedi di non intralciare i miei.” borbottò di rimando Dorian.

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MessaggioInviato: Lun Feb 03, 2020 1:06 am Rispondi citandoTorna in cima

I colpi alla porta arrivarono improvvisi riscuotendo Dorian e Audra e interrompendo quel momento in qualche modo così intimo. Nella concitazione della discussione, i due non si erano accorti del vociare che era andato crescendo per i corridoi della Tana.
“A-avanti…” disse Dorian dopo qualche secondo, cercando di riacquistare un po’ di presenza di spirito.
La porta fu aperta pian piano e il volto di Daìne fece capolino mentre alle sue spalle torreggiava la figura possente di Caul.
“Siamo rientrati” disse la ragazzina sorridendo “è andata bene!” mostrò un fascicolo di documenti che sbucavano dalla sacca che teneva a tracolla.
Caul entrò nella stanza. “Lei si è comportata bene, non ha avuto paura.” disse con tono calmo prima di osservare Dorian e Audra. Prese a muovere le orecchie feline e ad annusare l’aria, nel tentativo di capire cosa avessero interrotto con il loro arrivo.

Audra interruppe la frase a metà prima ancora che Dorian consentisse l’ingresso. Si rilassò soltanto nel vedere Daine sbucare assieme al mutaforma felino. Senza far trasparire tutti i pensieri che l’avevano assalita dopo la visione dei ricordi del ragazzo, si scostò da lui e si avvicinò a Daine: “Che avete recuperato?”
Caul in risposta sfilò con garbo la borsa alla bambina e la poggiò sul tavolo.”Documenti.” aprì alcuni degli incartamenti e li allargò sul ripiano. “Non abbiamo avuto molto tempo per agire, quindi temo che possano essere incompleti.”
Audra sfogliò le pagine sparse sul tavolo e fece cenno a Dorian di avvicinarsi a sua volta. I suoi occhi guizzavano da una parte all’altra alla ricerca di particolari rilevanti. Passò un paio di documenti al ragazzo e tenne un foglio per sé. Incappò in una descrizione fisica abbastanza inquietante e accelerò la lettura per capire di che si trattasse.
“Mietitori” sentenziò infine, indicando il paragrafo che aveva appena letto.
“Non suonano incoraggianti…” disse Daìne facendosi più vicina anche lei al tavolo. “Cosa sono?”
“Aspetta…” Audra passò in rassegna i fogli sparpagliati finché non trovò la pagina successiva a quella che aveva esaminato. Senza aggiungere una parola la mostrò a tutti gli altri. V’era raffigurata una creatura abnorme, dalla postura scimmiesca, dotata di una mascella sproporzionata, legata al resto del cranio con delle corregge di cuoio. Varie annotazioni a lato ne indicavano la potenza di salto, le doti della muscolatura, la capacità del morso, le qualità rigenerative.
“Ho viaggiato parecchio negli anni e vi posso assicurare che queste bestie non le ho mai viste in tutto il regno” sentenziò lei, e Dorian annuì quasi di riflesso a confermare la sua teoria. “Guardate che roba... la mandibola” e la indicò, “e le zampe, gli artigli..." Un’annotazione in particolare attirò la sua attenzione. Si morse il labbro dopo averla letta. “Fiuto delle anomalie.”
La ragazzina rivolse uno sguardo al volto degli altri presenti a turno e assorbì come una spugna la preoccupazione che aleggiava nella stanza. “C-cos’altro dice?”
I pugni di Caul erano contratti. “Predatori. Sono fatti per cacciare e predare. Ma la natura non fa cose del genere.” posò lo sguardo su Dorian. “Nessuno di noi ne ha visti? Nemmeno i cuccioli?”
“No, ne sono certo. Anche nei rapporti che mi sono stati forniti nei giorni scorsi da altri membri della Resistenza non c’era menzione di questi affari.” Dorian osservò il disegno della creatura con nervosismo crescente. “Predatori…” Si mise a scartabellare furiosamente tra le carte rimanenti finché una di esse attirò la sua attenzione. Lesse per sommi capi tutto il foglio prima di sbattere un pugno sul ripiano. “Dannazione! Leggete anche voi” aggiunse, esortando sia Audra che Caul. “E’ come temevo. L’inquisizione s’è infiltrata ad Atkhatla, peggio che una malattia.”
Audra consultò la pagina che gli era stata indicata. A ogni riga letta, sentiva il sangue gelarsi più di quanto facesse quando entrava nelle ombre. “Sguinzagliati... per noi. Per quelli come noi. Ecco cosa sono le ‘anomalie’. Siamo noi.”
A quelle ultime parole Daìne sentì il respiro farsi corto e il cuore battere all’impazzata. “Io…” deglutì. “... credo di avere bisogno di un po’... un po’... d’acqua.” stirò un sorriso di facciata e si tenne ben salda al tavolo sentendo le gambe farsi molli.
A Dorian non sfuggì il turbamento della ragazzina. Con fare rincuorante afferrò la propria borraccia e gliela porse. “Non preoccuparti” la rassicurò. “Il nostro nascondiglio è ben protetto. Queste specie di cani-scimmia non ci troveranno.”
“E anche se fosse” soggiunse Audra con voce ruvida, mentre ancora guardava distrattamente i documenti “voi Gatti non sareste certo le prede. Gli Inquisitori cercano chiunque abbia poteri magici, e non credo che tra voi sbarbatelli delle fogne ci sia qualcuno in grado di fare magie. Quindi tranquilla, in questa stanza sei proprio l’unica che non deve preoccuparsi.”
Dorian le rivolse uno sguardo stizzito. “Complimenti per il tatto” sibilò tra i denti, mentre massaggiava le spalle della bambina con un braccio mentre lei beveva a piccoli sorsi.
Audra ricambiò l’occhiataccia con una altrettanto sprezzante. “Ho solo detto la verità. Se non piace, non posso farci niente. Quel che è certo è che abbiamo un’arma in più da dover contrastare. Come se gli armigeri di Athkatla e i loro dannati cani non fossero già un problema.”
Dorian le lanciò ugualmente un altro sguardo di disapprovazione, continuando ad occuparsi della bambina prima di prendere di nuovo la parola.
“Per quanto la notizia di queste nuove “cose” sia preoccupante, nell’immediato dovremo concentrarci su una cosa leggermente diversa prima.” dichiarò, lanciando uno sguardo a Caul e ai Gatti. “Anche Audra e io abbiamo fatto un paio di scoperte interessanti e la più importante è il fatto che a tre giorni da oggi ci sarà un incontro al chiaro di luna. Alcuni di quei bastardi si incontrano nella piazza ovest vicino alla fontana… e intendiamo fare due chiacchiere con loro.” Spiegò con calma. “Quindi ci servirà un piano d’azione e, tanto per cambiare, una suddivisione dei compiti. Audra e io ci occuperemo di fare la conoscenza con i nostri nuovi amici… per quanto riguarda voi, dovremo fortificare tutti gli accessi segreti dalle fogne, raccogliere più informazioni possibili su queste creature e radunare la gente. Non possiamo più stare separati, c’è il rischio che vengano a prenderci uno ad uno.”

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MessaggioInviato: Gio Feb 06, 2020 11:15 pm Rispondi citandoTorna in cima

[Athkatla]
Seduta su una panca macilenta abbandonata in un cunicolo, Audra stava spelluzzicando il piatto che le era stato portato dalle cucine della Tana. A grandi morsi spolpò la coscia di volatile e la inzuppò di volta in volta nel condimento. Era molto saporito, anche se l’odore di fogna che emanava dai vestiti e dalla pelle soverchiava qualsiasi altro. Si sarebbe dovuta fare un bagno. Dopo. Sperando di trovare del sapone, là sotto.
“Ti piace?” Mikan fece capolino anche lui con una scodella con del cibo. “Secondo me, Sam dovrebbe lavorare in qualche locanda, o che so io… ha veramente un dono! Ti dispiace se mi siedo?” disse mentre già si sedeva nella panca di fronte ad Audra.
“E perché dovrebbe dispiacermi, questa è casa tua..." rispose Audra con tono sarcastico, mentre masticava l’ultimo boccone. In effetti non sapeva spiegarsi quell’improvviso avvicinamento. L’ultima volta che i due avevano discusso, si era beccata quasi un’accusa di omicidio. “Sam? E’ lui il cuoco? E’ un ragazzino anche lui?”
“Si, è il mio miglior amico, i suoi genitori avevano un forno, credo abbia imparato a impastare la farina prima ancora di iniziare a parlare. Fatto sta che il suo arrosto di ratto è buonissimo!”
Prese un boccone mentre osservava Audra di sottecchi per vedere la sua reazione.
Audra sollevò i rimasugli del pasto. “Un ratto, eh?” Sorrise con furbizia. “Beh, non so che topi avete da queste parti, ma non ne ho mai visti con le ali…” Mise in mostra l’osso dell’ala.
Mikan sbuffò. “SAM!” gridò all’amico sicuramente in ascolto nell’altra stanza “Le hai servito l’ala?!” Passò qualche secondo prima che una voce a metà tra quella di un bambino e quella di un ragazzo rispondesse. “Oh, cavolo, ho sbagliato piatto!”
Mikan riportò la propria attenzione sulla donna “Si, in effetti è piccione…” sbuffò ancora.
Audra ingoiò lentamente l’ultimo boccone. Molto lentamente. “Piccione?” ripeté. “Mi hai servito un arrosto di... piccione?” Osservò il piatto che avrebbe volentieri lappato, tanta era la sua fame, si passò la lingua sulle labbra e annuì: “E’ il miglior arrosto di piccione che abbia mai mangiato. Sul serio.” Alzò la voce: “Capito, Sam? Era ottimo!”
“Grazie, signora!” la voce giunse puntualissima dall’altra stanza.
Mikan intanto aveva attaccato la sua porzione. “È tutto a posto per prima? Per fortuna non ti ho fatto male con quel bastone, è solo che stavano tutti scappando dalla stanza e uno dei miei mi ha detto che stavi strangolando Dorian e io mi sono agitato perché se succede qualcosa a Dorian finisce che dobbiamo andarcene da qua sotto e questa volta non so proprio dove portarli i miei ragazzi, cioè, va bene avere una tana di riserva, ma non ho mai pensato di doverne avere due e...” aveva parlato senza prendere fiato, ma si fermò e guardò Audra con uno sguardo serio che stonava moltissimo col suo volto di adolescente. “Dovremo lasciare Athkatla, vero? Dorian non me lo direbbe mai, ma non sono scemo e nemmeno un bambino, lo so che non possiamo stare per sempre qua sotto.”
Audra accolse quel fiume di parole con un sopracciglio che s’inarcava sempre di più. Finito il pasto, accantonò il piatto e si distese sulla panca accavallando le gambe e incrociando le braccia dietro la nuca. “Sì, stavo strozzando Dorian. Sì, ho spaventato i tuoi compagni. Perché sono stati troppo curiosi. Perché hanno osato troppo e hanno rischiato grosso. Quindi, visto che sembri fregiarti dell’essere il comandante in seconda di questi ragazzini, voglio che t’impegni a spargere la voce: mai, e sottolineo MAI, nessuno dovrà toccare QUESTO.” Alzò la veste quel tanto che bastava per permettere a Mikan di scorgere il diamante nero incastonato nel suo ombelico. Lo nascose subito dopo, quasi temesse che volesse mangiarselo con lo sguardo. “E’ pericoloso per chi non sa gestirne il potere.” Lo guardò di sottecchi, riflettendo sulle parole che aveva pronunciato tutto d’un fiato. Lasciò passare qualche secondo prima di rispondere: “Non fasciarti la testa prima che sia rotta. Sii pronto a tutto, ovvio, ma non giocare coi ‘ma’ e coi ‘se’.” Gli scoccò un’occhiata sottile: “Non sei un bambino, e non sei uno stupido. Sei solo impulsivo. Domina l’agitazione o quando avrai bisogno di dover riflettere su cosa fare, ti farai vincere dal panico e dalla rabbia, proprio come poco fa. Dorian non te l’ha insegnato? Non è il vostro capo?”
Mikan arrossì vistosamente mentre la donna si alzava la maglietta, ma l’imbarazzo durò un secondo quando vide la gemma e sentì quanto gli veniva detto. Dopo le ultime domande fece spallucce, quindi rispose. “Con Dorian non ci conosciamo poi da così tanto tempo. Si nascondeva già qui con il resto della Resistenza quando coi miei Gatti siamo arrivati nelle catacombe.” Sbocconcellò un pezzo di arrosto “Noi dovevamo nascondere Daìne perché non poteva più stare in superficie, ma poi Dorian mi ha raccontato tutto quello che stava succedendo e così ho deciso che forse era meglio se anche gli altri si nascondevano qui. Alcuni dei miei sono solo dei bambini, io e i più grandi ci prendiamo cura di loro, e la situazione là fuori è sempre più pericolosa.”
Sul volto di Audra sfumò per qualche istante un’espressione tesa. Ripensò ai ricordi rubati da Dorian, a quello che aveva appreso. Ma non ne avrebbe fatto parola.
“Tu ti fidi di Dorian?” chiese tenendo d’occhio la reazione del ragazzo. “Dici che lo conosci da poco, eppure lo difendi a spada tratta.”
“Io credo in lui e nella sua lotta. Fa quello che può con le poche risorse che ha a disposizione. È ricercato e come lui in molti qui sotto. Nell’ultimo anno sono scomparsi troppi compagni, compresa la madre di Daìne. Anche lei era nella Resistenza. Lei era una persona buona e un’ottima guaritrice, tutti le volevano bene in città, eppure non è bastato a salvarla.” Il ragazzo si rabbuiò un po’.
La ragazza si passò una mano nei capelli scompigliati. Non tentò nemmeno di consolarlo: sapeva che non ne sarebbe stata capace. Andò diretta alla verità: “Credi in lui e nella sua lotta, dici? E come pensi di aiutarlo? Senza offesa, Mikan, ma le tue doti di guerriero non sono eccellenti. In un combattimento ti ritroveresti abbattuto in un lampo.”
Il ragazzo accolse con sorprendente stoicismo le parole di Audra. “So fare molto per la mia età. Se dovrò anche imparare a combattere, lo farò.” rispose con convinzione.
Ad Audra scappò un sorriso divertito. Alla sua età già andava a caccia di taglie... “Allora avanti. Se ce la fai a colpirmi, colpiscimi pure.” Non si mosse dalla posizione, anzi, sembrò sistemarsi meglio sulla panca per restare più comoda.
Mikan sgranò gli occhi. “Che?! Dici sul serio?”
“Hai bisogno di un invito scritto?”
“Certo che no!” Il ragazzo prese il cucchiaio dalla ciotola e lo lanciò come fosse un coltello verso la donna.
Lei si limitò a schiaffeggiarlo via. “Tutto qui?”
Mikan prese un ultimo pezzo di arrosto prima di poggiare la ciotola con le rimanenze sulla panca e mettersi in piedi. “Devo davvero colpirti mentre stai distesa?”
Audra sbuffò, stavolta più seccata. “Vedo che non la stai prendendo seriamente come dovresti. Ti darò un incentivo.”
Si rizzò a sedere, e con un calcio scardinò la lanterna infissa poco distante. La lampada cadde e il fuoco si spense. Quell’area di tunnel cadde nella penombra. Di Audra si vide soltanto il profilo stagliato sopra la panca, un breve bagliore e poi nient’altro. Sparita.
“Vinci facile coi tuoi poteri, ma riuscirò a colpirti” Il ragazzo si rimboccò le maniche e affinò vista e udito in cerca di un indizio che potesse tradire la presenza della donna.
Gli sembrò che qualcosa si fosse mosso nella parete vicino alla panca dove stava distesa Audra quindi provò a colpire con un calcio orizzontale all’altezza dell’addome in quella direzione. La parabola del calcio non incontrò ostacoli e Mikan tornò in posizione. Il ragazzo strinse involontariamente i pugni mentre si concentrava al massimo sulle sue percezioni.
Un tintinnio alla sua sinistra. Mosse due passi in quella direzione, quindi mandò un altro calcio a spazzare ad altezza tibie. Anche questa volta il piede di Mikan non incontrò ostacoli. Il ragazzo smorzò lo slancio della spazzata acquattandosi a terra. Niente. Nessun rumore. Nessun movimento. Qualcosa ai margini della panca di prima. Fece una capriola e, dandosi la spinta con le braccia, colpì verso l’alto a piedi uniti. Il colpo andò ancora una volta a vuoto e Mikan si ritrovò in piedi. Così al buio si rese conto che la vista non lo aiutava, così chiuse gli occhi cercando di concentrarsi sui suoni. Sentì rumori provenire dalla cucina, un vociare dai corridoi vicini, quindi avvertì delle gocce cadere dal soffitto per infrangersi sul pavimento di pietra, ma da Audra non avvertiva il minimo rumore. Uno spettro. Ombra tra le ombre.
Lo so che ci sei.
Quasi obbedendo alla sua esortazione mentale, avvertì uno spostamento d’aria sopra la sua testa. All’istante, Audra gli piovve addosso. Si era appostata sul soffitto. Lo trascinò a terra con l’impeto della caduta, e complice anche la maggiore forza fisica di cui godeva quando era fusa con le ombre, non fu difficile per lei inchiodarlo al suolo. Mikan si ritrovò con la guancia schiacciata contro il pavimento, le braccia immobilizzate dalle ginocchia di lei e, dopo un inquietante sibilo metallico, una lama-ombra a minacciargli il collo. Audra lo tenne fermo così per qualche secondo, poi lo liberò consentendogli di alzarsi. I suoi occhi, nel buio, rifrangevano come quelli di un gatto al chiar di luna. “Perché hai perso?”
Mikan si rimise in piedi, massaggiandosi la guancia. Era la seconda volta in meno di due ore che si trovava atterrato, immobilizzato e dolorante. “Perché sei forte...?” rispose con quella che sembrava più una domanda dal tono di voce che usò.
Vide gli occhi muoversi come se scuotesse la testa. “La forza fa la differenza soltanto in corpo a corpo. Tu hai commesso un grave errore di partenza: combattermi nel mio elemento. Eri svantaggiato, privo della vista e di qualsiasi riferimento. Io potevo vederti perfettamente, ero mimetizzata e completamente a mio agio nel buio. Combatteresti uno squalo nell’oceano? Un lupo nella steppa innevata? Un serpente infilando la mano nella sua tana, alla mercè del veleno dei suoi denti? Sarebbe un suicidio.” Si avvicinò lentamente all’altra lanterna dall’altro lato del tunnel. “Ti sarebbe bastato così poco: spostare il fronte di battaglia in un campo più congeniale.” Quando giunse nel cono di luce, la sua mimesi sparì di conseguenza. Lei afferrò la lanterna e la condusse con sé per riaccendere quella che aveva divelto. “La prima arma è l’ambiente. Agisci sempre in modo che tutto ciò che ti circonda sia a tuo vantaggio.”
Il ragazzo aprì la bocca come per voler controbattere e dire qualcosa, ma la richiuse senza proferir parola. Rimase ancora qualche secondo in silenzio quindi disse “Aspetta un po’, ‘Prima arma’ lascia intendere che ce ne saranno delle altre!” un sorriso sornione si aprì sul volto del ragazzo.
Audra si accorse del significato sottinteso di quell’esclamazione e strinse i denti. Non aspettarti un maestro da me, moccioso, hai già il tuo ghiacciolo a prendersi cura di te. Io non intendo farti da balia. Le balie non servono a niente. Ma non lo disse. “Non tutte le armi sono alla tua portata. Hai detto che non sei stupido: bene, allora stampati nella mente quello che ti dico. Sei agile, te lo concedo. Sei intraprendente, niente da dire, e ardimentoso. Ma non ti illudere. Contro un esercito di armigeri non potresti fare niente. Contro due armigeri non puoi fare niente. Contro una balestra saresti spacciato. Non ci si improvvisa guerrieri, non bastano giorni, settimane, e a volte neanche mesi: non hai tempo per diventarlo, quindi devi arrangiarti con quello che sei o che hai. Inoltre, se davvero sei il capo dei tuoi Gatti, l’ultima cosa che dovresti fare è buttarti in un attacco suicida affrontando nemici di cui non sei all’altezza. Perché li lasceresti senza una guida. Essere un capo non è solo una questione di abilità, ma di responsabilità. Se ti prendi cura dei più piccoli devi farlo fino in fondo e assicurarti di non lasciarli soli, anche se le cose dovessero volgere al peggio.”
Ma che sto facendo? Sto davvero dispensando lezioni di vita a questo moccioso?
Si sedette pesantemente sulla panca. Per un attimo provò l’impulso di acquattarsi nel sollievo dell’ombra: aveva il potere di sgombrare sempre i pensieri. Nella sua mente ondeggiavano le visioni rubate da Dorian, il suo senso di colpa le torceva le viscere. Dentro di sé lottò per non lasciarsi coinvolgere. Era un errore fatale provare empatia per qualcuno, Dag era sempre stato inflessibile su quel concetto nei lunghi anni passati insieme. Eppure, pur non sapendo spiegarsi il motivo, stavolta non le era facile per niente.
Il ragazzo la imitò e si sedette nuovamente di fronte a lei, sporto in avanti con gli avambracci poggiati sulle cosce, del tutto rapito da quelle sagge parole. “Cavolo! Ne sai una più dei diavoli dell’inferno, non avevo mai visto la cosa da questo punto di vista.” Si grattò la nuca e poi si passò una mano sulla testa a lisciarsi i capelli quasi rasati. “Imparerò un sacco standoti accanto e diventerò un capo migliore per i Gatti e un più valido aiutante per Dorian.” Sorrise alla donna. “Ah e… ehm... Ardimentoso è una specie di complimento, giusto?” concluse infine, non del tutto sicuro del significato di quella parola.
Grandioso. Proprio l’ultima cosa che volevo. Una cozza attaccata alla gamba... Dèi, io volevo soltanto dargli un consiglio per evitare che fosse una palla al piede per quel ghiacciolo... Per giunta qui c’è da lavorare parecchio. Ma che diavolo ha fatto Dorian in tutto questo tempo, per loro, a parte ospitarli nella Tana? Gli ha insegnato a lavorare a maglia?! Le sovvennero le parole di Dag al loro primo incontro nelle catacombe e provò un’infinita onda di solidarietà nei suoi confronti. La storia in qualche modo si ripeteva sempre.
“Ardimentoso è un complimento finché non ti fa finire sottoterra.” Squadrò il ragazzo di sottecchi e storse la bocca. “Mi spiace deluderti, ma non credo che potrai sempre starmi accanto. Forse sarebbe meglio che non lo facessi.”
L’improvviso retrofront di Audra lasciò Mikan un po’ dispiaciuto. “Beh, non sempre attaccato. Tipo non verrei con te in missione, se tu non lo volessi. Perché tu non vuoi, giusto? Però, tipo, quando saresti qui potresti darmi qualche altra lezione per cavarmela là fuori oppure assegnarmi dei compiti alla mia portata. Non ti sarò d’impiccio, te lo prometto!” Le indirizzò involontariamente uno sguardo da cane bastonato.
“Guarda che non mi commuovi facendo gli occhi dolci.” Audra rimase a dondolare la gamba sull’altra per qualche secondo, le braccia stancamente distese sullo schienale, tenendo d’occhio il ragazzo. Dentro di sé ripensava agli armigeri, alla facilità con cui erano stati seguiti, alla mancanza di difese di quel luogo. Aprì la bocca per parlare, la richiuse. Non ci teneva affatto a dover spiegare le sue ragioni, tantomeno a un ragazzino. Tuttavia non si toglieva dalla testa il pensiero che, con un popolo sotterraneo così impreparato in caso di emergenza, quell’idiota di un ghiacciolo umano si sarebbe fatto ammazzare pur di proteggerli. Inutilmente, tra l’altro. Magari al grido di memento mori.
“Ti mostro un trucco che finora conosce solo Dorian, vuoi?”
Lo stupore si dipinse sulla faccia del ragazzo. “Ne sarei onorato…” disse raddrizzando la postura.
“Allora abbassa un po’ il lume e siediti accanto a me.”
Mikan obbedì con solerzia e prese posto nella panca accanto ad Audra.
Audra si concentrò su Eclisse. Il familiare solletico le ghiacciò il ventre, poi tutto il resto del corpo. Davanti agli occhi di Mikan, stavolta più lentamente perché potesse accorgersi del prodigio, il corpo di Audra si scurì plasmandosi in un’ombra solida, i cui contorni faticavano a rimanere netti. I suoi occhi rilucettero come perle prima di appannarsi e diventare neri. Alzò una mano, sottile e affusolata, trattenendola prima di sfiorare la pelle di Mikan. “Quando ti toccherò, trattieni il respiro e non avere paura. E non muoverti, almeno all’inizio.”
Quando fu sicura che il Gatto fosse pronto, lo sfiorò e si concentrò perché il potere di Eclisse trasmigrasse anche in lui.
Il ragazzo credeva di essere pronto a seguire le istruzioni dategli, ma quando la mano di Audra lo sfiorò fu una sensazione spaventosa. Sentì il gelo propagarsi sotto la sua pelle e pervadergli il corpo e quando raggiunse il torace il cuore cessò di battere e i polmoni di riempirsi di aria. Si lasciò quasi prendere dal panico, ma le parole di Audra erano state chiare: non avere paura. Si concentrò su quello che provava e si accorse che non stava soffocando, non stava morendo, anzi, stava sorprendentemente bene per essere uno che non respirava e il cui cuore non batteva. Che roba! Gli altri non ci crederanno mai a una cosa del genere. Si ritrovò a pensare, ma cercò di ritornare subito serio. Non voleva rischiare di irritarla ulteriormente. “Quindi è questo che provi quando usi il tuo potere?” chiese.
Sì. La voce di Audra gli arrivò dritta nel cervello anziché nelle orecchie, come fosse stato un suo pensiero. E non preoccuparti, gli altri ti crederanno. In fondo sei il loro capo.
Mikan si lasciò sfuggire una risata imbarazzata. Sente quello che penso! Pensò. Quindi ha sentito anche questo? Basta Mikan. Sii serio. Il ragazzo si sforzò di interrompere quella catena di paranoie e per tornare ad interessarsi su cosa gli permetteva di fare quella nuova realtà su cui Audra gli aveva generosamente aperto una piccola finestrella. Adesso posso muovermi?
Sì. Ma lentamente, all’inizio. Non interrompere il contatto finché non te lo dico.
Mikan prese la mano di Audra per evitare di interrompere il contatto accidentalmente, quindi fece per mettersi in piedi. Si accorse che adesso vedeva distintamente dove metteva i piedi e il resto del cunicolo in ombra, per il resto non provò sensazioni particolarmente diverse dal normale, fino a quando non provò a fare un passo. Si accorse che più che aver compiuto un passo, era come se la sua gamba fosse fluita da un punto all’altro del pavimento. Non trovava le parole per esprimere quella valanga di sensazioni nuove.
Audra seguiva i movimenti di Mikan, concentrata nella mimesi per entrambi. Senza le ferite era di certo più facile e nonostante un po’ di debolezza non trovò particolari problemi, cosa di cui si rallegrò. Lo guidò nei primi passi, come una madre avrebbe fatto per un infante, poi lo trattenne e lo guardò in volto. Tenerti nell’ombra non è comunque uno scherzo. Non lo è stato neanche per Dorian... è così che siamo sopravvissuti alla tromba d’acqua e agli armigeri: mimetizzandoci e ancorandoci alle tenebre. Stava riflettendo che il ghiacciolo umano le doveva ancora un mantello, ma interruppe il pensiero: Mikan l’avrebbe udito. Quindi, spesso e volentieri, dove vado io non potresti seguirmi. Non ti ci potrei portare. Lo capisci?
Mikan era preso da quel suo nuovo stato e, anche se non la guardava direttamente, la ascoltò con attenzione. Annuì alla domanda della donna.
Lei gli consentì ancora qualche passo nell’ombra, poi lo fronteggiò e gli mise le mani sulle spalle per obbligarlo a darle la più completa attenzione. I suoi occhi scintillavano nel buio. Sai perché ti sto facendo provare tutto questo? Prima ancora che il ragazzo rispondesse, continuò: Perché ti voglio dare un compito. E un consiglio. Benché non avesse bisogno di aria, prese un grosso respiro. Credo che i tuoi compagni abbiano tutti paura di me... Normalmente lo prenderei come un complimento, ma non è proprio il caso di aggiungere ulteriori problemi, qua sotto. Il tuo compito sarà spiegare ciò che hai provato e ciò di cui hai appena fatto esperienza agli altri Gatti. Perché se ci sarà bisogno di usare i miei poteri anche su di loro, per qualsiasi evenienza, che sia una fuga, un combattimento o qualsiasi altra cosa, voglio che non abbiano timore... fidarsi di me è una parola grossa, ma spero lo faranno se ci sarà bisogno. Se non di me, del mio potere. Cosa invece ancora più importante... Lei lo fissò ancora più duramente come a sottolineare il concetto. Tu conosci Dorian molto più di me. Sai che si batterebbe fino all’ultimo per difendervi. Tuttavia, io sono sicura che tu non voglia farlo arrivare a quel punto. Io posso dirti come sopravvivere, qualche trucco per ottenere i vantaggi sul tuo avversario, ma devi ricordarti sempre questo: prima ancora del combattimento, ogni tua mossa deve avere come obbiettivo la fuga, per te e tutti i tuoi compagni. La cosa più importante è mettersi al sicuro: non si gioca d’azzardo con la vita. Tu magari non avrai paura, ma i più piccoli sì. Devi pensare anche a loro. Indicò con una rotazione dell’indice le tenebre che li circondavano. Il che significa che devi imparare ad agire come squadra non solo tra voi Gatti, ma anche con Dorian e me. Qualche esempio? Cosa fai se ci fosse un nemico che non puoi affrontare, io fossi lì con te e ci fosse una lanterna al tuo fianco? Cosa faresti se Dorian usasse il suo potere e tu ti accorgessi di avere i piedi in una pozzanghera?
Mikan non si era perso una sillaba di tutto il discorso. Parlerò ai gatti. Se dirò loro che possono fidarsi di te, stai certa che lo faranno. Gli spiegherò cosa succede quando usi il tuo potere e, se occorrerà, li troverai pronti. Gli occhi di Audra erano pozzi neri come la notte senza luna e il suo sguardo duro mentre parlava di Dorian li rendevano magnetici. Mikan si sorprese ad essere quasi ipnotizzato e perse qualche secondo a rispondere. No… non vorrei mai che Dorian sia costretto a morire per causa nostra e so che sarebbe capace di farlo. Una lacrima solitaria solcò il viso del ragazzo a testimonianza di quanto profondamente fosse immerso in quella conversazione. Le due domande lo riportarono alla realtà. Che farei? Beh, spegnerei la lanterna e uscirei dall’acqua. rispose semplicemente. E per quanto riguarda la fuga dei Gatti, sto lavorando ad una serie di percorsi sicuri nelle catacombe e nelle fogne. Io e Sam abbiamo rischiato di perderci in più di un’occasione nelle nostre esplorazioni, ma se siete arrivati alla Tana e non vi siete persi nelle fogne è anche merito nostro. Si sentiva fiero che la sua iniziativa si fosse rivelata utile, anche se aveva sempre sperato di non dover essere mai costretti a usare quei percorsi.
Audra contemplò la lacrima-ombra con meno indifferenza del previsto. Non gliela asciugò, ma nemmeno lo accusò di frignare. Dag l’avrebbe fatto, oh sì. Se ne avesse avuto l’occasione, cosa che lei non gli aveva mai concesso in tutta la vita.
La menzione dei percorsi stuzzicò il suo interesse. Riesci a tracciare una mappa di questi percorsi? Voglio anche sapere tutte le dislocazioni delle porte sigillabili, dei vicoli ciechi, dei tunnel che si ricollegano anche a livelli differenti e tutti gli sbocchi dei tombini sulla strada.
Mikan si grattò la nuca, ripetendo il gesto di poco prima. Si lasciò sfuggire un fischio. “Mica poco quello che mi chiedi…” disse. “Posso aiutarti in parte.” Si accorse che aveva involontariamente ripreso a parlare. Tempo fa abbiamo rubato il progetto delle fogne, ma abbiamo scoperto che è soltanto l’ampliamento. La parte più vecchia, quella più vicina alla Tana, tra l’altro, non è mappata, anche se Daìne ha preso un sacco di appunti delle nostre esplorazioni. Non siamo molto bravi a disegnare, ma se trovassi uno che se la cava, sono sicuro che si potrebbe fare uno schema basandosi su quegli appunti.
Ci darò un’occhiata. E proverò a esplorare io quella zona. Non sarà difficile, con il mio potere. La sincera meraviglia del ragazzo nei riguardi del suo dono le alleggerì un poco l’umore. Vuoi vedere come ho fatto a batterti, prima?
Con passi lenti, lo guidò fino alla parete. Alzò il piede, lo poggiò sul muro, si diede una lieve spinta... e salì. Una volta acquistato quell’assurdo equilibrio, esortò Mikan a fare lo stesso.
Mikan rise mentre la guardava camminare sul muro. “Che roba! L’ho già detto?”
Provò a eseguire gli stessi movimenti di Audra e si stupì di quanto fosse semplice quello che dall’esterno appariva pressoché impossibile. “E quindi puoi fare lo stesso anche sul tetto? È per questo che mi sei arrivata addosso dall’alto?” Mikan alternava le parole ai pensieri quando si distraeva o quando la sua mente era concentrata su altro.
Audra lo condusse, un passo dietro l’altro, fino al soffitto. Spenzolarono a tre metri da terra, con la testa all’ingiù. La gravità sembrava assente, come se la comandassero loro. Gli permise di dondolare, divertendosi di quel trucchetto che per lei, dopo tutti quegli anni, era diventata quasi la normalità…
… e dopo tutti quegli anni, come al solito, non ebbe percezione dell’alba finché il freddo di Eclisse non si smorzò nel suo ombelico.
Audra ebbe soltanto il tempo di afferrare Mikan a sé per evitare che si spaccasse la testa nella caduta. L’ombra li sputò come disgustata. Lei finì di schiena e Mikan su di lei.
“Ahi!” Rimasero a terra doloranti. Poi Mikan scoppiò a ridere. “...Ahi.” Dolorante.
Audra si grattò la testa pulsante. Che botta. “Ulteriore lezione del giorno” aggiunse. “Il mio potere funziona solo di notte…” Si rialzò a sedere e afferrò il bavero di Mikan per risollevarlo un po’. “Stai bene?”
“Si, sto bene, ma sono un Gatto atipico, non riesco a cadere in piedi.” ridacchiò.
A sorpresa, Audra scoppiò a ridere a sua volta. “D’accordo” esclamò poi, ricomponendosi. “Ma visto che invece io non sono un Gatto, mi servirà qualcosa per farmi un bagno come si deve. Ah, quasi dimenticavo: di’ al tuo comandante che mi deve un mantello nuovo.”

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MessaggioInviato: Gio Feb 06, 2020 11:30 pm Rispondi citandoTorna in cima

[Athkatla - la notte dopo]

I gatti erano raccolti nella sala comune, seduti in cerchio come al solito, con un braciere al centro per tenerli tutti al caldo.
Chiacchieravano tranquillamente in attesa che fossero tutti e non ci volle molto perché anche Sam e Daìne raggiungessero il gruppo, una volta terminati i loro impegni.
Mikan era felice che Daìne fosse tornata sana e salva dalla missione con Caul. Si era fatto raccontare tutto nei dettagli e pensava che la ragazza fosse stata bravissima a cavarsela solo con un grosso spavento e niente di più. Caul aveva mantenuto la promessa e tenuto la ragazzina al sicuro e a proposito di promesse a cui tenere fede, toccava ora a Mikan rispettare quella fatta ad Audra e informare i suoi amici sui poteri della donna e tutto il resto. Era proprio per questo che li aveva fatti riunire.
“Devo dirvi una cosa importante” esordì captando l’attenzione di tutti. le cose importanti avevano sempre un certo effetto. “Ho avuto modo di parlare con Audra, proprio ieri.”
“Chi è Adua?”
“Audra è la donna che si è unita da poco alla Resistenza. Che è andata in missione con Dorian e che ha quel gioiello nell’ombelico”
“Oooooh” disse qualcuno.
“A me mi fa paura…” commentò qualcun altro.
“Non dovete avere paura di lei.” disse Mikan e riprese il discorso che aveva interrotto. Era sempre difficile fare un discorso dall’inizio alla fine con il fiume di commenti e domande che puntualmente arrivavano.
“Vi dicevo che ho avuto modo di parlare con lei ieri e mi ha dato dimostrazione del suo potere.”
“Oooooh”
“Chiudila la bocca, che entrano le mosche!”
“Ahahahaha!”
“Un po’ d’attenzione, dai!” questa volta era stato Sam. “Dai, Mikan, continua!”
“Audra è in grado di entrare e muoversi nelle ombre! E’ una cosa da uscire pazzi! Ed è pure in grado di portare qualcuno con sé, di… trasmettere il suo potere.”
“Che vuol dire tasmettiere?”
“Trasmettere… significa che riesce a passarlo, è come quando vi mettete in due sotto lo stesso mantello.”
“E l’hai provato?!” ancora Sam.
“Si, è incredibile!” rispose Mikan, principalmente all’amico, più che al gruppo.
“Miiikan, vuoi concentrarti? Non dirmi che ci hai riunito per vantarti.” disse Daìne andando dritta al punto.
“No, certo che no! Vi dicevo che ho provato questa cosa e Audra mi ha chiesto di spiegarvi come funziona perché potrebbe succedere che dobbiate farlo anche voi e vuole che siate pronti quando capiterà.”
Iniziarono tutti a sussurrare tra di loro chi più chi meno spaventati, vista l’ultima esperienza del Gatti con la donna. Mikan li lasciò confrontarsi qualche secondo, poi fu di nuovo Daìne a rompere il silenzio.
“Dici che possiamo fidarci di lei?”
“Io dico di sì.” Rispose Mikan senza esitare.
“Secondo me è carina…” ammise Sam
“A Sam piace Adua! A Sam piace Adua!”
“E basta!”
“Che c’entra che è carina?!” Chiese Daìne.
Sam fece spallucce. “Perché? Non posso dirlo?”
“Si, ma…”
“E basta!” Questa volta fu Mikan “Se dico che possiamo fidarci, possiamo fidarci.”
Un attimo di silenzio in cui tutti guardarono Mikan poi si guardarono tra di loro.
“A Mikan piace Adua! A Mikan piace Adua!”
Mikan si spalmò una mano in faccia, quindi si stropicciò gli occhi.
“Vi spiego come funziona il potere di Audra, vah, che forse è meglio.” Si grattò un momento la nuca e riprese.
“Quando Audra entra nelle ombre, se vi tocca, può portarvi con lei e anche voi entrerete tra le ombre. È una sensazione strana, che all’inizio può fare paura, ma non c’è niente di cui spaventarsi. Il suo tocco sarà gelido e piano piano questo freddo si diffonde in tutto il corpo fino a quando non sentirete più battere il vostro cuore, né avrete bisogno di respirare e di parlare.” Si accorse delle facce che lo guardavano perplesse e fece una pausa.
“Tutto chiaro fin qui?”
“... No.”
“Bene!” sorrise Mikan. “Ricominciamo. Avete presente quando fate il bagno nell’acqua freddissima del barile?”
Tutti annuirono. “Ecco, più o meno è la stessa cosa. Quando mettete il piede sentite freddo lì, poi vi immergete e sentite freddo dappertutto e quando l’acqua vi arriva al petto vi manca il respiro, no?”
Tutti annuirono.
“... Ma a me non piace quando faccio il bagno nell’acqua fredda…”
“Si, ma non è proprio così, quello era un esempio per farvi capire un po’ la sensazione, ma dopo che sarete nell’ombra starete bene e sarete in grado di fare cose incredibili, anche di camminare sul soffitto!”
Tutti scoppiarono a ridere.
“Dai, questa te la sei inventata!” Disse Sam, che era stato rapito dalla storia fino a quel momento.
“No, è vero! Te lo giuro…”
“Mah…non è che ci stai prendendo in giro?”
Sam era seduto nell’anello più esterno e dava le spalle al muro in penombra. Stava ancora finendo di parlare, quando Mikan si accorse del duplice bagliore perlaceo alle spalle dell’amico. Quasi ci trovò un’espressione divertita, da briccone, e forse fu la sorpresa di quella vista a farlo esitare nell’avvertire l’amico. Subito dopo, le tenui tenebre sussultarono e il movimento fece scoprire la mano-ombra di Audra che si posò sulla spalla di Sam.
Il tocco di Eclisse lo avvinghiò. Sam, già di per sé atterrito dall’apparizione sgusciata fuori dal nulla, sentì la temperatura del corpo precipitare di botto. In un attimo, le sue braccia divennero nere, e così il suo petto. Chiunque gli fosse vicino si allontanò precipitosamente, in un coro di grida spaventate. Quando anche l’ultimo brandello di sé divenne parte dell’ombra, avvertì un pensiero nella testa:
Che dici, Sam? Ti ha preso in giro?
La voce di Audra. Sam trovò la voce e cacciò un grido strozzato, e proprio in quel momento la stessa mano che l’aveva ghermito lo spinse in avanti, in modo da interrompere il contatto. Sam cadde carponi e strisciò fino a Mikan. Gli altri ragazzini si allontanarono formando un semicerchio attorno al punto dove era emersa la figura di Audra, uscita dalle ombre, che si sedette con totale flemma nel posto prima occupato da Sam, gambe incrociate, come un’alunna diligente. Un sorriso furbo le solcava il viso e gli occhi verdi tradivano quanto si stesse divertendo un mondo.
“Dovreste avere più fiducia nelle parole di Mikan” obiettò, quando il pandemonio derivato dalla sua apparizione trovò un po’ di calma. “E’ il vostro capo.”
Mikan rimase interdetto. “... e, come vi dicevo, non c’è niente di cui avere paura.” si rivolse all’amico. “Sam, stai bene, no?”
Il ragazzino, ancora scosso per lo spavento, si prese qualche secondo per rispondere. Intanto Mikan gli faceva di ‘sì’ con la testa. “S-sì. Tutto bene.” balbettò Sam. “Niente di cui avere paura.”
“Visto?” Mikan sorrise agli altri. “Adesso, c’è qualcun altro che vuole provare?” Ma gli altri non osavano ancora avvicinarsi.
Daìne si propose. “Va bene, provo io, se Audra è d’accordo.”
Lei fece spallucce e si ritirò appena per evitare che la luce del braciere la colpisse. Tese la mano e accolse la sua, attirandola tra le ombre.
Strano…
Concepì quel pensiero prima ancora che Daine si fondesse con le tenebre, ma non per questo smise di aggrottare la fronte. Immergere la ragazzina nell’ombra si stava rivelando più difficile del previsto. Con Sam, ma anche con Mikan, era stato facile: era bastato un tocco e un pizzico di concentrazione in più; anche lo strattone finale era stato abbastanza indolore, senza conseguenze. Diffondere il potere di Eclisse su Daine si stava dimostrando invece molto più arduo, come se ci fosse qualcosa a fare resistenza.
Esattamente come le era accaduto con Dorian. Portarlo nelle ombre la sfibrava.
Non sarà che anche lei…?
Interruppe il pensiero per evitare che Daine la udisse nel contatto telepatico delle ombre. Ora la ragazzina era totalmente immersa nelle tenebre, e si accorse che mantenercela era difficoltoso. Si alzò lentamente e invitò l’altra a seguirla fino al muro.
Metti il piede sulla parete e spingi.
Quando Daìne obbedì, il gridolino di stupore si fuse con le esclamazioni di meraviglia degli altri Gatti. Audra le fece compiere qualche passo sulla parete, prima di riportarla sul pavimento.
E ora ti lascio andare. Attenta, magari proverai un po’ di nausea.
Rilasciò il potere, e poco ci mancò che la nausea venisse a lei. Decisamente insolito. E decisamente rivelatore.
Mikan si sincerò dello stato di Daìne con uno sguardo alla quale la ragazzina rispose con un sorriso. “È come fare il bagno nella botte, proprio come dicevi tu.” si lasciò andare ad una lieve risata che stemperò gli animi degli altri che la guardavano come se dalla sua reazione dipendesse la scelta se fidarsi o meno della spaventosa nuova arrivata.
“Certo che è come dice lui” fece eco Audra. Sorrideva ancora con quell’aria divertita, ma gli occhi tradivano mille pensieri. “E se vi ha radunati non è soltanto per fare due chiacchiere. Stanotte si gioca. Vi va un nascondino?”
“Sì, nascondinooo!” esultò il più piccolo dei Gatti, prima che chiunque altro potesse anche solo riflettere sull’implicazione della presenza di Audra e di come questo avrebbe modificato le regole del gioco.
Mikan si portò una mano davanti alla bocca per trattenere una risata, mentre Daìne e Sam si guardavano perplessi.
“Quali sono le regole?” si decise a chiedere la ragazzina.
“Molto semplice. Ora vi sparpagliate in tutti i tunnel che conoscete, vi nascondete per bene. Conterò fino a cinquanta... anzi, fino a cento, vi do tanto vantaggio. Ma attenti, io sono brava a trovare le persone.” Un guizzo negli occhi verdi della ragazza. “Ogni volta che troverò uno di voi, entrerà nelle ombre con me e mi aiuterà a cercare di volta in volta gli altri. Vedrete al buio... “ Alzò una mano “Ma non usatela come scusa per farvi trovare subito.”
“Tutto chiaro, banda?” fece eco Mikan. Vedendo che nessuno aveva nulla da chiedere, si rivolse alla donna. “Direi che possiamo iniziare…” le disse sorridendo.
Lei incrociò le braccia e chiuse gli occhi. “Uno... due... “ scandì con voce chiara.
Il gruppetto di mocciosi si dileguò. Si sparpagliarono come topi nei tunnel il più silenziosamente e velocemente possibile e solo Mikan rimase vicino a Audra che aveva pian piano abbassato il volume della voce e ora, se ancora contava, lo faceva pressoché a mente.
“Giocare a nascondino?” Le chiese dando libero sfogo alla sua perplessità. “Sei l’ultima persona che mi aspettavo potesse proporre un gioco…” Si rese subito conto di quello che aveva detto e sgranò gli occhi imbarazzato. “Cioè… non volevo dire che… ecco…” balbettò.
“L’importante è che credano sia un gioco.” La voce di Audra aveva perduto ogni giovialità. Ancora con gli occhi chiusi, teneva il conteggio fra sé e sé. “Te l’ho detto, devono essere pronti... a nascondersi nel buio, a tuffarsi nel buio, se fosse necessario. Chi ci ha dato la caccia nelle fogne sono armigeri con mastini, ma secondo quanto Daine ha trovato fra i documenti... potremo avere problemi più grossi. E più letali. Cinquanta... “ scandì a voce appena più alta e tornò a contare. “Dorian ha organizzato una Resistenza, vi ha offerto riparo ma, come vi ho detto al nostro primo incontro, siete disorganizzati da far schifo. Ora vediamo come se la cavano i tuoi Gatti. Altrimenti, tanto vale che rimaniate in cerchio a farvi sbranare.”
Mikan deglutì e si passò una mano sui capelli rasati. “Correre e nascondersi, dovrebbero riuscire a farlo con discreto successo.” disse alla donna. “Certo che già i mastini da caccia delle guardie sono duri da seminare, ho paura solo al pensiero di che cosa di peggiore possano sguinzagliarci contro…”
“L’hai sentito, no? Mietitori.” Audra ripensò a un dettaglio inquietante e si ritrovò a pensare a se stessa, a Dorian, a Caul... e d’improvviso, anche a Daìne.
Mikan pensò a che aspetto potessero avere quei mostri che rimanevano soltanto scritte su un pezzo di carta nella sua immaginazione. “Mietitori… già.” annuì alla donna. “Temo di averti fatto passare i cento da un pezzo.”
“No, sto finendo adesso. Vieni con me anche tu. CENTO!” gridò infine, per farsi sentire. Soltanto l’eco della sua voce rispose a quel grido. Lei si alzò in piedi, si scrollò di dosso la sporcizia e si avvicinò al tunnel dov’erano fuggiti tutti.
Guarda a cosa ti sei ridotta, la schernì Dag nella sua mente. Ignorò quel pensiero. La tattica era fondamentale e non poteva dare il meglio di sé se doveva badare anche a quel branco di mocciosi. Continuò a ripeterselo, anche se non doveva convincersi.
Entrò nell’ombra come un fantasma e avanzò piano, cercando di far mente locale su quali fossero le diramazioni e quanto tempo avessero sfruttato i bambini per nascondersi a dovere.
Mikan annuì alla richiesta della donna e guardò nelle direzioni dei vari tunnel. “Va bene, da dove iniziamo?”
“Dalle posizioni più ovvie.” La voce di Audra, quand’era nell’ombra, sembrava provenire da ogni direzione. Con un salto, si mise in equilibrio sulla parete per avere maggiore visuale. I suoi occhi scintillavano nell’oscurità. ”Vediamo...” Avanzò fino a una curva a gomito, procedette per qualche decina di metri finché non incappò in un gruppetto di casse macilente, rovesciate sottosopra. La sua vista non le permetteva di vedere attraverso gli oggetti, ma non ce ne fu bisogno: il respiro del bambino lo tradiva.
”Fin troppo facile, piccoletto.” Audra scoperchiò il nascondiglio senza mezze cerimonie e afferrò il bambino per un braccio. Eclisse si propagò su di lui.
Il piccoletto si lasciò sfuggire un gridolino spaventato quando venne scoperto il suo nascondiglio, ma ben presto lo spavento si tramutò in eccitazione man mano che il potere di Eclisse scorreva su di lui e si lasciò trascinare dalla donna.
Mikan si teneva qualche passo dietro Audra per osservare le reazioni che avrebbero avuto i suoi. Valutò che col primo non era andata male, anche se avrebbe sperato in qualcosa di meglio come nascondiglio.
”Tienilo tu…” Audra rilasciò il potere sul bambino e lo porse, letteralmente, a Mikan. ”Io cerco il prossimo. “ Percorse la parete curva e si ritrovò sul soffitto, spaziando con lo sguardo per tutto il tunnel. Vedeva un lieve chiarore appena dietro un grosso tubo contorto. Seconda preda.
E intanto rifletteva. Contagiare quel bambino col potere di Eclisse non era stato proprio uno scherzo, ma rispetto alle esperienze precedenti era stato relativamente facile. Ma con Dorian, con Daine…
Devo capire quanti sono.
Corse silenziosamente sul soffitto e si lasciò cadere proprio alle spalle del secondo, una bambina con le trecce che si era rannicchiata nel sentirli arrivare. Un tocco, e le ombre la pervasero. ”Trovata anche tu” sentenziò la ragazza, trattenendola nelle tenebre il tempo necessario per farla voltare e indicarle un altro punto più lontano, dove con la coda dell’occhio aveva visto un bagliore in lieve movimento. ”Lo vedi, vero?”
La bambina annuì “Sì, lo vedo. Cos’è?” chiese incuriosita dal bagliore.
”Il tuo amico. Perché non lo vai a prendere?” Audra la lasciò andare in modo che potesse raggiungerlo.
“Perché brilla?” chiese la bambina alla donna, prima di allontanarsi in direzione dell’amico.
”Perché il mio potere trasforma anche gli occhi. Luccica, visto?” E dentro di sé, Audra si disse: lei no. Vediamo il terzo. Non era tuttavia uno scherzo, in ogni caso, diffondere il potere su tanti individui diversi, in sequenza. Si domandò se sarebbe stata in grado di ficcarli nell’ombra dal primo all’ultimo senza conseguenze.
La bambina annuì alla risposta sintetica di Audra e corse verso l’amico. “Trovato!” gli strillò nell’orecchio.
L’altro stava per replicare quando si accorse di Audra che li raggiungeva a passo tranquillo. Senza mezzi termini lei gli afferrò il braccio e lo portò allo scoperto per poi farlo tuffare nell’ombra.
Niente. Finora soltanto Daìne...
”Allora, sbarbatello, vieni con me. Cerchiamo qualcuno dei tuoi!”
Senza neanche farlo replicare, lo condusse sul soffitto con lei.

La cosa si ripeté variando di poco per tutti gli altri Gatti della banda fino a quando non rimasero che Sam e Daìne ancora nascosti in giro per i tunnel.
Il giovane cuoco aveva girato per i corridoi fino a quando non si era ritrovato in prossimità delle cucine che conosceva come le sue tasche. Il ragazzino si era infine deciso a nascondersi dentro la nicchia che usava normalmente per accendere il fuoco, tra la cenere e i ceppi, nascosto da uno scaffale che si era trascinato davanti.
Audra avanzò negli ultimi cunicoli da controllare. Andava a passo lento, stavolta senza recare nessuno nell’ombra con sé, gli altri Gatti che osservavano curiosi le sue mosse, tenuti a bada da Mikan che continuava a seguirla. In realtà cominciava a essere stanca; Eclisse non era uno scherzo da dominare quando si trattava di manifestarlo sugli altri. Tuttavia era riuscita a controllare ognuno di loro, e nessuno le diede prova che avesse qualcosa di strano. Mancavano soltanto Sam e Daine, i più grandi. Loro erano di certo più furbi.
”Non è stata una gran prova” mormorò all’indirizzo di Mikan. ”Pochi nascondigli e troppe ingenuità. Non c’è nient’altro da fare, se qualcosa arriva qui sotto, niente indugi: si fugge.”
Il ragazzo annuì alle parole della donna. I suoi avevano sempre visto la tana come un rifugio e, pertanto, non si erano mai sforzati di cercarvi all’interno un luogo in cui nascondersi. Non poteva biasimarli, dato che lui era il primo a non aver mai valutato la possibilità di doversi nascondere o fuggire da lì. Strinse istintivamente il più piccino che teneva in braccio poiché stanco del gioco e della corsa.
“Allora ci toccherà individuare una o più vie di fuga, per non farci accerchiare.” rispose.
”Mi basterà avere la mappa di questo posto, ci penserò io. Ci manca solo che ti rompi l’osso del collo finendo in qualche buco...”
Audra si fermò una volta nelle cucine. Fece un cenno di silenzio agli altri e tese le orecchie. Nulla. Aggirò appena il tavolo, si abbassò sui talloni e ispezionò l’ambiente. Non ci volle molto perché la sua vista notturna scovasse le scarpe malmesse di Sam che sbucavano dallo spacco sotto uno scaffale messo a protezione del focolare.
”Meno uno...”
Senza porre tempo in mezzo, avanzò rapida e scostò il mobile sorprendendo il giovane cuoco. Prima ancora di portarlo nell’ombra, si accorse di cosa fosse ricoperto e annuì, colpita. ”Tu hai avuto più cervello di tutti, lo sai?” si complimentò a bassa voce. ”La cenere copre il tuo odore. Un mastino non ti avrebbe trovato, per esempio.”
Quando il ragazzino entrò nell’ombra con lei, non provò alcuna sensazione, anche se l’atto aggiunse fatica a quanto già stava sopportando. Quindi soltanto Daine. Che aveva detto Mikan, la notte prima? Che era figlia della guaritrice? Forse questo era il motivo, qualcosa di più profondo, radicato nel suo essere.
A proposito: dov’era Daine?
Si rizzò in piedi e lasciò che Sam si riunisse agli altri Gatti prima di uscire a passo lesto dalle cucine, gli occhi scintillanti che guizzavano da una parte all’altra in cerca della ragazzina. In effetti non c’erano altri nascondigli sufficientemente grandi per nasconderla appieno alla sua vista, tuttavia era sicura di non aver tralasciato nulla. A meno che...
Un leggero scalpiccio, proveniente da un cunicolo poco lontano, attirò la sua attenzione. Audra sorrise nelle ombre.
Furba. Lei non si era mai fermata. Voleva aggirarla e farle tana.
Senza preavviso, si mise a correre nell’ombra, forte della velocità che questa le consentiva.
L’unico errore di Daìne fu quello di voltarsi nella direzione in cui sapeva essere Audra e il resto dei gatti, invece di correre spedita e fare tana libera tutti. L’ombra fluida di Audra la raggiunse in quell’attimo di incertezza.
”E tu sei l’ultima...”
Lo disse, ma nel momento in cui l’afferrò per farla immergere nelle tenebre, il contraccolpo fu tale che per poco non la mollò come se avesse messo la mano in una fiamma. La stessa sensazione di prima, unita ai molteplici sforzi che aveva compiuto per diffondere il potere su tutti gli altri Gatti, le infuse un improvviso senso di vertigine, lo stesso che aveva provato la prima volta che aveva cercato di salvare Dorian mimetizzandolo con lei nel vicolo.
Audra cacciò un gemito, emerse dall’ombra di botto e con passi incerti raggiunse il muro dove si poggiò con una spalla.
“Stai bene?” Daìne le fu subito accanto per sostenerla.
Audra si scostò di qualche passo sempre mantenendosi rasente al muro. “No, non toccarmi!” quasi l’apostrofò, prima di sedersi e rientrare velocemente nelle ombre, stavolta da sola. Il sollievo che Eclisse le portò le permise di riprendere fiato. Aveva esagerato, non c’erano altre giustificazioni. E la sua teoria era provata: entrare nell’ombra con chi era dotato di poteri era molto, molto più faticoso che con tutti gli altri. Avrebbe dovuto prestare attenzione, o si sarebbe prosciugata di forze come la scorsa notte.
Daìne si era scostata a sua volta “Scusami, io… non volevo…” disse non sapendo di preciso cosa avesse fatto per meritarsi una simile reazione da parte della donna.
Audra alzò il volto, il fiatone a gonfiarle il petto-ombra. Scosse la testa lentamente. ”Non sei stata tu. Non tu...” I suoi occhi luccicanti si chiusero per qualche secondo fondendosi col resto del corpo, poi Audra la guardò a lungo, quasi pensierosa. ”Sto bene” aggiunse monocorde. ”Devo solo riprendere fiato. Condividere il mio potere non è facile.”
“Va bene. Ti faccio compagnia, allora.” La ragazzina si sedette accanto a Audra le indirizzò un sorriso.
Intanto arrivarono Mikan, Sam e il resto della combriccola. “Daìne, Audra, va tutto bene?” i due ragazzi si affrettarono vedendole sedute a terra nel mezzo del niente.
Audra fu costretta a uscire dalle ombre quando Mikan si avvicinò con la torcia. La stanchezza le piombò addosso come un mattone. “Andrebbe tutto bene se non fosse che avete perso tutti quanti..." provò a scherzare, e la voce le uscì più affaticata di quanto volesse ammettere. ”Riproveremo un’altra volta, ma non stanotte. Sam e Daine sono stati i più bravi: una stava per aggirarmi, l’altro ha mimetizzato il suo odore... Roba da professionisti.” Era un’esagerazione, ma non riusciva a essere troppo pratica di fronte a tutti quei bambini che la guardavano con occhi sgranati.
Sam arrossì inorgoglito alla parola ‘professionisti’. “Ma guardatelo! È diventato un peperone!” rise Mikan.
“A Sam piace Adua!” strillò un bimbetto.
“A Sam piace Adua!” fecero eco qualcun altro.
Il povero Sam si portò entrambe le mani davanti alla faccia e scosse la testa. “Non è vero! Finitela!”
Oh Dei santissimi, non uscirò mai viva da queste fogne, con questi mostriciattoli, quasi si disperò Audra. Appoggiò la nuca alla parete sudicia, cercando di isolarsi da quel baccano. Le stavano facendo venire il mal di testa.
Mikan cercò di andare in soccorso dell’amico e placare gli altri ragazzini. “Su, forza, per oggi abbiamo finito. È ora di rimettere in ordine la Tana, che abbiamo fatto un po’ di scompiglio con questo nascondino. Su, andiamo!” e se li portò via.
“E credo che a me tocchi rimettere in ordine la cucina…” aggiunse Sam che si congedò.
Daìne era rimasta seduta accanto ad Audra e ancora se la rideva per il siparietto appena terminato. “Che banda di mascalzoni!” commentò scuotendo la testa.
Poi riportò la propria attenzione sulla donna che non sembrava affatto aver gradito il baccano di poco prima.
“Se ti serve, posso vedere se c’è qualcosa per farti stare meglio…”
“Te l’ho detto, devo solo riprendere fiato.” Audra adocchiò il branco di mocciosi che si allontanava con aria seria. “Maledizione. Sono troppo piccoli e senza uno straccio di indipendenza” quasi mormorò tra sé.
La ragazzina fece spallucce “Meglio tutti insieme, qui con Mikan a giocare a nascondino, che da soli a fare la fame e subire soprusi e violenze in giro per la capitale. Almeno hanno qualcuno su cui contare, che gli vuole bene e si prende cura di loro come può.”
Qualcuno su cui contare. Audra conosceva bene quella sensazione. Il motivo per il quale era sbucata dalle Catacombe di Romar sorprendendo i tre mercenari in fuga. In effetti non ricordava neanche perché li avesse aiutati a scappare. Capiva poco delle loro parole, ma aveva imparato presto le innumerevoli cose che loro le avevano insegnato. Che Dag le aveva insegnato. Prima fra tutte, la regola aurea: mai affezionarsi a qualcuno.
Dag. Devo andare da Dag. Devo trovarlo. Il pensiero le irrigidì l’espressione del volto.
”Dovranno tirarsene fuori prima o poi. Non possono vivere da ratti per sempre.”
La risposta di Audra e l’espressione rigida sul suo volto non piacquero minimamente a Daìne. “Con l’arrivo della piena, i giunchi possono solo piegarsi.” Disse mettendosi in piedi. “Ti lascio riposare…”
Concluse andando via.
“Cosa vuoi che ti dica?” La voce di Audra, priva di qualsiasi traccia di pentimento, la raggiunse dopo pochi passi. “Che andrà tutto bene a prescindere? Che questi bambini saranno sempre al sicuro perché ci sono tre ragazzi grandi a rimboccar loro le coperte? Te lo posso assicurare, chi rimane confinato sottoterra ci marcisce. L’ho visto.”
Daìne si fermò e si voltò in direzione di Audra. “Non voglio che tu mi dica un bel niente!” le rispose sostenendo lo sguardo della donna “Vorrei soltanto che non biasimassi Mikan e i suoi Gatti per essersi nascosti in una situazione come questa. Forse sei stata lontana abbastanza da Athkatla per non esserti accorta che in città è in corso una guerra silenziosa, fatta di morti ammazzati, case e negozi che vengono incendiati e persone che spariscono da un giorno all’altro. Credi che a loro piaccia stare quì sotto, tra questo schifo? Prendono il buono che possono dalle piccole cose e dall’affetto che li unisce. Non ci nascondiamo da quasi un anno per sentirmi dire dall’ultima arrivata che marciremo sotto terra!”
Audra si risollevò in piedi spazzolandosi i calzoni. “Me ne sono accorta dai tanti bandi di taglia che circolano, ragazzina.” La guardò con aria predatrice. “E’ per questo che sono arrivata qui. C’è tumulto, c’è caos. E quando succede, a farne le spese sono i più deboli... e fidati: nessuno verrà a salvarli. Dorian, Caul, oh sì, loro sono aghi nel pagliaio: ma la regola che tutti ignorano ma che alla fine sono costretti a seguire è che quando le cose vanno male, bisogna saper contare su se stessi. Ed è questo che io non riesco a scorgere qua sotto. C’è paura, nascosta sotto la sporcizia, sotto i sorrisi e i giochi. Ma non c’è reazione. I bambini aspettano che i problemi li risolva qualcun altro, ed è questo che rischia di condannarli. Può non piacervi il nuovo stile di vita e ci mancherebbe, ma non reagite, non pensate nemmeno a come cambiarlo. State qui sotto sperando che in superficie la piena passi. Ciò che non capisci è che quando la piena infuria, i primi ad annegare sono i topi di fogna. Ricordalo. Ne ho visti tanti morire così, anche se non qui ad Athkatla.” Represse una smorfia. “C’è chi ci è nato, in catacombe come queste, e si è salvato non per miracolo, ma perché l’ha voluto.”
Daìne assottigliò le labbra e scosse la testa “I bandi di taglia… quelli sono solo la crosta; sono solo i nomi che possono sparire alla luce del sole. Vuoi sapere cosa stanno facendo perché la situazione cambi? Si tengono uniti e sopravvivono! I Gatti erano meno della metà fino a un anno fa, io e gli altri siamo arrivati dopo. Quando abbiamo perso ogni cosa, ogni affetto...” gli occhi della ragazzina si fecero lucidi. “... Ci rimane solo la speranza.”
Audra la fronteggiò e si piegò un poco per poter essere occhi negli occhi con lei. Non c’era scherno sul suo volto, nonostante le parole dure di poco prima. “La speranza senza una reazione è un sentimento sterile, che non porterà a nulla. La speranza deve motivarti a reagire, non a subire passivamente una vita che non vuoi. Lo capisci? Dici che sopravvivono…” Abbassò la voce come se temesse che qualcuno potesse origliare. “Daìne, è inutile prendersi in giro: se quelle creature che abbiamo scoperto, quei ‘Mietitori’, dovessero giungere qui sotto, puoi essere unito da tutto l’affetto di questo mondo, puoi anche sperare con tutto l’ardore di cui sei capace, ma non servirà a niente. Sarà una strage. Una sconfitta pesante.” Si passò una mano sul volto con aria stanca. “Daìne... quei bambini avevano paura di me, soltanto per il mio aspetto. Soltanto perché ho alzato la voce... Comprendi ciò che dico? Che succederà quando si troveranno davanti una creatura peggiore di me?” Non la lasciò rispondere. “Voi tre, voi grandi, di sicuro potete aiutarli e proteggerli, ma vista la situazione è ora che quei bambini imparino a cavarsela anche da soli. Chi non sa badare a se stesso non potrà mai aiutare chi gli è accanto. Solo quando accadrà potrai dire che sarete veramente uniti. Lo so che sono piccoli, ma giudica tu stessa: meglio crescere in fretta o morire prima?”
Daìne scosse ancora la testa. “Le tue sono belle parole, Audra, ma non tutti hanno un animo da guerriero.” la ragazzina si prese qualche secondo, indecisa su quanto fosse opportuno rivelare. “Gli incubi tormentano Martha quasi ogni notte, impedendole di riposare; Il piccolo Saryn non diceva una parola quando l’abbiamo trovato ed Erys aveva ripreso a bagnare il giaciglio. Nemmeno Mikan che li ha trovati sa quello che hanno vissuto, cosa hanno visto. Hanno bisogno di un gesto gentile e una parola amica, di qualcuno che voglia loro bene e li aiuti a superare i loro fantasmi.”
Audra rimase a fissarla per qualche secondo. “Non posso dar loro nulla di tutto ciò.” Distolse lo sguardo e si mise a guardare il tunnel, pensierosa, come se si aspettasse che le pareti potessero suggerirle una risposta. Piantò le mani sui fianchi e scosse la testa fra sé, come se disapprovasse qualche suo stesso ragionamento, infine si voltò verso di lei, solo per metà. “Mikan mi ha detto che tu possiedi la planimetria di questo luogo.”
La reazione di Audra e il successivo cambio di argomento, suggerirono a Daìne che qualcosa di quanto aveva detto, era passato nella mente della donna.
“Si, delle mappe e le annotazioni delle nostre esplorazioni. Vieni, ti mostro...”

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MessaggioInviato: Ven Feb 07, 2020 8:15 am Rispondi citandoTorna in cima

[Athkatla]

Audra diede una nuova letta agli appunti stilati da Daìne. Erano schematici, poco più che scarabocchi, ma se li sarebbe fatti bastare. Analizzò le vie di fuga più sicure, gli sbocchi sulla strada, e se finissero oltre la cinta muraria. Un percorso era segnato come “difficile” con l’aggiunta di parole come “fossato” e “dà all’esterno”. Nient’altro. Avrebbe dovuto controllare anche quello.
Per i percorsi noti, aveva segnato su carta e mentalmente tutti i boccaporti e le porte sigillabili. Poche, per la verità, ma erano tutte di ferro, nulla di degradabile. Alcune avevano ancora un chiavistello funzionante, altre erano affidate alle travi per essere sprangate, altre ancora avevano dei meccanismi a manovella, una testimonianza di vecchi canali di drenaggio. In ogni caso, a livello di difese, aveva già constatato amaramente l’assenza di una qualsivoglia trappola o allarme. Ciò era un male, quando si aveva un così vasto territorio da tenere sotto controllo e i loro avversari non si sarebbero certo fatti troppi scrupoli a stanarli come talpe.
Si concentrò tanto per cominciare sulla sezione di mappa inesplorata, poco più che diciture sulla carta, una risma di punti interrogativi. ‘Pericolo’ segnava soltanto la scritta vicino al tunnel dell’ala ovest, proprio dove si era fermata lei.
Sbirciò nelle tenebre.
Oltre il boccaporto che separava i due cunicoli, il nero non aveva segreti. Audra constatò che parte del pavimento era crollato e l’umidità aveva scrostato le mattonelle. Odore di ruggine e muschio, di vecchio e dimenticato, aleggiava in quell’aria.
Entrò nell’ombra e cominciò a camminare, saggiando la stabilità dell’appoggio prima di compiere ogni passo. Nonostante la precarietà del tunnel, il pavimento sul lato destro sembrava molto più stabile della parte opposta. Pensò a quanto peso potesse sopportare tutto insieme, ma il fatto che non sentisse scricchiolii mentre camminava era incoraggiante.
Si avvicinò al ciglio della frattura e sbirciò di sotto. C’era una piccola caduta di pochi metri che terminava in una specie di cisterna, collegata da chissà quale altro passaggio ancora non mappato. Il livello dell’acqua era basso, poco più di mezzo metro, e il liquame che vi era contenuto emanava un olezzo più nauseabondo di quello delle fogne in cui era stata costretta a fare il bagno soltanto il giorno prima. Non desiderando ripetere l’esperienza, Audra si allontanò in tutta fretta e continuò l’esplorazione.
Si accorse ben presto che quel dedalo era immenso. Trovò molte biforcazioni e parecchi punti ciechi, con i tunnel interrotti da grate invalicabili o sportelli sigillati dalla ruggine. Laddove poté continuare, tuttavia, si accorse che non era necessario affidarsi alle abilità di Eclisse per riuscire a proseguire. Segnò i bivi con appositi segnali, marcando i vicoli ciechi con una X alla biforcazione, e aggiornò di volta in volta la mappa fornitale da Daìne. Anche una persona normale avrebbe potuto percorrere quei tunnel, sempre ammesso che avesse con sé almeno una torcia e sapesse dove andare.
Devo tornare qui e posizionare delle lanterne, meditò. Poi si corresse. Perché avrebbe dovuto farlo lei? Non era casa sua. Stava soltanto ottimizzando il processo di mappatura, ma non per questo avrebbe dovuto occuparsi in toto delle difese e delle vie di fuga. A che pro? E per quale ringraziamento, quale ricompensa? Magari un altro arrosto di piccione? La voce di Dag la schernì nella mente e lei si sentì assalire dalla vergogna. Cercò di non pensarci troppo, almeno per il momento, e di concentrarsi per finire il lavoro al più presto. Voleva evitare di spendere tutta la notte in esplorazione.
Imboccò un tunnel stretto, dal soffitto basso, a cui ci si poteva accedere tramite una porta a sbarre, dal lucchetto ormai consumato. Riflettendo di doverlo sostituire, Audra vi si addentrò a passo svelto, sciabordando i piedi in un rigagnolo di liquami generato dalle infiltrazioni. Proseguì per un bel pezzo, sempre dritto, senza altre biforcazioni, tanto che si chiese dove stesse arrivando. Il cunicolo piegò a gomito e finì di botto in una scala che dava a un tombino situato molto più in alto. Lei salì, complimentandosi per la fattura dei gradini che non cigolarono neanche un po’ nonostante l’aspetto trasandato, e sollevò il coperchio di pietra con cautela, sempre rimanendo fusa con l’ombra.
L’accolse il profumo del terriccio e dei fiori notturni.
Audra sgranò gli occhi. Depose il coperchio con prudenza accanto all’apertura e sgusciò fuori. Un incantevole tappeto di stelle sopra di sé le diede il benvenuto. Le ci volle un rapido sguardo per capire dove fosse.
Era fuori dalle mura di Athkatla. I bastioni erano ben lontani, silenziosi titani nella notte. I dintorni erano una macchia cespugliosa che la occultavano alla vista. Poco distante, i primi alberi della foresta di Sindar, una zona sprovvista di sentieri, almeno a una prima occhiata.
Audra guardò la macchia boscosa e si accorse di un particolare. Ricorse alla sua vista notturna per esserne sicura.
I due alberi mozzati.
Non credeva che quel passaggio la potesse portare così vicino a...
La prudenza prese il sopravvento su ogni ragionamento. Sgattaiolò di sotto e si premurò di accostare il coperchio. Discese di fretta i gradini, presa da un’insolita premura. Arrivata al tunnel, stava già correndo.

Mikan era come al solito con Daìne e Sam nella sala comune. Gli scorsi giorni erano stati faticosi, tra le missioni e gli addestramenti con Audra, tutti, compresi i Gatti, avevano dato tanto. Anche il cambio di ritmo era stato duro da assimilare, erano ormai giorni che vivevano praticamente la notte, anche se nelle catacombe il contorno tra la notte e il giorno era sempre un po’ sfumato.
Questi momenti di tranquillità aiutavano Mikan a tenere a bada l’ansia che tutto potesse finire da un momento all’altro.
Audra uscì dalle ombre nel momento in cui mise piede nella sala comune. Dov’era Dorian? Quel ghiacciolo non era mai presente quando serviva di più! Si morse il labbro e stava per precipitarsi nelle sale adiacenti, quando si accorse dei tre ragazzini seduti ai tavoli. Esitò, rifletté per qualche secondo, si decise.
“Ehi” li chiamò senza mezzi termini. “Venite con me. E portatevi dietro delle torce.” Senza aggiungere altro fece un rapido voltafaccia e cominciò a inoltrarsi nel tunnel.
I tre ragazzini furono colti di sorpresa. Audra era sbucata praticamente dal nulla e li aveva richiamati con un tono che non prometteva niente di buono.
Mikan fu reattivo. Si mise in piedi “Si, signora! Sam, prendi delle torce, andiamo.”
“Perché devo prenderle io?” gli rispose l’amico “Già che sei in piedi, così bello pimpante vai tu!”
Mikan gli scoccò un’occhiataccia. “Che domande sono? Sei tu che tieni in ordine la dispensa, lo sai meglio di tutti dove sono le torce.”
“Si ma…” Sam si stava lamentando ulteriormente quando Daìne li interruppe porgendo loro una torcia a testa che aveva fatto in tempo ad andare a prendere e riportare.
“Ci muoviamo o no?” li rimbeccò.
Con un sincronismo non indifferente i due ragazzini si grattarono la nuca ed esibirono il loro miglior sorriso da ruffiano. “Si, signora!”
Presero una torcia e seguirono Audra.
“Dove andiamo?” Chiese Mikan, impaziente come al solito.
“Lo vedrai” fu l’asciutta risposta della ragazza. Li guidò fino al tunnel in cui aveva iniziato l’esplorazione. Quando entrò indicò loro la voragine. “Rimanete sul lato destro. Meglio camminare in fila, sempre, in ogni caso. Il peso sarà meglio distribuito. Vi è chiaro?” Senza neanche attendere la risposta, marciò a passo svelto seguendo le indicazioni da lei stessa tracciate.
“Ah, me lo ricordo questo fosso.” disse Sam che passò per primo.
“E chi se la dimentica questa puzza…” osservò Daìne. “Quell’acqua poi, non credo nemmeno che esista una cura alle malattie che ti vengono se uno ci cade.”
“Buh!” Gridò Mikan dentro il fosso per sentirne l’eco.
“Concentratevi sulla strada!” li rimproverò Audra, senza rallentare. Fece loro notare i segni che aveva tracciato sui muri: le X a segnare i vicoli ciechi, le mezzelune a indicare i tunnel da imboccare. Quando fu in prossimità del cancello col lucchetto, si voltò e attese che i tre la raggiungessero. “Ci sapete arrivare fin qui?”
“Si, penso che ce la facciamo.” rispose Mikan “Sam, ti ricordi la strada?”
L’altro annuì. “Si, è facile sapendo dove cercare i simboli”
Audra si chinò nel tunnel angusto, spalancò la grata e protese la torcia in quella direzione per illuminare il percorso quanto più possibile. Quando si voltò verso di loro, i suoi occhi verde smeraldo si piantarono in quelli di Mikan. “La prossima volta che ci venite, aprite questa porta e continuate nel tunnel. Non ci sono bivi, è impossibile perdersi, andate avanti. Giungerete a una scala. Salite, sarete all’esterno. Sollevate il coperchio di pietra, non è così pesante. Vi ritroverete ben oltre i confini della città, al riparo anche dagli occhi delle vedette.” Indicò un punto approssimativo sulla mappa che aveva aggiornato. “Una volta fuori, guardate verso la foresta. Vedrete due alberi più alti degli altri, ma con le creste mozzate. Raggiungeteli e, quando sarete tra le loro radici, svoltate a destra fino ad arrivare a un ruscello. Seguite la corrente: arriverete in vista di una piccola gola nascosta nella vegetazione. C’è una sorta di fortino abbandonato, laggiù.”
“Tempo fa, in locanda, sentivo un tizio dire che c’erano i fantasmi da quella parte della foresta…” disse Sam “... e a me non piacciono i fantasmi.”
“Cavolo, è vero! Eravamo insieme quella volta, mi sa.” osservò Mikan.
“No, ero solo. Te ne sei convinto perché te lo sarai fatto raccontare almeno una decina di volte…”
“Ma che dici, me lo ricordo che c’ero anche io alla locanda, che c’era il boscaiolo che diceva di aver sentito un fantasma.”
“Non ho mai detto che era un boscaiolo, te lo sei inventato.”
“Ma che importanza ha adesso?!” sbottò Daìne scocciata. “Ci sono o non ci sono i fantasmi?” chiese rivolta ad Audra.
Audra, che stava assistendo al battibecco con un’evidente vena in crescita sulla tempia, sibilò un “Lo spero” sottovoce prima di rispondere a Daine: “Non ci sarà alcun fantasma. Su quello posso darvi la mia parola. Quando arriverete, dovete scendere nel sotterraneo. Ignorate in ogni maniera i piani superiori, avete capito? Sono pieni di trappole. Scendete di sotto, c’è una porticina nascosta sul lato nord, ma non sarà difficile per voi trovarla. Non uscite per nessun motivo, neanche se credete che qualcuno vi stia chiamando dall’esterno. Là sotto troverete viveri, acqua, qualche coperta. Non fate crollare nulla e vedrete che i fantasmi non vi daranno fastidio.”
Mikan guardò Audra sgranando gli occhi. “Hai preparato tutte queste cose in un giorno scarso di esplorazioni?”
“Dove hai preso i viveri? In dispensa non mancava nulla” Fece eco Sam.
“Ma no, stupidi, quelli c’erano già da prima! È evidente che conosce quel posto troppo bene. Mi sbaglio?” Ancora una volta Daìne si rivolse alla donna.
L’intuito è donna, quanto è vero, pensò Audra storcendo la bocca. “Non è importante. Voglio che vi entri in testa un concetto: quando te lo dirò, Mikan” e lo fissò coi suoi occhi penetranti “non mi interessa cosa stai facendo, non mi interessa dove ti trovi: voglio che raduni i Gatti, TUTTI. E voglio che li porti qui. Aiuta pure chi vuoi, ma vieni qui. E fuggi via con loro. Guidali. Non devo insegnarti io come fare.”
Ancora una volta Mikan si sentì un cretino a farsi riprendere in quella maniera da Daìne prima e da Audra poi. Tornò serio e concentrato e annuì alle parole della donna.
L’ombra della preoccupazione raggiunse anche Sam “Non siamo al sicuro nelle Catacombe?”
Questa volta fu Mikan a rispondergli. “Non potrà durare a lungo. Soprattutto se continuiamo a colpire in superficie e a rintanarci qui. Ci troveranno, è solo questione di tempo.” si volse verso Audra. “Ti ringrazio a nome di tutti i Gatti per quello che stai facendo per noi.” le indirizzò un mezzo sorriso.
Audra non contraccambiò quel sorriso. “Lo faccio anche per me” ribatté. “Se qua sotto le cose dovessero mettersi male, l’ultima cosa che mi servirebbe è avere un branco di ragazzini indifesi in mezzo mentre combatto. Non vi posso proteggere tutti. Neanche Dorian. Neanche Caul. Ti ricordi quello che ti ho detto, no? Non avreste alcuna possibilità in uno scontro. Nessuno di voi potrebbe. Quindi non fate gli eroi, lasciatelo fare solo a chi non ha niente da perdere.” Stavolta gli afferrò la spalla e, benché non fosse nell’ombra, fu comunque inquietante sentire il tocco così ferreo. “Gli altri saranno spaventati. Dovrai calmarli. Per farlo occorre sangue freddo. Non ci potranno essere distrazioni. Conducili nei tunnel, tieni i ranghi serrati, illumina bene la strada, non farli gridare. Dovrete procedere in silenzio, come se foste dei bravi e diligenti formichini che vanno in fila indiana fino a destinazione. Più rumore fate e peggio sarà.” Indicò il lucchetto. “Ne metteremo uno nuovo. Dopo che l’ultimo dei Gatti sarà passato, chiuderai la grata con quello.”
Mikan non fu in grado di dire nulla in risposta a quella stretta ferrea e a quelle parole. Fece di sì con il capo “...ho capito.” disse infine.
“Potremmo fare delle prove, così non sarebbe la prima volta che facciamo questo percorso quando dovremo scappare” intervenne Sam.
“Mi sembra una buona idea…” constatò Daìne. “Dovremmo tornare qui con gli altri con una certa frequenza, magari mettere una corda e delle assi di legno vicino al fosso, così da rendere più agevole il passaggio.”
“Anche questa è una buona idea.” disse Sam annuendo. “Mikan, dovremmo metterci all’opera già da ora.”
Il ragazzo si riscosse e si rivolse all’amico “Si, è una buona idea.”
“Andate voi due a prendere il necessario” ordinò Audra, indicando i ragazzi.
“Sì signora!” risposero all’unisono. Lei attese che si dileguassero nel tunnel, rimanendo sola con Daine. Non appena la luce delle torce scomparve dalla visuale e l’eco dei loro schiamazzi si spense pian piano - sul serio? Stavano facendo la gara a chi arriva primo in quella fogna? Col rischio che potevano ammazzarsi nel fosso se si dimenticavano della sua presenza? - fronteggiò la ragazza.
“Daìne” cominciò, “fai pure le prove quanto vuoi assieme agli altri Gatti. Ma tu non andrai con loro, quando sarà il momento.”
La ragazzina fece per ritrarsi e guardò Audra con apprensione. “P-perché?” balbettò.
“Tu verrai con me” proseguì Audra. “Ci sono altre uscite in queste Catacombe, una non molto lontana dal primo bivio che abbiamo affrontato. Ci ricongiungeremo agli altri soltanto quando saremo certi di non essere seguiti.”
“Perché dovrebbero seguire noi e non gli altri?” continuava a guardare la donna. “Non voglio lasciare soli Mikan e Sam con gli altri Gatti, avranno bisogno di una mano con i più piccoli.”
Lo sguardo di Audra si fece più penetrante.
“Seguiranno noi perché siamo noi il loro obiettivo, Daine. Quelli come me… e come te.”
La ragazzina aggrottò la fronte e si prese qualche secondo. “... allora anche io sono una strega, come mia madre? Ma come fai a saperlo?” Chiese a Audra.
Audra liberò un sospiro. “Non so che doti tu abbia. Ma ho sentito qualcosa, quando sei entrata nell’ombra con me. Mi è capitata la stessa cosa con Dorian, quando…” Ricordò la sensazione della presenza del cristallo nel suo occhio, ma non rivelò quel particolare: non era giusto spifferare i segreti dell’uomo. “... quando eravamo in fuga. Il suo ghiaccio, sai. Con Mikan e con Sam non accade. Con te invece sì. E’ più faticoso portarti nelle ombre. Quindi ho intuito che fosse per quello.” Si avvicinò di più col volto. “Noi due non possiamo andare con loro. Lo capisci? Siamo come candele nel buio. A questo punto faremo meno danni viaggiando affiancate, anziché mischiarci con persone che, altrimenti, rischierebbero di diventare un bersaglio a loro volta. Vuoi che se la prendano coi Gatti, solo per cercarti? Vuoi che prendano Mikan? O Sam?”
Daìne scosse la testa. “Non sarebbe giusto. Stanno già rischiando tanto per me e se posso alleviarli almeno di questo sarebbe da egoisti non farlo. Hai ragione.”
“Già. Ma loro non lo accetteranno.” Audra sbirciò per controllare che non stessero tornando subito. “Tuttavia non possiamo tenerli all’oscuro del nostro piano. Altrimenti rischiamo che vengano a cercarti inutilmente quando ci sarà bisogno di farlo.” Il tono duro s’ammorbidì, anche se davvero di poco. “Per quanto può valere detto da un’estranea, se verrai con me, io farò di tutto per ricongiungerti agli altri. La scelta sta a te. Se accetterai, da questo momento in poi ti allenerai un po’ ogni notte a entrare nell’ombra con me. Sarà anche un buon esercizio, in fondo… “ Si morse il labbro. “Ma sta a te decidere se rivelare la verità a Mikan o no. Potete litigare - e litigherete ferocemente, credimi - su questa decisione, o lasciare a me la parte dell’antipatica. Forse sarebbe meglio la seconda. Tanto, non m’interessa…” Alzò le spalle. “Almeno finché non ti renderai conto in cosa consistono le tue capacità.”
Daìne annuì alle parole di Audra aggrottando leggermente la fronte; pensosa.
“Va bene, ci alleneremo e, quando sarà il momento, verrò con te, ma voglio dirlo io a Mikan e Sam. É una mia responsabilità. E se anche litigheremo perché sono degli stupidi testoni, con un po’ di tempo capiranno che è la scelta più sensata e faremo pace. Siamo amici.” sorrise ad Audra. “Ti ringrazio per esserti offerta, ma hai già tante cose che ti tengono occupata e ti danno pensiero, non è necessario che perdi con noi ragazzini più tempo del dovuto.”
“Se gli dici il perché” ribattè Audra “non te lo permetteranno. Piuttosto ti seguiranno.”
La ragazzina scosse la testa. “Sono testardi e ci tengono a me, ma, se gli chiederò di non farlo, non mi seguiranno. Mikan ha molto a cuore il gruppo, lo dovresti vedere come si preoccupa” sorrise ripensando a scene passate “quando resta sveglio per ultimo per essere sicuro che tutti dormano, quando ha raccattato i pezzi per costruire un carrellino da fare spingere a Carbone per portare i più piccoli, o quando si rovina i denti col pane duro per lasciare loro le cose più buone. Non so proprio come abbia fatto a crescere per strada con il suo carattere. È un buon diavolo.”
“Appunto. Sia Mikan che Sam sono indispensabili. E visto quanto si danno battaglia l’uno con l’altro per far colpo su di te, lo faranno anche per starti a fianco.”
“Che?!” Daìne arrossì vistosamente. “... Ma che dici?” disse dopo aver balbettato parole incomprensibili per qualche secondo.
“Non dirmi che non te ne sei accorta.” Audra le scoccò un’occhiata furba. “Pendono dalle tue labbra. Sono intimiditi dal tuo intuito, dalla tua intraprendenza. E tutte le volte che lo sgridi, Mikan piegherebbe in giù le orecchie come i cani, se fosse capace di farlo.” Audra si appoggiò al muro e incrociò le braccia “Se Mikan o Sam insisteranno per venire con te glielo impedirò. Con ogni mezzo. Per questo ti dico, pensaci bene.”
La ragazzina chinò il volto, ancora rosso per l'imbarazzo. Inconsciamente aveva fatto caso a quanto osservato da Audra, ora se ne rendeva conto, ma non aveva mai affrontato direttamente la situazione con Mikan e Sam. Erano cari ragazzi e voleva loro un gran bene, oltre che essere loro grata per tutto quello che avevano fatto e continuavano a fare per proteggerla, ma non sapeva se quel che provava per loro si sarebbe potuto trasformare col tempo in altro. Si prese qualche secondo per rispondere ad Audra e quando si fu decisa tornò a guardarla negli occhi. “Voglio comunque provare a parlare io con loro. Se si ostineranno a non voler capire, solo allora, ti chiederò di intervenire.” mosse su e giù il capo, come a sancire la sua decisione.
“Allora fallo da subito. Stanno arrivando.” Indicò il condotto, da dove già provenivano le prime voci giocose dei compagni. “Non mi intrometto finché non sarà necessario.” A riprova di ciò, assunse un’aria indifferente e guardò altrove.
“Ecco, là c'è Daìne!” fece uno dei marmocchi “Siamo arrivati, Mikan?” chiese un altro.
“Che puzza che veniva da quel fosso…”
“Ti! Uzza, uzza…” concluse il più piccolo sulle spalle di Sam.
Risero un po’ tutti.
“Ancora non siamo arrivati” rispose Mikan “bisogna passare da quella botola” la indicò con il dito “e poi c'è un luuuungo corridoio che porta fino a fuori dalla città!”
“Così lontano?”
“Cosa c'è fuori dalla Città?”
“Le terre coltivate”
“E poi?”
“La foresta”
“E poi?”
Discussioni come questa sarebbero potute andare avanti ore; Daìne intervenne rivolgendosi ai più piccoli. Si piegò leggermente sulle ginocchia.
“Perché non andate a giocare con zia Audra?”
“E perché?”
“Perché devo parlare di cose da grandi con Mikan e Sam”
ZIA AUDRA?! Se la ragazza fosse stata fusa con le ombre, tutti avrebbero visto i suoi occhi perlacei spalancarsi per poi assottigliarsi, colmi di fastidio.
“Io grande!” sancí il più piccolo sulle spalle di Sam.
Ci volle qualche minuto, una pazienza infinita e gli sforzi congiunti di Mikan, Sam e Daìne per convincere il gruppetto ad andare da zia Audra, ma alla fine ci riuscirono.

“Cosa volevi dirci?” chiese Mikan appena fu possibile.
“Ho parlato con Audra…” iniziò Daìne.
“Ahia, non promette niente di buono l'inizio” disse Sam.
Mikan scoppiò a ridere.
“Riuscite a stare seri per una buona volta?!” rispose scocciata Daìne, la cui bontà e pazienza erano già state messe abbondantemente alla prova.
“Scusa…” risposero in coretto. Daìne non potè far a meno di notare nel fare di Mikan quanto sottolineato da Audra poco prima e la cosa la infastidì maggiormente.
“Ho parlato con Audra” riprese “e siamo giunti alla conclusione che quando dovremo scappare dalle catacombe sarà meglio per noi dividerci.”
I due ragazzi sgranarono gli occhi smarriti dalla rivelazione e, prima che potesse insorgere nelle loro menti il rifiuto a quell'idea, Daìne continuò.
“Non sto dicendo che non ci rivedremo mai più. Io e Audra faremo soltanto un giro diverso, per poi incontrarci tutti nei sotterranei del fortino abbandonato.”
Mikan era contrariato. “Audra è una combattente, mi ha detto espressamente di non volere impicci quando ci sarà da combattere. Mi ha anche detto che dobbiamo rimanere uniti e scappare, perché a te dovrebbe dire un'altra cosa?”
Daìne si prese qualche secondo per rispondere, sentendo su di sé gli occhi dei due amici.
“... Perché quelli che ci daranno la caccia cercheranno quelli come me e come lei.”
“Che c'entri tu con Audra, nemmeno la conoscevi fino a qualche giorno fa.” osservò Sam.
“Cosa c'è sotto, Daìne?” chiese Mikan fissandola negli occhi.
“Cercheranno persone speciali, che hanno dei poteri.” rispose Daìne
“No, non mi piace saperti nel mezzo della battaglia e costretta a scappare. Hai visto cos'è successo a Dorian e Audra l'altro giorno?!” sbottò Mikan. “Noi Gatti abbiamo promesso che ti avremo accolta e protetta. Non ti lascerò da sola.”
Daìne strinse i pugni qualche secondo infastidita dalla reazione infantile di Mikan, e la storia di Dorian e Audra feriti e braccati le mise addosso altra ansia e paura, ma poi si costrinse a calmarsi e allungò una carezza a Mikan.
“Ricordati che hai la responsabilità di tutti gli altri. Se venissi con voi, attirerei i nemici nella vostra direzione e vi metterei inutilmente in pericolo, mi vedrebbero tra di voi con la stessa facilità di una candela al buio, ma accanto ad Audra nessuno farà caso alla mia presenza.”
“Perché hai dei poteri anche tu?” chiese Sam.
La ragazza annuì e diede una carezza anche a lui.
“Non vi sto chiedendo il permesso.” continuò “Vi sto solo avvertendo di non aspettarmi e non venirmi a cercare.” Li guardò negli occhi trattenendo a stento la tensione e la paura. Sam annuì preoccupato. “Va bene, ma promettimi che farai attenzione…”
Daìne annuì di nuovo. “Ci sarà Audra con me, non sarò sola. Staremo bene e ci rivedremo al punto d'incontro. Te lo prometto.” rivolse al ragazzino un sorriso tirato. Poi si rivolse verso Mikan; il suo silenzio la preoccupava.
Mikan la guardò e si limitò ad una scrollata di spalle. “Se è quello che hai deciso, non verremo a cercarti e non ti aspetteremo.”
La facciata di calma che Daìne aveva cercato di mantenere andò in frantumi di fronte alla risposta offesa di Mikan.
“SEI UNO STUPIDO! STUPIDO! STUPIDO!”
Gli gridò in faccia prima di strappargli la torcia di mano e scappare in lacrime verso la Tana.

Audra assistette a quell’ultima reazione con aria indifferente. Quando Daìne scappò via attese che si fosse allontanata e si rivolse a Sam: “Fammi un favore, toglimi il branco di dosso“ ordinó, indicando i bambini che si erano assiepati davanti a lei e si stavano rivelando più invadenti del previsto: chi voleva ancora essere portato nelle ombre e metteva il broncio al suo diniego, chi toccava senza permesso tutti i suoi accessori, chi si rizzava sulle punte per sfiorare la spada e riceveva uno schiaffetto sulle dita perché se ne stesse lontano. Il suo tono non ammetteva repliche e Sam obbedí, richiamando a sè i più piccoli. “Riportali indietro, ma per ora non andarla a cercare. Lasciala un momento per i fatti suoi.”
Il giovane cuoco se ne andò con i Gatti. Audra rimase da sola con Mikan nella semioscuritá,ancora immobile con le braccia conserte. “Se hai qualcosa da dire, ti ascolto” mormorò. “L’idea non ti piace affatto, te lo si legge in faccia anche senza vedere nel buio.”
Mikan era rimasto immobile dopo la reazione di Daìne, gli occhi ancora fissi di fronte a lui dove prima c'era stata la ragazza. Non fece nemmeno caso alla confusione di Sam che richiamava i bambini e li riportava alla Tana, solo la voce di Audra, nel rinnovato silenzio, lo ridestò.
Si voltò verso la donna che stava poggiata spalle al muro nella penombra dell'unica torcia accesa.
“Ho promesso a Daìne che mi sarei preso cura di lei e che l'avrei protetta e alla prima difficoltà dovrò lasciarla da sola. Avevo giurato a Dorian che l'avrei aiutato nella sua battaglia, ma sono un peso per lui e sarà costretto a combattere per permettermi di scappare. Sono responsabile dei bambini e, se non fosse stato per te, non avremmo avuto un posto in cui metterci in salvo. Se un uomo si pesa dalla parola data, io non valgo nemmeno gli stracci che indosso… Porta tu in salvo Daìne, tanto le mie non sarebbero altro che parole. Non sono in grado di fare nulla di ciò che vorrei.”
Picchiò un pugno contro il muro gridando per la frustrazione e vi poggiò la fronte per poi voltarsi e lasciarsi scivolare fino ad accovacciarsi a terra.
“Piantala di avvilirti e frignare.“ La voce di Audra non lasciava sconti. “Così sì che saresti inutile. Quel branco di bambini non ha altri riferimenti che te. Se ti sembra così poco dover badare a loro, allora abbiamo diversi concetti di responsabilità.“ Lo guardò senza muoversi dalla parete. “Ognuno fa quello che può nelle proprie possibilità. L'importante è fare bene almeno quelle. Non puoi pretendere di essere preparato a qualcosa che ti è piovuto tra capo e collo. E l’ardore ti fa promettere anche le cose più folli. Accetta un consiglio, non scandire la vita con le promesse. Non servono a niente. “
Mikan si passò il dorso della mano sugli occhi e rimase in silenzio a pensare sulle parole di Audra. “Sono stato ingiusto con Daìne…” esordì infine. “Lei non ha colpa di quello che sta succedendo. Avrei dovuto supportarla e invece l'ho spaventata e mi sono arrabbiato con lei! Stupido che non sono altro…” si diede un colpo sulla fronte e poggiò la testa al muro con più forza del voluto “...ahi…”
Audra lo guardó con aria contrariata. “Del senno di poi son piene le fosse. “ Lo guardò per qualche altro secondo prima di avvicinarsi e afferrargli il braccio. Senza preavviso entrò nell'ombra e ce lo trascinó.
“Vuoi davvero sfogarti? Prenditela con me, sono io ad aver preso la decisione! Fai quello che ti pare. Ti autorizzo a ferirmi, se ne sei capace. Ma smettila di compatirti in questa maniera. Tira fuori le palle se davvero vuoi essere di aiuto a Daìne. Rimuginare è la cosa più inutile del mondo. Agisci e basta, se davvero hai il coraggio che paventi!“
Essere trascinato nell’ombra fu come finire sott’acqua. Mikan si sentì gelare e gli mancò il respiro, ma il disagio, dettato principalmente dalla sorpresa, passò in fretta.
Alzò gli occhi verso Audra. “E a che servirebbe colpirti o cercare di farlo?” si rimise in piedi. “La tua decisione è giusta. Sono io che devo accettare il fatto di non essere all’altezza della situazione.”
Credi davvero che io ti dica di fuggire perché sei inutile? Nell'ombra Audra percepì i pensieri del ragazzino e strinse un pugno. Ah, quindi è questo? Sapere di non avere le stesse capacità di Daìne ti rende automaticamente indegno di poterle essere d'aiuto?”
Mikan sollevò gli occhi al cielo, non aveva riflettuto che la donna era in grado di leggere i suoi pensieri quando erano nell’ombra. Mi hai chiesto di fuggire perché io e miei Gatti saremo d’intralcio in battaglia, per salvarci la vita e per lasciarvi maggiore libertà d’azione… Sospirò, più per abitudine che per necessità. Daìne è troppo per me, lo pensavo già prima di scoprire delle sue capacità. È bella e dolce, intelligente e istruita… io sono solo un randagio, che futuro potrei mai offrirle? È stato un bel sogno quest’anno insieme a lei, ma, quando tutto questo sarà finito, le nostre strade si separeranno e lei mi dimenticherà, è inevitabile.”
Senza alcun preavviso, Audra lo strattonò dall’altra parte della galleria. Il contatto con le ombre s’interruppe di botto e un’onda di nausea assalì Mikan prima di ritrovarsi carponi nel rigagnolo di liquami. Audra torreggiò su di lui, sempre fusa nelle tenebre. Gli occhi di perla avevano uno sguardo tagliente e penetrante, colmo di risentimento.
[i]“TUTTI siamo randagi, finché non troviamo una tana”
sentenziò. “C’è chi la cerca, c’è chi dispera di trovarla mai, c’è chi invece si ribella e agisce. Tu quale vuoi essere? Tu quale pensi che sia, la tua strada? Le fogne? Le catacombe? Se tu credi che il tuo futuro sarà questo, significa che sarà anche quello di tutti i Gatti che fanno affidamento su di te. Se sei il primo a non voler cambiare la tua condizione, nessun altro lo farà al tuo posto!” Lo afferrò per il bavero, senza tuttavia condividere il suo potere, e con la forza delle ombre lo sollevò da terra senza sforzo. “Se vuoi qualcosa, lotta per averla. Se vuoi essere più forte, addestrati! Se non vuoi essere inutile, trova ciò che sai fare meglio e affina le tue capacità. Fino ad allora, non tediare il mondo con i classici piagnistei del ‘non sono capace’ o ‘non posso offrire quello che vuole’. Se sei tu per primo, con il tuo atteggiamento disfattista, ad aggrapparti a un relitto che affonda, non ti puoi stupire se anneghi per primo!” Lo lasciò andare. “Ti ho detto di andare via coi Gatti e condurli al sicuro perché loro sarebbero delle vittime sicure, in uno scontro. Solo tu sei in grado di farlo, perché hai qualcosa che né io, né Dorian, potremmo mai avere neanche con tutti i poteri a disposizione. La fiducia.” Assottigliò gli occhi. “Sii il capo che dici di essere. Scegli la strada sicura per i tuoi Gatti, preservali, curati di loro. Ma ricorda che ogni volta che vacillerai, li metterai a rischio. Se pensi di non essere in grado, rinuncia, adesso. A tutti loro. Vattene, e abbandonali al loro destino.”
Mikan si era ripreso a stento dall’ondata di nausea e il tanfo dei liquami non migliorava la cosa e trattenne l’istinto di portare le mani al viso, dato che erano lerce. Guardò Audra che l’aveva sballottato come un sacco di stracci, con il fiato corto e i lineamenti tirati. “Non li abbandonerò.” Esordì infine con una decisione che Audra non aveva mai visto nel ragazzo. “Li ho raccolti dalla strada uno per uno, strappandoli ad una morte certa. Ho dato loro da mangiare, di che vestirsi, un posto dove dormire e gli ho insegnato quel poco che so. Sono la ragione che mi fa alzare ogni giorno e non rinuncerei a nessuno di loro come fossero un pezzo del mio corpo e della mia anima.” Quando il momento di agitazione fu passato, la nausea ritornò prepotente e Mikan si piegò in due e sputò un misto di saliva e bile.
“Già, sono sicura che è così!” ribatté Audra, senza addolcire il tono. “Però se nemmeno tu riesci a vedere quanto già fai per questi ragazzini, quanto ti accolli al posto loro, quanto difficile è il compito che stai portando avanti con successo - dato che sono tutti ancora vivi - rassegnati, non lo farà nessun altro!” Lo rialzò senza troppe cerimonie, un gesto rude ma non per questo sgarbato come lo strattone di prima. “E se qualcuno non riesce a cogliere le tue capacità alla luce di ciò che hai fatto per i Gatti o per loro stessi, allora sono loro a non essere degni di te, non viceversa.” Si allontanò di qualche passo e uscì dall’ombra; strappò la torcia dal supporto e gliela lanciò ai piedi, in un punto asciutto. “Lascia comunque che ti dica una cosa. Nessuno piange per qualcuno di cui non gli importa nulla” e indicò il tunnel dove era sparita Daìne.
Mikan si chinò e raccolse la torcia. “Devo andare a cercarla… e scusarmi con lei.” Mosse qualche passo nel tunnel, poi si fermò e si voltò nuovamente verso Audra. Aprì la bocca come per dirle qualcosa, ma non proferì parola e, invece, le indirizzò un largo sorriso.
Lei non contraccambió. “Sparisci” si limitò a dire in tono ruvido.
Il ragazzo corse via.

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MessaggioInviato: Dom Apr 05, 2020 5:59 pm Rispondi citandoTorna in cima

[Athkatla]

Daìne aveva corso a ritroso nei sotterranei in direzione della Tana fino a quando non si dovette fermare senza fiato nel bel mezzo del nulla. L’aria era pesante e la torcia bruciava il poco ossigeno che c’era.
“Quello stupido!” si ripeté per l’ennesima volta passandosi una mano sugli occhi che avevano preso a bruciarle. Piangeva ancora, anche se non sapeva bene per cosa. Non capiva se era la rabbia o la paura o ancora la delusione. Mikan l’aveva portata a una reazione di cui non si credeva capace. Gli aveva gridato contro e col senno di poi l’avrebbe fatto di nuovo, anche se una parte di lei ne era dispiaciuta. E pensare che Audra l’aveva anche avvertita che avrebbero litigato, doveva essere preparata a fronteggiare la testardaggine di Mikan, lo conosceva bene, e invece era andata così.
Riprese a muoversi, questa volta con passo più tranquillo ma sempre rimuginando. Seguì le indicazioni nascoste sulle pareti, non senza rischiare di mancare un paio di svolte, ma alla fine riuscì ad arrivare alla Tana.
Era stanca fisicamente e mentalmente, ma decise che non era il caso di andare al proprio giaciglio. I Gatti sarebbero rientrati presto e lei non voleva vedere nessuno fino a quando non si fosse riposata. E così si cercò un posto tranquillo, in disparte, dove riposare.

Come previsto, i Gatti, guidati da Sam, non tardarono ad arrivare e le loro voci si propagarono nei corridoi fino a raggiungere la ragazzina che fu sollevata del fatto che nessuno la stesse cercando attivamente. Accovacciata nella penombra, si ritrovò a piangere ancora, come se le lacrime avessero una propria volontà a cui lei non poteva opporsi, finché non si addormentò.

Quando si risvegliò non sapeva quanto tempo fosse passato. Aprì gli occhi e quasi si spaventò. Mikan era seduto accanto a lei e le aveva anche messo una coperta addosso per alleviarle il freddo umido dei cunicoli delle catacombe. Stava là, con la faccia appoggiata su una mano, che la guardava dormire e le sorrise quando si accorse che si era svegliata.
Daìne si mosse per cambiare posizione e si accorse che non era stata una buona idea quella di evitare il proprio giaciglio. Nel sonno doveva aver assunto qualche posizione strana e ora collo e schiena reclamavano vendetta. Si passò le mani sul volto, sentiva gli occhi asciutti, dovevano essere anche rossi; si stiracchiò e si mise più comoda.
“Da quant’è che sei qui?” chiese al ragazzo.
“Meno di quanto credi, suppongo.” le rispose stiracchiandosi anch’egli.
Daìne si sentiva in difetto, era stata presa in un momento in cui aveva la guardia abbassata. “Non è affatto carino da parte tua starmi a fissare mentre dormo, specialmente dopo quello che è successo. E non ti azzardare a fare la tua solita faccia di bronzo, pezzo di...”
“Stupido” La interruppe Mikan. “Me l’hai già urlato in faccia una mezza dozzina di volte. Ormai l’ho capito. Non sarò il coltello più affilato del ceppo, ma credo di aver compreso il concetto.”
Daìne si sforzò di trattenere un sorriso. Era ancora arrabbiata con lui e non sarebbe bastata qualche battuta a cambiare la cosa.
“Beh?! Che cosa vuoi allora?” tagliò corto la ragazzina e per orgoglio scostò la coperta, benché il tepore che le procurava fosse piacevole.
Mikan cercò di arginare quel gesto di evidente stizza, ma ottenne solo di ritrovarsi con la coperta tra le mani.
“Io, ecco… volevo chiederti scusa per prima.” Daìne gli concesse uno sguardo obliquo. “Sono stato inopportuno, io…” la ragazza lo interruppe.
“Non sei stato inopportuno: sei stato cattivo.” sancì.
Mikan accusò il colpo chinando leggermente il capo, come se quelle parole gli pesassero sulle spalle. Mentre Daìne dormiva aveva fatto qualche prova del discorso, ma adesso ogni frase era svanita dalla sua mente e sentiva la bocca impastata.
“Hai ragione…” convenne il ragazzo “Non avrei dovuto parlarti in quel modo.”
“Almeno su questo siamo d’accordo…”
Il capo dei Gatti intravide uno spiraglio e continuò. “Mi dispiace per quello che ho detto, devo averti terrorizzata.”
“Pensi davvero che io sia arrabbiata con te perché mi hai terrorizzata con le tue parole?” La ragazzina scosse la testa sbuffando. “Oh, che cavaliere che saresti stato a dirmi non temere, Daìne, andrà tutto bene!
Mikan aprì la bocca come a voler dire qualcosa, ma non proferì parola, non subito almeno.
“S-sì, cioè no…” balbettò “... Hai…” fu interrotto di nuovo.
“Non provare a dirmi che ho ragione…” la voce di Daìne era il sibilo di un serpente e gli occhi due fessure. “Non ho bisogno che tu mi dia la ragione dei fessi. Se volessi chi mi da ragione, mi parlerei da sola allo specchio e se non c’è altro puoi anche andartene e portarti la tua stupida coperta!”
Il ragazzo fu completamente spiazzato da tutto ciò e strinse la coperta. Non aveva mai litigato con Daìne e non riusciva a capire cosa, di quello che era successo, l’avesse ferita e quanto a fondo e questo lo faceva stare ancora peggio.
“Aiutami a capire, Daìne.” Le disse infine.
La ragazza ricambiò lo sguardo di lui, d’un tratto intenso, poi si voltò dall’altra parte.
“Dico sul serio, sto uno schifo a sapere che sei arrabbiata per quello che ho detto e non capire in che modo ti ho ferita mi fa stare ancora peggio…”
“È solo perché ci stai male che sei qui?” ribatté lei.
“Lo sai cosa intendo!” Questa volta fu lui a non darle tempo. “Non ingarbugliarti la testa su queste scemenze. Lo sai che ci tengo a te e che non voglio che tu stia male. Mi è insopportabile sapere che soffri per causa mia.”
Daìne gli concesse un'opportunità.
"Perché hai reagito così?" gli chiese infine.
"Dovrei essere io a fare questa domanda…" iniziò il ragazzo, ma subito fu fulminato con lo sguardo. Alzò le braccia in segno di resa.
"Va bene, va bene, ma continuo a non capire a cosa ti riferisci…"
La ragazza lo guardò negli occhi in silenzio ancora qualche secondo, ma alla fine si decise a parlare.
"Ti sei arrabbiato con me per la storia di Audra. Perché l'hai fatto?"
Mikan sostenne lo sguardo di lei mentre dentro di sé cercava quanto palesato dalla ragazza.
"Io non ero arrabbiato con te…"
"Non mentirmi e, soprattutto, non mentire a te stesso."
"Non ti sto mentendo! Come avrei potuto essere arrabbiato con te per questa cosa? Non è quello che pensi."
"Penso ciò che sembrava e ciò che… Ho provato." concluse la ragazzina.
Mikan abbassò lo sguardo e scosse la testa.
"Non è per te, Daìne." si strinse nelle spalle "È solo che… Ecco… Si, mi sono arrabbiato con te, ma ce l'avevo con me stesso. Audra però mi ha aiutato a vedere la cosa dalla giusta prospettiva, dopo che sei scappata via."
Daìne rimase in silenzio cercando di mettere ordine nella mischia di pensieri e sensazioni che le affollavano la testa in quel momento.
Mikan tornò a guardarla e continuò a parlare.
"N-non stare in silenzio, è già abbastanza difficile e imbarazzante così.”
“Cosa vuoi che ti dica? Sei tu che mi devi una spiegazione. Volevi che ti ascoltassi. Ti sto ascoltando.”
Mikan valutò la cosa qualche secondo, Daìne aveva ragione, come il più delle volte.
“Sono un sacco di cose che mi hanno fatto reagire così stupidamente. Però, ecco, diciamo che se dovessi dirti la più grossa è che…” si interruppe, respirò a fondo e si passò una mano sulla testa semi-rasata.
Daìne fu travolta da un’ondata di sensazioni fortissime che quasi le diedero il capogiro e lo fermò. “No, basta!” gli poggiò un dito sulle labbra. “Non ce la farei ora a sentire oltre e a dirti ciò che tu vorresti sentirti dire. Cambierebbe ogni cosa.” lo guardò con occhi lucidi. “Ti voglio bene, ma questo giorno è già stato troppo per me.”
Mikan prese la mano di Daìne tra le sue. “Si, forse è meglio così. Concentriamoci sulle cose che ci faranno rimanere vivi domani.”
La ragazza annuì. “Mi dispiace per averti gridato contro. Non sei uno stupido.”
“O forse è proprio perché sono uno stupido che mi vuoi bene.” disse lui sorridendo.
“... forse.” anche lei sorrise, e nel farlo due lacrime le rigarono il bel volto.
“Sarà dura saperti lontana, ma sarai al sicuro con Audra e non preoccuparti dei piccoli. Io e Sam ci prenderemo cura di loro.”
“Sono sicura che lo farete.”
Mikan le sistemò la coperta dietro le spalle.
“Torniamo dagli altri?”
La ragazza fece di ‘no’ con la testa e la poggiò sul petto del ragazzo. Quando sentì che stava per dire qualcos'altro disse “Abbracciami e sta’ zitto, stupido.”

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