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 Da Moravia a Zaon Successivo
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Sayrus
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MessaggioInviato: Sab Gen 24, 2009 9:57 pm Rispondi citandoTorna in cima

~ Da Moravia a Zaon ~

Anni trascorsero dal giorno in cui divenni Custode incontrastato dell'Eterna Moravia...Molto fù il sangue versato dai miei nemici, molti gli omicidi e gl'assassinii di cui questa mano si può dir colpevole...
In concomitanza alla decadenza della stirpe del precedente Reggente, mi adoperai affinchè il controllo dell'Intera Città si concentrasse nelle mie sol mani.
Dichiarai guerra agl'Indegni che poltrivano nella mia terra, nella mia stessa Patria, ch'Io da sempre consideravo premurosa Madre.
Karalis fu il primo d'una lunga serie. Destinato a divenere Arconte dopo la scomparsa di Alice Ryan, posso oggi dire, con cognizione di causa, che mai conobbi Vampiro più inadatto a ricoprir tale carica.
Folli piani e complesse strategie furono attuate affinchè il sostegno di coloro che chiamavo Fratelli, potesse risultarmi utile nella mia causa.
Non più feccia doveva solcar la via scarlatta, niuno che non fosse accettato dalle severe Leggi di Moravia.
Kern il bardo e l'ora indiscusso Principe, Druss, furono i perni che mi permisero di dedicarmi in tutta la mia interezza in quella che al tempo era la mia unica ragione di non-vita.
Impedire che Karalis divenisse Arconte.
Ma il fato decise per me altra sorte. Con l'inganno fui sconfitto, legioni di guardie armate marciarono verso il mio Tempio, mi impedirono di far ciò che doveva esser fatto, nell'unico giorno in cui avrei finalmente potuto dire, che la mia battaglia era stata vinta.
Ricordo ancora limpidamente la voce soddisfatta di Ry'arg faccia di pietra, quando le sue guardie irruppero nella mia dimora, incatenandomi nella bara in cui giacevo. Le forze mi mancavano a quel momento, nulla potetti fare, se non sottostare all'ingiustizie che da una vita accompagnavano il mio percorso.
Cambiai per Moravia, al tempo, cambiai per una Moravia che oggi non riconosco più.
Il dado era stato tratto. Anni di lotte e fiumi di sangue furono vanificati in un sol giorno. Karalis divenne Arconte, e in un futuro oggi giunto, si sarebbe potuto dire ciò ch'Io presumevo.
La Casata decadde, Egli abdicò nell'anonimato, e Moravia divenne terra aperta a Paladini ed Elfi.
Mai mi sarei aspettato una tal fine per la mia Patria, mai mi sarei aspettato la fine che mi fu assegnata.
Nulla val la pena di ricordare di quegli infausti giorni, son memorie che mi terrò stretto e che saranno celate in eterno nel mio freddo cuore.
Oramai fuorilegge secondo le leggi dell'Alleanza, un gruppetto di guardie fù incaricato di scortarmi sin l'appezzamento di terra che divideva glukmoore dai deserti di Krush'et. Molta la forza d'animo che mi teneva in vita, poca l'energia vitale che scorreva nelle mie vene.
Oramai libero, null'altro v'era per me nei territori in cui ero cresciuto. Nuovamente allontanato, nuovamente solo.
Decisi, anche se non si può parlar di scelta, di intraprendere un viaggio verso altri lidi, lochi di cui avevo sentito parlare quando ancora militavo tra le fila dei barbari.
Molto più a ovest, sin dove niuno ch'Io conobbi osò mai andare, si narrava di popoli e genti costrette a far fronte ad una minaccia ancor più grave, dei nostri draghi. Si narrava che nella lontana regione del Karm'elek fra i declivi del Marhat e le pianure di Nam'sut, si stendeva una valle ricca d'ogni cosa. La Vallata di Zaon.
Terra di confine fra il Krush'et e le dimenticate distese ghiacciate di Orlagoth, terre d'ignobili Barbari, fu qui, che trovai nuova ragione di vita.
I necromanti, antichi stregoni da cui ero da sempre affascinato, avendo in me l'innato potere di evocare i defunti, oggi assopito, erano in eterna lotta con le orde di barbari che bramavano d'avanzare...Non semplici umani, ma Vampiri.
Converrete con me, che nulla di più entusiasmante v'è per un senza terra, aver la possibiltà di schierarsi dapprima in una e poi nell'altra legione, per una guerra che neppur l'interessava.
Divenni Mercenario, dapprima alla volta dei miei consimili, accrescendo maggiormente il poter di cui disponevo, infine, dei Necromanti, non appena mi fu chiara la sorte in contro alla quale andavano i primi.
Ripudiato dalle genti del mio stesso clan, ingannato da coloro ai quale avevo donato vittoria, avendo adempiuto ai subdoli compiti di cui m'ero fatto carico, lasciai andare senza remore alcuna gl'ultimi sgoccioli d'umanità che m'erano rimasti in corpo. Vile e senza scopo, il mio unico interesse era quello di sopravvivere nel miglior modo possibile.
La guerra che avevo reso la prospera vallata di Zaon, in una distesa più o meno impervia e sterile, si concluse dopo sedici lunghi anni.
Sedici lunghi anni in cui il mio pensiero mai volse verso Moravia, sedici anni di fatiscente beltà. Edificai dimora, in quelle terre che i Necromanti m'avevan fatto dono, Io credendo per giusta ricompensa, loro sapendo che era destinazione di marcia di una seconda orda Vampirica.
Trascorsi altri dodici anni in quella mia dimora, senza macchiarmi d'omicidi, o levando lama verso alcuno. Non mi dedicai di certo al culto della terra, v'erano i servi per quello, ma mi abbandonai ai piaceri della vita. I soldi, mera necessità, non erano mai in mancanza, la nobil arte del furto insegnatami in tempi remoti da Druss era stata più utile, che dir si voglia.
Conobbi molte fanciulle, la mia prestanza fisica e l'oro di cui traboccavano le mie casse eran da sempre ragione di molta compagnia, almeno da parte del gentil sesso. Un pò meno da parte dei mariti che vedevan le loro donne entrare in serata nella mia dimora, per non uscirne prima della mattina seguente.
Ma di questo non v'importa.
Me la passavo bene, dopotutto...In cuor mio credevo che avrei trascorso li il resto del mio tempo, resto che non sarebbe mai dovuto esser dato, vista la mia immortalità.
Ma nuovamente mi sbagliavo, e nuovamente la pace che tanto ambivo venne tranciata in un unico giorno.
Era un giorno brullo, il sole quel dì non aveva fatto capolino fra le montagne che riparavano la vallata e la fioca luce aveva agevolato l'avanzata di coloro che sarebbero stati i miei aguzzini. Mi svegliai quando i miei sensi m'avvertirono d'un qualcosa di strano, sentivo rituonare nel rigido giaciglio in cui riposavo una sorta di tonfo sordo e ritmico, cadenzato come i passi corti e precisi d'un armata in procinto d'attaccare.
Lesto mi scaraventai fuori dalla dimora, il guardo volò verso l'alto, all'altezza dei pendii del Marhat lasciandomi scorgere subito gli stendardi degli Assamiti, un clan di Vampiri assassini, mercenari, come me.
Temevo quel clan, temevo la nomina che si portavano dietro e che il vento si dilettava a spargere per i quattro angoli della terra, sapevo bene a cosa sarei andato in contro se fossi rimasto. Rientrai nella mia dimora, mi armai della mia spada, e di una leggera corazza, raccimolia un pò di spiccioli, e non appena fuori, diedi fuoco a ciò che per anni mi consolò a cullò fra le sue mura.
Mi sentii come una preda cacciata senza remore, ancora e nuovamente costretta a fuggire innanzi a qualcosa di più grande, troppo più grande.
Cavalcai senza sosta per due giorni, e avrei continuato, se non fosse stato per lo stallone che mi portavo dietro, che s'accasciò al suolo come una pera matura. Mi dimenticavo ogni volta di renderlo immortale, insofferente alla necessità di acqua e cibo...troppo tardi, in ogni caso.
Mi ritrovai a correre senza meta verso est, dalla parte opposta a quella da cui fuggivo, senza sapere, che proseguendo lungo quella via, mi sarei ritrovato al cospetto delle sette torri.
Giunsi li in sera, discendendo per una radura che in fondo s'apriva su una piccola pianura di pietre e ciottoli, forse letto d'un fiume, centinaia d'anni or sono. Rimasi esterrefatto innanzi a si tanta imponenza. Parevan toccar il cielo, coi loro pinnacoli, quasi nascosti dalle nubi che tagliavan a metà le torri.
Di spontaneo riflesso indietreggiai un poco, sapevo che oltre quella cinta di mura che le proteggeva avrei trovato morte certa, e così fu.
Non potendo più tornare sui miei passi, visto che gl'Assamiti oramai avevan raggiunto il bosco del Krehk't ch'Io avevo appena passato, decisi di intraprender la via che mi portava sin alle torri.
Non ricordo bene cosa accadde, decisamente non ricordo null'altro se non una sensazione di improvviso calore che mi divampava in corpo.
Mi risvegliai sulle rive d'un fiume, alti alberi mi proteggevan dal sole battente, e li ringraziai, o almeno così credetti di dover fare, non essendomi ancora accorto d'esser tornato umano.
Cercai di riprendermi, mi rinfrescai con l'acqua che scorreva e sol in quel momento m'accorsi che la mia immagine veniva riflessa. Rimasi incredulo, basito. Tentai d'alzarmi ma il mio corpo sembrava più pesante, Boroga, ancora legata dietro la mia schiena, era divenuta ora insostenibile. Non capivo, o forse, non volevo crederci. La mia forza era venuta meno, il dono dell'Immortalità mi fu usurpato.
Presi a camminare presso la riva del fiume, ritrovandomi dopo alcuni giorni di cammino in una città che a prima vista m'era parso di riconoscere. Anni mi dividevano da quella visione, eppur chiara come una lanterna nella notte. Romar.
La cittadina degli umani si presentava ora alla mia vista affatto cambiata dopo gli anni trascorsi a migliaia di leghe. Il tempo stesso parea essersi fermato su quella cittadella.
Non potevo credere di esser tornato umano, non potevo creder di esser tornato nei territori dai quali ero fuggito.
Non entrai entro le mura per tredici giorni. Rimasi nel bosco che circondava Romar cibandomi di cacciagione e abbeverandomi dal fiume.
Non potevo credere che tutti quegli anni di vita, potessero esser resi vani in un unico giorno.
Unico giorno.
Troppi furono quegli unici giorni che sia ora come in passato sancirono due delle mie più grandi sconfitte.
Unico pensiero tornò ad inquietare la mia stanca mente.
Moravia...Entrai a romar il quattordicesimo giorno, rubai un cavallo da bertold, e intrapresi la strada che speravo mi avrebbe condotto da un amico che credevo ancora li, Druss.

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MessaggioInviato: Ven Mar 27, 2009 10:00 pm Rispondi citandoTorna in cima

Il Principio



La mia non è una storia lieta, né novella, né leggenda ma solo triste sventura di vita. I miei genitori, come spesso è usanza in questo caotico secolo, hanno lo stesso sangue che scorre nelle loro vene. Essi regnavano su una piccola frazione nello stato del Nord. E’ un posto bellissimo, dove sterminate campagne si fondono con boschi lussureggianti e alte montagne diradano verso dolci declivi ricoperti dal manto candido della neve in inverno e da quello di fiori multicolori in primavera. E’ stata una grande festa quando io, principe ereditario nacqui, almeno così mi è stato narrato. Ma la mia felicità non è durata a lungo. A soli 3 anni sono stato ripudiato da mio padre poiché egli ha scoperto in me l’inquietante ma assolutamente naturale capacità di evocare i defunti. Il mio potere necromantico lo ha spaventato a tal punto che egli, seguendo le leggi che danno al padre diritto di vita e morte sui propri figli, ha deciso che dovevo morire. Ma la mia compianta madre ha scelto per me una via più impervia, dettata dall’amore e dall’incapacità di porre fine alla vita del proprio figlio. Ricordo ancora il suo viso mentre mi diceva che mi avrebbe amato sempre. Le sue gote pallide erano solcate da amare lacrime di tristezza. Così una notte mi ha portato via dal castello e celandomi agli occhi di un mondo che già mi guardava con sospetto, mi ha affidato alle cure di una vecchia e bizzarra strega che viveva nel folto di un oscuro bosco distante dalla mia terra d’origine.
In quei boschi carichi di misteri e di inquietanti creature sono così cresciuto, solitario e nascosto, apprendendo le arti magiche e nel mio cuore l’odio per gli umani che mi avevano condannato ad una simile esistenza da reietto è cresciuto sempre più.
Sono trascorsi tanti anni e la mia immagine è divenuta il riflesso perfetto di quella di mia madre. Stessi occhi color del cielo in tempesta, stessi capelli nero intenso. In me ella rivive ogni volta che mi guardo allo specchio. Sono quindi divenuto un uomo forte e un giorno il mio cuore ha preso a palpitare per una giovane bellezza del paese, che si adagia alle pendici del bosco, nelle cui braccia frondose si cela la mia povera dimora. Non lo sapevo ancora e forse speravo nella possibilità di un minimo di felicità anche per me, ma la mia vita era nuovamente condannata a sopportare un ennesimo lancinante dolore. Ella, con la pelle color pesca e gli occhi verdi come smeraldi mi ha incantato e non ho potuto fare a meno di seguirne l’irresistibile richiamo. E con gioia ho scoperto che il mio folle amore era ricambiato. Saphira, era questo il suo dolce nome, mi ha concesso il suo cuore e la leggiadria del suo corpo ma ahimè venne a mancare per cause sconosciute. So di aver sbagliato, so che la furia e la sofferenza hanno mosso i miei folli gesti ma non sono riuscito a fermare questa mano omicida, quando il mio animo sconvolto di fronte all’ennesimo dolore ha reclamato come vendetta la vita dei suoi confratelli. E i miei sogni non hanno più avuto, da quel giorno, un colore diverso da quello vermiglio del sangue. Sono fuggito e mi sono nascosto sempre più nel folto del bosco. Nessuno aveva le prove che io fossi il colpevole e per via del timore che il mio potere incuteva neanche i potenti ebbero mai il coraggio di venirmi ad accusare. Sono sprofondato nel deliquio di una sofferenza atroce. Dopo poco anche l’unica figura che mi fosse stata accanto, sin dalla tenera infanzia senza giudicarmi un mostro, è venuta a mancare e sono rimasto completamente solo. Il rimorso mi ha consumato l’animo e ho deciso di scacciare lontano da me l’amore che troppe sofferenze mi aveva già causato. Il mio cuore si è indurito e il desiderio di vendetta si è insinuato nelle mie viscere come un dolce veleno. Un giorno mentre ero a caccia, inseguendo un maestoso cervo nel fitto della boscaglia, mi sono ritrovato non volendo nei pressi delle tenute di famiglia e lungo un sentiero polveroso ho visto sfilare una scia di carrozze elegantemente addobbate. E dopo tanti anni l’ho rivista. E nonostante l’impietosità del tempo trascorso e la separazione avvenuta nella mia più tenera età l’ho riconosciuta. Ah compianta e perduta madre! Stringeva a sé una giovinetta di splendente bellezza che tanto le assomigliava… chi altri poteva essere se non mia sorella? E accanto alla sua ancora bellissima figura di donna, stava un uomo dallo sguardo schivo, coi ricci capelli dello stesso colore del grano maturo di mio padre. I miei fratelli….ed essi probabilmente non hanno mai saputo della mia esistenza. La vista di tutto ciò mi turbò oltremodo. So che ella mi amava ma non posso ugualmente perdonare. Nelle mie fattezze fisiche sarò condannato a rivedervi in eterno. Nel mio cuore a soffrire per la perdita del vostro abbraccio.
Il corso della mia vita fu segnato da indicibili peripezie…Conobbi una donna, anch’ella vagava negli oscuri meandri del bosco in cui crebbi, stava reclutando un esercito…
Blokulla, questo è il suo nome, mi proclamò Arimanno del KorpiKlaani…assieme ai miei compagni, uomini spietati e crudeli, conquistammo e saccheggiammo le lande in lungo e in largo, ma la nostra furia distruttiva, si concentrò su un'unica cittadina…Glorfindal…A contattato con i barbari, il mio cuore s’indurì oltremodo…la predilezione per la guerra, le torture e gli omicidi mi portarono infine ad esser giudicato fuorilegge nei territori dell’intera alleanza..
L’odio per gli elfi non fu altro che una trasmutazione dell’odio che provavo per gli uomini ed i loro migliori sentimenti…l’amore, il rispetto per la natura e gli altri, la bontà…tutte caratteristiche che incarnavano alla perfezione l’inferiore razza elfica..
Ma nonostante tutto, non era questo che cercavo…i miei compagni mi aiutarono a scolpire la mia personalità…mi resero ciò che da solo non sarei mai riuscito a divenire…ma mancava qualcosa.
E giunse infine la notte che mi permise di superare l’ultimo scalino prima di maturare la decisione che alfine mi ha condotto a Moravia. La luna si nascondeva dietro a fosche nubi quella sera, quando di rientro nella mia fatiscente casa sono stato selvaggiamente aggredito da un vampiro. Egli ha violato la mia carne suggendo il mio nettare vitale con grande bramosia e riducendomi allo stremo. Troppo superiore la sua forza alla mia di uomo, si prestante, ma pur sempre solo umano. In un ultimo disperato tentativo di difesa della mia seppur triste esistenza l’ ho trafitto con una croce d’argento. Non è morto no…ma è fuggito inorridito. Ripresomi a stento dall’assalto, le mie ferite sono guarite, le forze ritornate e il pensiero volato verso lidi di maggior coscienza. L’ incredibile energia di quella creatura è divenuta per me motivo di ossessione. E il pensiero dell’immortalità mi ha stuzzicato la mente tentandomi sempre più, simile al canto di una sirena ammaliatrice. Il potere è divenuto il mio ultimo scopo, la sua forma più perfetta e assoluta una necessità quasi dolorosa per placare l’arsura di una vendetta mai compiuta nel bisogno di dominare e punire tutti color che mi hanno ripudiato. Un giorno è giunta alle mie orecchie la storia di una cittadina dove si dice che la notte, nelle cui eterne profondità mi sono sempre celato, sia eterna. Fu quello il luogo della mia rinascita, e così ora mi appresto ad incontrare tutti voi. Divenni quello che sono sempre stato accusato ingiustamente di essere. Ma non è così. Dietro il potere delle creature della notte si cela la bellezza di un’eternità scandita dai ritmi del mio più intimo volere. Sorrido a questo pensiero…

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